SCUOLA – L’assunzione
di 200mila precari passa per il giudizio della Corte di Lussemburgo
Anief: effetto della
sentenza della Corte Costituzionale che con l’ordinanza n. 207/13 ha rinviato
alla Giustizia europea la questione sulla compatibilità della normativa
italiana con la direttiva comunitaria in tema di reiterazione dei contratti a
termine e assenza di risarcimento del danno che l’Italia continua a perpetrare
a docenti, amministrativi, tecnici ed ausiliari con almeno 36 mesi di servizio.
È
ufficiale: l’assunzione di 200mila precari della scuola dipenderà dal volere
dei giudici di Lussemburgo. Con ordinanza n. 207/13, la Corte Costituzionale ha
infatti rinviato alla Corte di Giustizia europea la questione sulla
compatibilità della normativa italiana con la direttiva comunitaria in tema di
reiterazione dei contratti a termine e assenza di risarcimento del danno per
docenti, amministrativi, tecnici ed ausiliari precari della scuola con almeno
36 mesi di servizio.
La
posizione della Consulta ribalta quella assunta esattamente un anno fa della
Cassazione, che aveva gettato sui precari una doccia fredda sostenendo che la
norma nazionale era chiara e che fosse quindi inutile rivolgersi alla Corte di
Lussemburgo su possibili conflitti con la norma comunitaria: l’Italia, infatti,
per non rispettare le indicazioni dell’Ue ha introdotto nella Legge 106/2011 una norma che aggira l’obbligo di assumere il personale
precario anche se ha superato i tre anni di supplenze. Ora, però, la
Consulta riapre le speranze e sposta la partita in Europa.
"La decisione dei giudici delle leggi è stata
saggia - afferma Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario
organizzativo Confedir - considerato che
un'altra ordinanza di remissione, promossa dal giudice del lavoro di Napoli nel
gennaio scorso, è pendente alla Corte di giustizia europea. A tal proposito,
c’è da ricordare che sono migliaia i ricorrenti che si sono rivolti all'Anief
in questi anni per ottenere giustizia dai tribunali della Repubblica. Molti di
essi hanno ottenuto in primo grado risarcimenti fino a 30.000 euro per la
mancata stabilizzazione".
Il
tutto mentre la nuova proposta di legge europea approvata in Senato continua a
ignorare una procedura d'infrazione attivata dalla Commissione Ue contro
l'Italia proprio sui precari della scuola, il cui testo rimane secretato
persino ai parlamentari della Repubblica. "Speriamo - conclude il sindacalista Anief-Confedir - che giunga presto il momento di porre fine
alla piaga del precariato e di stabilizzare finalmente tutti i supplenti sui
posti vacanti e disponibili. Non di certo fermandosi ai soli 15mila proposti
dal ministro Carrozza, peraltro ancora nemmeno sicuri. Oppure agli 11.542 che
vinceranno il concorso a cattedra senza però che vi siano tutti i posti liberi".
19
luglio 2013
Il testo dell'ordinanza n. 207/2013
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori è...[] ha pronunciato la seguente ORDINANZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 4, commi 1 e 11, della
legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale
scolastico), promossi dal Tribunale di Roma con due ordinanze del 2 maggio 2012
e dal Tribunale di Lamezia Terme con due ordinanze del 30 maggio 2012,
rispettivamente iscritte ai
nn. 143, 144, 248 e 249 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4, 11, 21, 27, 33 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2012.
nn. 143, 144, 248 e 249 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4, 11, 21, 27, 33 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Giudice relatore Sergio Mattarella;
udito l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
udito nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 il Giudice relatore Sergio Mattarella;
udito l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Premesso
che gli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione italiana,
stabiliscono rispettivamente che «L’Italia […] consente, in condizioni di
parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni»; e che «La
potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali»; e che pertanto un sospettato contrasto tra legge
nazionale e norma comunitaria si traduce in una questione di legittimità
costituzionale rispetto ai parametri dell’art. 11 e dell’art. 117, primo comma,
Cost., integrati e resi operativi dalla norma comunitaria pertinente.
