Operazione Reset PA- I fermati sono c.d.: Nicolò Greco, detto Nicola, nato il 16.6.1942, reggente del mandamento di Bagheria, Giuseppe Di Fiore , il 25.6.1949, reggente operativo del mandamento, Carlo Guttadauro, 29.3.1956, Francesco Pipia, 7.3.1957, Giorgio Provenzano, 7.3.1966, Giovanni Pietro Flamia, detto "u' Cardiddu", 20.6.1954, Salvatore Lo Piparo, 2.12.1972, Giovanni Di Salvo, 15.10.1962, Benito Morsicato, 21.6.1978, Nicolò Lipari, detto Nicola, 25.9.1963, Francesco Pretesti, 19.11.1974, Francesco Raspanti, 5.08.1968, Francesco Speciale, 24.10.1966, Luigi Li Volsi, 15.2.1956, Francesco Terranova, 23.7.1973, Giovanni La Rosa,12.7.1968, Fabio Messicati Vitale, 22.1.1974, Bartolomeo Militello, 8.10.1947, Giuseppe Comparetto, 22.1.1976, Atanasio Ugo Leonforte, 12.5.1955, Emanuele Cecala, 11.7.1977, Michele Modica, detto "l'Americano", 8.6.1955, Pietro Lo Coco, 27.8.1960, Andrea Lombardo, 14.2.1981, Leonardo Granà, 9.6.1962, Vincenzo Maccarrone, 14.7.1979, Carmelo Nasta detto "Rosario", 11.6.1971, Paolo Salvatore Ribaudo, 15.2.1973, Giovan Battista Rizzo, 15.6.1966, Giovanni Salvatore Romano, 24.9.1962, Salvatore Buglisi, 27.3.1988. Un precedente flash dell'Ansa, annunciava un'altra notizia shok, connessa e correlata…"Due cadaveri carbonizzati sono stati trovati dai carabinieri a Casteldaccia (Palermo). Secondo le prime indagini, potrebbe trattarsi di Juan Ramon Fernandez e Fernando Pimentel coinvolti nell'indagine che ieri ha azzerato la cosca mafiosa di Bagheria. I corpi erano in una discarica a Casteldaccia, vicino a un casolare. Le due vittime ieri erano sfuggite al blitz dei carabinieri che ha portato al fermo di 21 tra boss e gregari delle cosche palermitane. I cadaveri sarebbero stati segnalati al Ros da una telefonata anonima che avrebbe dato precise indicazioni sul luogo in cui i due uomini si trovavano. I carabinieri hanno arrestato per omicidio premeditato Pietro e Salvatore Scaduto, uomini d'onore della 'famiglia' di Bagheria (Palermo)..."
BLITZ DEL COMANDO PROVINCIALE DEI CARABINIERI DI PALERMO, CHE È RIUSCITO A…"RESET"…TARE LE NUOVE LEVE DELLA MAFIA SICULA. UN CONTRIBUTO DETERMINANTE LO HANNO DATO 44 IMPRENDITORI E COMMERCIANTI CHE SI SONO RIBELLATI AL RACKET DELLE ESTORSIONI. IMPORTANTI PER LA LOTTA ALLA MAFIA, SONO ANCHE, LE OPERAZIONI "RESET" DI CATANIA, "FIORI BIANCHI 3" ED "ALEXANDER"
Sono state le dichiarazioni dei due nuovi pentiti, il killer Sergio Flamia, che si è autoaccusato di una cinquantina di omicidi e il geometra Enzo Gennato, a svelare il nuovo sistema di potere nel mandamento di Bagheria. Con loro, un contributo determinante, lo hanno dato i 44 imprenditori e commercianti, che si sono ribellati al racket delle estorsioni. "Contributo decisivo - ha detto Pierangelo Iannotti comandante provinciale dei carabinieri di Palermo". Tra i fermi, dopo le indagini dei carabinieri, coordinati dal procuratore Francesco Messineo, dall'aggiunto Leonardo Agueci, e dai sostituti Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, ci sono nomi eccellenti come Carlo Guttadauro - fratello di Filippo e Giuseppe - capo decina di Aspra. E ancora Giuseppe Comparetto, uomo d'onore di Villabate, ed Emanuele Modica, di Casteldaccia, considerato affiliato alla mafia canadese, che nel 2004 scampò alla morte in un agguato a Montreal. Sono complessivamente tre, una su Palermo ('Reset') e due su Catania ('Reset' e "Fiori Bianchi 3") le ultime operazioni, che meritano la citazione. Le indagini, hanno scoperto che al posto della storica Commissione Provinciale di Cosa Nostra era stato creato una sorta di "direttorio" e che a prendere le decisioni era un capo, in gergo denominato "la testa dell'acqua", al quale doveva obbedire anche il reggente operativo del mandamento.
Domenico Salvatore
PALERMO (Bagheria)- A che punto siamo, in Sicilia, con la lotta alla mafia (Cosa Nostra). Il nuovo capo dei capi di Cosa Nostra, si dice da anni, che sia Matteo Messina Denaro, (figlio di 'don Ciccio') che ruotava già nell'orbita di zu' Binnu, alias Bernardo Provenzano, quando 'U Tratturi, era ancora all'apogeo della parabola ascendente; se non 'potenza mafiosa'. Ma le notizie, che trapelano, spuntano ed arrivano dalla provincia, non sono rassicuranti per gli accoliti della 'Piovra' sicula. La crisi economica c'azzecca relativamente; così come i tempi grami di vacche magre, spighe vuote, austerity e depauperismo; se non 'settimo buco' della cintura. C'azzecca lo Stato, che ha dato scacco matto alla Cosa Nostra; questo è, a dire pane al pane e vino al vino, ciò che comunque emerge dalla carte processuali, dai comunicati stampa, dalla saggistica sulla mafia, dagli scaffali, dai faldoni e dossier se non fascicoli giudiziari e dalle cartelle, dalle conferenze ecc.. Gli ultimi presunti capimafia, sono stati tutti arrestati, ammazzati, messi agli arresti domiciliari, ai Servizi Sociali od in attesa di giudizio. Capi e gregari, sono stati processati e condannati a migliaia di anni di galera. Inoltre l'azione dello Stato si è diretta verso i patrimoni economici dei mammasantissima. Sequestri e confische, nell'ordine dei miliardi di euri. I capimafia, sbattuti in galera, in parte ancora comandano, ma arrancano. I nuovi reggenti, fanno fatica a pagare gli stipendi ai carcerati, ma anche alla 'truppa'. E soprattutto gli onorari agli avvocati,vengono corrisposti con il contagocce; quando ci sono. Come confermano i pentiti ad ogni latitudine, all'interno delle aule bunker; per rogatoria od in video-conferenza. 'Galeotto' fu il famigerato processo alla mafia degli Anni Ottanta e chi lo scrisse…"Noi leggiavamo un giorno per diletto/di Lancialotto come amor lo strinse;/soli eravamo e sanza alcun sospetto./Per più fïate li occhi ci sospinse/quella lettura, e scolorocci il viso;/ma solo un punto fu quel che ci vinse./Quando leggemmo il disïato riso/esser basciato da cotanto amante,/questi, che mai da me non fia diviso,/la bocca mi basciò tutto tremante./Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:/quel giorno più non vi leggemmo avante.'Quel giorno più non vi leggemmo/ avante'…/. "Maxiprocesso di Palermo", è il soprannome che venne dato, a livello giornalistico, ad un processo penale celebrato a Palermo per crimini di mafia (ma il nome esatto dell'organizzazione criminale è 'Cosa Nostra'), tra cui omicidio, traffico di stupefacenti, estorsione, associazione mafiosa e altro. Durò dal 10 febbraio 1986 (giorno di inizio del processo di primo grado) al 30 gennaio 1992 (giorno della sentenza finale della Corte di Cassazione). Tuttavia spesso, per maxiprocesso, si intende il solo processo di primo grado, durato fino al 16 dicembre 1987. Il maxiprocesso, deve il proprio soprannome alle sue enormi proporzioni: in primo grado gli imputati erano 475 (poi scesi a 460 nel corso del processo), con circa 200 avvocati difensori.
