BIANCO (REGGIO CALABRIA), 11 agosto 2014 - Un quarantacinquenne, Cosimo Demeca, è stato ucciso la notte scorsa, in un agguato a Bianco (Reggio Calabria). L'uomo, è stato assassinato a colpi di fucile, uno dei quali gli sarebbe stato sparato alla testa. L'omicidio è stato commesso in contrada Valle, una zona di campagna del comune del reggino. Sul posto sono intervenuti i carabinieri del Gruppo di Locri e della Compagnia di Bianco che hanno avviato le indagini. “Un delitto particolarmente efferato”. Così gli investigatori definiscono l'agguato in cui è stato ucciso Cosimo Demeca, il 45enne freddato nella notte mentre in auto con lui c'erano la moglie e le tre figlie. Le indagini si stanno muovendo in tutte le direzioni. Il colpo fatale nei confronti di Demeca è stato esploso dal finestrino. La moglie, che sedeva accanto alla vittima mentre stava parcheggiando al rientro a casa, ha riferito di non essersi accorta di nulla a causa dell'oscurità che avvolgeva l'ambiente circostante. Illese le figlie, due adolescenti e una bambina di tre anni circa.
BIANCO (RC) AVVOLTO NEL MISTERO L’OMICIDIO DI STAMPO MAFIOSO DELL’OPERAIO COSIMO DEMECA, 45 ANNI SPOSATO TRE FIGLI, UCCISO NELLA NOTTE IN CONTRADA “VALLE” A COLPI DI LUPARA, MENTRE STAVA RIENTRANDO A CASA CON LA FAMIGLIA
Domenico Salvatore
BIANCO (RC) Ancora nessuna novità sull’omicidio dell’operaio Cosimo Demeca 45 anni, sposato, tre figli, assassinato in auto, nella notte di San Lorenzo 2014, mentre stava facendo rientro a casa con la famiglia e poteva essere una strage. Nemmeno il ritrovamento della macchina o dello scooter di solito usati dai kilers per eseguire la loro macabra missione di morte, sangue, rovina e distruzione. Questo delitto, in qualche modo fa venire alla mente la poesia “X Agosto” di Giovanni Pascoli…”San Lorenzo , io lo so perché tanto/di stelle per l'aria tranquilla/arde e cade, perché si gran pianto/nel concavo cielo sfavilla./Ritornava una rondine al tetto :/l'uccisero: cadde tra i spini;/ella aveva nel becco un insetto:/la cena dei suoi rondinini./Ora è là, come in croce, che tende/quel verme a quel cielo lontano;/e il suo nido è nell'ombra, che attende,/che pigola sempre più piano./Anche un uomo tornava al suo nido:/l'uccisero: disse: Perdono ;/e restò negli aperti occhi un grido:/portava due bambole in dono./Ora là, nella casa romita,/lo aspettano, aspettano in vano:/egli immobile, attonito, addita/le bambole al cielo lontano./E tu, Cielo, dall'alto dei mondi/sereni, infinito, immortale,/oh! d'un pianto di stelle lo inondi/quest'atomo opaco del Male!/”. Una similitudine con un altro mistero italiano come quello del 10 agosto 1867; giorno in cui in terra di Romagna, più precisamente sulla Via Emilia nel tragitto che va da Cesena a San Mauro venne ucciso Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta “La Torre”, un latifondo dei principi Torlonia, presso la quale, viveva con la sua famiglia, allora composta dalla moglie Caterina, e dai figli Margherita, Giacomo, Luigi, Giovanni, Raffaele, Giuseppe, Ida e Maria? Ruggero Pascoli, assassinato secondo moventi e responsabilità, ancora oggi non del tutto chiarite, era il padre del poeta Giovanni. Una fine inaspettata e violenta, fulminato, come fu, da un solo colpo sparatogli da dietro una siepe mentre, guidando il suo calesse, trainato dalla “Cavallina storna”, stava facendo ritorno a casa. Giovanni Pascoli, aveva solo dodici anni, quel tragico 10 agosto del ’67, mentre Ida e Maria, le sorelle adorate, le compagne di una vita erano più piccole. Il flash illuminante dell’Ansa è chiaro…”Un quarantacinquenne, Cosimo Demeca, è stato ucciso la notte scorsa in un agguato a Bianco (Reggio Calabria). Era in auto con la moglie ed una delle tre