Bova (Reggio Calabria) - Una “fotografia “ su 'ndrangheta, politica, logge deviate, società civile forze oscure della disgregazione sociale” a Bova presso il Museo di Paleontologia e Scienze Naturali dell'Aspromonte. L’ incontro è stato promosso ed organizzato dall'Amministrazione Comunale di Bova e dall’ Assessorato alla Cultura. Qualche settimana fa la Chòra accoglieva Eckart Rolfhs con illustri personaggi del mondo accademico, associazioni ellenofone e personaggi di un certo spessore culturale. Sabato il dibattito si sposta su un argomento di scottante attualità, il fenomeno malavitoso e le sue appendici nei vari ambiti della società civile, intrecciando le riflessioni, le visioni, le storie, le inchieste di Pasquino Crupi direttore de La Riviera, lo scrittore Gioacchino Criaco, Paolo Pollichieni direttore del Corriere della Calabria e il Magistrato Alberto Cisterna. L’incontro è stato moderato come sempre dal navigato vicesindaco Gianfranco Marino. Il Luogotenente Cosimo Sframeli comandante della Stazione Carabinieri Reggio Calabria che avrebbe dovuto partecipare all’incontro per ragione di servizio non ha potuto essere presente come da programma. A fare gli onori di casa e i convenzionali saluti e ringraziamenti, il sindaco di Bova Santo Casile che caldeggia fin dalle prime battute quelli che sono i temi del convegno partendo dal “ vizio della memoria” (come ci insegna Gherardo Colombo) e ricordando una frase di Giovanni Falcone: “« La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine”. Sembra ormai che tutto sia mafia, e questo sia un processo che riguarda tutti e su questo concetto s’innestano nuove domande che esigono delle pronte risposte da parte degli operatori impegnati in questo campo d’indagine. Al richiamo della coscienza, della conoscenza, della legalità, della riflessione accorre un pubblico numeroso: ex sindaci, sindaci, vicesindaci dell’area grecanica, autorità e personaggi autorevoli dell’hinterland reggino e calabrese in genere, forze dell’ordine, onorevoli, intellettuali, stampa, televisioni, e semplici cittadini. Il vicesindaco Gianfranco Marino apre i lavori e introduce il dibattito con un tiro corto sulla situazione particolarmente drammatica in tema di rappresentanza politica, che stanno fronteggiando i comuni non solo nell’area grecanica ma della provincia reggina. Lo scioglimento per mafia con relativo commissariamento è un argomento di stretta attualità, e anche un dato drammatico consegnato ogni giorno alle cronache giudiziarie e che segna fortemente questo estremo lembo della Calabria, a Sud del mondo ( e quasi come tutti i Sud del mondo), in posizione di arretratezz rispetto alle leggi di mercato, caratterizzata da assenza dello stato, corruzione a più livelli, vittima di soprusi, crimini e criminalità.Apre il giro di valzer un personaggio di una caratura culturale di grande rilievo il professore Pasquino Crupi con un'analisi storica del fenomeno 'ndranghetistico, dalla questione meridionale alle teorie del Lombroso, dall'attuale contesto politico e sociale della provincia reggina allo scioglimento spesso imponderato di tanti consigli comunali. Passa poi a sottolineare la grave cultura di stampa razzista a partire dall’ottocento: “ non è vero che le cose più brutte vengono dal mezzogiorno”. “Sembra” dice il professore che “mettere la bandiera di Africo su tutti i comuni sia più importante che mettere la bandiera nazionale”. E se da una parte incalza la classe dominante che deve accollarsi le sue responsabilità, “una classe politica snaturata di padri che non riconoscono i figli”, sia a livello nazionale che locale, dall’altra incalza chi guarda al mezzogiorno come una zona infetta, perché non conosce le radici nobili e storiche della Regione, che nulla hanno a che vedere con un fenomeno recente, che caratterizza in negativo tutti indistintamente, a patto che siano calabresi. Una politica, a dire del direttore de La Riviera, nata e orchestrata nel grembo di certi cattivi ambienti intellettuali e politici del nord. Il discorso raggiunge il suo apice quando il professore Crupi, sembra scagliarsi contro certa mafia, politica e antimafia, compresa di personaggi che si auto-incensano tout court con trattazioni che diventano scene e vetrina del crimine. Un mercato talmente prolifico che si allontana dai propositi iniziali di strumento pedagogico e culturale per avviarsi su un piano finanche di promozione del sistema malavitoso.