Il processo di primo grado si concluse con pesanti condanne: 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione. Dopo un articolato iter processuale tali condanne furono poi quasi tutte confermate dalla Cassazione. A quanto è dato sapere, si tratta del più grande processo penale mai celebrato al mondo. Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli Anni Ottanta, a Palermo imperversava la seconda guerra di mafia: fazioni diverse di Cosa Nostra si contendevano il dominio sul territorio, al punto che tra il 1981 e il 1983 vennero commessi circa 600 omicidi. Anche numerosi uomini delle istituzioni italiane, che avevano tentato di combattere la mafia attraverso nuove leggi, indagini ed azioni di Polizia, caddero sotto i colpi della mafia; tra questi il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il segretario democristiano Michele Reina, il commissario Boris Giuliano, il giornalista Mario Francese, il candidato a giudice istruttore di Palermo Cesare Terranova, il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, il procuratore Gaetano Costa, il segretario regionale siciliano del PCI Pio La Torre e molti altri ancora. Per far fronte ad una simile situazione, il primo a pensare che presso l'ufficio istruzione del tribunale di Palermo potesse essere istituita una squadra di giudici istruttori, che avrebbero lavorato in gruppo, fu il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Quando poi nel 1983 Cosa Nostra uccise anche Chinnici, il giudice chiamato a sostituirlo, Antonino Caponnetto, decise di mantenere ed ampliare l'organizzazione dell'ufficio voluta dal predecessore. Caponnetto si informò presso la Procura di Torino riguardo a come si fosse organizzata durante gli anni del terrorismo e decise infine di istituire presso l'ufficio istruzione un vero pool antimafia, ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso. Lavorando in gruppo, essi avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso nel palermitano, e di conseguenza la possibilità di combatterlo più efficacemente. Caponnetto scelse, tra i giudici istruttori che meglio conosceva e dei quali riteneva di potersi fidare, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Questi avrebbero svolto tutte le indagini su Cosa Nostra, coadiuvati dal sostituto procuratore Giuseppe Ayala e tre colleghi, il cui compito era inoltre quello di portare a processo come pubblici ministeri i risultati delle indagini del pool ed ottenere le condanne.
A rappresentare l'accusa al maxiprocesso vennero nominati due pubblici ministeri: Giuseppe Ayala e Domenico Signorino, che si sarebbero alternati in aula. Per quanto riguarda invece la composizione della Corte d'assise che avrebbe giudicato (un presidente, un secondo giudice togato denominato giudice a latere e sei giudici popolari), si pose subito un inatteso problema: nessun presidente di Corte d'assise sembrava infatti disposto a presiedere il maxiprocesso. Ben dieci di essi riuscirono in qualche modo a defilarsi; due di essi avevano in effetti gravi problemi di salute, ma per gli altri otto probabilmente prevalsero considerazioni di altro tipo. Alla fine l'incarico venne accettato da Alfonso Giordano, un magistrato che era stato nominato presidente di Corte d'assise da pochi mesi, ed era quindi "appena arrivato". Giordano in realtà per la maggior parte della propria carriera si era occupato di diritto civile, e la sua ambizione, in effetti, era di presiedere processi civili e non penali; aveva però maturato anche una decina d'anni di esperienza nel penale, così, data anche l'assenza di altri giudici, pur considerando l'impresa ai limiti delle possibilità umane, decise di accettare. Come giudice a latere, fonte Wikipedia, venne nominato Pietro Grasso e si procedette senza soverchie difficoltà, anche alla nomina dei sei giudici popolari. Data l'eventualità che qualcuno dei membri della Corte potesse trovarsi in condizione di non poter proseguire il processo (eventualità tutt'altro che remota trattandosi di un processo di mafia), furono nominati due ulteriori giudici togati (Claudio Dell'Acqua e Michele Prestipino Giarritta) che potessero eventualmente sostituire i giudici Giordano e Grasso, nonché altri venti giudici popolari in eventuale sostituzione dei sei della Corte. Lotta alla mafia… Riguardo all'organizzazione di Cosa Nostra, Buscetta rivelò che essa, era rigidamente piramidale. Alla base, stava la cosiddetta Famiglia (spesso coincidente con un paese o una borgata); tre o più famiglie formavano un mandamento. I capi-mandamento della provincia di Palermo, riuniti in assemblea, formavano la cosiddetta Commissione. Nessun omicidio di rilievo poteva essere commesso da un mafioso senza l'assenso della Commissione. Lo Stato in Sicilia, disse la Procura Nazionale, diretta da Emanuele De Francesco Riccardo Boccia, Pietro Virga, Domenico Sica ed Angelo Finocchiaro(Alto Commissario per la lotta alla mafia), poi, vennero i procuratori nazionali: Bruno Siclari, Pierluigi Vigna, due mandati Piero Grasso, due mandati, Franco Roberti, ha svolto un ottimo lavoro ed i brillanti risultati sono sotto gli occhi di tutti. Come hanno confermato fra l'altro anche i presidenti della Commissione Parlamentare Antimafia di turno…
"Paolo Rossi, Nicola Lapenta, Abdon Alinovi, Donato Pafundi, Francesco Cattanei, Luigi Carraro, Gerardo Chiaromonte, Luciano Violante, Tiziana Parenti, Ottaviano Del Turco, Giuseppe Lumia, Roberto Centaro, Francesco Forgione, Beppe Pisanu e Rosy Bindi. Dopo le stragi di Capaci (23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci e a pochi chilometri da Palermo in cui era stato ucciso il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, all'attentato sono sopravvissuti: Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Giuseppe Costanza. ) e Via D'Amelio, (l'attentato terroristico-mafioso in cui il 19 luglio 1992, in via Mariano d'Amelio a Palermo, persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e prima agente della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina; l'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in gravi condizioni), lo Stato, attraverso le sue articolazioni Regione, Provincia, Comune, la Questura, la Prefettura ed i Comandi Provinciali e zonali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri, riuscì a fare opera di coscientizzazione e responsabilizzazione; con la collaborazione anche della società civile, associazionismo e volontariato, Chiesa, famiglia e boy-scout. Ma soprattutto tra gli imprenditori che hanno preso piano piano a collaborare con la giustizia, denunciando le richieste di pizzo. Sono nate così una serie di operazioni della DDA. Ultima l'operazione "Reset", che ha consentito ai Carabinieri di Palermo di smantellare il mandamento mafioso di Bagheria. Città natale di Guttuso e Tornatore, Ignazio Buttitta e Dacia Maraini, purtroppo famosa per essere diventata in passato rifugio di Bernardo Provenzano ; capo dei capi di Cosa Nostra inteso 'U Zu' Binnu. Meritala citazione Giuseppe Sciortino, morto suicida avvenuto il 20 marzo, pochi giorni dopo avere denunciato i suoi estorsori mafiosi che lo avevano ridotto sul lastrico con le continue richieste di pizzo. Si è impiccato nel suo magazzino a Bagheria (Palermo).Una prima denuncia contro gli estorsori era stata presentata dall'imprenditore suicida il 5 agosto del 2013 alla Squadra mobile di Palermo. Nel luglio 2013, un tentativo di estorsione da parte di Pietro Giuseppe Flamia, detto "il porco" e Francesco Pretesti. Il 13 marzo 2014, Sciortino aveva detto ai Carabinieri e dai magistrati della Dda di Palermo
