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Canolo, pane, tarantella e 'ndrangheta

Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, comunica…”Hanno provato a costringerlo a ballare la tarantella, in segno di sottomissione. Lo hanno offeso e tentato di intimidirlo, invitandolo ad abbandonare la festa. La sola presenza di Giuseppe Trimarchi in Piazza 25 Aprile a Canolo ha scatenato la reazione di chi non tollera l'espressione della libertà, le prese di posizione antindrangheta, l'impegno per la cultura, la solidarietà, la civiltà, la democrazia. Quanto accaduto la sera del 10 agosto durante la "Festa del pane" è l'ennesimo atto di una strategia intimidatoria contro chi lotta per un'alternativa concreta. C'eravamo anche noi mentre Giuseppe veniva accusato per le sue scelte, mentre gli veniva contestato minacciosamente di avere scritto parole sbagliate. Non lo abbiamo lasciato solo nella Piazza di Canolo, a manifestare il diritto di partecipare alla vita del paese. Siamo stati al suo fianco e continueremo a farlo. Perché siamo tutti noi ad essere stati minacciati per aver rifiutato un certo modello culturale, per aver deciso di parlare, di raccontare, di denunciare. Siamo convinti che le feste di paese siano di tutti e non di chi le ha finanziate. Crediamo che la vita politica e culturale di un luogo appartenga a chi lo vive e non a chi lo gestisce. Siamo convinti che ballare la tarantella sia un momento di gioia collettiva, di tradizione, ma soprattutto di libertà. Giuseppe è da sempre tra noi e con noi, le sue scelte sono le nostre, e quel territorio è terra che appartiene ad ognuno di noi. È questa la nostra cultura: vogliamo una Calabria libera e consapevole e non smetteremo di lottare neanche di fronte alle minacce. Stopndrangheta.it, Arci Comitato Territoriale RC, Libera Locride, Calabria Solidale, Libera Piana, Recosol Calabria, Collettivo Nuvola Rossa Villa San Giovanni, Gianluca Congiusta onlus, Libera Reggio Calabria, Libera Calabria”. L'edizione del 2014 organizzata dall'ASPI KANALIS
CANOLO, PANE, TARANTELLA E ‘NDRANGHETA…”AMICU, ‘MBASCIA ‘A CRISTA, ‘CHÍ, TI STA’  ‘LLARGANDU TROPPU!”
Domenico Salvatore


Il 13 Agosto 2014, a Canolo (Reggio Calabria), non andava in onda una gara nazionale sul pane. Sebbene, il pane di Canolo per bontà e fragranza, non abbia nulla da invidiare a quello di Altamura…un tipico pane pugliese ottenuto da un impasto di semola di grano duro rimacinata molto ricca di glutine (arriva fino al 14%), a lievitazione naturale e cotto nel forno a legna… Il pane DOP di Altamura, la focaccia, i biscotti, prodotti tipici…. Si celebrava la sagra del pane, giunta alla quarta edizione. Un momento di aggregazione, di comunione, di socialità, di ricreazione, incorniciate nel programma estivo. Qui, a cominciare da Siderno, siamo in piena zona ad alta densità mafiosa. A parte la stagione del clan dei D’Agostino; una della ‘ndrine più gettonate del gotha mafioso calabrese. Non tutto è ‘ndrangheta, come dice, il procuratore aggiunto della DDA; ci sono le persone perbene, oneste, amanti del quieto vivere e della legalità. Ma la presenza della “Gramigna” si sente, eccome. Si legge nell’ordinanza “Saggezza”…” Parlare degli 'ndranghetisti che dominano sul “locale” di Canolo, è parlare di quei vermi della cosca GULLACE-RASO-ALBANESE ed affini. Sì, sono tutti una cosa... E parlare di loro significa parlare della “CORONA”, ovvero di quella sorta di cupola della 'ndrangheta utile tassello della collusione ed interessenza con la MASSONERIA e la POLITICA... Insomma, se Peppino Impastato ci ha spiegato che “la mafia è una montagna di merda”, questi sono la parte più puzzolente...Negli atti dell'Operazione “SAGGEZZA” della DDA di Reggio Calabria (leggi quil'OCC integrale - in formato .pdf), si legge:“una articolazione dell'associazione denominata "Corona", struttura cui facevano capo i '"locali" di 'ndrangheta di Antonimina, Ciminà, Ardore, Cirella di Platì e Canolo, finalizzata al controllo mafioso dei territori di tali Comuni ed al raggiungi mento degli scopi sopra elencati avvalendosi: della forza d'intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva; delle '"doti" da ciascuno possedute all'interno dell'organizzazione; dei vantaggi e collegamenti derivanti dalle sinergie criminali prodotte dal coordinamento dei cinque "locali" sopra menzionati; degli stretti rapporti con esponenti di rilievo del mondo politico e della massoneria; dei legami criminali con gli esponenti delle principali famiglie mafiose della provincia reggina, quali i Commisso di Siderno, i Cordì di Locri, i Pelle di S. Luca, gli Aquino di Marina di Gioiosa Jonica, i Vallelunga di Serra S. Bruno, i Barbaro di Platì, gli Ietto di Natile di Careri, i Primerano di Bovalino e con personaggi di assoluto spessore criminale all'interno della 'ndrangheta, quali, tra gli altri, Maesano Giovanni, Tripodo Antonino Venanzio.”E sul capo "locale" RASO Giuseppe si legge:"nella qualità di appartenente alla "Corona" e di capo locale di Canolo, faceva parte della struttura, in diretto contatto con il Melia, con compiti di decisione, pianificazione e individuazione delle azioni e delle strategie e, altresì impartendo le direttive agli associati del locale di appartenenza; in particolare, dirigendo e organizzando il locale, assumendo le decisioni più rilevanti, impartendo le disposizioni o comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, decidendo e partecipando ai riti di affiliazione, conferendo agli altri associati cariche e doti, curando i rapporti con le altri articolazioni dell'associazione nonché con esponenti del mondo politico e della massoneria, gestendo in prima persona le attività imprenditoriali di interesse per ilil sodalizio (nel settore dei pubblici appalti e nel settore del taglio boschivo).

