Agosto di ferro e fuoco. Scene di ordinaria follia e violenza, sangue, angoscia, dolore, disperazione e morte: dejà vu
QUANDO LA BOCCA NON È COLLEGATA CON IL CERVELLO, LA MENTE VA IN… BIANCO A CROTONE E REGGIO CALABRIA
Domenico Salvatore
“Mamma mia, ‘u suli faci cazzetta…mi sciucau l’umitu”. La violenza, agostana in questi casi, con morti e feriti, ovviamente, non esplode “perché” fa troppo caldo. Con temperature, che vanno ben al di sopra dei 30 gradi. Una calura africana. In certe stagioni…si ‘squagghija’. Altrimenti, non si spiegherebbero i ben numerosi morti della altre stagioni. Le cause scatenanti, vanno ricercate in tutta una serie di fattori dormienti e concomitanti, che esplodono fragorosamente, incontenibili ed all’improvviso. A parte l’omicidio di Bianco, nella notte del X Agosto. L’operaio-imbianchino, emigrante in Lombardia, dove ha sposato una milanese. Cosimo Demeca, 45 anni, incensurato, ben lontano da frequentazioni pericolose ed equivoche, è stato ucciso a colpi di lupara, nel corso di un agguato di stampo mafioso, mentre a bordo di una Ford-Focus, rincasava in contrada ‘Valle’. Sotto gli occhi attoniti ed angoscianti della famiglia. Poteva scapparci la strage ma la moglie ed i tre figli, quattro donne, testimoni della tragedia per fortuna, sono rimasti incolumi. Anche perché, nel mirino del sicario, c’era solamente la vittima designata. Un agguato di stampo mafioso, ma il movente del delitto, non è stato ancora chiarito. Stanno procedendo i Carabinieri della Compagnia di Bianco, diretti dal capitano Francesco Donvito, coordinato dal t. colonnello Giuseppe De Magistris, comandante del gruppo di Locri; tutti agli ordini del colonnello Lorenzo Falferi, comandante provinciale. Sovrintende il p.m. di turno, Federica Riolino, coordinato dal procuratore capo della Repubblica di Locri Luigi D’Alessio. A meno che, il fascicolo non rimbalzi sul tavolo della DDA di Reggio Calabria, diretta dal procuratore capo, Federico Cafiero De Raho. Ma la vittima non aveva lo status di ‘ndranghetista. In giornata il medico legale, Pietro Tarzia, procederà all’autopsia; poi, la salma verrà restituita alla famiglia per la celebrazione dei funerali. Sempre a Bianco, in Contrada Pardesca un altro clamoroso omicidio. Vittima Vincenzo Cotroneo, 28 anni, ucciso la notte del 18.03.2006, nel corso di un agguato di stampo mafioso; in una zona isolata e priva d'illuminazione. Il centrattacco del Locri, stava rientrando a casa in auto quando è stato affiancato da un’altra vettura con a bordo due persone che hanno sparato con un fucile caricato a luparta ed una pistola. Collaborava con il padre nel suo lavoro di imbianchino. Le modalita' dell'omicidio, tipiche degli agguati di mafia, non si conciliano ne' con la personalita' dell'ucciso, ne' con le frequentazioni del giovane, che aveva una condotta di vita irreprensibile. Da ragazzo, aveva giocato nelle giovanili del Torino. Poi, era passato alla Centese, in C/2, e quindi aveva poi giocato in Puglia. Infine il ritorno in Calabria e la militanza in varie squadre, dall' Africo, al Guardavalle e quindi al Locri. Un leader dello spogliatoio Salvatore Vincenzo Cotroneo. Compagni ed amici, lo descrivevano come una persona dal forte temperamento e dal carattere deciso; non frequentava pregiudicati della zona, ne' era mai stato coinvolto in fatti di criminalita' comune o organizzata; era fidanzato con una ragazza di Locri e si sarebbe dovuto sposare da lì a poco. Nella Locride dove si uccidono medici, imprenditori, operatori, cittadini e giovani. Il primo omicidio porta la data del 7 agosto 2014 …Un pensionato delle Fs che, lasciato il lavoro, aveva deciso di vivere nella sua auto; è stato ucciso a Villa San Giovanni con due colpi di pistola di piccolo calibro. Il cadavere di Giuseppe Giuffrè, di 64 anni, è stato trovato quel pomeriggio nella vettura dove viveva, ma i soccorritori, in un primo momento, avevano pensato ad un malore.
