La vita è un racconto ma il racconto resta
memoria
se è destino nella vita e nel tempo
di Virgilio Bruni
Mio nonno mi raccontava che bisogna sempre avere
coraggio.
Non bisogna avere timore delle parole che
ascolti mentre cammini mentre in ogni cammino c’è un granello di sabbia che si
accumula ad altri granelli e, a forza di farsi compagnia, diventano delle dune.
Con lui ho sempre avuto un rapporto importante
se pur in brevi incontri che sembravano piccoli o in piccoli incontri che
davano un loro senso a tutto. Ma in ogni incontro che fosse Natale o Pasqua,
era sempre con noi. Festeggiavamo a casa di zia, a Spezzano Albanese.
Lui e la nonna. Salivano le scale a volte con
fatica. Ma se tra i due dovessi dire chi mi sembrava più stanco nel salire e
scendere le scale quella persona mi sembrava piuttosto la nonna.
Nonno Italo, così lo chiamavo, e non nonno
Virgilio, come il suo primo nome e come io mi chiamo… da lui ho ereditato nome
e silenzi e forse anche storie di un carattere riservato che è, certamente,
quello dei Bruni.
Anzi sento dire, a volte, che somiglio, per la
mia riservatezza, a Giorgio, anche nello sguardo che assume orizzonti distanti.
Giorgio è il figlio di zio Mariano, il fratello del nonno, anzi è lo zio di
papà, il professore che ha abitato a Cosenza e che oltre a Giorgio ha una
figlia maggiore, Giulia, la sento chiamare con l’appellativo di Giulia di
Cosenza, che ha un parlare e un portamento elegante e sottile come sapevano
essere i Gaudinieri.
Giorgio l’ho incontrato in alcune occasioni, di
Giulia di Cosenza ne sento spesso parlare perché viene considerata come un
riferimento, come sono stati un riferimento per papà, sia zio Mariano che zia
Maria. Parenti che non ho conosciuto fisicamente, ma che non smettono di vivere
tra le parole della nostra famiglia e nell’essere noi una famiglia.
Nelle vene di papà c’è sangue Bruni – Gaudinieri
e Caracciolo. Mio padre, i cui fari sono stati sempre, nella sua giovinezza e
oltre e continuano ad essere, nonno Italo e nonna Maria, oltre naturalmente a
noi che siamo noi e noi siamo lui.
Nelle mie vene scorre sangue Bruni e sangue
Patitucci. Mia madre si porta dietro il suo essere albanese come è stato per il
nonno, come è per me e per Micol.
Il nonno conosceva la mia visione della
politica, della storia del presente.
Io appartengo a quella fede. Ho il senso della
fedeltà nel cuore come l’ha avuta il nonno. Porto il suo nome. Mi aveva
affidato le tartarughe. Le aveva affidate a me più che a mio padre…
Mi ha regalato un quadretto, già ricordato da mio
padre nelle sue tante parole, che ho appeso proprio sul mio letto nel quale si
parla che bisogna essere creativi sino all’ultimo istante…
Il nonno continua ad avere il sorriso perché ha
il sorriso dei buoni. Io forse cerco l’ironia, ma credo più che alla bontà al
rispetto. Chi non ha rispetto della famiglia non è famiglia.
Il nonno e la nonna li ricordo sempre soli. Soli
o con mio padre. Nei momenti di necessità, di bisogno, di aiuto non c’era altro
che mio padre a sostenerli, mio padre e la benevolenza di mia madre, la donna
Arbreshe, come la nonna di mio padre e la mamma del nonno.
Ero molto piccolo, Micol ne saprà di più
certamente, ma ricordo i tre viaggi al giorno che mio padre faceva da Taranto a
Bari quando il nonno è stato operato al cuore, proprio a Bari. Anche lì la
presenza di Giulia di Cosenza è stata importante. La nonna lo ripete sempre.
Ricordo che mio padre non si è mai assentato da
ogni problema di salute del nonno. Dalla Puglia scendeva in Calabria soltanto
per una visita medica. Da Roma prendeva un volo per un appuntamento con il
nonno e ripartiva.
Scriverò questa storia per ricordare la presenza
del nonno e l’amore di un figlio. È, comunque, tutto scritto nei ricordi della
dignità e del sorriso di una vita che non conosce rimorsi perché i rimorsi
abitano sempre nei cuori vuoti.
Ci sono episodi che non dimentico nel racconto con
il nonno. Era affascinante sentirlo parlare dei suoi parenti partiti per
l’Africa, per l’America, per l’Argentina.
Come è variegata questa storia che, in fondo, ha
segnato un destino. E anche se conosco poco, perché, in fondo, sono uno degli
ultimi di una generazione dei Bruni, insieme alla figlia di Giorgio e
Gabriella, Donatella, o dei figli di Roberto della Sardegna, ho vissuto, grazie
a mio padre, a contatto con storie che non sono mai perse e che non vanno mai
perse ed ho chiesto più volte, a mio padre, se ricostruire un viaggio che è
destino, non so realmente se sia destino o avventura, ha un suo orizzonte.
Nelle mie vene c’è sangue Bruni, oltre che Patitucci,
e questo mi basta per ascoltare tutto ciò che è accaduto nella storie delle
generazioni, delle epoche, come dice mio padre, e in quelle che verranno. Una
cosa posso dire con dignità.
Nonno Italo è morto in piedi come sempre ha
vissuto. Quell’immagine mai stanca del suo andare da una stanza ad un’altra
resta presente nel mio sguardo e so che di me ha domandato sussurrando che sono
l’unico che porto il suo nome.
Poi ci saranno le piogge, ma noi abbiamo le
spalle forti per affrontare la sabbia dei deserti d’Africa o le strade del Nord
America o quelle del Tango in una Argentina che sembra una festa ma è solo una
malinconia.
Mi ha raccontato le guerre di Mussolini, ed io
da lui ho ereditato la coerenza e forse anche la rabbia verso un conformismo
che è stato sempre distante dai nostri destini.
Con i fogli di un calendario aveva ricostruito,
a modello di piramide, l’evoluzione del Fascismo. Era inventivo. Creativo,
fantasioso.
Lì ho visto realmente mio padre piangere. Quando
il nonno è andato via è andato via un gigante, ma anche un pezzo di storia e di
civiltà e sapevo che mio padre non
sarebbe stato più lo stesso.
Degli altri fratelli ho ricordo di parole, di
vissuti anche se ho conosciuto zio Pietro e il suo sorriso.
Nei miei anni scolastici avrei avuto bisogno,
certamente, di una personalità come zio Mariano, come l’ha avuta mio padre, un
maestro nobile e grandioso e non un docente soltanto.
Noi abbiamo bisogno sempre più di maestri nobili
e grandiosi e non di docenti che restano per una vita degli allievi. Ma questa
è un’altra storia che dovrò raccontare.
Ora si va avanti.
La storia non finisce e non si apre con delle
parentesi. Se tutto finisce tutto ha una memoria e se la memoria è un cammino
questo cammino bisogna percorrerlo con i destini, la fantasia e ciò che regna
di un orgoglio che è la dignità di una famiglia.
Mi raccontava spesso dei parenti che si erano
trasferiti in Africa, ad Asmara, in Eritrea… Nelle Americhe… Nei Paesi dove si
balla il Tango…
Mi parlava degli anni del Fascismo… dei Balilla…
Il nonno è stato Balilla e Avanguardista…
In una scatola tutta impolverata ho ritrovato
tante fotografie di donne africane… La vita è un racconto e i cinque fratelli
sono un destino nel racconto… Nella vita e nel tempo…
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