figlie, una bambina. Donna e bambina sono rimaste illese. L'uomo, secondo quanto accertato dai carabinieri, è stato ucciso con un colpo di fucile caricato a pallettoni sparato da breve distanza e non a colpi di pistola come era stato ipotizzato in un primo momento. Il delitto è avvenuto vicino ad una casa rurale in cui Demeca era solito trascorrere l'estate insieme alla famiglia. Secondo una prima ricostruzione dei Carabinieri del Gruppo di Locri diretto dal t. colonnello Giuseppe De Magistris e della Compagnia di Bianco, guidata dal capitano Francesco Don Vito; tutti agli ordini del comandante provinciale, colonnello Lorenzo Falferi Demeca era alla guida dell'auto e stava rientrando a casa in località Valle, alle porte del paese. Sovrintende alle indagini per identificare l’autore dell’efferato delitto, il p.m. di turno, coordinato dal procuratore capo della Repubblica di Locri, Luigi D’Alessio. L'assassino ha atteso che l'auto, giunta in prossimità dell'edificio, rallentasse per uscire da dietro la vegetazione avvicinarsi e sparare un solo colpo di fucile che ha ucciso all'istante Demeca, senza, fortunatamente, colpire moglie e figlia. L'assassino si è poi dileguato.
E' stata la moglie a lanciare l'allarme facendo subito intervenire i Carabinieri. Demeca, che lavorava saltuariamente come operaio, era incensurato e non risultava avere rapporti con ambienti della criminalità. Le indagini dei carabinieri sono ora orientati nella sfera privata dell'uomo per accertare se negli ultimi tempi possa avere avuto contrasti con qualcuno. La dinamico presenta ancora qualche zona d’ombra, ma in linea di massima è stata chiarita. La vittima designata, stava rientrando con la famiglia a casa, in contrada “Valle”, ignara del tragico destino che lo aspettava. Una prassi consolidata, di cui era a conoscenza anche il killer; e comunque i mandanti. Le modalità di esecuzione, l’arma impegnata, il tipo e la quantità di piombo impiegata, fanno pensare ad un attentato di stampo mafioso. Sebbene l’operaio non avesse amicizie equivoche o pericolose e fosse ben lontano dai vorticosi giri di mafia; niente frequentazioni mafiose o malavitose. Insomma un menage regolare, normale, fatto di casa e lavoro. L’omicidio è stato programmato con calma cinica e spietata. Il ben oliato e collaudato servizio informazioni della ‘Piovra’ non ha sbagliato nemmeno stavolta. Il giustiziere della notte, ‘sapeva’ bene, quale tragitto avrebbe percorso la sua vittima. Con largo anticipo ha studiato ogni possibile mossa. In questa storia, non manca la “nonna” a far da palo. Poteva scapparci la ‘strage’; e non sarebbe la prima, né la seconda volta. Ma il sicario aveva ricevuto un preciso mandato. Doveva morire solamente l’operaio. Questo a livello di ipotesi investigative, apre un ventaglio di ipotesi, al vaglio degli organi inquirenti locresi. In attesa di capire se il fascicolo debba transitare sul tavolo della DDA reggina, guidata dal procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho e di un suo Pubblico Ministero. Il Demeca, secondo una prima sommaria ricostruzione dell’omicidio, raggiunto al capo ed al tronco è stramazzato sul volante, in una pozza di sangue; raggiunto in punti vitali è morto sul colpo. A nulla è valsa l’ambulanza del 118, chiamata dalla moglie, appena è riuscita in qualche modo a riaversi dalla tragedia che ha sconvolto la sua vita e quella dei suoi figli. Scene terribili ed indimenticabili, che l’hanno segnata per sempre. Era serena e tranquilla e felice. In un attimo è passata dal Paradiso all’inferno. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri allertati dalla consorte della vittima. Il medico legale per l’ispezione cadaverica esterna sul corpo del Demeca.