Ed il “locale” Canolo è il “locale” del D'AGOSTINO Raffaele (condannato nel procedimento “IL CRIMINE”, in primo grado, con rito abbreviato – e quindi sconto di pena – a 5 anni e 6 mesi), con stretto legame alla Liguria... ma soprattutto è il “locale” al cui vertice, come detto, vi è il RASO Giuseppe detto “avvocaticchio” (condannato nel procedimento “IL CRIMINE”, in primo grado, con rito abbreviato – e quindi sconto di pena – a 5 anni e 4 mesi), fratellastro del GULLACE Carmelo a capo della cosca nel Nord-Ovest del paese. Quando il RASO chiamava per i summit mascherati da cerimonie di varia natura il GULLACE e tutto il verminaio dal Nord scendeva obbediente. Ed è proprio il RASO “Peppe” Giuseppe che era affiancato, prima dell'arresto, dal fratello del GULLACE Carmelo, il Francesco GULLACE detto “Ciccio” (il terzo fratello, Elio GULLACE dopo essere stato arrestato con Rocco PRONESTI', a Torino, con una pistola pronta a sparare, davanti all'ufficio del Giudice Istruttore “condannato” a morte dal GULLACE Carmelo, si “dedica” ora alle forniture di marmi - sic! - con la GIUMAR di Dolcedo a Imperia)... E' proprio quel Francesco GULLACE che in quella terra di Calabria, nella vecchia tenuta del boss Francesco FAZZARI, con il “numero uno” della cosca GULLACE-RASO-ALBANESE, RASO Girolamo detto “Mommo” e “il Professore” (cugino dei GULLACE), se la facevano sotto, di notte, quando “sentivano” i bambini ammazzati nella faida di Cittanova con i FACCHINERI.Fu proprio il RASO Giuseppe, ad esempio, che volle dare le “doti” all'Antonio RAMPINO, a capo per lunghi anni, sino alla morte, con il fratello Franco RAMPINO, della 'ndrangheta in Liguria, come “capo locale” di Genova, legato al vecchio boss Francesco FAZZARI (gli portava pure i soldi in contanti già nella vecchia casa di Genova, in via Vasto De Gama), così come ai GULLACE ed MAMONE che videro la loro ascesa "imprenditoriale" proprio dopo quel brindisi di Gino MAMONE, nel 1993, a Genova, con i boss Franco RAMPINO e Carmelo GULLACE.E se si para di “doti” non si può trascurare nemmeno che per il conferimento della “SANTA” al D'AGOSTINO Raffaele, a Canolo, erano certamente presenti gli esponenti apicali del “locale” FILIPPONE Rosario e RASO Giuseppe.Le bestie sono meglio di loro... Una cosa sola sono, da Canolo alla Piana di Gioa Tauro, salendo su, verso Nord, passando da Roma (dove c'è il “Mommo”, ovvero RASO Girolamo) e quindi nella "colonia" chiamata Liguria (con il GULLACE Carmelo e il suo verminaio – soprattutto tra Provincia di Savona e Genova) e poi espandersi sino alle alpi, come a Biella con il RASO Antonio, nel novarese e torinese, e poi nella pianura padana, dall'alessandrino con i PRONESTI', i SOFIO e compagnia che fa spola con Palmi, sino alla LOMBARDIA con il PRONESTI' ed i D'AGOSTINO... Per citarne alcuni e senza entrare nei dettagli della rete in SPAGNIA, AUSTRALIA ed Oltre Oceano sia a sud che a nord dell'equatore...Non hanno un briciolo di umanità.