:"Nell'anno 2011, presumibilmente nei primi mesi, gennaio o febbraio, ho svolto con la mia ditta dei lavori di costruzione di un nuovo immobile, una palazzina con dieci appartamenti, in via Romeo a Santa Flavia. Preciso che per questo lavoro la mia ditta era subappaltante, mentre l'impresa appaltante era la Eurocostruzionì di Imburgia e Chiarello, imprenditori di Santa Flavia. Dopo pochi giorni dall'inizio dei lavori si sono presentati presso la mia abitazione due persone, di cui uno era Pietro Liga di Santa Flavia mentre l'altro lo conosco solo di nome, lo chiamano Salvo o Salvatore ed ha circa 40/45 anni, magro, di statura normale, capelli brizzolati. Pietro Liga e quest'altro soggetto, Salvatore, mi hanno detto che per continuare a svolgere il lavoro della costruzione della palazzina avevo un impegno con loro di ventimila euro. Nell'occasione ho risposto che io impegni non ne avevo presi con nessuno e che si dovevano rivolgere all'impresa appaltatrice. Ho aggiunto anche che piuttosto che pagare questi ventimila euro avrei abbandonato il cantiere con la mia ditta. Io ho poi riferito l'accaduto, ossia della richiesta ricevuta da Pietro Liga e dal tale Salvatore, sia a Imburgia sia a Chiarello negli uffici della Eurocostruzioni. Chiarello e Imburgia mi risposero che questi erano soldi relativi a una mediazione che riguardava loro e io non c'entravo niente. Successivamente non si è più presentato nessuno a chiedermi soldi indebitamente e i lavori sono andati avanti senza intoppi e sono poi terminati. Nel 2012 ho svolto un lavoro di costruzione di due palazzine a Villabate in via Giulio Cesare per conto della ditta appaltante Edil Progetö che ha sede a Villabate ed è di proprietà di Nicola Favuzza, Vito Martorana, Damiano Lo Monaco. In questa occasione sono stato avvicinato, ricordo nell'estate del 2012, nel bar La casetta bianca di Casteldaccia, da un soggetto soprannominato da tutti lo 'Scintillone', avente circa quarant'anni. Questo soggetto, che io non conoscevo, mi chiamò per cognome dicendomi che io per lavorare a Villabate dovevo mettermi in regola pagando a lui ventimila euro. Nel maggio del 2013 ho cominciato, sempre come ditta subappaltatrice, un lavoro appaltato dalla ditta Noda srl del geometra Mimmo D'Agati. Questo lavoro riguarda la costruzione di un'altra palazzina sempre in via Giulio Cesare a Villabate. Per questo lavoro si è presentato a luglio, comunque in uno dei mesi estivi, Flamia detto "il porco" dicendomi testualmente: Lei ha un impegno di quindicimila euro con noialtri per Villabate. Io ho risposto che non avevo impegni con nessuno. Flamia andò via dopo questa risposta. Il geometra D'Agati mi aveva già avvertito di non dare ascolto a chiunque si fosse presentato per richieste di questo genere dicendomi che il cantiere era pieno di telecamere e che non dovevo pagare a nessuno.
Non ho poi subito nuove richieste estorsive per questo lavoro". Il legislatore per poter combattere e vincere la mafia si è inventato l'istituto dei pentiti. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Sergio Flamia e di Enzo Gennaro, due collaboratori di giustizia efficienti e funzionali. Rivelati i retroscena di cinquanta omicidi dal primo, mentre il secondo ha consentito di realizzare una mappa aggiornata delle cointeressenze tra mafia, imprenditori compiacenti e alcuni personaggi cresciuti nell'ambiente politico locale. Gli arrestati, 31 fermi nei confronti di capi e gregari del mandamento mafioso di Bagheria a conclusione di una complessa attività d'indagine coordinata dalla locale Dda ed eseguita dai Carabinieri del Comando Provinciale diretto dal colonnello: Nicolò Greco, detto Nicola, 71 anni, nato a Bagheria, reggente del mandamento di Bagheria; Giuseppe Di Fiore, 65 anni, nato a Bagheria, reggente operativo del mandamento di Bagheria; Carlo Guttadauro, 58 anni, nato a Bagheria; Francesco Pipia, 57 anni, nato a Bagheria ; Giorgio Provenzano, 48 anni, nato a Palermo e residente a Bagheria; Giovanni Pietro Flamia, detto "u' Cardiddu", 59 anni, nato a Palermo e residente a Bagheria nella frazione di Aspra; Salvatore Lo Piparo, 41 anni, nato a Palermo e residente a Bagheria, frazione di Aspra; Giovanni Di Salvo, 51 anni, nato a Santa Flavia; Benito Morsicato, 35 anni, nato a Palermo e residente a Bagheria; Nicolò Lipari, detto Nicola, 50 anni, nato a Palermo e residente a Bagheria, frazione di Aspra; Francesco Pretesti, 39 anni, nato a Bagheria; Francesco Raspanti, 45 anni, nato a Palermo e residente a Trabia; Francesco Speciale, 47 anni, nato a Bagheria; Luigi Li Volsi, 58 anni, nato a Palermo; Francesco Terranova, 40 anni, nato a Villabate; Giovanni La Rosa, 45 anni, nato a Palermo e residente a Villabate; Fabio Messicati Vitale, 40 anni, nato a Villabate e residente a Misilmeri, in frazione Portella di Mare; Bartolomeo Militello, 66 anni, nato a Villabate; Giuseppe Comparetto, 38 anni, nato a Palermo e residente a Ficarazzi; Atanasio Ugo Leonforte, 59 anni, nato a Ficarazzi; Emanuele Cecala, 36 anni, nato a Caccamo; Michele Modica, detto "l'Americano", 58 anni, nato a Casteldaccia e residente ad Altavilla Milicia; Pietro Lo Coco, 53 anni, nato a Santa Flavia; Andrea Lombardo, 33 anni, nato a Palermo e residente ad Altavilla Milicia; Leonardo Granà, 51 anni, nato ad Altavilla Milicia; Vincenzo Maccarrone, 34 anni, nato a Palermo e residente a Villabate; Carmelo Nasta, detto "Rosario", 42 anni, nato a Palermo e residente ad Altavilla Milicia; Paolo Salvatore Ribaudo, 41 anni, nato ad Altavilla Milicia; Giovan Battista Rizzo, 47 anni, nato a Palermo e residente ad Altavilla Milicia; Giovanni Salvatore Romano, 51 anni, nato ad Altavilla Milicia; Salvatore Buglisi, 26 anni, nato a Palermo e residente ad Altavilla Milicia.
