In margine all'operazione "Griffe", che conferma i rapporti internazionali delle mafie italiane con il famigerato clan dei Marsigliesi. una pericolosa ed agguerrita organizzazione criminale transnazionale, con base operativa nella Piana di Gioia Tauro, che provvedeva ad importare dalla Francia ingenti quantitativi di cocaina e hashish. Sequestrati a Palermo 75 kg di hashish e 2 kg di cocaina. La Squadra Mobile di Reggio Calabria, diretta dal dottore Gennaro Semeraro, ha arrestato 23 persone accusate di far parte di una organizzazione per delinquere finalizzata al traffico di cocaina e hashish. L'organizzazione aveva base operativa nella Piana di Gioia Tauro ed importava la droga dalla Francia. Per indicare il tipo di droga i trafficanti utilizzavano il nome di diversi marchi di griffe della moda. La polizia ha anche sequestrato un immobile a Gioia Tauro del valore di oltre un milione di euro.
QUEL TRIANGOLO D'ORO, ARMI & DROGA MARSIGLIA-PALERMO-REGGIO CALABRIA
L'operazione condotta dalla DDA diretta dal procuratore capo Federico Cafiero De Raho, ha prodotto numerosi arresti: 23 Ordinanze di custodia cautelare emesse dal G.I.P. presso il locale Tribunale, nei confronti dei sottoelencati soggetti:Arcangelo Furfaro (43) di Taurianova; Pietro D'Agostino (64) di Palermo;Girolamo Magnoli, 44 anni di Cannes (Francia); Girolamo Magnoli (33) di Antibes (Francia); Filippo Iannì (57) di Palmi; Salvatore Ierace (24) di Gioia Tauro; Ippolito Raso (25) di Cinquefrondi; Michelangelo Raso (36) di Taurianova; Salvatore Inzerra (46) di Palermo; Antonino Sala (29) di Palermo; Matteo Testa (29) di Palermo; Angela D'Alia (51) di Palermo; Antonio Sorrenti (27) di Gioia Tauro; Antonino Lofaro (33) di Gioia Tauro; Giovanni Sacco (51) di Palermo; Jerome Patrick Samarovski (25) di Cannes (Francia); Sodok Ghalloussi (25) di Cannes (Francia); Michele Giovanizzo (37) di Gioia Tauro; Mirko Lucchetta (25) e Carmelo Guerrisi (23), di Gioia Tauro Samir Saguia (37) di Casablanca (Marocco).
Domenico Salvatore
GIOIA TAURO (RC)-La 'ndrangheta storicamente è stata presente in Valpadana con la Picciotteria e la "Famiglia Montalbano"; ma soprattutto con l'Onorata Società al seguito delle varie ondate di emigranti (la buon'anima di Mario Merola la chiamava "Carn'e maciell"): La "Gramigna", ha avuto da sempre rapporti preferenziali con il così detto clan dei Marsigliesi, un'organizzazione italo francese, che aveva le mani in pasta, in diversi settori. Ma trafficava anche con Cosa Nostra e la Camorra e le altre mafie. Impazzavano in quegli Ani '60, pezzi da novanta del calibro di Giuseppe Rossi alias Jo le Maire; Albert Bergamelli; Jacques Berenguer e Maffeo Bellicini. In affari con Francis Turatello, inteso "Faccia d'Angelo", re della Valassina su cui dominava una banda criminale,costituita per lo più da immigrati di provenienza catanese; secondo molte fonti, era il figlio naturale del boss mafioso italo-americano, Frank Coppola detto Frank tre dita; condannato a numerosi anni di reclusione e carcere duro; soppiantato dal suo ex braccio destro Angelo Epaminonda, siciliano, detto "il Tebano", che fu vittima, nell'aula bunker di San Vittore a Milano, a colpi di pistola, di un tentato omicidio, eseguito dal mammasantissima Luigi "Jimmy" Miano, capo mafia dei Cursoti di Catania; ma poi, divenne un pentito di spessore e fece arrestare parecchia gente. Turatello, in rapporti anche con la Banda della Magliana, viene ucciso il 17 agosto 1981, nel carcere di massima sicurezza nuorese di Badu 'e Carros in Sardegna, da Pasquale Barra, in modo molto efferato: verrà accoltellato e successivamente sventrato. Per 'don Masino' Buscetta, il super-pentito di Cosa Nostra, il mandante sarebbe stato Luciano Liggio. Per il giornalista Giuseppe Marrazzo, il mandante sarebbe stato invece, 'don Raffaele' Cutolo, ex re della Camorra, recluso delle patrie galere.