Tra i principali protagonisti, con il gruppo del GULLACE Carmelo, della stagione dei sequestri di persona a scopro estorsivo. Loro rapivano i bambini. Rendevano di più... e poi si fregavano i soldi l'uno con l'altro. Li nascondevano sotto terra per poi pagare in contanti le loro "spesucce" con banconote che puzzavano di terra e naftalina, mentre le vite di quei bambini restavano segnate dal terrore per tutta la vita.Canolo, come anticipato, è da sempre considerato il “regno” della famiglia D'AGOSTINO, che vide il proprio esponente di spicco D'AGOSTINO Antonio (cl. 1943), assassinato a Roma il 2 novembre del 1976 al termine di un incontro di 'ndrangheta. Al vertice di quella famiglia vi era padre di Antonio, Nicola D'AGOSTINO, e quindi il D'AGOSTINO Domenico, Sindaco di Canolo, 'ndranghetista inserito anche in COSA NOSTRA...Quel Nicola D'AGOSTINO lo voleva morto ammazzato il boss Francesco FAZZARI (nel frattempo sempre più legato al killer GULLACE Carmelo, a cui aveva promesso in sposa la figlia Giulia FAZZARI che, con la sorella Rita, sarà l'intestataria fittizia di tutti i beni e le imprese del padre, come documentato anche da una lettera dello stesso Francesco Fazzari) che, in allora, scendeva in Calabria spesso, soprattutto con Franco RAMPINO. Lo voleva morto perché ritenuto responsabile dell'attentato ad una sua pala FL14 che teneva nella sua tenuta, rifugio e base logistica dei GULLACE-RASO-ALBANESE... Francesco FAZZARI incontro, in un bar, in Calabria, Nicola e Totò D'AGOSTNO per un “chiarimento”... poi a Roma, un killer uccise il Antonio D'AGOSTINO, se non ricordiamo male nella zona dell'EUR... Lo chiamarono al telefono del locale ove si trovava per evitare errori ed una volta individuato con certezza venne ammazzato. Ed il Francesco FAZZARI, subito dopo l'omicidio, avrebbe commentato “La pala l'hanno pagata”.Sono proprio una cosa sola questi luntruni... senza dubbio sono una sola enorme montagna di merda! E le montagne di merda si possono e si devono spazzare via!”. La democrazia e la libertà sono seriamente minacciate dai novelli dominatori,  tiranni, dittatori. Lo Stato, attraverso le sue articolazioni periferiche ed istituzionali, ha lanciato il sasso nello stagno, da almeno mezzo secolo. Serve maggiore consapevolezza e presa di coscienza. I procuratori della Repubblica, lo predicano da anni. Certe volte, nel deserto dei Tartari. Una vox clamantis in deserto. La notizia di Canolo, è su tutti i giornali cartacei e campeggia su quelli on line, radio e televisione e le agenzie di stampa. ”Hanno provato a costringerlo a ballare la tarantella, in segno di sottomissione. Lo hanno offeso e tentato di intimidirlo, invitandolo ad abbandonare la festa. La sola presenza di Giuseppe Trimarchi in Piazza 25 Aprile a Canolo ha scatenato la reazione di chi non tollera l'espressione della libertà, le prese di posizione antindrangheta, l'impegno per la cultura, la solidarietà, la civiltà, la democrazia….