Le indagini, subito dopo l'operazione "Argo", e condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo e della Compagnia di Bagheria, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, hanno consentito di disarticolare completamente il mandamento di Bagheria, storica roccaforte di Cosa Nostra. La seconda operazione che porta lo stesso nome "Reset" compiuta sempre in Sicilia dalla Guardia di Finanza, diretta dal colonnello Roberto Manna, il 27 novembre 2013 contro il clan Santapaola-Ercolano di Catania Questo l'elenco degli arrestati: nei confronti di:
- Albergo Alessandro, nato a Catania il 02/06/1991;
- Arcidiacono Francesco, alias «Franco U Salaru», nato a Catania il 16/07/1960;
- Arena Marco, nato Catania il 12/05/1964;
- Bonfiglio Orazio, alias «Orazio Bassotto», nato a Catania il 28/09/1981;
- Caruso Sebastiano, alias «Nuccio Tyson», nato a Catania il 28/10/1965;
- Chiantello Carmelo, inteso «Melo», nato a Catania il 23/10/1980;
- Di Bartolo Carmelo, alias «Melo Sviluppo», nato a Catania il 03/05/1967;
- Di Mauro Roberto, nato a Catania il 22/08/1963;
- Faro Francesco, alias «Melo Meno», nato a Catania il 27/06/1987;
- Gallo Angelo, alias «Angelo a ciolla», nato a Catania il 06/02/1988;
- Liberato Francesco, inteso «Franco», nato a Catania il 24/11/1975;
- Mirabella Salvatore, alias «Turi Palocco», nato a Catania l'1/01/1965;
- Mirabile Angelo, alias «Angelo u porcu», nato a Catania il 02/10/1966;
- Nizza Giovanni, alias «Giovanni Banana», nato a Catania il 18/11/1973;
- Pomponio Agostino, nato a Catania il 07/02/1965;
- Puglisi Antonio, alias «Puddisino», nato a Catania il 19/10/1971;
- Romano Cristofaro, inteso «Cristian», nato a Catania il 12/05/1982;
- Scalia Alessandro, nato a Catania il 01/07/1978;
- Silverio Davide Giuseppe, nato a Catania il 24/10/1967;
- Vella Alessandro, nato a Catania l'1/08/1991;
- Zuccaro Domenico, alias «Domenico u biondo», nato a Catania il 07/12/1968;
- Zucchero Benedetto, inteso «Benny», nato a Catania l'11/05/1993;
- Zucchero Giuseppe, inteso «Pippo», nato a Catania il 30/03/1962;
- Cavarra Bruno, nato a Siracusa il 14/02/1943 (arresti domiciliari).
C'è una terza operazione importante, questa eseguita dai Carabinieri del Comando provinciale di Catania, che si muove sotto le direttive del colonnello Alessandro Casarsa, che merita di essere citata, "Fiori Bianchi 3" (16 aprile 2013). Ecco l'elenco degli arrestati
1. Angemi Natale Armando, classe 1953, abitante a Catania.
2. Battaglia Marco, classe 1969, abitante a Catania.
3. Battiato Davide, classe 1973, abitante a Catania.
4. Bonnici Alfio, classe 1977, abitante in Gravina di Catania.
5. Brancato Alfio, classe 1974 abitante in Acicatena (CT).
6. Calì Salvatore, classe 1950, abitante a Santa Venerina (CT).
7. Cannizzaro Giorgio, classe 1950, residente in Roma.
8. Cantone Rosario, classe 1956, abitante a Mascalucia (CT).
9. Casesa Mirko Pompeo, classe 1983, abitante a Nicolosi (CT).
10. Castorina Antonino, classe 1953, abitante in Santa Venerina (CT).
11. Catania Elio, classe 1967, abitante a Catania.
12. D'Arrigo Antonio, classe 1976, abitante a Catania.
13. Fallica Carmelo Cristian, classe 1985, abitante a Paternò (CT).
14. Faro Gianfranco, classe 1974, abitante a Catania, in atto in affidamento terapeutico presso la comunità "Exodus", di Santo Stefano di Aspromonte (RC).
15. Fazio Ferdinando, classe 1967, abitante a Catania.
16. Fazio Salvatore, classe 1968, abitante a Catania.
17. Felice Giuseppe, classe 1967, abitante a Catania.
18. Ferrera Francesco, classe 1964, abitante a Viagrande (CT).
19. Fiore Salvatore, classe 1967, abitante a Catania.
20. Guarrera Mario, classe 1967, abitante ad Acicatena (CT).
21. Indelicato Salvatore, classe 1970, abitante ad Acireale (CT).
22. La Motta Benedetto, classe 1958, abitante a Riposto (CT).
23. Leonardi Francesco, classe 1973, abitante a Gravina di Catania.
24. Lo Bianco Gabriele, classe 1982, abitante a Catania.
25. Messina Carmelo, classe 1957, abitante ad Acireale (CT).
26. Monaco Michele, classe 1967, abitante in San Giovanni La Punta (CT).
27. Nizza Andrea Luca, classe 1986, abitante a Catania.
28. Patanè Sebastiano, classe 1959, abitante a Fiumefreddo di Sicilia (CT).
29. Petronio Domenico Francesco, classe 1963, abitante ad Acireale (CT).
30. Presti Gianluca, classe 1981, abitante a Belpasso (CT).
31. Prezzavento Stefano, classe 1985, abitante a Belpasso (CT).
32. Puglisi Carmelo, classe 1970, abitante a Tremestieri Etneo (CT).
33. Puglisi Giuseppe, classe 1986, abitante a Mascalucia (CT).
34. Santonocito Giuseppe, classe 1955, abitante a San Pietro Clarenza (CT).
35. Seminara Giuseppe, classe 1971, abitante a Catania.
36. Stimoli Carmelo Orazio, classe 1982, abitante in San Pietro Clarenza (CT).
37. Stimoli Pietro, classe 1985, abitante in San Pietro Clarenza (CT).
38. Tosto Giovanni Antonino, classe 1978, abitante a Catania.
39. Tringale Giuseppe, classe 1970, abitante a Catania.
40. Vinciguerra Gaetano Mario, classe 1970, abitante in Acicatena (CT).
Cu.ca.ca. per:
1. Aiasecca Salvatore, classe 1959, detenuto presso la casa circondariale di "Catania – Bicocca".
2. Amato Alfio, classe 1980, detenuto presso la casa circondariale di Siracusa.
3. Battaglia Salvatore, classe 1966, detenuto presso la casa circondariale di Civitavecchia.
4. Battaglia Santo, classe 1961, detenuto presso la casa circondariale di Voghera.
5. Botta Antonino, classe 1976, detenuto presso la casa circondariale "Catania – Bicocca".
6. Cammarata Bernardo Salvatore Giuseppe, classe 1972, detenuto presso la casa circondariale di Lanciano.
7. Carbonaro Orazio, classe 1973, detenuto presso la casa circondariale di Enna.
8. Cavallaro Ignazio, classe 1966, detenuto presso la casa circondariale di "Catania – Bicocca".
9. Dato Vincenzo, classe 1976, detenuto presso la casa di reclusione di Noto.
10. Di Stefano Angelo, classe 1961, detenuto presso la casa circondariale di Caltanissetta.
11. Faro Salvatore, classe 1970, detenuto presso la casa circondariale "Catania-Piazza Lanza".
12. Filloramo Natale Ivan, classe 1974, detenuto presso la casa circondariale di Ascoli Piceno.
13. Fiocco Maurizio, classe 1970, detenuto presso la casa di reclusione di Augusta.
14. Fioretto Giuseppe, classe 1981, detenuto presso la casa circondariale di Siracusa.
15. Lanzafame Alessandro, classe 1979, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Piazza Lanza".
16. Marro Salvatore Gerardo, classe 1963, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Bicocca".
17. Meli Antonino, classe 1955, detenuto presso la casa circondariale di Agrigento.
18. Messina Giovanni, classe 1964, detenuto presso la casa circondariale di Voghera.
19. Miano Salvatore, classe 1953, detenuto casa circondariale di Trapani.
20. Mirabile Angelo, classe 1966, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Bicocca".
21. Nista Carmelo, classe 1964, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Bicocca".
22. Orlando Matteo, classe 1967, detenuto presso la casa circondariale di Siracusa.
23. Patanè Alfio, classe 1978, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Bicocca".
24. Patanè Antonino, classe 1966, detenuto la casa circondariale di "Piacenza-San Lazzaro".
25. Pavone Lorenzo, classe 1970, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Bicocca".
26. Platania Francesco, classe 1968, detenuto presso la casa circondariale di Teramo.
27. Scalogna Filippo, classe 1960, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Bicocca".
28. Sciuto Carmelo Tommaso, classe 1976, detenuto presso la casa circondariale di Catanzaro.
29. Scuderi Carmelo, classe 1968, detenuto presso la casa circondariale di Trapani.
30. Scuderi Salvatore, classe 1963, detenuto presso la casa circondariale di "Catania-Bicocca".
31. Tropea Giovanni, classe 1958, detenuto presso la casa di reclusione di Spoleto.
32. Tudisco Santo, classe 1962, detenuto presso la casa di reclusione di Favignana.
33. Ventura Andrea, classe 1958, detenuto presso la casa circondariale di Carinola.
34. Zito Salvatore, classe 1960, detenuto presso la casa circondariale di Vibo Valentia.
Importanti sono tutti i blitz delle forze di polizia coordinati dalla DDA. Compresa l'operazione "Alexander", (3 luglio 2013) condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, coordinati dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia (Procuratori Aggiunti Leonardo Agueci, Maria Teresa Principato, Sostituto procuratore Salvatore Barbiera, Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco condotta dai carabinieri del nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo guidati dal colonnello Salvatore Altavilla, che è servita per disarticolare, se non smantellare ed azzerare le cosche, che sono in continuo fermento per rinnovare i quadri e reperire nuovi 'fondi' per i boss ( minimo il 60%) i carcerati, gli avvocati e " l'esercito" della mafia (le briciole, ben che vada ; non per niente il procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria, Nicola Gratteri ha scritto "Il grande inganno" in coppia con l'inseparabile giornalista Antonio Nicaso). Riguardava un traffico di droga nelle province di Palermo e Trapani, dove sono scattati altri arresti. L'indagine ha portato in cella il boss di Porta Nuova Alessandro D'Ambrogio, che ha dato il nome all'operazione e altre trentuno persone. Ne mancavano all'appello due: un tunisino e un mazarese. Il primo risulta imbarcato su una nave, mentre il siciliano vive da tempo all'estero. I colpiti da Cu.ca.ca. sono:Salvatore Alario, Giovanni Alessi, Salvatore Asaro, Marco Chiappara, Antonino Ciresi (già detenuto presso il carcere Pagliarelli di Palermo), Giuseppe Civiletti, Pietro Compagno, Gaspare Dardo (già detenuto presso il carcere Pagliarelli di Palermo), Giuseppe Di Maio, Daniele Favata, Giuseppe Ferro (già detenuto presso il carcere Pagliarelli di Palermo), Vincenzo Ferro (già detenuto presso il carcere Ucciardone di Palermo), Alfredo Geraci, Veronica Giordano, Attanasio La Barbera, Marco La Vardera (già sottoposto agli arresti domiciliari a Villabate), Ignazio Li Vigni, Ciro Napolitano (già sottoposto agli arresti domiciliari a Napoli), Francesco Paolo Nuccio, Giacomo Pampillonia, Giacomo Rubino, Santo Rubino, Carmelo Russello, Francesco Scimone, Antonino Seranella, Biagio seranella, Umberto Sisia, Pietro Tagliavia, Francesco Tarantino, Giovanni Vaccaro e Vincenzo Vigna.La società civile è presente, testimonia e partecipa al di là delle lenzuola bianche stese e sventolate sui balconi per la legalità, come ci segnalano i flash dell'Ansa. Un omaggio anche all'inventore della celeberrima "Legge Rognoni-Latorre", che ha fatto vincere allo Stato, più di mille battaglie…"L'aeroporto di Comiso torna a chiamarsi da oggi ufficialmente Pio La Torre. Sono stati il presidente del Senato, Pietro Grasso, e il ministro della giustizia, Andrea Orlando a svelare la targa che ufficialmente intitola lo scalo ragusano al sindacalista e segretario del Pci siciliano ucciso dalla mafia il 30 aprile del 1982. Lo scalo era stato intitolato a La Torre nel 2007, ma l'anno dopo la giunta comunale di centro destra ripristinò l'antica denominazione Generale Magliocco".
Lotta alla mafia. Cosa Nostra, negli ultimi decenni, ha subìto tutta una serie di colpi micidiali, che l'hanno messa nelle condizioni di non nuocere. Tanti boss messi con le spalle al muro. … Ne è passata di acqua sotto i ponti da don Vito Cascio Ferro, alla lotta alla mafia del prefetto di ferro Cesare Mori, del poliziotto di ferro Petrosino; dall'era di Giuseppe Genco Russo e Calogero Vizzini, Francesco Paolo Bontate, Francesco Messina Denaro, Salvatore Giuliano, Gaspare Pisciotta, Lucky Luciano, Joe Adonis, Frank Coppola, Nick Gentile, Frank Garofalo, Angelo e Salvatore La Barbera, Salvatore Greco, Antonino Sorci, Tommaso Buscetta, Pietro Davì, Rosario Mancino e Gaetano Badalamenti e ancora i trapanesi Salvatore Zizzo, Giuseppe Palmeri, Vincenzo Di Trapani e Serafino Mancuso; Joe Bonanno, Michele Cavatajo, Salvatore 'Cicchiteddhu' Greco, Michele Navarra, Gaetano Badalamenti, Santo Mazzei, Pippo Calò, Salvatore Montalto, Filippo Marchese, Stefano Bontate, Bernardo Provenzano, Tommaso Buscetta, Luciano Leggio, Giuseppe Calderone (capo della Famiglia di Catania) e Giuseppe Di Cristina, Salvatore Riina, Salvatore Inzerillo, Antonino Ciresi, Alessandro, D'Ambrogio, Gerlando Alberti zu' Paccarè, Nenè Geraci,Nitto Santapaola, Salvatore Pulvirenti, Michele Greco, Mariano Agate, Alfio