E con Renato Vallanzasca, inteso "Il bel Renè" oppure "Il tenebroso", re della Comasina a Milano; condannato, complessivamente, a quattro ergastoli e 295 anni di reclusione. Capo della Squadra Mobile di Milano in quei tempi, a titolo di cronaca, è Achille Serra, che poi diventerà un famoso prefetto di ferro.
Il clan dei marsigliesi (conosciuto anche, come banda delle tre B) era un'organizzazione criminale nata a Roma nel 1973 e operante tra Francia e Italia durante la prima metà degli anni settanta. Attraverso il traffico degli stupefacenti ed una serie di redditizi sequestri di persona, il gruppo divenne un'autentica industria del crimine; il primo, capace di esercitare un certo controllo sul territorio, facendo fare un notevole salto di qualità alla piccola delinquenza di borgata romana. La storia della malavita romana, fino alla fine degli Anni Sessanta, racconta di una realtà fatta ancora di piccoli traffici d'usura, contrabbando di sigarette, gioco d'azzardo e di qualche rapina. Una situazione alquanto frastagliata, una mala disorganizzata, fatta di piccoli boss di borgata, che si accontentavano di governare il loro piccolo regno e che risolvevano i contrasti e le questioni d'onore a suon di coltellate (zaccagnate), più che con le armi da fuoco.
In questo panorama, agli inizi degli Anni Settanta, si registrò nella Capitale, l'arrivo di alcuni pregiudicati francesi, trasferitisi a Roma dal Nord Italia e provenienti in gran parte dal cosiddetto Milieu marsigliese, il cartello criminale francese che, proprio in quegli anni, era da considerarsi tra le più spregiudicate mafie europee dedite all'intermediazione nel traffico di sigarette e, soprattutto, degli stupefacenti, facendo da ponte tra la Turchia e l'occidente. Gangster di tutto rispetto e già noti all'opinione pubblica e alla polizia per una spettacolare rapina messa a segno il 15 aprile del 1964 nella centralissima via Montenapoleone di Milano, quando, otto banditi marsigliesi, guidati da Jo le Maire, detto il sindaco (ma che in realtà di chiamava Giuseppe Rossi) e dotati di mitra e pistole, irrompono a volto coperto in una gioielleria e ne escono poco dopo con denaro e preziosi per un bottino di duecento milioni di lire. Arrestati appena otto giorni dopo il fatto, vennero tutti processati e condannati a scontare pene comprese complessivamente fra i tre e i nove anni di reclusione.1973: le tre B. Tra gli uomini d'oro (come vennero battezzati dalla stampa di allora) di via Montenapoleone, c'era anche un malavitoso italo-francese specializzato in rapine e furti di vario genere e pluri-evaso da diversi istituti di pena: Albert Bergamelli.
Dopo l'ultimo arresto subito a Torino nel 1972, Bergamelli riesce di nuovo a far perdere le sue tracce e, nel 1973, si trasferisce a Roma dove, attraverso l'intermediazione del suo amico Jo le Maire, che, ha da poco aperto, un'attività di copertura come rappresentante di una marca di whisky, venne introdotto ai più noti criminali della città come Mario Castellano, Paolo Provenzano, Laudavino De Sanctis (detto Lallo lo zoppo) e il futuro boss della Magliana, Danilo Abbruciati. In particolare, però, Bergamelli, strinse subito amicizia con altri due marsigliesi: Maffeo "Lino" Bellicini e Jacques Berenguer. Bresciano d'origine e bandito di fama europea, Bellicini, aveva vissuto l' adolescenza in Francia, facendo apprendistato criminale nel clan di Jean Claude Vella, dedito allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione. Quando però, la sua banda, ebbe la peggio nella guerra per il controllo del territorio con i fratelli Zemmour, Bellicini decise di trasferirsi in Svizzera, dove realizzò una serie di colpi milionari prima di spostarsi in Portogallo, dove fu arrestato e rinchiuso in carcere per una rapina. Riuscito ad evadere, decise infine di trasferirsi in Italia, a Roma. Jacques René Berenguer, era arrivato a Roma, già nel 1971 ma, l'anno dopo, è costretto alla fuga, perché accusato dell'omicidio di una prostituta. Arrestato a Genova, nel 1973 inscenò una protesta di 96 ore sul tetto del carcere per sollecitare la concessione della libertà provvisoria.