”Pane, amore e fantasia? Nooo! Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida e Luigi Comencini non c’azzeccano. Pane, tarantella e ‘ndrangheta! Questa vicenda è ambientata in una zona bellissima della Calabria. Natura favolosa, verde, ossigeno. “Foreste vergini della Calabria”. Forse, la casa di campagna del padre Giove. Un balcone maestoso e solenne sullo Jonio. Ma basta spostarsi di qualche metro per ammirare le Isole Eolie o Lipari, che sono dall’altra parte, sulla Costa Tirrenica. Dice il Vangelo…”Pater Noster qui es in cælis:/sanctificétur nomen tuum;/advéniat regnum tuum;/fiat volúntas tua,/sicut in cælo, et in terra./Panem nostrum cotidianum/da nobis hódie;…”;… dacci oggi il nostro pane quotidiano…”L'Associazione nazionale città del pane, fonte Wikipedia, è un'associazione che raccoglie 50 comuni italiani di 15 regioni, interessati alla valorizzazione dei pani tipici legati al loro territorio e alla tutela della qualità del pane. Ha sede in piazza Garibaldi, 10 ad Altopascio, in provincia di Lucca. L'associazione svolge un ruolo di coordinamento di manifestazioni promozionali, di centro di documentazione e di diffusione della cultura del pane e per la valorizzazione della cultura e della storia dei comuni membri. L'Associazione è condivisione di principi e obiettivi. È coesione e lavoro di gruppo per iniziative congiunte quali: tutela e promozione del prodotto tipico;  promozione della cultura del pane;  promozione del territorio, inteso oltre i confini di un delimitato territorio, ma che ha come riferimento un luogo preciso per tutte le attività dell'Associazione. Per questo vuole realizzare, anche attraverso un centro di documentazione sul pane ed intese con le associazioni dei panificatori: l'atlante dei pani italiani; i programmi di educazione alimentare nelle scuole; la certificazione dei pani delle città associate; la tutela del pane fresco artigianale; i progetti di turismo enogastronomico legati al pane.”. Una sagra paesana? Basta entrare in internet, c’è ti tutto, di più…Description.La “FESTA DEL PANE” permetterà di raccontare attraverso il pane ed i suoi connubi con gli altri prodotti non solo i sapori, ma anche le culture e i valori antropologici che essi rappresentano nelle identità locali. Scrive Carlo Macrì sul Corriere della Sera, settore cucina… Donne di oggi che rilanciano i mestieri scomparsi. Eccole Laura, Rosanna, Daniela, Debora, Stella e Caterina, la quintessenza della produttività femminile espressione di una capacità e laboriosità che si estende da generazioni. Diversa l’età, uguale la tempra. Vivono a Canolo, un comune aspromontano di 700 anime in provincia di Reggio Calabria. Un paese albergo si potrebbe definire, cinto da pinete secolari e vista mozzafiato. Da quassù lo Jonio sembra ad un passo. E lo è, infatti, perché tra Canolo e la costa la distanza è poco più di 20 chilometri. Mare-monti, una ricetta che le nostre donne hanno deciso di ripercorrere riprendendo le antiche tradizioni culinarie, trattando la materia con la metodologia d’un tempo e senza trasformazione alcuna, hanno pensato in prospettiva considerando il ritorno agli antichi mestieri, ormai perduti, come una delle possibili opportunità di lavoro in questo territorio. Prosciutti, culatelli, ‘nduja, formaggi e conserve vengono prodotti dalle imprenditrici dell’Aspro-monte come si faceva un tempo.

Allevano animali e dalle loro carni producono prosciutti, culatelli, capocollo, pancetta, salsiccia e ‘nduja. Dal latte ricavano formaggi e ricotta. Coltivano gli ortaggi e agrumi e utilizzano il prodotto per conserve. E, soprattutto, sfornano il pane di un particolare tipo di segale che cresce solo in queste zone. Tutto in maniera artigianale. E per fare tutto ciò non hanno abbandonato la loro terra e neanche gli impegni familiari. Prima di essere imprenditrici, sono, infatti, mamme e spose. Anzi proprio le radici culturali e ambientali sono stati i principali datori di lavoro di questo gruppo di donne eleganti e nello stesso tempo semplici, tenaci, combattive e austere. Non sono certo «female breadwinners», non sostengono la famiglia, ma sono parte principale delle loro aziende. Tutte al femminile dove gli uomini hanno sì un ruolo, ma non certo di primo piano. Nell’azienda agricola «Sapori antichi d’Aspromonte» Laura Multari, 42 anni, due figli, Nicola e Daria, ci introduce nel salumificio di famiglia.