Ferlito, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Francesco Madonia, Ignazio Motisi, Antonio Salamone, Salvatore Scaglione, Nino Cinà, Filippo Rimì Michelangelo La Barbera, Raffaele Ganci, Rosario Riccobono; Luigi, inteso Jimmy, Francesco, Giuseppe, Gaetano, Santo e Roberto Miano, Gaetano Fidanzati, Totò Riina, Piddu Madonia, Salvatore Cancemi, Benedetto Spera, Salvatore Lo Piccolo, , Giuseppe Ferrera 'Cavadduzzu', Salvatore Ferrera 'Cavaddhuzzu', Francesco Augusto Ferrera, Vincenzo Rimi, Francesco, Giuseppe, Santo, Gaetano e Roberto Miano intesi 'Cursoti',Gaetano Lo Presti, Benedetto Capizzi, Giuseppe Scaduto, Salvatore Greco'Cicchiteddhu', Calcedonio Di Pisa, Antonino Matranga, Mariano Troia, Cesare Manzella, Antonio Salamone, Giuseppe Panno, Francesco Salvatore Galioto, Mario Di Girolamo, Salvatore Manno, Salvatore Greco 'l'ingegnere', Rosario Di Maggio, Giuseppe Greco, Calogero Pizzuto e Giovanni Scaduto, Giuseppe Giacomo Gambino 'U Tignusu, Gabriele Cammarata, Pietro lo Iacono, Giuseppe Farinella, Giovanni Adelfio, Luigi Caravello, Antonino Spera, Gregorio Agrigento, Rosario Lo Bue, Francesco Bonomo, Antonino Teresi, Nino Marotta, Brusca Bernardo, Giovanni, Salvatore e Giovanni Genovese, Giuseppe Falsone, Diego Lo Giudice, Salvatore Pillera 'Tuti Cachiti', Salvatore Cappello, Sebastiano Sciuto, Giuseppe Ferlito, Pietro Aglieri, Antonino Lo Nigro, Alfio Laudani, Giuseppe Laudani, Sebastiano Laudani, Maurizio Di Gati, Filippo Santo Pappalardo, Salvatore Sciacca, Nino Rotolo, Mimmo Raccuglia, Giovanni Nicchi. Lo Stato veglia ed interviene attraverso le sue leggi ad hoc. Tipo quella sui pentiti. decreto legge 15 gennaio 1991 n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991 n. 82, La legge 13 febbraio 2001 n. 45,
Il contributo alla causa della legalità, della Giustizia, della trasparenza ecc. è stato enorme. Dai collaboratori di giustizia, sono venute le prove schiaccianti per 'inchiodare' alle loro responsabilità gl'indagati ed imputati; se non responsabili di delitti e crimini, reati e nefandezze. Certi delitti con tanto di mandanti ed esecutori materiali, non sarebbero mai stati scoperti. Pentiti, (che talora, sono stati anche capimandamento o capidecina ) di prima e seconda grandezza del calibro di…Totuccio Melchiorre Allegra, Balduccio di Maggio, Salvatore Viola, Giuseppe Mirabile, Paolo Mirabile, Eugenio Sturiale, Carmelo Riso, Nazareno Anselmi, Mario Sciacca, Giuseppe Laudani, Gaetano D'Acquino, Leonardo "Leuccio" Vitale, Vincenzo Calcara,Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Salvatore Contorno, Giovanni Brusca, Giuseppe Monticciolo , Vincenzo Chiodo, Ettore Scorciapino, Salvatore Torrente, Ignazio Barbagallo, Mario Capizzi, capomandamento di Ribera; Giovanni Pollari, capomandamento di Cianciana; Giuseppe Fanara, di sant'Elisabetta; ed i fratelli gelesi Alessandro e Daniele Emmanuello, Nino Cinà, Angelo Epaminonda, Antonio Scollo, Goffredo Di Maggio, Gaspare Spatuzza, Angelo Fontana, Vincenzo Scarantino, Franco Di Carlo, Stefano Lo Verso, Francesco, Antonio Patti, Onorato, Pino Marchese, Rosario Naimo e Fabio Tranchina, Pietro Romeo; Francesco 'Ciccio' Miano, Giuseppe Micalizzi, Giuseppe Raffa, Fabrizio Blandino, Pulvirenti Giuseppe 'U Malpassotu, Francesco Di Carlo, Elia Di Gati, Francesco Vella, Fabrizio Iannolino e Fabio Tranchina., Angelo Siino, Luigi Ilardo, Manuel Pasta, Francesco Campanella, Vincenzo Sinagra, Salvatore Franzese, Gino La Barbera, Santino Di Matteo, Nino Calderone, Santo La Causa, arrestato l'8 ottobre del 2009 da carabinieri del reparto operativo di Catania, mentre partecipava a un vertice del gotha della mafia etnea, Angelo Stracuzzi, Gioacchino La Barbera, Giuseppe Micalizzi, Francesco Onorato, Stefano Lo Verso Gaspare Mutolo, Nino Giuffrè, Calogero Ganci, Mascali Angelo, Mascali Sebastiano, Lanza Giuseppe, Chiavetta Salvatore, Di Raimondo Natale, Maniscalco Giuseppe , Trubia Giuseppe, Trubia Orazio, Falzone Alfonso Salemi Pasquale, Domenico Giordano, Salvatore Giordano, Sebastiano Arnone, … Lo Stato vigilia come testimoniamo i frequenti flash dell'Agenzia Ansa…"Lavoravano come netturbini, ma in realtà erano ai vertici di "una pericolosa cosca della mafia". E' l'accusa contestata a cinque operatori ecologici, ritenuti capi e luogotenenti del clan, arrestati dai carabinieri del comando di Ragusa.
Sono tutti dipendenti della stessa ditta, della quale "avevano di fatto preso il controllo", incaricata della raccolta di rifiuti per il Comune di Scicli, paese il cui municipio è stato la location del commissariato di polizia di Montalbano". E come testimonia l'operazione dalla DDA palermitana diretta dal procuratore capo della Repubblica Francesco Messineo …" Circa 500 carabinieri del comando provinciale di Palermo sono impegnati nell'esecuzione di 31 provvedimenti di fermo del pubblico ministero nei confronti di capi e gregari del mandamento mafioso di Bagheria, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, sequestro di persona, estorsione, rapina, detenzione illecita di armi da fuoco e danneggiamento a seguito di incendio. Il blitz, coordinato dalla Procura di Palermo, ha decapitato il "mandamento" di Bagheria, storica roccaforte di Cosa nostra. Insieme ai reggenti dell'ultimo decennio del mandamento e delle famiglie mafiose di Bagheria, Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia sono stati fermati numerosi uomini d'onore dei clan Sono state le dichiarazioni dei due nuovi pentiti, il killer Sergio Flamia e il geometra Enzo Gennato, a svelare il nuovo sistema di potere nel mandamento di Bagheria. Con loro un contributo determinante lo hanno dato i 44 imprenditori e commercianti che si sono ribellati al racket delle estorsioni. "Contributo decisivo - ha detto Pierangelo Iannotti comandante provinciale dei carabinieri di Palermo". Tra i fermi dopo le indagini dei carabinieri, coordinati dal procuratore Francesco Messineo, dall'aggiunto Leonardo Agueci, e dai sostituti Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, ci sono nomi eccellenti come Carlo Guttadauro - fratello di Filippo e Giuseppe - capo decina di Aspra. E ancora Giuseppe Comparetto, uomo d'onore di Villabate, ed Emanuele Modica, di Casteldaccia, considerato affiliato alla mafia canadese, che nel 2004 scampò alla morte in un agguato a Montreal. I fermati sono: Nicolò Greco, detto Nicola, nato il 16.6.1942, reggente del mandamento di Bagheria, Giuseppe Di Fiore , il 25.6.1949, reggente operativo del mandamento, Carlo Guttadauro, 29.3.1956, Francesco Pipia, 7.3.1957, Giorgio Provenzano, 7.3.1966, Giovanni Pietro Flamia, detto "U' Cardiddu", 20.6.1954, Salvatore Lo Piparo, 2.12.1972, Giovanni Di Salvo, 15.10.1962, Benito Morsicato, 21.6.1978, Nicolò Lipari, detto Nicola, 25.9.1963, Francesco Pretesti, 19.11.1974, Francesco Raspanti, 5.08.1968, Francesco Speciale, 24.10.1966, Luigi Li Volsi, 15.2.1956, Francesco Terranova, 23.7.1973, Giovanni La Rosa,12.7.1968, Fabio Messicati Vitale, 22.1.1974, Bartolomeo Militello, 8.10.1947, Giuseppe Comparetto, 22.1.1976, Atanasio Ugo Leonforte, 12.5.1955, Emanuele Cecala, 11.7.1977, Michele Modica, detto "l'Americano", 8.6.1955, Pietro Lo Coco, 27.8.1960, Andrea Lombardo, 14.2.1981, Leonardo Granà, 9.6.1962, Vincenzo Maccarrone, 14.7.1979, Carmelo Nasta detto "Rosario", 11.6.1971, Paolo Salvatore Ribaudo, 15.2.1973, Giovan Battista Rizzo, 15.6.1966, Giovanni Salvatore Romano, 24.9.1962, Salvatore Buglisi, 27.3.1988.
