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La provocazione su D'Annunzio. Tra la santità non cattolica del martirio di San Sebastiano, la contemplazione buddista e la pazienza degli sciamani - di Pierfranco Bruni

La provocazione su D’Annunzio

Tra la santità non cattolica del martirio di San Sebastiano, la contemplazione buddista e la pazienza degli sciamani

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

 

La musica, il canto, la poesia e la santità. Quanta religiosità c’è in Gabriele D’Annunzio? Camminava lungo le vie di Budda. Gabriele D’Annunzio ebbe anche un modo francese, nel suo sublime, di vivere nella letteratura la vita. Non si tratta soltanto di una questione biografica. Non si tratta della sua permanenza in Francia per cinque anni. Non si tratta dei suoi rapporti con il mondo culturale, con le donne, con i luoghi. C’è sempre qualcosa di più in D’Annunzio. Ed è sempre un intrecciare la vita all’estetica. L’estetica come atto contemplante in una ricerca costante che è Oriente.

Tradotto con interesse in Francia. Scrive in francese e compone il Martirio di San Sebastiano, musicato da Claude Debussy, in lingua d’oìl. Uno dei romanzi che ha fatto tanto discutere la cultura francese degli inizi del ‘900 è stato il romanzo Il fuoco. Romanzo, quasi delle conclusioni esistenziali e letterarie di D’Annunzio, che è stato tradotto, con non poche difficoltà e discussioni, da Georges Hérelle, il quale aveva già tradotto altre sue opere come L’Intrus, L’Episcopo et Cie, Le triomphe de la mort, L’enfant de volupté, Les viere aux roches.

Ma intorno alla traduzione de Il fuoco che si apre una significativa discussione sul legame tra testo originale e traduzione. Il fuoco è un romanzo che presenta un articolato linguaggio nella sua forma anche sintattica, in cui la liricità e il vocabolario, in alcune parti, di termini dialettali costituiscono per il traduttore una interpretazione che ha bisogno di una chiave di lettura che fa i conti con la visione estetica della parola dannunziana.

Il linguaggio trasformato nel sublime e nell’estasi di segno prettamente dannunziano ben si addice ad un confronto con la letteratura francese che accoglie benevolmente la presenza di una grande scrittore come D’Annunzio, tanto da far scrivere a Marcel Proust in una lettera indirizzata a Fernand Gregh, datata 3 dicembre 1901, che D’Annunzio è un “grande scrittore” e aveva molto apprezzato le traduzioni.

È Il fuoco che fa discutere. Sostanzialmente si tratta del suo penultimo romanzo, che prima di essere tradotto in volume, vede la pubblicazione, a puntate, sulle pagine della “Revue de Paris” dal 1 maggio al 15 luglio del 1900. in Italia, infatti, aveva visto la luce proprio nel 1900.

Perché Il fuoco si presta ad una discussione proprio sul piano della traduzione intavolando una vivace discussione con il suo traduttore Georges Hérelle (1848 – 1935)? Lo si è già accennato. Ma occorre ribadire che questo romanzo è il romanzo più vissuto da D’Annunzio, nel quale si racconta la straziante storia d’amore con Elòeonora Duse. La Duse era ben conosciuta in Francia. Poi perché D’Annunzio sosteneva la intraducibilità dei termini dialettali e la completa fedeltà della trasposizione lirica del romanzo e su questo insisteva sul fatto che bisognava rispettare, senza alcuna libera interpretazione linguistica, il senso lirico del linguaggio attraverso una vera e propria “filosofia del tradurre”.

Perché la mia insistenza sul “fuoco”? Perché il concetto di fuoco, tra l’altro, è un simbolo non solo che riporta al mondo sciamanico, come ho avuto modo di sottolineare nel saggio scritto con Neria De Giovanni: “Io ho quel ho donato” (Nemapress), ma richiama elementi di un Oriente buddista. Il mondo cattolico non c’è in D’Annunzio. C’è il mito, c’è la santità, c’è la sacralità ma non c’è il cattolicesimo.

Il suo amore per la Duse ha un lirismo nella tragicità nicciana. Un senso lirico che doveva mantenere la piacevolezza della scrittura che doveva unificarsi con la piacevolezza della lettura, oltre al fatto di restare fedeli ai nome dei personaggi. Ovvero i personaggi del romanzo non dovevano assolutamente mutare i loro nomi nella traduzione. Una richiesta di completa fedeltà al testo. Chiedeva il rispetto della impostazione lirica ma anche il rispetto della lingua italiana. La tragicità si supera con la contemplazione e il Budda che arricchiva la sua anima e le stanze del suo abitare le passioni e la solitudine.

Con la Francia , comunque, giuntovi, come ebbe a dire, in “volontario esilio”, ma in realtà perseguitato e inseguito dai creditori con i quali aveva accumulato incendi debiti, intrattenne ottimi rapporti.

Soggiorna tra Parigi e Arcachon e tra l’altro scrive e pubblica i versi inclusi in Merope dedicati alla celebrazione della guerra Italo – turca, oltre alla tragedia in versi la Parisina , composta nel 1912 e musicata da Pietro Mascagni.  

D’Annunzio ha sempre considerato la Francia non soltanto il Paese dello stile e dei profumi nell’eleganza delle donne, ma quando l’Italia fascista strinse il patto con la Germania , D’Annunzio, nel condannare questa sciagurata alleanza, aveva consigliato Mussolini di stringere un accordo con la civiltà latina dei francese, considerato l’unica Nazione con la quale l’Italia poteva confrontarsi per storia e cultura.

Rimase in Francia sino al 1915. Vi era giunto nel marzo del 1910. in Francia c’è il mondo di un’Europa oltre il Mediterraneo. Ma ci sono i passi di una contemplazione che è stta “piacere” e che sarà “notturno”. Cosa è il “notturno”? Budda ha risposto con la pazienza e il silenzio. D’Annunzio non fu cattolico. Era sulla via degli sciamani nella consapevolezza di Budda.




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Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
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