E' stata l'autopsia, ad individuare i piccoli fori di entrata. Oscuro il movente. Indagano i carabinieri del Comando Provinciale, diretto dal colonnello Lorenzo Falferi. Il terzo fatto di sangue agostano ieri 11 agosto 2014, ore 2100 è accaduto a Crotone. Francesco Macrì di 73 anni, pensionato, ignaro di tutto, residente in Via dei Lillà a Gabella, periferia Nord di Crotone, è stato ferito nella tarda serata di ieri in via Reggio, nei pressi del Duomo e di Piazza Pitagora. La vittima designata, stava seduta ai tavolini del bar, forse in compagnia di qualche amico o conoscente, quando un commando di due persone con il volto travisato, anche per evitare eventuali riconoscimenti dalle immancabili telecamere fisse, senza proferire parola, ha esploso numerosi colpi di pistola. L’anziano alla vista della armi ha cominciati a scappare a zig zag e molti colpi sono andati a vuoto, ma un paio lo hanno centrato al tronco Macrì è stato soccorso dai sanitari del 118. Portato al Pronto Soccorso, è stato subito trasferito in sala operatoria: le sue condizioni sarebbero abbastanza gravi. Anche se i sanitari ospedalieri non disperino di salvargli la vita. Sul luogo dell’agguato, sono intervenuti gli uomini della Questura di Crotone. La Squadra Mobile, diretta dal vice-questore aggiunto, Cataldo Pignataro e quella delle Volanti guidata dal vice-questore aggiunto Francesco Muraca, che hanno avviato le indagini. A cominciare dagl’interrogatori dei ben numerosi testimoni oculari. Nonostante siamo in una zona ad alta densità mafiosa e l’omertà che regna sovrana, chiuda la bocca a doppia mandata per paura di vendette. I suoi precedenti risalgono agli Anni Novanta. Altro episodio sempre di lunedì 11 agosto 2014, una lite fra donne, sfociata in una sparatoria. Protagonista della storia, Cristian Pennestrì, 21 anni, nipote di Gino Borghetto presunto mammasantissima del cartello di ‘ndrangheta Borghetto-Caridi-Zindato; una conoscenza della Squadra Mobile di Reggio Calabria, diretta dal primo dirigente, intervenuta per sedare la rissa. Secondo una prima sommaria ricostruzione dell’accaduto, due donne, una mamma dell’arrestato, già trasferito nel carcere di Catona-Arghillà, erano venute a diverbio per motivi ancora tutti da chiarire. Non sappiamo, quanto ‘banale’ e quanto ‘per futili motivi’. Gli agenti di Luciano Rindone, sono giunti in un attimo, a sirene sèiegate, subito dopo la ‘chiamata’, in Via Clearco. Le indagini, coordinate dal p.m. di turno, coordinato dal procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, sono orientate a capire le ragioni dello scoppio della lite furibonda. Anche il numero delle persone partecipanti. Il giovane Pennestrì, avrebbe esploso contro la donna, finita al Pronto Soccorso degli Ospedali Riuniti, cinque o sei colpi di pistola, prima di darsi alla macchia. Latitanza di breve durata perché in serata, il Pennestrì accompagnato dal suo legale di fiducia, Basilio Pitasi, si è costituito in Questura. Dove, ha fornito la versione dei fatti, dalla sua angolazione.