Nelle celle fanno bella vista i prosciutti San Canolo pronti per essere spediti sulle tavole dei migliori ristoranti italiani. «Con gli otto ettari di terreno di nostra proprietà non siamo in grado di fare una grandissima produzione perché non abbiamo lo spazio per allevare i maiali» - si rammarica Laura. L’azienda ha una forza lavoro di cinque unità, ma potrebbero essere venti volte tante se la burocrazia facesse qualche sconto a chi ha idee e arte tra le mani. Nonostante Canolo sia un comune aspromontano e quindi ricco di praterie e terreni demaniali, vige il vincolo imposto dal Parco d’Aspromonte. «Al Comune abbiamo chiesto da anni di poter utilizzare o acquistare terreni in modo tale da allargare la nostra attività, ma è come se non ci sentissero»– rimarca Laura, con l’arguzia di chi sa bene che quest’opportunità potrebbe aprire nuovi scenari alla sua azienda. Attualmente la produzione è bloccata a circa 500 prosciutti. Il tempo della stagionatura è di 18 mesi. Si utilizzano carni di maiale bianco che vive allo stato brado e inoltre si cibano di segale, grano e mais, prodotti dalla stessa azienda. Il loro peso non supera i 200 chili e la macellazione avviene da ottobre a marzo. Tradizionale anche la stagionatura del culatello, del capocollo e delle soppressate, appesi al chiuso in stanze con tetto in tegole d’argilla per permettere l’areazione e affumicate dal fuoco di un camino che rimane accesso 24 ore al giorno. Debora, 16 anni, prima di andare a scuola prepara con la mamma, le zie e nonna Stella il pane di segale esportato in tutta Italia Alla frazione «Malivindi», sempre a Canolo, l’arte delle conserve è da sempre una tradizione di famiglia a casa Caruso. La marmellata di bergamotto, sottaceti, crema di peperoncino, origano, funghi, melanzane, pomodori sott’olio. Ma anche gli insaccati di maiale. Il prodotto che però ha reso famose le sorelle Rosanna, Daniela e Caterina è il pane di segale che esportano in tutt’Italia. A dar man forte nell’attività le mani rugose di Stella, mamma delle tre sorelle Caruso e quelle ancora tenere di Debora, sedici anni, studentessa all’Alberghiero. La sveglia per lei suona alle cinque del mattino. Due ore di lavoro nel panificio e poi di corsa a prendere il pullman per andare a scuola. «Mi diverto e sono orgogliosa di lavorare nell’azienda di mia madre»- dice mentre gira la macchinetta che insacca le budella di maiale.

Donne di oggi che rilanciano i mestieri scomparsi. Eccole Laura, Rosanna, Daniela, Debora,Stella e Caterina, la quintessenza della produttività femminile espressione di una capacità e laboriosità che si estende da generazioni. Diversa l’età, uguale la tempra. Vivono a Canolo, un comune aspromontano di 700 anime in provincia di Reggio Calabria. Un paese albergo si potrebbe definire, cinto da pinete secolari e vista mozzafiato.”. La distanza è poco più di 20 chilometri. Mare-monti, una ricetta che le nostre donne, hanno deciso di ripercorrere riprendendo le antiche tradizioni culinarie, trattando la materia con la metodologia d’un tempo e senza trasformazione alcuna, hanno pensato in prospettiva considerando il ritorno agli antichi mestieri, ormai perduti, come una delle possibili opportunità di lavoro in questo territorio. Prosciutti, culatelli, ‘nduja, formaggi e conserve vengono prodotti dalle imprenditrici dell’Aspro-monte come si faceva un tempo.