Liberato, in quello stesso anno si trasferisce a Roma dove arriva già con la notorietà di un grande malavitoso. Arruolando alcuni tra gli elementi più spregiudicati della malavita locale, i trel misero in piedi una batteria altamente efficiente, conosciuta come la banda delle tre B (dalle iniziali dei cognomi dei tre boss) e, più tardi, come il Clan dei marsigliesi, che determinò progressivamente un deciso cambiamento dei rapporti di forze all'interno della piccola e frammentata delinquenza di borgata romana, imponendo, per gli anni a seguire, la sua legge nella capitale. Criminali esperti, gente dura e sfrontata, la banda, si dedicò inizialmente alle rapine, allo sfruttamento della prostituzione, alla gestione delle bische clandestine e soprattutto al traffico di stupefacenti, ben decisa a impiantare, su un terreno così vergine e fecondo, il colossale giro della droga liberandosi come prima cosa dei vecchi boss che proprio di spaccio non volevano sentir parlare: Sergio Maccarelli (detto er maccarello), Carlo Faiella, Ettore Tabarrani, Umberto Cappellari. 1975: i sequestri. Il primo colpo dei Marsigliesi ad avere grande risonanza, avvenne il 22 febbraio del 1975, quando, la banda, si rese responsabile di un crimine, che scosse l'opinione pubblica del tempo.
Durante una rapina, all'interno dell'ufficio postale di Piazza dei Caprettari a Roma, venne ucciso l'agente Giuseppe Marchisella e, quello che avrebbe dovuto essere un colpo miliardario, si risolse invece con un magro bottino di sole 400 mila lire e un morto ammazzato. Pochi giorni dopo, la giovane fidanzata del poliziotto si tolse la vita suicidandosi. Con l'inizio della stagione dei sequestri di persona, la banda fece il suo definitivo salto di qualità. Solo fra il 1975 e il 1976 ne portarono a termine ben cinque, come quello del gioielliere Giovanni Bulgari. La sera del 13 marzo 1975, nel traffico di auto in corso Italia a Roma, tre uomini armati scendono da una 'Giulia' e invitano l'autista della Fiat 132 che li precede a scendere e, dopo avere preso posto in macchina, invertono il senso di marcia e spariscono assieme all'altro passeggero: Gianni Bulgari, erede di una delle più famose gioiellerie del mondo. Dopo un mese di prigionia, il 14 aprile, sarà rilasciato dietro il pagamento di un riscatto miliardario. L'ingegner Amedeo Ortolani, figlio del finanziere Umberto e presidente della Voxon, venne sequestrato il 10 giugno del 1975, da un commando travestito da agenti delle forze dell'ordine. Rilasciato dopo 11 giorni di prigionia, la sua famiglia sarà costretta a pagare un riscatto di 800 milioni di lire.
Nell'ottobre del 1975 fu la volta del re del caffè Alfredo Danesi, sequestrato sotto la sua casa romana di Monte Mario, la prigionia atroce di venti giorni in un bugigattolo due metri per due, incatenato e imbavagliato, fino alla brillante operazione condotta dalla magistratura e dalle forze dell' ordine che riuscì a trarlo in salvo.1976: gli arresti. L'ascesa dei Marsigliesi, raggiunse i massimi livelli, proprio con la stagione dei sequestri di persona, che fruttarono alla banda, oltre che un discreto bottino (all'incirca 4 miliardi in totale), anche un'elevata reputazione negli ambienti della criminalità organizzata romana, incutendo timore agli oppositori e a chi avesse voluto intromettersi, negli affari della banda. Una bella vita fatta di donne, cocaina, macchine di lusso e appartamenti nei quartieri più ricchi, che venne però interrotta quando una serie di arresti, da parte delle forze dell'ordine, decimarono il clan, creando a Roma un vuoto di potere inaspettato. L'inchiesta portata avanti dal magistrato romano Vittorio Occorsio, individuò un collegamento criminale fra la massoneria deviata, il neofascismo romano, i servizi segreti e la banda dei marsigliesi. Albert Bergamelli, assieme a Lucas Bezian, venne arrestato il 29 marzo del 1976 in un residence sulla via Aurelia a Roma, rintracciato, seguendo i movimenti di una donna, Maria Rossi, che proprio per la sua banda curava la logistica dei rifugi.