In attesa di conoscere quella della vittima. L’accusa è di tentato omicidio, sparatoria in luogo pubblico e porto e detenzione abusivo di pistola. La polizia indaga anche per sapere se la vittima, sia stata minacciata con un coltello dalla madre dell’arrestato, a sua volta denunciata per il reato di minacce. Non fu altrettanto fortunata Angela Arcudi, 55 anni. la donna coinvolta nella sparatoria del 20 luglio 2013 deceduta agli Ospedali Riuniti in seguito alle ferite al collo riportate nella sparatoria. L’anno scorso in piena Estate una sparatoria, scoppiata per una banale questione di parcheggi, produsse il tragico, pesante bilancio di un morto e tre feriti. Alle 20 nel quartiere Arangea alla periferia di Reggio Calabria. Un uomo di 73 anni, Antonio Canale, ha imbracciato un fucile e ha iniziato a sparare contro la cognata, deceduta alcune ore dopo in ospedale, il fratello e contro i due nipoti. In due round. L’anziano è uscito di casa con un secondo fucile con cui ha esploso ancora dei proiettili per un totale di 10-12 colpi. Sono rimaste ferite altre due persone. Anche allora fu una volante a disarmare e ammanettare lo sparatore condotto in Questura. Anche allora, sul luogo della sparatoria, si recarono gli investigatori della Squadra Mobile, sempre diretta dal primo dirigente Gennaro Semeraro e gli esperti della polizia scientifica, che hanno eseguito i rilievi del caso. Salta all’occhio, il rispetto per le donne, ma anche per bambini ed adolescenti, prossimo allo ‘zero’. Morte o ferite; oppure testimoni scioccate, loro malgrado di tragedie immani, che lasciano il segno per tutta la vita. Quando la bocca non è collegata con il cervello, può provocare danni immensi. Meno male che ci sia il comodo alibi del caldo torrido. Chiamare la Polizia ed i Carabinieri, per togliere le castagne dal fuoco con la zampa di gatto e rischiare la vita, va bene. Ma, va bene anche, la collaborazione spontanea ed operativa, se non tempestiva del cittadino, che ha il sacro dovere di difendere e tutelare la democrazia e la libertà. Non può gravare tutto sulle spalle della magistratura, che sul territorio, coordina il lavoro delle forze dell’ordine.
Domenico Salvatore
QUANDO LA BOCCA NON È COLLEGATA CON IL CERVELLO, LA MENTE VA IN… BIANCO A CROTONE E REGGIO CALABRIA
Domenico Salvatore
E' stata l'autopsia, ad individuare i piccoli fori di entrata. Oscuro il movente. Indagano i carabinieri del Comando Provinciale, diretto dal colonnello Lorenzo Falferi. Il terzo fatto di sangue agostano ieri 11 agosto 2014, ore 2100 è accaduto a Crotone. Francesco Macrì di 73 anni, pensionato, ignaro di tutto, residente in Via dei Lillà a Gabella, periferia Nord di Crotone, è stato ferito nella tarda serata di ieri in via Reggio, nei pressi del Duomo e di Piazza Pitagora. La vittima designata, stava seduta ai tavolini del bar, forse in compagnia di qualche amico o conoscente, quando un commando di due persone con il volto travisato, anche per evitare eventuali riconoscimenti dalle immancabili telecamere fisse, senza proferire parola, ha esploso numerosi colpi di pistola. L’anziano alla vista della armi ha cominciati a scappare a zig zag e molti colpi sono andati a vuoto, ma un paio lo hanno centrato al tronco Macrì è stato soccorso dai sanitari del 118. Portato al Pronto Soccorso, è stato subito trasferito in sala operatoria: le sue condizioni sarebbero abbastanza gravi. Anche se i sanitari ospedalieri non disperino di salvargli la vita. Sul luogo dell’agguato, sono intervenuti gli uomini della Questura di Crotone. La Squadra Mobile, diretta dal vice-questore aggiunto, Cataldo Pignataro e quella delle Volanti guidata dal vice-questore aggiunto Francesco Muraca, che hanno avviato le indagini. A cominciare dagl’interrogatori dei ben numerosi testimoni