Allevano animali e dalle loro carni producono prosciutti, culatelli, capocollo, pancetta, salsiccia e ‘nduja. Dal latte ricavano formaggi e ricotta. Coltivano gli ortaggi e agrumi e utilizzano il prodotto per conserve. E, soprattutto, sfornano il pane di un particolare tipo di segale che cresce solo in queste zone. Tutto in maniera artigianale. E per fare tutto ciò non hanno abbandonato la loro terra e neanche gli impegni familiari. Prima di essere imprenditrici, sono, infatti, mamme e spose. Anzi proprio le radici culturali e ambientali sono stati i principali datori di lavoro di questo gruppo di donne eleganti e nello stesso tempo semplici, tenaci, combattive e austere. Non sono certo «female breadwinners», non sostengono la famiglia, ma sono parte principale delle loro aziende. Tutte al femminile dove gli uomini hanno sì un ruolo, ma non certo di primo piano. Nell’azienda agricola «Sapori antichi d’Aspromonte» Laura Multari, 42 anni, due figli, Nicola e Daria, ci introduce nel salumificio di famiglia. Nelle celle fanno bella vista i prosciutti San Canolo pronti per essere spediti sulle tavole dei migliori ristoranti italiani. «Con gli otto ettari di terreno di nostra proprietà non siamo in grado di fare una grandissima produzione perché non abbiamo lo spazio per allevare i maiali» - si rammarica Laura.
L’azienda ha una forza lavoro di cinque unità, ma potrebbero essere venti volte tante se la burocrazia facesse qualche sconto a chi ha idee e arte tra le mani. Nonostante Canolo sia un comune aspromontano e quindi ricco di praterie e terreni demaniali, vige il vincolo imposto dal Parco d’Aspromonte. «Al Comune abbiamo chiesto da anni di poter utilizzare o acquistare terreni in modo tale da allargare la nostra attività, ma è come se non ci sentissero»– rimarca Laura, con l’arguzia di chi sa bene che quest’opportunità potrebbe aprire nuovi scenari alla sua azienda. Attualmente la produzione è bloccata a circa 500 prosciutti. Il tempo della stagionatura è di 18 mesi. Si utilizzano carni di maiale bianco che vive allo stato brado e inoltre si cibano di segale, grano e mais, prodotti dalla stessa azienda. Il loro peso non supera i 200 chili e la macellazione avviene da ottobre a marzo.
Tradizionale anche la stagionatura del culatello, del capocollo e delle soppressate, appesi al chiuso in stanze con tetto in tegole d’argilla per permettere l’areazione e affumicate dal fuoco di un camino che rimane accesso 24 ore al giorno.

Debora, 16 anni, prima di andare a scuola prepara con la mamma, le zie e nonna Stella il pane di segale esportato in tutta ItaliaAlla frazione «Malivindi», sempre a Canolo, l’arte delle conserve è da sempre una tradizione di famiglia a casa Caruso. La marmellata di bergamotto, sottaceti, crema di peperoncino, origano, funghi, melanzane, pomodori sott’olio. Ma anche gli insaccati di maiale.Il prodotto che però ha reso famose le sorelle Rosanna, Daniela e Caterina è il pane di segale che esportano in tutt’Italia. A dar man forte nell’attività le mani rugose di Stella, mamma delle tre sorelle Caruso e quelle ancora tenere di Debora, sedici anni, studentessa all’Alberghiero. La sveglia per lei suona alle cinque del mattino. Due ore di lavoro nel panificio e poi di corsa a prendere il pullman per andare a scuola. «Mi diverto e sono orgogliosa di lavorare nell’azienda di mia madre»- dice mentre gira la macchinetta che insacca le budella di maiale.  Il Presidente Laura Multari…” Si è conclusa tra applausi e danze la IV edizione della Festa del Pane. L’edizione del 2014 organizzata dall’Aspi Kanalis di Canolo è stata caratterizzata dall’innovatività. Gli ospiti sono stati accompagnati, infatti, fin dal pomeriggio attraverso un percorso di degustazione e conoscenza dell’elemento principe delle tavole italiane: il Pane. Walter Cricri dell’INAP ha guidato un’interessante degustazione coadiuvato da Patrizia Pellegrini, naturopata, che ha spiegato agli ospiti i valori nutrizionali dei vari tipi di pane. La Festa del Pane di Canolo non voleva essere una semplice “sagra” del pane e, infatti, è stata un’occasione per esplorare il mondo dei pani dell’Aspromonte. Sono stati presenti infatti, oltre, ai produttori di Canolo anche produttori di Platì, Cittanova e Gerace . Non solo pane, inoltre, quest’anno alla Festa del Pane ma esplorazione dei Tesori del Parco peraltro esposti in maniera magistrale da parte degli organizzatori. Tesori da conoscere, conservare, valorizzare, promuovere e soprattutto sostenere per evitare che la memoria storica e identità di cui sono depositari non vada persa. È stato, infatti, molto interessante riflettere sulle opportunità di sviluppo per il territorio a partire dalle eccellenze gastronomiche che lo stesso esprime. Gli ospiti istituzionali presenti nelle persone del Sindaco Rosita Femia, l’Assessore provinciale all’Agricoltura Gaetano Rao e il Presidente del Parco Nazionale d’Aspromonte Giuseppe Bombino, il Vice Presidente di Coldiretti Gianluigi Hjeraci hanno, infatti, avuto modo di confrontarsi sulle future strategie di sviluppo. Gli ospiti hanno, dunque, avuto la possibilità di degustare un menù tipico e di farsi trascinare dalla coinvolgente musica dei Quartaumentata. In questa storia c’entra l’Associazione Libera. Più sotto diremo perché.
 "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie" è nata il 25 marzo 1995 con l'intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. Attualmente Libera è un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. La legge sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie, l'educazione alla legalità democratica, l'impegno contro la corruzione, i campi di formazione antimafia, i progetti sul lavoro e lo sviluppo, le attività antiusura, sono alcuni dei concreti impegni di Libera. Libera è riconosciuta come associazione di promozione sociale dal Ministero della Solidarietà Sociale.