Due giorni dopo, venne arrestato anche il suo avvocato, Gianantonio Minghelli, reo di aver riciclato somme di denaro provenienti dalle casse del clan. Maffeo Bellicini fu anch'egli arrestato; e poi, nell'agosto del 1976, riuscì ad evadere dal carcere di Lecce assieme al boss Graziano Mesina e ai due brigatisti Martino Zicchitella e Pietro Sofia, appartenenti ai Nuclei Armati Proletari. Gli agenti, lo riacciuffarono però, solo due mesi dopo, in un ristorante di Roma. Jacques Berenguer riuscì a fuggire a New York, dove venne poi arrestato nel 1980 ed estradato in Italia. 1981: la fine. Con gli arresti dei principali boss iniziò la stagione dei processi istruiti grazie anche alle inchieste di Vittorio Occorsio. Nel processo per i cinque sequestri di persona, compiuti dalla banda a Roma nel biennio 1975-1976, il 28 settembre del 1979 la Corte d'assise di Roma, espresse una sentenza di condanna per tutti i 15 imputati, tra i quali Bergamelli, Berenguer e Bellicini. Tra gli assolti ci furono invece l'avvocato Minghelli (già difensore di Bergamelli), il boss milanese Francis Turatello e Danilo Abbruciati, non ancora coinvolto, a quel tempo, nel progetto criminale della Banda della Magliana. Nel gennaio del 1981, alla vigilia del secondo processo contro la banda per la rapina di piazza dei Caprettari, uno dei complici (Giacomo Palermo) e la sua convivente (Angela Piazza), che avevano deciso di testimoniare accusando gli altri rapinatori, vennero sequestrati e portati in una villa a Lavinio.
Li vennero poi costretti a scrivere una falsa «ritrattazione» che verrà poi recapitata al Tribunale, ed infine vennero barbaramente trucidati. Il 25 febbraio del 1981 il processo arrivò al termine. Ai cinque imputati Albert Bergamelli, Jacques Berenguer, Angelo Amici e Laudovino De Sanctis, che nel processo di primo grado, erano stati assolti per insufficienza di prove, venne invece comminata la condanna alla pena dell'ergastolo. Albert Bergamelli, tradotto nel carcere di Marino del Tronto in provincia di Ascoli Piceno, il 21 agosto del 1982, venne ucciso da Paolo Dongo, un detenuto comune, appartenente alla cosiddetta Banda dei Genovesi. Jacques Berenguer, invece, giocò la strada della semi-infermità mentale ma, nonostante l'intervento di personaggi legati alla loggia massonica P2, come Aldo Semerari, restò comunque in carcere mettendo fine alla propria attività criminale. Venne poi ucciso, nel 1990, nel carcere di Nizza. La storia del clan, non venne mai chiarita fino in fondo, anche a causa di legami mai del tutto trasparenti con alcuni ambienti dell'eversione nera, della massoneria e dei servizi segreti deviati. Gli arresti che nel 1976, decapitarono il clan decretarono, comunque, la definitiva uscita dalla scena criminale romana dei marsigliesi, dando luogo ad una vera e propria fine di un'epoca.