Ritenuto
che nel corso di controversie promosse da docenti di scuola secondaria di
secondo grado e da unità di personale non docente nei confronti del Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, i Tribunali di Roma e Lamezia
Terme, sezione lavoro, hanno sollevato – in riferimento all’art. 117, primo
comma, della Costituzione, nonché alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28
giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio (Direttiva del Consiglio relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) –
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, commi 1 e 11, della
legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale
scolastico);
che
i predetti Tribunali rilevano che i ricorrenti, avendo svolto attività di
docenti o di personale amministrativo scolastico in base a numerosi e ripetuti
contratti a termine, hanno agito per sentir dichiarare l’illegittimità delle
clausole di apposizione del termine e per la conseguente condanna dell’amministrazione a convertire il loro contratto di lavoro in contratto a tempo indeterminato, ovvero al risarcimento del danno;
clausole di apposizione del termine e per la conseguente condanna dell’amministrazione a convertire il loro contratto di lavoro in contratto a tempo indeterminato, ovvero al risarcimento del danno;
che,
sulla base di alcuni recenti interventi legislativi – fra i quali l’art. 1,
comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per
garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno
2009-2010), convertito, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre
2009, n. 167, nonché l’art. 9 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre
europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con
modifiche, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – i contratti stipulati a tempo
determinato con i docenti per la copertura di supplenze annuali possono
convertirsi in contratti a tempo indeterminato soltanto con l’immissione in
ruolo dei docenti stessi, come previsto, del resto, dalla disciplina generale
del pubblico impiego;
che
nell’ordinamento italiano il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368
(Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a
tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), contenente la
disciplina del contratto a tempo determinato, mira ad evitare che di tale
contratto si faccia abuso, fissando nel periodo massimo di trentasei mesi il
tempo nel quale un lavoratore può essere impiegato con successivi contratti a
termine;
che
detta disciplina deve ritenersi applicabile anche nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, senza tuttavia prevedere – in quest’ultimo caso – la
conversione del contratto, ma soltanto il diritto al risarcimento del danno;
che,
tuttavia, il reclutamento del personale scolastico è sottratto a tale
disciplina, essendo regolato da un sistema di norme in base alle quali è
lecito, anzi doveroso per le autorità scolastiche, al fine di coprire i posti
vacanti, assumere un medesimo lavoratore, da un anno all’altro, con contratti a
tempo determinato, anche ripetuti nel tempo;
che
tale previsione, secondo i Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, non sarebbe
compatibile con il diritto dell’Unione europea, in quanto l’accordo quadro CES,
UNICE e CEEP del 28 giugno 1999 sul lavoro a tempo determinato stabilisce che
gli Stati membri sono tenuti ad introdurre nelle rispettive legislazioni
nazionali norme
idonee a prevenire e a sanzionare l’abuso costituito dalla successione nel tempo di tali tipi di contratto;
idonee a prevenire e a sanzionare l’abuso costituito dalla successione nel tempo di tali tipi di contratto;
che
la legislazione italiana, per il settore scolastico, non contiene né una durata
massima dei contratti di lavoro a tempo determinato, né l’indicazione del
numero massimo di rinnovi possibili;
che,
in base all’art. 4 della legge n. 124 del 1999, possono essere stipulati, tra
l’amministrazione e i docenti, diverse tipologie di contratti a tempo
determinato:
supplenze
annuali su organico “di diritto”, riguardanti posti disponibili e vacanti, cioè
privi di titolare, con scadenza al termine dell’anno scolastico (31 agosto);
supplenze
temporanee su organico “di fatto”, relative a posti non vacanti ma comunque
disponibili, con scadenza al termine delle attività didattiche (30 giugno);
e,
infine, supplenze temporanee, ossia brevi, per le ipotesi residuali, destinate
a durare fino alla cessazione delle esigenze per le quali sono state disposte;
che,
secondo le ordinanze di rinvio a questa Corte, l’unica ragione che può
sostenere tale sistema sarebbe costituita dalla necessità di risparmio delle
risorse pubbliche, obiettivo che, per quanto rilevante, non potrebbe costituire