 Nel 2008 è stata inserita dall'Eurispes tra le eccellenze italiane. Canolo [ˈkaːnolo] (Kànalos in dialetto greco-calabro, Cànulu in calabrese) è un comune italiano di 769 abitanti della provincia di Reggio Calabria, in Calabria.CANOLO
Il nome Canolo proviene dal greco καναλος (canale o fonte; latino canalis). Sono ricorrenti tra il popolo anche le forme dialettali «Canalo», «Canalu», «Canulu». Geografia fisica. Canolo si trova sui contraforti orientali dell'Aspromonte, sui Dossoni della Melia, dai quali domina la locride. Il paese è situato al centro di due canyon scavati nella roccia dalle fiumare Novito e Pachina. Il monte Mutolo domina l'abitato con le sue caratteristiche vette dette “Dolomiti del sud” per le loro forme. L'abitato di Canolo Nuova nata come conseguenza dell'instabilità geologica del vecchio centro si trova invece sui piani della Melia al centro dell'omonimo altopiano. Storia. Origine storica. Secondo l'ipotesi storicamente più accettata la fondazione deve essere collocata ai tempi delle invasioni saracene. Tra i secoli VII e IX la Calabria fu fatta oggetto da parte degli arabi di dure invasioni che non sfociarono però in una occupazione duratura (come in Sicilia) ma si limitarono a scorrerie e depredazioni. Nel 952 gli arabi attaccarono la città di Gerace e costrinsero gran parte della popolazione a rifugiarsi nelle zone più interne: è ipotizzabile che fu proprio in questa occasione che prese vita il primo nucleo abitativo di Canolo.Passaggi feudali ed elevazione a comune. Palazzo De Agostino. Per quanto riguarda la situazione feudale ed amministrativa Canolo fece parte per lungo tempo del principato di Gerace, ne fu casale e seguì la sorte che fu comune a tutti i piccoli territori e villaggi, cioè passò di mano in mano nelle compravendite, nelle guerre e nei giochi dei potenti, così appartenne ai vari rami dell'autorevole famiglia dei Caracciolo, poi fu di Alberico da Barbiano, passò agli Aragonesi, in seguito andò in mano a Stuart d'Aubugny e successivamente in quelle del Gran Capitano Consalvo di Cordova, successivamente appartenne alla famiglia De Marinis e poi, infine, ai Grimaldi. Nel 1783 fu colpito dal terremoto. Intorno al 1797 aveva 1570 abitanti e vi si praticava l'allevamento dei bachi da seta[3]. Il 19 gennaio 1807 Giuseppe Bonaparte emanò un provvedimento amministrativo che classificò Canolo come università e con il nuovo assetto del 4 maggio 1811, ad opera di Gioacchino Murat, Canolo divenne comune con aggregata la frazione di Agnana. Tale assetto fu confermato da Ferdinando IV Borbone il 26 agosto 1816. Agnana rimase frazione di Canolo fino al 1941.Disboscamenti, alluvioni, terremoti. Particolare delle montagne sovrastanti Canolo. Il provvedimento del 12 agosto 1806 emanato dal governo napoleonico che rendeva i boschi di proprietà pubblica diede l’inizio ad un disboscamento sfrenato delle zone intorno a Canolo compromettendo così la già fragile stabilità geologica del paese e, nonostante nel 1810 venisse creato il corpo delle guardie forestali e l'Azienda delle Acque e delle Foreste le condizioni di Canolo erano oramai sulla via del dissesto.