Lotta alla mafia. La può vincere, solo la società civile, dicono i giudici. Di questo, erano convinti anche i giornalisti: Mauro De Mauro, Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe 'Pippo' Fava, Giuseppe 'Beppe' Alfano, E Lirio Abbate…"Se il deputato, il consigliere regionale, l'assessore, il primario, il professore universitario se ne vanno in giro con il mafioso è un fatto. Si conoscono, passeggiano sottobraccio, si baciano quando s'incontrano". Ed ancora …" Dice Lirio che hanno ragione il Capo dello Stato e il Governo a chiedere che "la società civile" faccia la sua parte contro la mafia. È la parte del problema con cui egli sente di dover fare più dolorosamente i conti, oggi. "È un paradosso. Credi di dover fare in modo accurato il tuo lavoro di cronista per illuminare nell'interesse dell'opinione pubblica, di quella "società civile", gli angoli bui e sporchi del cortile di casa. Poi scopri che sei un ingenuo. Nessuno vuole guardare da quella parte, in quegli angoli - no - preferiscono voltarsi da un'altra parte anche se stai lì a tirargli la giacchetta. E allora perché lo faccio?, ti chiedi. Perché infliggo a chi mi è caro ansia, paura, apprensione e, Dio non voglia, pericoli? Perché, mi chiedo, non ascolti chi ti dice: ma chi te lo fa fare, vattene da qui, vattene subito, non ti accorgi che non vale la pena?". La voce di Lirio, fonte www.repubblica.it, sembra rompersi ora. Percettibilmente, il timbro diventa roco e trattenuto come di chi si sta sforzando di controllare un'emozione che forse è rabbia, forse è avvilimento o forse entrambe le cose. Dopo qualche secondo, Lirio dice finalmente: "Lo sai perché non decido di andarmene? Per onore. Sì, per onore! Non per il mostruoso, folle, ridicolo onore di cui si riempiono la bocca mafiosi deboli con i forti e forti con i più deboli, ma per quell'onore che mi chiede di avere rispetto di me stesso, che mi impedisce di inchinarmi alla forza e alla paura, di scendere a patti con ciò che disprezzo. Quell'onore che molti siciliani hanno dimenticato dicoltivare". Tuttavia, lo Stato ancora, non grida "Vittoria". La lotta contro la mafia è ancora lunga, dura e dispendiosa. Domenico Salvatore
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CORRELATO
Mafia
"Io, killer invisibile di Cosa Nostra"
Sergio Flamia, l'esecutore della famiglia di Bagheria diventato collaboratore di giustizia, ha confessato 40 omicidi. E di essere stato a lungo un confidente dei servizi segreti
di Lirio Abbate
Io, killer invisibile di Cosa Nostra
Un pistolero venuto dal nulla. Per quasi trent'anni, fonte, espresso.repubblica.it, è stato l'angelo vendicatore di Cosa nostra, un killer invisibile a cui affidare le missioni che devono restare nascoste anche all'interno dell'organizzazione criminale. Sergio Flamia era l'esecutore della famiglia di Bagheria, una delle più importanti nel gotha della mafia palermitana: quando ha deciso di collaborare con la giustizia, ha spiazzato gli investigatori rivelando di avere ammazzato una quarantina di volte. Fino ad allora, era rimasto un fantasma con il revolver. Dal 1993 è stato arrestato tre volte, con imputazioni per droga o per ruoli minori nei traffici delle cosche, ma ha sempre riottenuto la libertà. Nessuno ha mai sospettato il suo record personale, che lo porta ai vertici delle classifiche dei sicari siciliani. Solo da pochi mesi ha deciso di parlare, svelando la sua incredibile carriera di morte: si è autoaccusato di una lunga serie di omicidi, permettendo di riaprire le indagini su delitti rimasti irrisolti per decenni. Un uomo di piombo, freddo e controllato, abituato a muoversi nell'ombra: ha dichiarato anche di essere stato a lungo confidente dei servizi segreti, fornendo notizie a un agente dell'intelligence.
BAGHERIA CONNECTION
Flamia, ha 51 anni, è nato e cresciuto a Bagheria. Davanti ai pm palermitani Leonardo Agueci e Francesca Mazzocco ha descritto la sua ascesa criminale nella città delle ville, un giardino verde di residenze nobiliari poi travolto dal cemento dei costruttori mafiosi. Una storia che comincia con i primi delitti nel 1984, gli anni della mattanza che segnò il trionfo corleonese, fino a diventare il braccio destro del padrino e il custode della cassa della famiglia. Per un periodo è stato anche il custode della latitanza di Bernardo Provenzano, l'ultimo grande capo di Cosa nostra. Un'epopea su cui adesso gli investigatori stanno cercando riscontri, perché le parole del pistolero possono riscrivere molti episodi e aprono uno squarcio sul presente della mafia, che cerca di rifondarsi tornando ai valori delle origini.
TORNANO I PUNCIUTI
Ho deciso di collaborare perché voglio cambiare vita e garantire a me e ai miei familiari un futuro tranquillo e libero dal crimine. La mia decisione è maturata perché sono stanco di andare dietro a queste storie di mafia, a queste malefatte, ho deciso di cambiare vita e di vivere più tranquillo e sereno con la mia famiglia. Per famiglia intendo mia moglie e i miei figli», la collaborazione di Flamia con i pubblici ministeri si apre il 30 ottobre scorso con queste parole. È un discorso che parte da lontano, da quel codice d'onore che sostiene di avere appreso durante l'infanzia, ma che si è dissolto da tempo. Ora tutto è «decaduto» e il «valore criminale è caduto troppo in basso»: i mafiosi hanno perso autorevolezza, non sono più uomini di rispetto. Una crisi di credibilità per l'intera organizzazione, a cui due anni fa si è cominciato a rispondere tornando alle vecchie maniere, quelle nate prima che il potere assoluto dei corleonesi stravolgesse i capisaldi dell'onorata società. A farsene carico sono stati i veterani, boss tornati in paese dopo anni e anni di prigione, che hanno cominciato a reclutare persone di spessore criminale. E le hanno affiliate seguendo il più antico dei riti: la "punciuta" del dito della mano e le gocce di sangue fatte cadere su un'immaginetta sacra, bruciata mentre l'uomo d'onore la stringe recitando il giuramento. Una messinscena per cercare di ridare un senso ai canoni di Cosa nostra. Sergio Flamia dichiara di avere avuto la sua cerimonia di iniziazione soltanto nel gennaio 2012, nel retro di un panificio-pizzeria di Villabate, alla presenza dei capi della zona: fino ad allora, si era sempre mosso nell'ombra. Quando è arrivata l'affiliazione, il sicario aveva smesso di credere nella Cosa nostra ma non poteva tirarsi indietro: sarebbe stata una condanna a morte sicura.
VIVI E FAI MORIRE
La stessa freddezza con cui premeva il grilletto sembra specchiarsi anche nelle sue rivelazioni. Racconta le esecuzioni nei particolari, con quei dettagli fondamentali per concepire il piano di un delitto e che restano impressi solo nella mente del killer. Non c'è commozione, né rimorso verso le vittime: uccidere e morire sono parte della vita del mafioso. «Quando si è inseriti in un contesto mafioso o vicino ad una famiglia mafiosa bisogna avere fatto omicidi, partecipato a fatti gravi». E Flamia aveva la pistola facile. I carabinieri se ne sono resi conto grazie alle microspie piazzate nel negozio di frutta e verdura che gestiva prima dell'arresto. Il killer litiga con il cognato, in presenza di testimoni, poi alza la voce: «Ti taglio la gola, devi andare via da questo posto!». Ma il familiare non si muove, e quindi Flamia afferra la pistola che ha sotto il banco degli ortaggi e grida: «Ti sparo come un cornuto se non te ne vai». Pochi secondi dopo la microspia dei carabinieri registra l'esplosione di una pallottola, destinata però solo a fare paura. Subito il sicario intima: «Ora vedi di levarti davanti ai miei occhi. E non tornare più». Poi si rivolge a un uomo che ha assistitito alla scena: «Prendi il proiettile e buttalo nel water».