quella “finalità di politica sociale” il cui perseguimento giustifica – secondo
la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (in seguito
anche Corte di giustizia) – l’utilizzo di successivi contratti di lavoro a
tempo determinato;
che
i Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, ritenendo non esserci nella specie
dubbi interpretativi sulla pertinente normativa comunitaria tali da richiedere
il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, ne rilevano un sicuro
contrasto con la norma nazionale censurata;
che
il rilevato contrasto non sarebbe risolubile dal giudice comune con la non
applicazione della normativa interna incompatibile con quella comunitaria; a
tal fine, infatti, sarebbe necessario che la conferente disposizione della
direttiva fosse direttamente efficace, dunque incondizionata e sufficientemente
precisa, mentre, nella specie, la Corte di giustizia ha affermato che la
clausola 5, punto 1, del citato accordo quadro non è incondizionata né
sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un
giudice nazionale (sentenza 15 aprile
2008, in causa C-268/06, Impact, nonché sentenza 23 aprile 2009, in causa C-378/380/07, Angelidaki);
2008, in causa C-268/06, Impact, nonché sentenza 23 aprile 2009, in causa C-378/380/07, Angelidaki);
che
secondo i giudici rimettenti non sarebbe neppure possibile l’interpretazione
conforme della norma impugnata, sì che essi non avrebbero avuto altra
possibilità se non quella di sollevare questione di legittimità costituzionale
della norma per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., integrato dalla
conferente disposizione della direttiva;
che
i Tribunali di Roma e di Lamezia Terme hanno, quindi, sollevato, davanti a
questa Corte, questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art.
117, primo comma, Cost., integrato dalla pertinente norma comunitaria, della
censurata disposizione «nella parte in cui consente la copertura delle cattedre
e dei posti di insegnamento, che risultino effettivamente vacanti e disponibili
entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero
anno scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa
dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale
docente di ruolo, così da determinare una successione potenzialmente illimitata
di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall’indicazione di
ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o di un
certo numero di rinnovi»;
che
in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite l’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga
dichiarata inammissibile o infondata;
che,
per l’Avvocatura dello Stato, non sarebbe fondata l’argomentazione, contenuta
nelle ordinanze di rimessione, secondo la quale l’assunzione di personale
scolastico con contratti a tempo determinato sarebbe dovuta soltanto a finalità
di carattere economico;
che,
invece, secondo l’Avvocatura dello Stato, il reclutamento di tale personale
riposa su una indiscutibile rilevante finalità, quella di garantire il diritto
all’istruzione; con la conseguenza che l’assunzione di personale con contratto
a
tempo indeterminato sull’intero numero di posti del cosiddetto organico di diritto non sarebbe un’ipotesi praticabile, non potendosi sapere con certezza se la popolazione scolastica manterrà in futuro sempre la medesima consistenza;
che siffatta ipotesi sarebbe in contrasto anche con l’art. 97 Cost. (il quale afferma, tra l’altro, il principio del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione), potendo dare luogo ad un indiscriminato aumento delle piante
organiche, ancor più grave in un momento come quello attuale nel quale sussistono innegabili e gravi necessità di risparmio di denaro pubblico; tanto più che la medesima clausola 5, già menzionata, lascia agli Stati membri un’ampia libertà di azione e di scelta degli strumenti finalizzati ad evitare gli abusi nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato.
tempo indeterminato sull’intero numero di posti del cosiddetto organico di diritto non sarebbe un’ipotesi praticabile, non potendosi sapere con certezza se la popolazione scolastica manterrà in futuro sempre la medesima consistenza;
che siffatta ipotesi sarebbe in contrasto anche con l’art. 97 Cost. (il quale afferma, tra l’altro, il principio del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione), potendo dare luogo ad un indiscriminato aumento delle piante
organiche, ancor più grave in un momento come quello attuale nel quale sussistono innegabili e gravi necessità di risparmio di denaro pubblico; tanto più che la medesima clausola 5, già menzionata, lascia agli Stati membri un’ampia libertà di azione e di scelta degli strumenti finalizzati ad evitare gli abusi nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato.