Numerosi disboscamenti abusivi, dove spesso venne accertata anche la responsabilità del guardaboschi, furono accertati in modo copioso e inutili furono i provvedimenti per sconfiggere il fenomeno. Oltre ai disboscamenti la compromissione del territorio di Canolo fu dovuta ai terremoti e alle numerose alluvioni che da sempre, ripetutamente, si sono abbattute sul paese. Il sisma del 1783 Provocò a Canolo due vittime, numerosi crolli e distrusse quasi completamente la Chiesa di San Nicola, costruita esattamente trenta anni prima. Nel 1879 gli organi provinciali fecero costruire un muraglione allo scopo di contenere lo straripamento del Novito ed un cunicolo all'interno del paese allo scopo di convogliare le acque piovane evitando che arrecassero danni alle strade e alle case. La prima alluvione che spinse gli amministratori di Canolo a chiedere agli organi provinciali la dichiarazione dello stato di calamità naturale si verificò nella notte tra il 19 e il 20 ottobre 1880. Nel 1881 si verificò una nuova alluvione, dovuta a ben cinque giorni di pioggia ininterrotta (dal cinque al nove ottobre) che provocò seri danni al paese non ancora ripresosi dall’alluvione dell’anno precedente. Addirittura il muro costruito nel 1879 fu spazzato via e il cunicolo costruito per lo scolo delle acque si otturò Si dovette aspettare il 1898 per costruirne uno nuovo. Le condizioni del paese erano oramai precarie e nel 1889 furono incaricati i geometri Pietro Corrado e Fortunato La Rosa di redigere una relazione in seguito alla quale l’amministrazione chiese invano aiuti per la ricostruzioni agli organi provinciali. Nel 1894 un altro terremoto distrusse completamente 12 case e incrinò pericolosamente la cupola della chiesa, costringendo le autorità a deciderne l’abbattimento. Nel 1905 si verificò un nuovo sisma e successivamente nel 1907 un nuovo evento sismico provocò altri danni. Il terremoto del 1908 distrusse completamente 25 case e di nuovo la chiesa di San Nicola. L’alluvione dell’ottobre 1951 provocò tre morti a Canolo e portò all’irrimandabile decisione, emanata con il D.M. del 2 aprile 1952, di trasferire il paese sui piani della Melia. Nacque così Canolo Nuova che divenne con il passare degli anni più popolosa di Canolo centro che rimane tuttora il centro comunale ufficiale. Politica. Viale Europa, il corso di Canolo Nuova. Il 4 dicembre 1886 venne ucciso Giuseppe Severino, sindaco del paese da 15 anni. Nelle elezioni per la costituente del 1946, si ebbe una lieve supremazia della DC ma si verificarono delle polemiche in quanto molti elettori furono indotti all'errore dalla frammentarietà della sinistra che portava ad avere sulla scheda simboli simili, ad esempio falce martello e spiga in particolar modo ma anche la falce e martello sul libro ed il sole del P.S.I.U.P.Un rilievo meritano anche gli intrecci tra politica e malavita dei quali Canolo è stato protagonista. La figura più carismatica è stata quella di Nicola D’Agostino, fattosi notare nell’immediato dopoguerra per avere capeggiato i contadini di Canolo in una rivolta agraria; divenne in seguito sindaco del paese per numerose legislature, venendo poi sostituito dal figlio Domenico, nel 1975, decaduto nel 1977 e resosi latitante in seguito all’incriminazione per aver partecipato alla strage di Razzà. Tuttavia la vera mente criminale della famiglia era stato il fratello di Domenico, Antonio, che riuscì a costruire un impero criminale presente oltre che sul basso ionio calabrese, anche a Roma Genova, Torino e Milano, e che venne ucciso a Roma nel 1976.” Domenico Salvatore









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1 Commenti

  1. Quante cazzate....avete rotto il cazzo con sta storia della lotta alla mafia..siete degli ascari al servizio del nemico, lo stato italiano, forcaioli del cazzo che non siete altro. I giudici sono la verità? Qualsiasi cazzata dicono è la verità? Ma andate a fare in culo voi e quei papponi di libera...

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