La ditta del caro estinto per la rimozione del cadavere ordinata dal magistrato che sovrintende; il p.m. di turno. Al tempo stesso è stata organizzata una retata consueta. Alla ricerca dell’esecutore materiale dell’orrendo crimine e del ‘palo’, che ha provveduto a portarlo fuori tiro e fuori zona. Prima che scattasse la macchina investigativa. Fatta di blocchi stradali volanti e di controlli domiciliari dei pregiudicati della zona, che sono i primi ad essere “intervistati” e sottoposti allo stub, per capire se abbiano sparato, nell’immediatezza del grave fatto di sangue. Domani verrà eseguita l’autopsia, a cura del perito settore, nominato dal Tribunale. Una prassi, sempre importante per chiarire gli esigui dubbi, su modalità di esecuzione ed eventuale movente. Poi, la salma verrà restituita alla famiglia, per la celebrazione dei funerali, nella chiesa madre a cura del parroco titolare. E con le modalità pubbliche. Salvo diversa decisione del questore di Reggio Calabria, Guido Nicolò Longo. Abbiamo più volte detto e scritto che sul territorio, siano egemoni le cosche della ‘ndrangheta. Decide, il capocrimine della data ‘ndrina; chi, che cosa, quando, dove e perché. Qui hanno interessi le potenti e ricche cosche di ‘ndrangheta dei Morabito Tiradrittu di Africo e Nirta Scalzone di San Luca. Per uno sgarro, per faida, per attentato all’onore della “famiglia Montalbano”, per guerra di mafia ecc. La soluzione di questo mistero, tuttavia non appare facile. La vittima era incensurata. Non solo. Siamo in una zona ad alta densità mafiosa, dove regna sovrana l’omertà, collante della mafia, che cuce le bocche a doppia mandata per paura di rappresaglie. Pare che la ‘ndrangheta non c’azzecchi. Se così stessero le cose, il mistero s’infittisce, perché il movente può essere legato anche a ‘futili motivi’. Si comincia in salita e tuttavia dai reperti, dai rilievi tecnici, dall’autopsia, da eventuale dossier, fascicolo o cartella; dagl’interrogatori di familiari, amici, parenti e conoscenti. Salvo ‘collaborazioni’ spontanee. A parte quelle di qualche pentito dalle orecchie lunghe; o di qualche ‘gola profonda’ in itinere. Un omicidio da queste parti, sorprende sino ad un certo punto. In questo hinterland insanguinato dalle faide di mafia, se ne contano a centinaia; alcuni anche efferati e non si guarda in faccia a nessuno. Nemmeno al patriarca della ‘ndrangheta di San Luca, ‘don Peppe’, Giuseppe Nirta (San Luca, 1913 – Bianco, 19 marzo 1995) ucciso da un killer armato di pistola a tamburo, mentr’era agli arresti domiciliari, in attesa di giudizio, affacciato al balcone di casa. “Nirta, fonte Wikipedia, è stato un criminale italiano della 'ndrangheta, capobastone della 'ndrina dei Nirta La Maggiore di San Luca. Giuseppe Nirta insieme ai suoi fratelli Antonio, Francesco e Sebastiano governò la 'ndrina dei Nirta La Maggiore. Fu un importante membro della Commissione provinciale. Fu arrestato nell'Operazione Aspromonte nel 1992 insieme ad altre 33 persone, ma a causa della sua età avanzata gli furono concessi gli arresti domiciliari. Prima che si potesse fare un processo fu comunque ucciso a Bianco, in casa sua alle 5 del pomeriggio del 19 marzo 1995 con cinque colpi alla testa. Il figlio Bruno Nirta era imputato nello stesso processo.
