di
Pierfranco Bruni - Oltre
lo schema del bene culturale nella visione della tutela e della conservazione,
c’è, ormai, una lettura antropologica che interessa tutti i campi di un
patrimonio che si testimonia con la sua identità e con la “ragione” di una
eredità. Ma il tempo della dialettica, sul concetto di conservazione e di
tutela, va “disarticolato” per articolarlo in quel concetto che è sottolineato
sia nel Codice dei Beni Culturali, sul quale più volte mi sono soffermato con
diverse pubblicazione, sia nella Riforma Franceschini (l’attuale ministro dei
Beni culturali), che va applicata proprio alla luce di una nuova forma di un
dialogare con il patrimonio nazionale.
Il
bene culturale può essere l’espressione di una civiltà nazionale?
Un
punto sul quale bisogna riflettere, perché oggi siamo nel tempo della
riscoperta delle Identità. Soltanto la testimonianza di una civiltà, ovvero la
civiltà che si fa testimonianza, può dare una manifestazione propriamente
identitaria.
Il
rapporto tra l’elemento archeologico e il territorio non significa soltanto
definire un perimetro geografico in uno spazio temporale. L’archeologia,
cosiddetta pura, non deve avere più un suo senso autonomo rispetto alle altre
forme che sono l’antropologia, i fenomeni etno-linguistici, la geografia fisica
di un determinato contesto. Così come la storia dell’arte o l’architettura non
possono essere scissi da ulteriori manifestazioni che sono il vissuto dei
linguaggi comunicanti tra tempo e metafisica.
C’è,
ormai, una metafisica del bene culturale perché insiste una filosofia
dell’approccio tra ricerca e valorizzazione in un processo che è
etno-antropologico. Un luogo è l’essenzialità della sua storia che diventa
appartenenza. Ma ciò diventa trasmissione di valori nel momento in cui si
comprende che in una società sradicata, e in un viaggio esistenziale di popoli
sradicanti, si avverte la necessità di ricontestualizzare l’identità nazionale.
D’altronde
la Legge del
1939 aveva una base forte, che era quella, appunto, della cultura come
espressione di una storia nazionale. Una storia che aveva un suo senso in un
orizzonte che era quello pedagogico. Il raccordo tra la Riforma scolastica gentiliana
e gli Ordinamenti sui beni culturali di
Bottai costituivano un architrave fondamentale.
Il
legame tra patrimonio nazionale della storia interagiva con i processi
pedagogici dai quali diventava riferimento il Vocabolario dell’Identità. Ciò è
possibile se la storia antica, ovvero il passaggio dall’archeologia alla
modernità, assume quella valenza filosofica che racchiude il linguaggio
identitario.
Questo
linguaggio, necessariamente con la
Riforma , si apre ad un processo culturale che diventa
consistenza (o coesistenze) di conoscenze. La fruizione è il tassello che parte
dalla conoscenza per siglare il mosaico della valorizzazione.
Il
fraseggio “beni e attività culturali” ha una sua filosofia che, comunque, non
si contrappone alla tutela e alla conservazione, anzi, ma va oltre perché il
tempo che viviamo è “furbescamente” un tempo dell’immagine e dell’immaginario.
Il
turismo, infatti, vive di immagine e di immaginario. È qui il punto innovativo
del discorso sui beni culturali che rappresentano, nonostante la svagatezza
dell’attualismo, il patrimonio identitario di una civiltà certamente, ma anche
di una comunità, di un popolo inteso come Nazione, di una partecipazione.
Occorre
partire da una discussione sul concetto di archeologia per aprirsi ad una
realtà che non può fare a meno di una identità.
L’identità è la priorità di una eredità spirituale che va considerata
come principio metafisico.
I
beni culturali, dunque, a partire dallo sviluppo dialettico intorno al rapporto
tra archeologia e culture, sono ricerca, nell’incipit del processo scientifico,
ma sono anche pedagogia dell’anima. Da qui un modello per un orizzonte
identitario che possa guardare con attenzione ad una cultura occidentale che
sappia confrontarsi con un mondo variegato qual ‘ quello dell’Oriente.
I
beni culturali sono sempre più l’identità spirituale, oltre ad essere dei beni
materiali, di un popolo. In questa visione l’archeologia è l’eredità metafisica
di una civiltà.
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