LA FINE DI SCARPUZZEDDA
Quasi a segnare un passaggio di testimone tra pistoleri, Flamia potrebbe fare luce sulla fine del killer più spietato dei corleonesi, Giuseppe Greco "Scarpuzzedda", l'autore di centinaia di omicidi fra cui quello di Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre. Scarpuzzedda è scomparso nel 1984, inghiottito dalla lupara bianca: secondo il nuovo collaboratore, l'eliminazione è stata gestita dal boss Giuseppe Scaduto. «È stato strangolato dentro la loro proprietà a Bagheria». All'epoca la città si stava trasformando dal giardino della nobiltà palermitana alla spiaggia dei nuovi ricchi spuntati dal nulla, quelli che avevano fatto i soldi grazie a Cosa nostra. Su una scogliera a picco sul mare, c'è l'entrata della villa di "Scarpuzzedda": trentasei stanze disposte in appartamenti distinti, digradanti verso il mare. I latitanti di alto rango si portavano le famiglie, occupavano piani diversi, a ciascuno il suo spazio: dalle terrazze piastrellate di bianco guardavano il promontorio di Mongerbino e bevevano champagne con il padrone di casa. Il killer dopo aver ucciso Pio La Torre e poi Dalla Chiesa disse ad un mafioso, che poi divenne pentito: «Stu omicidio Dalla Chiesa non ci voleva... Ci vorranno minimo dieci anni per riprendere bene la barca». E indicò chiaramente che dietro l'esecuzione c'era Provenzano: «Comunque qua io ho avuto uno scherzetto in questo omicidio, e stu scherzetto me lo fece u ragioniere (Provenzano ndr)». Greco aveva ricevuto garanzie per l'operazione, promesse che poi non erano state mantenute. Fino all'ultimo appuntamento a Bagheria, non lontano dalla sua sfarzosa dimora.
MANCATO BLITZ
Ci sono alcuni capitoli della saga di Flamia che vanno valutati con grande attenzione. Ad esempio quando parla degli incontri che Provenzano faceva nelle campagne di Misilmeri nel 1995. Ad uno di questi appuntamenti con i mafiosi è legata l'inchiesta della procura di Palermo sul mancato blitz da parte dei Ros dei carabinieri che avrebbe potuto portare, secondo le rivelazioni del confidente Luigi Ilardo, all'arresto di Provenzano. Per questa vicenda sono finiti sotto processo il generale Mario Mori, all'epoca vice comandante del Ros, e un suo ufficiale, Mario Obinu, entrambi poi assolti dai giudici del tribunale. Flamia ha raccontato ai pm quello che ha vissuto personalmente in quel periodo e ciò che gli è stato riferito da altri mafiosi. La sua versione potrebbe non coincidere con alcuni aspetti riferiti da Ilardo, ucciso a Catania alla vigilia della sua collaborazione ufficiale con la giustizia, e riportati in un rapporto giudiziario dell'allora colonnello Michele Riccio.
ETÀ DELL'ORO
Erano anni formidabili quelli di Provenzano a Bagheria, con fiumi di "piccioli" che sembravano infiniti: «L'ho visto tante volte con borse piene di soldi. Glieli portavano ogni settimana i rappresentanti delle varie famiglie». «Tanti quattrini li ho pure visti in mano a Giuseppe "Piddu" Madonia, anche lui latitante a Bagheria, insieme a Provenzano, ma per noi non c'era nulla». Oggi anche Cosa nostra è in piena recessione e fatica a garantire lo stipendio mensile alle famiglie dei detenuti: ci sono boss che hanno smesso di pagare gli avvocati agli affiliati. «Si sono dimenticati anche di aiutare in carcere uno che aveva favorito la latitanza di Provenzano», spiega Flamia. «L'unica volta che io ho avuto soldi sono stati 2500 euro, e poi non ho più visto nulla. Eppure i soldi i capimafia continuano ad incassarli da estorsioni e dagli imprenditori, ma dicono che non c'è più denaro nelle casse della famiglia».
ASSE CANADESE
La cosca di Bagheria negli affari aveva un asse diretto con il Canada, attraverso contatti col clan Rizzuto, poi interrotti per la guerra interna scoppiata a Toronto. Flamia ha descritto i traffici di stupefacenti e psicofarmaci, fornendo nuovo impulso alle inchieste dei carabinieri. E proprio in tale contesto si inserisce il duplice omicidio dello spagnolo Juan Ramon Fernadez e del portoghese Fernando Pimentel. I cadaveri carbonizzati dei due sono stati rinvenuti nel maggio dello scorso anno nelle campagne di Casteldaccia a pochi chilometri da Bagheria, su indicazione di un mafioso, Giuseppe Carbone che ha iniziato a collaborare, autoaccusandosi anche lui di questo duplice delitto.
COME VOTANO GLI AMICI
Oltre alle armi, Flamia avrebbe maneggiato anche la politica locale, dando sostegno «in più occasioni» ai candidati per le elezioni comunali e regionali. Fa riferimento a tale Vitrano, che avrebbe pagato per raccogliere voti a Bagheria. Il meccanismo era quello classico: l'interessamento avveniva «tramite amicizie». «Ci chiedevano di dare una mano ad un politico e la famiglia mafiosa scendeva in campagna elettorale. Dietro compenso economico, parlavo con gli amici, spargevo la voce per far votare il "nostro" candidato e in alcuni casi facevamo consegnare anche sacchi di spesa. Il controllo del voto era semplice, perché a Bagheria il nostro candidato non era conosciuto da nessuno e non aveva nessun voto e quindi tutti i voti che arrivavano a Bagheria erano grazie a noi». E in passato sono stati eletti politici che erano appoggiati dalle famiglie mafiose? «Sì, quasi sempre».
CONFISCA, NON SFRATTO
Il capomafia di Bagheria, Gino Di Salvo, abitava in una residenza costruita nell'area attorno alla settecentesca Villa Valguarnera. Nel 2009 i giudici ne hanno ordinato la confisca definitiva ma fino a pochi mesi fa il boss ha continuato a vivere lì con la sua famiglia, finché i carabinieri non l'hanno arrestato di nuovo. Le ville di questa zona sono state tirate su ignorando il divieto assoluto di edificabilità. Di Salvo non solo ha fatto costruire la sua abitazione all'interno del parco monumentale borbonico, ma qui nella prima metà degli anni Novanta ha portato Provenzano e un altro grande ricercato, Giuseppe "Piddu" Madonia. Dalle vacanze dei grandi baroni palermitani alle latitanze dei padrini della cupola: lo rivelano i collaboratori di giustizia e adesso lo conferma il neo pentito Sergio Flamia. Il boss Di Salvo è finito in carcere diverse volte. I giudici del tribunale di Palermo, riconoscendo il suo ruolo dentro Cosa nostra, hanno ordinato la confisca dei beni, fra cui proprio la villetta di via Sofocle al numero 11, a poche centinaia di metri dal complesso monumentale. Nonostante la villa del boss fosse passata, almeno sulla carta, nelle mani dell'Agenzia dei beni confiscati, Di Salvo ha continuato ad abitarla insieme alla sua famiglia. E nessuno sembra essere riuscito a farlo sgomberare.
SICARIO NEL MIRINO
Molto più incisiva la capacità di Cosa nostra nell'eseguire le sentenze. «Poco tempo fa avevo capito che volevano uccidermi», racconta Flamia. «Avevo compreso che c'era qualcosa che non andava e si preparava un progetto di morte per me. In tutto questo ho visto il disinteressamento nei miei confronti di Gino Di Salvo. Il suo atteggiamento mi ha sorpreso perché se sei a capo di una famiglia mafiosa e il tuo collaboratore più stretto ha queste paure e te ne freghi allora sono due le cose: la prima che non sai controllare bene ciò che accade attorno a te; la seconda è che non vedi l'ora che ti tolgono davanti questo collaboratore. E questo era il caso mio». Ma non è facile prendere di mira un sicario: «Sapere che si stanno muovendo per uccidermi non mi ha messo paura, anche perché ho iniziato a prendere le contromisure e liberarmi dei nemici».























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