Il 24 gennaio 2013 è stato assassinato a Roma, nel quartiere Trigoria, il genero 67enne Vincenzo Femia, marito della figlia Annunziata Nirta. Il pluripregiudicato calabrese era uno dei punti cardine della cosca nella capitale. Per il genero di “don Peppe Nirta, già a capo della cosca Nirta-Scalzone, tra le più potenti e carismatiche di tutti i tempi storico mafiosi” la Questura di Reggio Calabria ha imposto i funerali all'alba del 30 gennaio 2013 in forma rigorosamente privata con la sola partecipazione dei più intimi familiari”. Sebbene le motivazioni che portarono all’eliminazione del mammasantissima dei Nirta Scalzone, fossero di ben altro tipo.
Domenico Salvatore
BIANCO (RC) AVVOLTO NEL MISTERO L’OMICIDIO DI STAMPO MAFIOSO DELL’OPERAIO COSIMO DEMECA, 45 ANNI SPOSATO TRE FIGLI, UCCISO NELLA NOTTE IN CONTRADA “VALLE” A COLPI DI LUPARA, MENTRE STAVA RIENTRANDO A CASA CON LA FAMIGLIA
Domenico Salvatore
BIANCO (RC) Ancora nessuna novità sull’omicidio dell’operaio Cosimo Demeca 45 anni, sposato, tre figli, assassinato in auto, nella notte di San Lorenzo 2014, mentre stava facendo rientro a casa con la famiglia e poteva essere una strage. Nemmeno il ritrovamento della macchina o dello scooter di solito usati dai kilers per eseguire la loro macabra missione di morte, sangue, rovina e distruzione. Questo delitto, in qualche modo fa venire alla mente la poesia “X Agosto” di Giovanni Pascoli…”San Lorenzo , io lo so perché tanto/di stelle per l'aria tranquilla/arde e cade, perché si gran pianto/nel concavo cielo sfavilla./Ritornava una rondine al tetto :/l'uccisero: cadde tra i spini;/ella aveva nel becco un insetto:/la cena dei suoi rondinini./Ora è là, come in croce, che tende/quel verme a quel cielo lontano;/e il suo nido è nell'ombra, che attende,/che pigola sempre più piano./Anche un uomo tornava al suo nido:/l'uccisero: disse: Perdono ;/e restò negli aperti occhi un grido:/portava due bambole in dono./Ora là, nella casa romita,/lo aspettano, aspettano in vano:/egli immobile, attonito, addita/le bambole al cielo lontano./E tu, Cielo, dall'alto dei mondi/sereni, infinito, immortale,/oh! d'un pianto di stelle lo inondi/quest'atomo opaco del Male!/”. Una similitudine con un altro mistero italiano come quello del 10 agosto 1867; giorno in cui in terra di Romagna, più precisamente sulla Via Emilia nel tragitto che va da Cesena a San Mauro venne ucciso Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta “La Torre”, un latifondo dei principi Torlonia, presso la quale, viveva con la sua famiglia, allora composta dalla moglie Caterina, e dai figli Margherita, Giacomo, Luigi, Giovanni, Raffaele, Giuseppe, Ida e Maria? Ruggero Pascoli, assassinato secondo moventi e responsabilità, ancora oggi non del tutto chiarite, era il padre del poeta Giovanni. Una fine inaspettata e violenta, fulminato, come fu, da un solo colpo sparatogli da dietro una siepe mentre, guidando il suo calesse, trainato dalla “Cavallina storna”, stava facendo ritorno a casa. Giovanni Pascoli, aveva solo dodici anni, quel tragico 10 agosto del ’67, mentre Ida e Maria, le sorelle adorate, le compagne di una vita erano più piccole. Il flash illuminante dell’Ansa è chiaro…”Un quarantacinquenne, Cosimo Demeca, è stato ucciso la notte scorsa in un agguato a Bianco (Reggio Calabria). Era in auto con la moglie ed una delle tre figlie, una bambina. Donna e bambina sono rimaste illese. L'uomo, secondo quanto accertato dai carabinieri, è stato ucciso con un colpo di fucile caricato a pallettoni sparato da breve distanza e non a colpi di pistola come era stato ipotizzato in un primo momento. Il delitto è avvenuto vicino ad una casa rurale in cui Demeca era solito trascorrere l'estate insieme alla famiglia. Secondo una prima ricostruzione dei Carabinieri del Gruppo di Locri diretto dal t. colonnello Giuseppe De Magistris e della Compagnia di Bianco, guidata dal capitano Francesco Don Vito; tutti agli ordini del comandante provinciale, colonnello Lorenzo Falferi Demeca era alla guida dell'auto e stava rientrando a casa in località Valle, alle porte del paese. Sovrintende alle indagini per identificare l’autore dell’efferato delitto, il p.m. di turno, coordinato dal procuratore capo della Repubblica di Locri, Luigi D’Alessio. L'assassino ha atteso che l'auto, giunta in prossimità dell'edificio, rallentasse per uscire da dietro la vegetazione avvicinarsi e sparare un solo colpo di fucile che ha ucciso all'istante Demeca, senza, fortunatamente, colpire moglie e figlia. L'assassino si è poi dileguato.