Considerato
che, quanto alla competenza di questa Corte a valutare la conformità di una
normativa nazionale al diritto dell’Unione europea, occorre ricordare che,
conformemente ai principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia 9
marzo 1978, in causa C-106/77 (Simmenthal), e dalla successiva giurisprudenza
di questa Corte, segnatamente con la sentenza n. 170 del 1984 (Granital),
qualora si tratti di disposizione del diritto dell’Unione europea direttamente
efficace, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità
comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando – se del caso – il
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e nell’ipotesi di contrasto
provvedere egli stesso all’applicazione della norma comunitaria in luogo della
norma nazionale; mentre, in caso di contrasto con una norma comunitaria priva
di efficacia diretta – contrasto accertato eventualmente ediante ricorso alla
Corte di giustizia – e nell’impossibilità di risolvere il
contrasto in via interpretativa, il giudice comune deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando poi a questa Corte valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario (nello stesso senso sentenze n. 284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del 2012);
contrasto in via interpretativa, il giudice comune deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando poi a questa Corte valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto comunitario (nello stesso senso sentenze n. 284 del 2007, n. 28 e n. 227 del 2010 e n. 75 del 2012);
che
la Corte di giustizia ha ritenuto la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro
priva di efficacia diretta (sentenza 15 aprile 2008, in causa C-268/06, Impact,
punti 71, 78 e 79; sentenza 23 aprile 2009, in causa C-378/380/07, Angelidaki,
punto 196), dovendosi tra l’altro valutare la sussistenza di eventuali «ragioni
obiettive» ai sensi della direttiva, che possano giustificare lo scostamento
dell’ordinamento nazionale dai principi da essa stabiliti;
che non è possibile risolvere il quesito in via interpretativa, secondo quanto correttamente prospettato dai giudici rimettenti, i quali non potevano infatti superare in tal modo l’ipotizzato contrasto tra le norme interne e quelle della
direttiva;
che non è possibile risolvere il quesito in via interpretativa, secondo quanto correttamente prospettato dai giudici rimettenti, i quali non potevano infatti superare in tal modo l’ipotizzato contrasto tra le norme interne e quelle della
direttiva;
che,
infatti, in base alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e
CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28
giugno 1999, n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato), allo scopo di prevenire gli
abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro
a tempo determinato, gli Stati membri sono tenuti – in assenza di norme
equivalenti per la prevenzione degli abusi – ad introdurre una o più misure
attuative, tranne che non vi siano ragioni obiettive che giustifichino il
rinnovo di tali contratti, ovvero ad introdurre norme che indichino la durata
massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato
successivi o il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti;
che
la Corte di giustizia ha rilevato che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo
quadro ad essa allegato devono essere interpretati nel senso che essi si
applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le
amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (sentenze 8 settembre
2011, in causa C-177/10, Rosado Santana; 7 settembre 2006, in causa C-53/04,
Marrosu e Sardino; 4 luglio 2006, in causa C-212/04, Adeneler);
che,
in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la clausola 5,
punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta
all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi,
giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione
legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro; e che, viceversa, l’esigenza
temporanea di personale sostitutivo, prevista da una normativa nazionale, può,
in linea di principio, costituire una ragione obiettiva ai sensi di detta
clausola (sentenza 26 gennaio 2012, in causa C-586/10, Kucuk, punti 30-31);
che,
in relazione all’attuazione di tale direttiva nell’ordinamento italiano,
occorre ricordare che:
1)
il pubblico concorso costituisce il metodo necessario e inderogabile anche per
l’assunzione di personale scolastico, docente e non docente, in base
all’articolo 97, terzo comma, della Costituzione, il quale dispone che agli
impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso;
2)
la direttiva ha avuto attuazione con il decreto legislativo 6 settembre 2001,
n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul
lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES);
3)
l’art. 36, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), dispone che, in ogni caso, «la violazione di disposizioni
imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle
pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di
lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma
restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto
al risarcimento del danno derivante
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative»;
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative»;
4)
tale norma è stata ritenuta da questa Corte rispettosa degli artt. 3 e 97 Cost.
