Non è vero che se Dio è morto noi lo abbiamo ucciso.
Dio non è morto e la Fortezza e Giobbe sono la salvezza dalla sconfitta in questo nostro tempo di deserti
di Pierfranco Bruni
Ci sono giorni in cui il tempo si misura con l'orologio e le lancette segnano il passo nella sabbia. Ci sono giorni in cui si cercano le parole per trasformare il quotidiano della malinconia nella comprensione dell'altro. E l'altro, oltre Sartre, c'è. Esiste. Perché è nel cuore della pietà che vive. È nel cuore della compassione che si fa vita. È nel cuore della speranza che si intreccia alla misericordia.
Ci sono giorni in cui la solitudine viaggia tra gli sguardi e lo scavo nell'anima. Poi basta ritornare ad un paese dell'anima o della geografia reale per scompaginare i fogli della solitudine. "Un paese vuol dire non essere soli" (Cesare Pavese). Perché in questo paese ci sono le memorie che proustianamente si fanno frammenti di tempo perduto e ritrovato.
Ma noi io e voi e tu in quale caduta del perduto e del ritrovato ci troviamo ad abitare le nostalgie del presente? C'è sempre la "caduta" perché c'è sempre uno "straniero" (Camus) che occupa gli angoli della nostra pazienza. Se non ci fosse la pazienza ci affideremmo alla disperazione (Dalia Lama). Ma se non ci fosse il Venerdì Santo non ci sarebbe la rivoluzione vera della Redenzione. Tutto questo passa nei percorsi delle voci e dei silenzi che sono la vera metafisica del conflitto di questa nostra contemporaneità.
Non so se siamo moderni o contemporanei. Non so se siamo nel presente o se viviamo nel quotidiano. Siamo figli di un Mediterraneo dell'anima perché ci portiamo dentro una eredità occidentale ma non smettiamo di confrontarci e scontrarci con un Cristo che la sua universale memoria e presenza nella fedeltà mediterranea. Un Cristo universale ma è un Cristo che si porta la Croce di una storia profondamente scavata nel Getsemani di un Mediterraneo tra inclusioni e frontiere. Un Cristo che è Nascita ma è Passione. E non abbiamo bisogno di difenderci e neppure di essere difesi da chi non ha superato l'ira di una modernità che ha i fili di una costante sconfitta.
Questo uomo sconfitto, quasi quasimodiano o straziato nell'ungarettiana essenza, deve superare, attraversandolo comunque, il deserto. Si è nel deserto. Siamo nel deserto. Tutto il circo che ci circonda è un demone caduto dall'ultima stella e non abbiamo bisogno di stringere l'anima intorno al moralismo del dogma o dei cerchi danteschi (che tanto male hanno fatto all'uomo della speranza e della compassione) perché nel paolino concetto di bellezza si incentra tutta la salvezza che non abbiamo.
È un viaggio senza estetica quello che camminiamo perché è un viaggio dove la notte nera è l'ira, la rabbia, il tormento dell'intolleranza.
Incontrando uno sciamano nelle terre che furono dei Dakota mi disse: "Quando qualcuno ti colpisce con una offesa e ti lancia pensando di ferirti con la sua rabbia tu non rispondere. Sorridi. Quando qualcuno usa la parola come freccia per colpire il tuo cuore tu non ascoltare. Poniti in attesa del vento. Fermati e osserva i tuoi passi e poi continua nel tuo camminare. Ogni qualvolta la povere e la sabbia copriranno i tuoi piedi tu cammina. Cammina sempre. Il Grande Spirito albeggia nella compassione. Non ti porre in competizione l'agguato è sempre di fronte a te ma tu hai tante strade da vivere. Non rispondere ma porta in alto il tuo volo".
Ritorno spesso a meditare sulle parole dello sciamano. Poi continuo a leggere i miei poeti, i miei scrittori, la mia compagna filosofia dentro il poeta Abshu. Il dubbio e la Grazia, come mi ha sempre raccontato Simone Weil, sono un dono. La parola non ha certezza. Ha salvezza. Quella della speranza. Quella del Cristo sanguinante in Croce e quello che ritrova Maria di Magdala nella Luce della pazienza.
Questo nostro tempo di distacchi è un tempo sconfitto. Non è vero che se Dio è morto noi lo abbiamo ucciso. Nietszche è sulle mie rughe ma i viandanti del deserto sono pellegrini dell'attesa e la perdizione è il disastro che si intreccia nella contemporanea realtà. Ma noi siamo perdenti e forti.
La Fortezza e Giobbe sono la salvezza dalla sconfitta. Giobbe accompagna le nostre vite perché ha segnato la salvezza dei disperati.
Se il nostro tempo è sconfitto dobbiamo avere il coraggio di sfidarlo. Bisogna sfidarlo con la speranza e la pazienza.
Non vogliamo vincere. Non si vince mai. Vogliamo proporre la serenità (Seneca) e non il contrappasso (Dante ha ucciso il concetto di amore perdonante). Vogliamo proporre la carità (San Francesco di Paola) nella contemplazione e nella compassione (Budda).
Se questo nostro tempo è sconfitto dobbiamo avere il coraggio di sfidarlo con la Grazia, la speranza, la pazienza. Dobbiamo avere coraggio di trasformare il dubbio in salvezza!
Pierfranco Bruni
--
Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
Cell.: +39 347 69 11 862
MNews.IT
www.mnews.it
TweetYou. It e penso a te. la nuova idea.
www.tweetyou.it
0 Commenti