E' stata la moglie a lanciare l'allarme facendo subito intervenire i Carabinieri. Demeca, che lavorava saltuariamente come operaio, era incensurato e non risultava avere rapporti con ambienti della criminalità. Le indagini dei carabinieri sono ora orientati nella sfera privata dell'uomo per accertare se negli ultimi tempi possa avere avuto contrasti con qualcuno. La dinamico presenta ancora qualche zona d’ombra, ma in linea di massima è stata chiarita. La vittima designata, stava rientrando con la famiglia a casa, in contrada “Valle”, ignara del tragico destino che lo aspettava. Una prassi consolidata, di cui era a conoscenza anche il killer; e comunque i mandanti. Le modalità di esecuzione, l’arma impegnata, il tipo e la quantità di piombo impiegata, fanno pensare ad un attentato di stampo mafioso. Sebbene l’operaio non avesse amicizie equivoche o pericolose e fosse ben lontano dai vorticosi giri di mafia; niente frequentazioni mafiose o malavitose. Insomma un menage regolare, normale, fatto di casa e lavoro. L’omicidio è stato programmato con calma cinica e spietata. Il ben oliato e collaudato servizio informazioni della ‘Piovra’ non ha sbagliato nemmeno stavolta. Il giustiziere della notte, ‘sapeva’ bene, quale tragitto avrebbe percorso la sua vittima. Con largo anticipo ha studiato ogni possibile mossa. In questa storia, non manca la “nonna” a far da palo. Poteva scapparci la ‘strage’; e non sarebbe la prima, né la seconda volta. Ma il sicario aveva ricevuto un preciso mandato. Doveva morire solamente l’operaio. Questo a livello di ipotesi investigative, apre un ventaglio di ipotesi, al vaglio degli organi inquirenti locresi. In attesa di capire se il fascicolo debba transitare sul tavolo della DDA reggina, guidata dal procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho e di un suo Pubblico Ministero. Il Demeca, secondo una prima sommaria ricostruzione dell’omicidio, raggiunto al capo ed al tronco è stramazzato sul volante, in una pozza di sangue; raggiunto in punti vitali è morto sul colpo. A nulla è valsa l’ambulanza del 118, chiamata dalla moglie, appena è riuscita in qualche modo a riaversi dalla tragedia che ha sconvolto la sua vita e quella dei suoi figli. Scene terribili ed indimenticabili, che l’hanno segnata per sempre. Era serena e tranquilla e felice. In un attimo è passata dal Paradiso all’inferno. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri allertati dalla consorte della vittima. Il medico legale per l’ispezione cadaverica esterna sul corpo del Demeca. La ditta del caro estinto per la rimozione del cadavere ordinata dal magistrato che sovrintende; il p.m. di turno. Al tempo stesso è stata organizzata una retata consueta. Alla ricerca dell’esecutore materiale dell’orrendo crimine e del ‘palo’, che ha provveduto a portarlo fuori tiro e fuori zona. Prima che scattasse la macchina investigativa. Fatta di blocchi stradali volanti e di controlli domiciliari dei pregiudicati della zona, che sono i primi ad essere “intervistati” e sottoposti allo stub, per capire se abbiano sparato, nell’immediatezza del grave fatto di sangue. Domani verrà eseguita l’autopsia, a cura del perito settore, nominato dal Tribunale. Una prassi, sempre importante per chiarire gli esigui dubbi, su modalità