di Pierfranco Bruni - Lingua ed etnia in
Romania rappresentano modelli non solo antropologici ma storici all’interno di
un processo che non è solo culturale, ma
profondamente marcato da precise identità ed eredità. Ci si pone una domanda
immediata. Qual è la realtà culturale nei Paesi dell’Est Europa, quelli non “controllati”
dal sistema islamico? Qual è il legame con l’Occidente? Interrogativi che mi
pongo costantemente anche perché ci sono due fattori che insistono. Uno di
ordine antropologico e l’altro prettamente religioso. L’Occidente nell’Est
dell’Europa va consolidato. Questo non significa “occupare” un valore
identitario. Significa piuttosto creare una rete di legami che sono
principalmente culturali. C’è, sostanzialmente un mondo dell’Est che vive
l’Occidente e si frequenta nella cultura occidentale.
I Paesi islamici che
risentono delle eredità Ottomane hanno percorsi completamente diversi e
contrapposti alla cultura Occidentale sia Mediterranea che Atlantica. Le etnie
nei Paesi al “confinare” tra il Danubio e i Balcani presentano storie
articolate e diverse. La
Romania non è chiaramente la Macedonia e non è
neppure l’Albania.
Dopo il Crollo del Muro
soprattutto la Romania
si è occidentalizzata fortemente sia per le radici della propria lingua sia per
i rapporti che la cultura e gli intellettuali hanno intrattenuto con l’Italia, la Francia e l’Occidente. Ma
dentro questi percorsi le presenze etniche hanno un sostrato anche di derivazione
archeologica. Tra i luoghi danubiani e il territorio balcanico, la Romania è una geografia
che ha sempre costituito un legame, anche dal punto di vista etnico, con
l’Italia. Una geografia dell’esistenza che non ha mai smesso di leggere, in una
visione geo politica, il rapporto tra etnie e tradizioni.
Le minoranze etniche,
che non sono assolutamente poche, sono ben rappresentate nel Parlamento della
Romania. E ogni minoranza ha un suo rappresentante. Quindi, in una lettura
istituzionale, il rapporto tra etnie e territorio è chiaramente consolidato. Ma
si sentono dentro una cristianità ortodossa. Il fatto stesso che è un Paese
ricco di manasteri e chiese è un dato imprescindibile in un legame con
l’Occidente.
La minoranza che
presenta un maggior numero di presenze è quella Magiara, tanto che ha un suo
partito per essere rappresentata. Un’altra componente minoritaria viene
chiamata storicamente Sicula (che non ha nulla in comune con la Sicilia ), mentre nell’area
della Moldavia sono stanziati i Csango, ovvero provenienti dalla remora
Ungheria. Rom e Croati sono evidenti nei territori di Suceava e nella città di
Carasova. Sono presenti, tra le altre etnie, anche gli Armini e i Greci.
Con l’Italia, la Romania ha sempre avuto un
legame interessante sia dal punto di vista commerciale ed economico che
culturale. Dal punto di vista culturale gli intellettuali nati in Romania hanno
sempre avuto un rapporto straordinario con
la cultura italiana.
Soprattutto nel
Novecento. Scrittori, filosofi, archeologi che si son portati dentro la loro
tradizione, ovvero il complesso e articolato mondo “Romanus”, come si
sottolinea dall’etimologia stessa del nome Romania, hanno dialogato, lasciati
contaminare e contaminare, nell’Occidente antico e moderno.
Un nome e una lingua. Una
lingua neolatina con “inflessioni” di appartenenza romanza e soprattutto slava,
ma oltre il 75 per cento delle parole sono di origine latina e neolatina. Così
il mondo cattolico ha la sua forte prevalenza, chiaramente con le sue diverse
forme di rito.
Le etnie presenti in
Romania possono rappresentare una chiave di lettura di un mondo che era
esclusivamente considerato dell’Est e che oggi, culturalmente, lo si inquadra
in una visione certamente meta balcanica e danubiana, ma fortemente radicata ad
una tradizione occidentale.
Gli intellettuali del
Novecento hanno contribuito notevolmente a unire un modello di pensiero che è
quello di Mircea Eliade, di Vintila Horia, di Emil Cioran, di Eugene Ionesco,
di Paul Celan, dell’archeologo Dinu Adamesteanu con la cultura italiana e
mediterranea.
Proprio quest’ultimo,
Dinu Adamesteanu, nato nella piccola comunità di Toporu, della Regione
Muntenia, nel 1913 e morto a Policoro (in Basilicata) nel 2004, ha offerto, con
chiarezza, una chiave di lettura di una archeologia innovativa per la lettura
aerofotografica del territorio.
Uno studioso che ha
saputo guardare ad una archeologia “multidisciplinare” arricchendola con una
introspezione tra modelli puramente archeologici e aspetti antropologici dei
territori e, quindi, dei siti archeologici stessi. Riusciva a comparare
dimensioni etnoantropologiche e archeologiche intrecciandole tra modelli
provenienti dal Mar nero con quelle della Magna Grecia.
Tutta la sua tradizione
romena dentro il Mediterraneo. D’altronde la Romania ha saputo convivere con contaminazioni
eterogenee come anche quella turca. Il dato etnico rimane importante,
soprattutto per una Nazione che non ha mai smarrito la sua identità e,
nonostante il comunismo, ha recuperato quelle appartenenze che hanno eredità,
non solo linguistiche, ma culturali tout court, latine.
C’è una storia della
Romania nella cultura italiana. C’è una storia italiana nell’identità della
Romania. Circa il 4 per cento del vocabolario della lingua romena è fatto con
parole italiane o derivanti dall’italiano.
I codici di koinè
italiana costituiscono un tassello etnico nella formazione di una Nazione non
solo rimasta sempre nell’Europa, ma culturalmente profetica nella cultura del
Mediterraneo: da Ionesco ad Horia, da Eliade a all’archeologia praticata da
Adamesteanu. Nella cultura italiana e occidentale il pensiero filosofico della
Romania è importante e va riconsiderato proprio in una visione tradizionalista
dell’identità tra storia e civiltà.
In fondo la Romania è riuscita a stabilire, con lungimiranza,
un confronto tra le etnie di una civiltà di origine latina tra cultura
danubiana e balcanica. Da anni mi occupo di queste questioni ed è un
approfondimento che intreccia la storia moderna e le radici antropologiche su
un sostrato in cui la letteratura ha la sua specificità.
Se dovessi ripercorre un
viaggio nei Balcani farei una attenta distinzione tra il mondo cristiano, la
presenza cattolica latina, la presenza ortodossa e le diverse insistenze
islamiche.
na distinzione che vale
certamente una identità all’interno del variegato “pianeta” che unisce e divide
gli Occidenti dagli Orienti. Occorre che le distinzioni ci siano perché c’è un
Occidente sommerso che recupera, tra l’altro, tradizioni di culture come quella
neolatina della Romania, e c’è un Oriente vasto il cui incrocio è triangola
rizzato tra Mediterraneo, modelli asiatici e Balcani.
L’Europa, in questa
lettura, potrebbe diventare un perno fondamentale soprattutto nella temperie
che attraversiamo in questo nostro tempo di sgradevoli sradicamenti. Va
consolidato il rapporto tra un’Europa dell’Est, assolutamente non musulmano, e
l’Occidente. Ciò non solo in una chiave di lettura politica e storica, bensì
anvchje linguistica, antropologica e chiaramente etnica.
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