Il discorso di Crupi infiamma gli animi, e non tarda la risposta del Direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni. La lotta al fenomeno acclimatato e dilagante della ‘ndrangheta, prescinde a suo avviso, dalla storia del pregiudizio antimeridionale, che potrebbe essere condiviso e condivisibile fino agli anni 70’, ma che dagli anni 90 in poi trascende e non può essere negato per le conseguenti degenerazioni che ne deriverebbero. Il giornalista che nonostante i rischi del mestiere non teme di denunciare la corruzione diffusa che va da “cosa nostra” a “casa nostra”, alza il tiro rispetto alle responsabilità della classe politica calabrese e ad una situazione ormai insostenibile. Al centro dell'intervento del Direttore Pollichieni la dissennata gestione politica degli ultimi anni, la connivenza di larga parte della politica con l'area grigia, fatta di malaffare e frange "deviate" delle forze in campo, ma fatta anche di interessi ordinari che vanno dal piccolo appalto alle grandi opere.
La voce alternativa più significativa all’informazione ufficiale in Calabria, non risparmia aspre critiche neppure all’antimafia, “la moda investigativa più coccolata nel territorio”. Paolo Pollichieni sulla scorta delle esperienze maturate, non lascia spazio “all’immaginazione deviata”, dalla sua bocca come dalla punta della sua penna trapelano parole infuocate su tutto quel c’è a proposito di scatole cinesi, contenitori vuoti o carine di tornasole, elasciando intendere che si tratta d’intrecci che vanno indagati più profondamente tra politica, malaffare, massoneria e informazione deviata. Pollichieni non fa nomi, perché dice rischierebbe di lasciare indietro qualcuno. Fa il verso a chi grida da tempo immemore a lupo a lupo, e ribatte che i nemici non sono fuori … ma tra di noi, e che l’informazione forse potrebbe prendere una boccata d’aria se i direttori delle testate non fossero calabresi! Cresce la tensione nella sala adibita ai convegni del Museo di Paleontologia e storia naturale, pure i fossili paiono riprendere vita e arriva l’analisi lucida, puntuale e profonda di Gioacchino Criaco, scrittore di successo. L’autore di “Anime Nere” (primo romanzo noir di origine calabrese), concorda con quanto detto dall’ ardimentoso Pollicheni, e rimanda la situazione in cui vessa la Calabria ai romanzi di Agatha Christie dove il colpevole è sempre all’interno della casa, e poi affonda con un colpo da maestro concludendo: “andare a cercarsi i nemici della Calabria all’esterno è sbagliato, i nemici della Calabria sono i calabresi”. La partita si gioca tra colpevoli e complici. In risposta a quanto detto da Pasquino lo scrittore da una sua personale chiave di lettura: “per storicizzare la cosa, la ‘ndrangheta non è un fatto genetico né antropologico e fin qui concordo con quanto detto dal professore, semmai ci sono delle condizioni antropologiche che ne hanno permesso l’attecchimento, non è un fatto storico datato, la sua comparsa risale agli ultimi anni 700 inizi 800, non è neppure un fenomeno originale … noi calabresi pensiamo di essere al centro del mondo, e se aprissimo gli occhi sul mondo scopriremmo che certi fenomeni di disgregazione sociale ci sono un po’ ovunque nel mondo. Pochi sanno che con qualche anno di anticipo rispetto alla nascita del fenomeno in Calabria, in Oriente nascono le prime mafie quelle cinesi e la cosiddetta Triade; la ‘ndrangheta come le mafie in genere trattasi perciò di modelli di controllo sociale che rimandano ad ulteriori culture”. Per il noto scrittore, il male della Calabria, la forza della disgregazione sociale, andrebbe ricercato in una condizione storica che vuole il calabrese ad un certo punto “costretto dal bisogno”, a causa di uno Stato centrale debole, a ripiegare sul sostegno di forze oscure. Un sistema che andrà ad alimentare nel tempo clientele e reticoli, e andranno a formare la cosiddetta “zona grigia”. Criaco sostiene anche che : “Da qui sorge il problema storico della Calabria: l’immobilismo cosmico. Da due secoli i ruoli di potere sono sempre uguali, e si tramandano da padre in figlio, da gruppo in gruppo con una popolazione che non trova risposta nel potere legittimo e statutario, non c’è lo Stato centrale e ci sono i poteri locali, dobbiamo dirci che c’è tantissima politica nemica del territorio, che esiste la ndrangheta nemica del territorio …”. Gioacchino Criaco conclude dicendo, sotto l’occhio attento dell’uditorio: “ Siamo figli di questa terra e ne conosciamo perfettamente i mali. Sappiamo chi veste i grembiuli, chi le porpore, chi siede sugli scranni del potere, e a chi conviene tutto questo. Perché raccontarci ancora favole? Se non ci diciamo le cose in faccia, la verità, non riusciremo ad affrancarci da una condizione opprimente che dura da tempo immemore”.A questo punto sale in cattedra il tanto atteso ex Sostituto procuratore della Dna dottor Alberto Cisterna a tirare le fila del dibattito, il quale riprende il discorso dagli spunti di riflessione offerti da Crupi sul tema del razzismo, e mette in evidenza da una parte la tendenza ad autoescludersi e autocondannarsi dei calabresi, tanto da non vedere via d’uscita e non riconoscersi degni, e dall’altra l’incapacità di riconoscere, comprendere e accettare il fenomeno, la sua genesi e trattarlo per quel che rappresenta. L’analisi del dottor Cisterna riparte dagli incredibili fatti di cronaca che hanno inciso negativamente sull’immagine della Calabria.