(sentenza n. 89 del 2003); e la Corte di giustizia ha affermato che la medesima
non è in contrasto con la clausola 5 dell’accordo-quadro sul lavoro a tempo
determinato, quando siano previste, «nel settore interessato, altre misure
effettive per evitare, ed eventualmente sanzionare, il ricorso abusivo a
contratti a tempo determinato stipulati in successione» (ordinanza 1° ottobre
2010, in causa C-3/10, Affatato, punto 51);
5)
per il personale della scuola, l’art. 10, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del
2001, di attuazione della direttiva che qui interessa, esclude che le
disposizioni del decreto, che prevedono per il pubblico impiego il risarcimento
del danno in caso di abusiva reiterazione dei contratti a termine, si
applichino in relazione ai contratti a tempo determinato stipulati per il
conferimento delle supplenze del personale scolastico docente e ATA
(amministrativo, tecnico ed ausiliario), dato che la necessità di procedere,
per le supplenze nell’ambito del settore scolastico, alla
stipula di contratti a tempo determinato, anche ripetuti nel tempo, risponde ad esigenze peculiari ed insopprimibili di quel settore;
stipula di contratti a tempo determinato, anche ripetuti nel tempo, risponde ad esigenze peculiari ed insopprimibili di quel settore;
6)
a questo scopo, l’art. 70, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001 dispone che, per
il reclutamento del personale della scuola, sono fatte salve le procedure di
cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico
delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle
scuole di ogni ordine e grado), le quali disciplinano la formazione del
rapporto con il personale scolastico;
7)
in particolare, gli artt. 399 e 551 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabiliscono che
l’accesso ai ruoli del personale docente ed amministrativo avviene per il 50
per cento dei posti tramite concorso e per il 50 per cento tramite le
graduatorie permanenti, nelle quali è inserito il personale assunto a tempo
determinato e abilitato all’insegnamento;
8)
l’art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124 del 1999 – oggetto della questione
di legittimità costituzionale rimessa a questa Corte – disciplina il
conferimento delle supplenze per la copertura dei posti vacanti dei docenti e
del personale ATA; in particolare, il comma 1 dispone che alla copertura «delle
cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e
disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali
per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il
personale docente di ruolo delle dotazioni
organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo»;
organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo»;
9)
l’art. 1 del decreto del Ministero della pubblica istruzione 13 giugno 2007, n.
131, stabilisce che gli incarichi dei docenti e del personale amministrativo
della scuola sono di tre tipi:
–
supplenze annuali, su posti vacanti e disponibili, in quanto privi di titolare;
– supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche, su posti non vacanti, ma ugualmente disponibili;
– supplenze temporanee per ogni altra necessità, ossia supplenze brevi;
– supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche, su posti non vacanti, ma ugualmente disponibili;
– supplenze temporanee per ogni altra necessità, ossia supplenze brevi;
che
l’attribuzione dei tre tipi previsti di supplenza è resa necessaria,
nell’ordinamento nazionale, dagli artt. 33 e 34 della Costituzione, che
affermano il diritto fondamentale allo studio, il quale impone allo Stato
l’organizzazione del
servizio in modo da poterlo adattare anche ai costanti cambiamenti numerici della popolazione scolastica, per cui l’art. 4 della legge n. 124 del 1999 – sottoposto all’esame di questa Corte – risponde a tale necessità;
servizio in modo da poterlo adattare anche ai costanti cambiamenti numerici della popolazione scolastica, per cui l’art. 4 della legge n. 124 del 1999 – sottoposto all’esame di questa Corte – risponde a tale necessità;
che
non si potrebbe stabilire che all’attribuzione di tutte le supplenze annuali
(su posti vacanti e disponibili) si provveda con i contratti a tempo
indeterminato, perché in questo modo la Pubblica Amministrazione si esporrebbe
alla concreta possibilità di avere un numero di docenti superiori al
necessario, ipotesi, quest’ultima, da evitare in linea generale e, in
particolare, nel periodo attuale nel quale sussistono gravi necessità di
contenimento della spesa pubblica, anche in base ad impegni derivanti da
vincoli posti dall’Unione europea;
che,
infatti, in caso di successiva diminuzione della popolazione scolastica, la
copertura di tutte le cattedre effettivamente vacanti potrebbe determinare
esuberi del personale docente;
che
si tratta di un servizio attivabile a domanda, in quanto il diritto allo