di esecuzione ed eventuale movente. Poi, la salma verrà restituita alla famiglia, per la celebrazione dei funerali, nella chiesa madre a cura del parroco titolare. E con le modalità pubbliche. Salvo diversa decisione del questore di Reggio Calabria, Guido Nicolò Longo. Abbiamo più volte detto e scritto che sul territorio, siano egemoni le cosche della ‘ndrangheta. Decide, il capocrimine della data ‘ndrina; chi, che cosa, quando, dove e perché. Qui hanno interessi le potenti e ricche cosche di ‘ndrangheta dei Morabito Tiradrittu di Africo e Nirta Scalzone di San Luca. Per uno sgarro, per faida, per attentato all’onore della “famiglia Montalbano”, per guerra di mafia ecc. La soluzione di questo mistero, tuttavia non appare facile. La vittima era incensurata. Non solo. Siamo in una zona ad alta densità mafiosa, dove regna sovrana l’omertà, collante della mafia, che cuce le bocche a doppia mandata per paura di rappresaglie. Pare che la ‘ndrangheta non c’azzecchi. Se così stessero le cose, il mistero s’infittisce, perché il movente può essere legato anche a ‘futili motivi’. Si comincia in salita e tuttavia dai reperti, dai rilievi tecnici, dall’autopsia, da eventuale dossier, fascicolo o cartella; dagl’interrogatori di familiari, amici, parenti e conoscenti. Salvo ‘collaborazioni’ spontanee. A parte quelle di qualche pentito dalle orecchie lunghe; o di qualche ‘gola profonda’ in itinere. Un omicidio da queste parti, sorprende sino ad un certo punto. In questo hinterland insanguinato dalle faide di mafia, se ne contano a centinaia; alcuni anche efferati e non si guarda in faccia a nessuno. Nemmeno al patriarca della ‘ndrangheta di San Luca, ‘don Peppe’, Giuseppe Nirta (San Luca, 1913 – Bianco, 19 marzo 1995) ucciso da un killer armato di pistola a tamburo, mentr’era agli arresti domiciliari, in attesa di giudizio, affacciato al balcone di casa. “Nirta, fonte Wikipedia, è stato un criminale italiano della 'ndrangheta, capobastone della 'ndrina dei Nirta La Maggiore di San Luca. Giuseppe Nirta insieme ai suoi fratelli Antonio, Francesco e Sebastiano governò la 'ndrina dei Nirta La Maggiore. Fu un importante membro della Commissione provinciale. Fu arrestato nell'Operazione Aspromonte nel 1992 insieme ad altre 33 persone, ma a causa della sua età avanzata gli furono concessi gli arresti domiciliari. Prima che si potesse fare un processo fu comunque ucciso a Bianco, in casa sua alle 5 del pomeriggio del 19 marzo 1995 con cinque colpi alla testa. Il figlio Bruno Nirta era imputato nello stesso processo.
Il 24 gennaio 2013 è stato assassinato a Roma, nel quartiere Trigoria, il genero 67enne Vincenzo Femia, marito della figlia Annunziata Nirta. Il pluripregiudicato calabrese era uno dei punti cardine della cosca nella capitale. Per il genero di “don Peppe Nirta, già a capo della cosca Nirta-Scalzone, tra le più potenti e carismatiche di tutti i tempi storico mafiosi” la Questura di Reggio Calabria ha imposto i funerali all'alba del 30 gennaio 2013 in forma rigorosamente privata con la sola partecipazione dei più intimi familiari”. Sebbene le motivazioni che portarono all’eliminazione del mammasantissima dei Nirta Scalzone, fossero di ben altro tipo.
Domenico Salvatore



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