oculari. Nonostante siamo in una zona ad alta densità mafiosa e l’omertà che regna sovrana, chiuda la bocca a doppia mandata per paura di vendette. I suoi precedenti risalgono agli Anni Novanta. Altro episodio sempre di lunedì 11 agosto 2014, una lite fra donne, sfociata in una sparatoria. Protagonista della storia, Cristian Pennestrì, 21 anni, nipote di Gino Borghetto presunto mammasantissima del cartello di ‘ndrangheta Borghetto-Caridi-Zindato; una conoscenza della Squadra Mobile di Reggio Calabria, diretta dal primo dirigente, intervenuta per sedare la rissa. Secondo una prima sommaria ricostruzione dell’accaduto, due donne, una mamma dell’arrestato, già trasferito nel carcere di Catona-Arghillà, erano venute a diverbio per motivi ancora tutti da chiarire. Non sappiamo, quanto ‘banale’ e quanto ‘per futili motivi’. Gli agenti di Luciano Rindone, sono giunti in un attimo, a sirene sèiegate, subito dopo la ‘chiamata’, in Via Clearco. Le indagini, coordinate dal p.m. di turno, coordinato dal procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, sono orientate a capire le ragioni dello scoppio della lite furibonda. Anche il numero delle persone partecipanti. Il giovane Pennestrì, avrebbe esploso contro la donna, finita al Pronto Soccorso degli Ospedali Riuniti, cinque o sei colpi di pistola, prima di darsi alla macchia. Latitanza di breve durata perché in serata, il Pennestrì accompagnato dal suo legale di fiducia, Basilio Pitasi, si è costituito in Questura. Dove, ha fornito la versione dei fatti, dalla sua angolazione.
In attesa di conoscere quella della vittima. L’accusa è di tentato omicidio, sparatoria in luogo pubblico e porto e detenzione abusivo di pistola. La polizia indaga anche per sapere se la vittima, sia stata minacciata con un coltello dalla madre dell’arrestato, a sua volta denunciata per il reato di minacce. Non fu altrettanto fortunata Angela Arcudi, 55 anni. la donna coinvolta nella sparatoria del 20 luglio 2013 deceduta agli Ospedali Riuniti in seguito alle ferite al collo riportate nella sparatoria. L’anno scorso in piena Estate una sparatoria, scoppiata per una banale questione di parcheggi, produsse il tragico, pesante bilancio di un morto e tre feriti. Alle 20 nel quartiere Arangea alla periferia di Reggio Calabria. Un uomo di 73 anni, Antonio Canale, ha imbracciato un fucile e ha iniziato a sparare contro la cognata, deceduta alcune ore dopo in ospedale, il fratello e contro i due nipoti. In due round. L’anziano è uscito di casa con un secondo fucile con cui ha esploso ancora dei proiettili per un totale di 10-12 colpi. Sono rimaste ferite altre due persone. Anche allora fu una volante a disarmare e ammanettare lo sparatore condotto in Questura. Anche allora, sul luogo della sparatoria, si recarono gli investigatori della Squadra Mobile, sempre diretta dal primo dirigente Gennaro Semeraro e gli esperti della polizia scientifica, che hanno eseguito i rilievi del caso. Salta all’occhio, il rispetto per le donne, ma anche per bambini ed adolescenti, prossimo allo ‘zero’. Morte o ferite; oppure testimoni scioccate, loro malgrado di tragedie immani, che lasciano il segno per tutta la vita. Quando la bocca non è collegata con il cervello, può provocare danni immensi. Meno male che ci sia il comodo alibi del caldo torrido. Chiamare la Polizia ed i Carabinieri, per togliere le castagne dal fuoco con la zampa di gatto e rischiare la vita, va bene. Ma, va bene anche, la collaborazione spontanea ed operativa, se non tempestiva del cittadino, che ha il sacro dovere di difendere e tutelare la democrazia e la libertà. Non può gravare tutto sulle spalle della magistratura, che sul territorio, coordina il lavoro delle forze dell’ordine.
Domenico Salvatore
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