studio, previsto dalla Costituzione, crea la condizione per cui lo Stato non
può rifiutarsi di erogare il servizio stesso, con la conseguenza che la domanda
di istruzione attiva automaticamente l’erogazione del servizio;
che
il sistema scolastico italiano presenta esigenze di flessibilità
fisiologicamente ineliminabili, riconducibili a diversi fattori, alcuni
indipendenti dalle scelte di governo, tra i quali: mutamenti continui della
popolazione
scolastica; attribuzione delle cattedre, in larga percentuale, ad insegnanti donne, specie per i cicli di formazione primaria, che esigono forme di tutela quanto ai congedi di maternità; fenomeni di immigrazione (allo stato attuale, circa quattro milioni di immigrati, che vanno doverosamente inclusi nel sistema scolastico);
scolastica; attribuzione delle cattedre, in larga percentuale, ad insegnanti donne, specie per i cicli di formazione primaria, che esigono forme di tutela quanto ai congedi di maternità; fenomeni di immigrazione (allo stato attuale, circa quattro milioni di immigrati, che vanno doverosamente inclusi nel sistema scolastico);
flussi
migratori interni da regione a regione; scelta di indirizzi scolastici da parte
delle famiglie; trasferimenti di personale docente di ruolo; presenza di sedi
disagiate e assegnazioni provvisorie, soprattutto nelle isole e zone di montagna;
a questi si aggiungono ulteriori fattori di flessibilità riconducibili a scelte
di governo, tra i quali: frequenti accorpamenti di istituti; diverse modalità
di programmazione delle classi; unificazione di indirizzi scolastici;
che,
pertanto, deve riconoscersi come nell’ordinamento italiano sia indispensabile
utilizzare un numero significativo di docenti e di personale amministrativo
scolastico assunti con contratti a tempo determinato, proprio per garantire la
costante presenza degli stessi in numero sufficiente a coprire le necessità di
tutte le scuole statali;
che
il sistema delle graduatorie permanenti del personale a tempo determinato,
affiancato a quello del pubblico concorso, è in grado di garantire sia che
l’assunzione del personale scolastico a tempo determinato avvenga con criteri
oggettivi – cioè senza abusi né disparità – sia di consentire a detto personale
di avere una ragionevole probabilità, nel tempo, di diventare titolare di un
posto di ruolo, con un contratto a tempo indeterminato;
che,
inoltre, la normativa nazionale è strutturata, almeno in linea di principio, in
modo tale che l’assunzione del personale scolastico con contratti a tempo
determinato – pur non prevedendo la durata massima di tali contratti, né il
numero dei rinnovi degli stessi – possa rispondere alle ragioni obiettive di
cui alla clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE;
che
in questo senso si è anche pronunciata la Corte di cassazione italiana, con la
sentenza 20 giugno 2012, n. 10127;
che, nel periodo intercorrente tra il 1999 e il 2011, vi sono state assunzioni con contratti a tempo indeterminato in misura limitata, con l’eccezione del 2011, nel corso del quale si sono verificate circa 66.000 nuove immissioni in ruolo, a seguito dell’elevato numero di pensionamenti del personale;
che, nel periodo intercorrente tra il 1999 e il 2011, vi sono state assunzioni con contratti a tempo indeterminato in misura limitata, con l’eccezione del 2011, nel corso del quale si sono verificate circa 66.000 nuove immissioni in ruolo, a seguito dell’elevato numero di pensionamenti del personale;
che
il ricorso a contratti a tempo determinato è in netta diminuzione, essendo
questi ultimi passati, in numero complessivo tra personale docente e non
docente, da 233.886 nel 2007 a 125.934 nel 2012;
che,
peraltro, le procedure concorsuali hanno avuto un lungo periodo di
interruzione, successivamente al concorso bandito nel 1999 – in corrispondenza
con l’approvazione della legge n. 124 del 1999 – e che sono state riavviate con
il concorso bandito nel 2012, sulla base del decreto del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca 3 agosto 2011, e attualmente
in corso di svolgimento, per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato
di 11.542 unità di personale docente, cui si aggiungono altrettante unità di
personale assunte dalle graduatorie permanenti dei docenti a tempo determinato;
ed è programmata l’assunzione di circa 5.300 unità di personale non docente;
che
l’art. 4, comma 1, della legge n. 124 del 1999 – oggetto del giudizio davanti a
questa Corte – nella sua parte principale, non appare censurabile, in quanto
regola la tipologia di supplenze – previsione necessaria per assicurare la
copertura dei posti vacanti di anno in anno – non disponendo, di conseguenza,
questa norma né il rinnovo dei contratti a tempo determinato prolungati nel
tempo, né l’esclusione del diritto al risarcimento del danno;
che,
peraltro, detta disposizione contiene, nella proposizione finale, la previsione