Correva l’anno 1988 … Come dimenticare la storia e il rapimento di Cesare Casella, “ mamma coraggio” e una serie di rapimenti seriali, che ebbero una terribile ricaduta sul territorio, perché “i calabresi brutti e cattivi” nascondevano i loro ostaggi nell'Aspromonte. Fu poi la volta della strage di Duisburg ad aprire la pista a nuovi scenari inquietanti ed allarmanti di ordine mondiale e altamente sqalificanti per la Calabria. Da lì in poi è partita un’ondata mediatica per giustificare quello che era successo, maxii indagini, rinvii a giudizio, clamore internazionale, libri e l’evidenza di una “zona grigia” di matrice calabrese. In contemporanea si metteva in moto la macchina giudiziaria, con la conseguente azione antimafia, la volontà di sconfiggere il fenomeno, e l’attività di contrasto delle forze dell’ordine tutte impegnate sul campo. E siamo arrivati ad oggi. Cavilli e querelle di ogni ordine e grado: garanzie collettive contro individuali e il razzismo che troppo spesso diventa la giustificazione di chi sostiene che la ‘ndrangheta non si sconfiggerà mai, spiega Cisterna, si tratta di una materia assai delicata che negli ultimi anni ha rappresentato un momento di profonda riflessione e che va affrontata con le dovute cautele. La questione dello scioglimento dei consigli comunali, rappresenta un'altro importante nodo, di grande attualità e che meriterebbe un'analisi approfondita suddivisa per casi. È infatti impensabile attuare un'omologazione, prescindendo dalle analisi di contesto e dalle reali responsabilità e qui piove soprattutto sui calabresi. “Possiamo sciogliere i consigli comunali” chiosa il magistrato: “ possiamo applicare il 41 bis, praticare le confische, ma resta il problema di bilancio della società di fronte a quanti si sono assunti il compito di custodirne la vita pubblica e sociale”.
Cisterna appare provato forse anche da vicende personali e non vuole entrare troppo in merito alle questioni, ma restare nel contrafforte della logica, e del ragionamento. Da un lato dice, ci si lamenta dell’ egemonia culturale, ma in Calabria l’unica lettura del fenomeno pare quella giudiziaria, unica e ogni comprensiva, e nessuno la contrasta. Se il metodo è corretto i risultati ci daranno ragione, altrimenti significa che qualcosa non va. Nel corso del suo intervento il magistrato reggino fa un distinguo tra i modelli di riferimento, da un lato una visione antropologica del soggetto malavitoso, deviato, malato dentro, da isolare, e dall’altro una visione criminologica che dovrebbe prendere in considerazione il soggetto malavitoso solo se delinque e commette dei reati. Le inclinazioni interiori non dovrebbero essere rivelanti, bisogna fare le necessarie distinzioni per non incorrere in un insana generalizzazione. E se da un lato c’è l’azione di contrasto di magistrature e forze dell’Ordine, perché cambi qualcosa ci vuole un autentico risveglio della coscienza calabrese, bisogna cambiare i meccanismi di distribuzione, e poi i contenitore vuoti, i modelli generalizzati, perché ci sono gruppi d’interessi che vogliono che lo status quo resti quel che è. Appare comprensibilmente soddisfatto a margine dell'incontro il vice Sindaco Gianfranco Marino: “ Significa che il binario tracciato, e che stiamo seguendo, comprensivo di appuntamenti culturali importanti, è quello giusto. L’assessorato alla cultura e l’amministrazione di Bova ha inteso far diventare La Chòra un polo di attrazione per quelli che sono gli eventi culturali del comprensorio e della provincia, fino adesso il bilancio risultati positivi, dati confermati dall’enorme cassa di risonanza che giunge dall’esterno”
Attualmente è in atto una nuova battaglia a favore dell'ex Sostituto procuratore della Dna Alberto Cisterna, nel 'duello' con l'ex pm di Bologna Elisabetta Melotti, per la nomina a Procuratore capo di Ancona. Il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso proposto dagli avv. Lirosi e Clarizia, ha confermando gli effetti di una sua precedente sentenza (ribadita dal Consiglio di Stato), dichiarando la nullita' del conferimento dell'incarico alla Melotti. Il Csm entro 60 giorni dovra' affidare l'incarico a Cisterna. I Migliori auguri da MNews.IT.
0 Commenti