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Vivere la Bovesia secondo Ugo Sergi

Ugo Sergi
di Giuseppe Campisi – Cosa significhi amare un territorio, piantarvi radici, affondarvi  lavoro e tutto se stessi e confondersi con esso è una storia che non molti uomini possono raccontare con l'amore e la passione di Ugo Sergi. La vallata dell'Amendolea a far da castone ad ogni alba e ad ogni tramonto unici, che scandiscono il tempo e l'adorazione per un luogo che per molti parrebbe sinonimo di impervia se non addirittura di inospitalità ma dal quale egli ha saputo cogliere i tratti millenari più autentici e più vivi, trapiantandoci vita e mestiere, fondando un'oasi dalla quale sugge, quasi in perfetta simbiosi, linfa vitale che è poi divenuta, man mano, quella ricetta segreta che gli ha permesso di capitalizzare – come suol dire - «il compimento ultimo della personale ricerca della felicità». 
Un tenace trasporto, un'ancestrale bisogno di recupero delle origini lo ha spinto circa 20 anni fa sulla sponda sinistra, guardando il mare fondersi sulla linea d'orizzonte dello jonio, di questo silente e maestoso consorte che è l'alveo dell'Amendolea dove ha fondato la sua azienda agricola di circa 20 ettari consacrata al bergamotto a cui ha provvidentemente affiancato un gradevole soggiorno turistico a fungere da avamposto logistico per i tanti appassionati alla scoperta di questi luoghi, una plaga grecanica abitata nottetempo da quegli esuli prevalentemente monastici che qui, inverosimilmente, si reinnestarono ritrovando l'humus fertile ed ospitale della madrepatria d'oriente. 

Racconta del richiamo irresistibile verso questo lembo di terra sottratto alla desertificazione fluviale e di come altri, nel solco della sua scelta antesignana, sian divenuti seguaci del credo della madre terra votandosi ad un neocolonialismo autoctono inteso quale riscoperta territoriale e valorizzazione di un habitat unico, per troppo tempo trascurato. «Ma è stato proprio grazie a questa sorta di oblio che questa terra si è potuta conservare quasi intatta ed è potuta pervenire a noi in tutta la sua avvincente bellezza di cui  – racconta con il pathos animato di chi serba negli occhi tutta la delicatezza  verso un grande amore del quale teme, a tratti, di non riuscire a divulgarne appieno i sentimenti – noi abbiamo l'obbligo di conservare e custodire i tramandi impartiti dalla natura». 

Una missione, la sua, che si è imposto di perseverare sulla scia delle consuetudini agresti e della semplicità contadina e che oggi vale una scelta di vita, attorniato dall'inebriante profumo di bergamotto che circumnaviga questi luoghi rurali e romanzeschi, molto apprezzati da naturalisti e turisti dell'escursione che ne fanno, per loro stretta ammissione, una meta molto desiderata. 

«Mi sono letteralmente stupito – prosegue sorseggiando un po' d'acqua fresca per riaversi da una giornata esplosiva del sole di primavera  – quando la guida di uno dei più grossi tour-operator svizzeri mi rivelò che questa zona rappresenta per loro una meta dal valore storico-paesaggistico e culturale ambitissima, che simbolicamente prefigura l'ordine divino, cioè una sorta di incontaminata struggente bellezza voluta dal Creatore e non alterata dall'uomo che consente di ammirare nel presente, per certi versi, il mistero, la scintilla metafisica della creazione. In quell'istante – dice quasi umettando i cristallini - ho compreso meglio il significato di cosa può voler dire convivere nel bilico d'un disegno primordiale, che raffigura in un certo qual modo l'ordine nel caos, e mi sono ancora più convinto della bontà della mia scelta, che mi pento solo di non aver compiuto prima». 
Un uomo schietto e propositivo, con tratti retrivi bonari che sconfinano nello schivo, che ha inteso condividere con altri compagni di viaggio questo percorso verso la felicità, siano essi turisti, gourmet o casuali avventori, con lo scopo malcelato di vincerne - abbastanza facilmente - le resistenze ed abbandonarli autonomamente al senso della sinestesia per queste vie elisie collocate - chissà poi per quale strano fato -  come uno dei guardiani degli antiporti dell'Aspròs, coacervo microcosmo di contrasti ed antinomie paesaggistiche esclusive ed inconfondibili tali da conquistare, con la sola pudica esibizione della sua storia millenaria, tanti ed autorevoli studiosi precursori dell'antropologia moderna. 

Un racconto intenso, che vale dunque una vita, novellato quasi d'un fiato la cui conclusione si condensa tumultuosa e lapidaria assieme: «No, non sento particolarmente influente la mia seppur innegabile radice greca. Piuttosto sento forte e peculiare la suggestione d'essere un fortunato calabrese che ha avuto la ricchezza di nascere, poter vivere ed apprezzare un luogo meraviglioso come questo». 

E "questo" non è un luogo qualunque. E' il cuore incorniciato tra le faglie della Bovesia, bellezza.
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