per cui il conferimento delle supplenze annuali su posti effettivamente vacanti
e disponibili entro la data del 31 dicembre abbia luogo «in attesa
dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale
docente non di ruolo»;
che
la previsione sopra richiamata, contenuta nell’ultima proposizione del comma 1
dell’art. 4 della legge n. 124 del 1999, potrebbe configurare la possibilità di
un rinnovo dei contratti a tempo determinato senza che a detta possibilità si
accompagni la previsione di tempi certi per lo svolgimento dei concorsi;
che
questa condizione – unitamente al fatto che non vi sono disposizioni che
riconoscano, per i lavoratori della scuola, il diritto al risarcimento del
danno in favore di chi è stato assoggettato ad un’indebita ripetizione di
contratti di lavoro a tempo determinato – potrebbe porsi in conflitto con la
citata clausola 5, punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE;
che,
di conseguenza, pur avendo la Corte di giustizia già pronunciato varie sentenze
sull’argomento, appare necessario chiedere alla medesima Corte in via
pregiudiziale l’interpretazione della clausola 5, punto 1, della direttiva n.
1999/70/CE, in rapporto alla questione sottoposta a questa Corte per il
giudizio di legittimità
costituzionale, poiché sussiste un dubbio circa la puntuale interpretazione di tale disposizione comunitaria e la conseguente compatibilità della normativa nazionale sin qui illustrata;
costituzionale, poiché sussiste un dubbio circa la puntuale interpretazione di tale disposizione comunitaria e la conseguente compatibilità della normativa nazionale sin qui illustrata;
che
– come si è già rilevato nell’ordinanza n. 103 del 2008 – quando davanti a
questa Corte pende un giudizio di legittimità costituzionale per
incompatibilità con le norme comunitarie, queste ultime, se prive di effetto
diretto, rendono concretamente operativi i parametri di cui agli artt. 11 e
117, primo comma, Cost.;
che
la questione pregiudiziale posta alla Corte di giustizia è rilevante nel
giudizio di legittimità costituzionale, poiché l’interpretazione richiesta a
detta Corte appare necessaria a definire l’esatto significato della normativa
comunitaria al fine del successivo giudizio di legittimità che questa Corte
dovrà compiere rispetto al parametro costituzionale integrato dalla suddetta
normativa comunitaria;
che
questa Corte – nella citata ordinanza n. 103 del 2008 – ha sollevato una
questione pregiudiziale di interpretazione in un giudizio in via principale;
che
deve ritenersi che questa Corte abbia la natura di «giurisdizione nazionale» ai
sensi dell’art. 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea anche nei giudizi in via incidentale.
Visti
l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e l’art. 3
della legge 13 marzo 1958, n. 204.
Per
Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
LA CORTE COSTITUZIONALE
1)
dispone di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via
pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni di interpretazione
della
clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE:
clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE:
–
se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n.
1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta all’applicazione
dell’art. 4, commi 1, ultima proposizione, e 11, della legge 3 maggio 1999, n.
124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) – i quali, dopo
aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti «che risultino
effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre», dispongono che si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo» – disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato senza indicare tempi certi per l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il diritto al risarcimento del danno;
effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre», dispongono che si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo» – disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato senza indicare tempi certi per l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il diritto al risarcimento del danno;
–
se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della
direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del
sistema scolastico italiano come sopra delineato, tali da rendere compatibile
con il diritto dell’Unione europea una normativa come quella italiana che per
l’assunzione del personale scolastico a tempo determinato non prevede il
diritto al risarcimento del danno;
2)
sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddetta questione
pregiudiziale;
3)
ordina l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente
agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione
europea.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 3 luglio 2013

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