Un vuoto di potere inaspettato che, da li a poco, rese possibile l'avvento di una nuova generazione di piccoli boss romani, malavitosi provenienti dai vari quartieri capitolini che, cresciuti con il mito dei gangster francesi, iniziarono a organizzarsi in piccole batterie (nuclei di quattro o cinque elementi dediti al crimine) per il controllo della propria zona d'appartenenza. La successiva unione di alcune di queste batterie, diede poi vita ad una vera e propria banda per il controllo totale dei traffici illeciti romani conosciuta come Banda della Magliana. Nel 1976, gli arresti dei principali boss del clan dei Marsigliesi, sancirono la definitiva uscita dalla scena criminale romana dei Francesi, creando un vuoto di potere inaspettato. Tale vuoto, rese possibile l'avvento di piccoli boss romani che, fiutato l'affare, iniziarono a organizzarsi in alleanze (chiamate in gergo "paranze" o "batterie", un nucleo di quattro o cinque elementi che si occupava di controllare la propria zona, nella quale era detenuto il potere esclusivo) coinvolgendo malavitosi, provenienti dai vari quartieri capitolini, come Trastevere, Testaccio, Ostiense e Magliana. Fu questa la situazione nella quale Franco Giuseppucci, detto er Fornaretto e in seguito ribattezzato er Negro, un buttafuori di una sala corse di Ostia con molte conoscenze nell'ambiente della mala romana, doti di leadership e grande carisma, iniziò a compiere i primi piccoli reati e a comparire nei verbali della polizia.
Vista la sua intraprendenza, considerato persona affidabile dai malavitosi più esperti, spesso e volentieri le varie batterie di rapinatori affidavano proprio a lui la custodia delle loro armi che, Giuseppucci, custodiva all'interno di una roulotte di sua proprietà parcheggiata al Gianicolo. Quando però, nel 1976, tale nascondiglio venne scoperto dalla polizia, Giuseppucci fu arrestato ma, grazie al vetro rotto della roulotte, in sede processuale venne a mancare il presupposto probatorio della sua consapevolezza che all'interno della roulotte fossero nascoste delle armi e la pena fu contenuta a qualche mese di detenzione. La Banda della Magliana è il nome attribuito a quella che è considerata la più potente organizzazione criminale autoctona che abbia mai operato nella città di Roma. Il nome, attribuito alla banda dalla stampa dell'epoca, deriva da quello del quartiere romano della Magliana, nel quale risiedeva una parte dei suoi componenti. Nata nella tarda metà degli anni settanta, la banda fu la prima organizzazione capitolina a percepire non solo la possibilità di unificare in senso operativo la frastagliata realtà della criminalità romana, ma anche a sentire l'esigenza di diversificare sia le proprie attività delinquenziali che andavano dai sequestri di persona, al controllo del gioco d'azzardo e delle scommesse ippiche,
alle rapine e al traffico di sostanze stupefacenti e sia di estendere la propria rete di contatti alle principali organizzazioni criminali del Paese, da Cosa Nostra alla Camorra, sino alla 'ndrangheta, nonché ad esponenti della massoneria, oltre che a numerose collaborazioni con elementi della destra eversiva, dei servizi segreti e della finanza. Una vera e propria holding-criminale che, per anni, impose la sua legge nella capitale e la cui storia, fatta anche di legami mai del tutto chiariti con politica e intelligence deviata, racconta di una zona grigia non ancora del tutto ricostruita nei dettagli sul ruolo dell'organizzazione in molti dei cosiddetti misteri italiani, dal coinvolgimento nell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, al legame con il sequestro Moro, ai depistaggi nella strage di Bologna, ai rapporti con l'Organizzazione Gladio e all'omicidio del banchiere Roberto Calvi, fino al rapimento di Emanuela Orlandi e all'attentato a Giovanni Paolo II. Tutto questo, per spiegare ai nostri lettori sovrani distratti (non a quelli, che ne sanno più di noi), che Roma, Capitale politica e Milano, 'Capitale Morale' degl'Italiani, hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi, due punti imprescindibili della mappa criminale. La 'Gramigna' che ha impiegato uomini, mezzi e grossi investimenti economici, non si sono lasciati sfuggire l'occasione per insediarsi. Tantissimi omicidi, sparatorie, sequestri di persona ed altri fatti, episodi ed eventi sono collegabili a questa strategia vincente.
Avete fatto caso, amici lettori sovrani, come Roma e Milano, ( ma anche Torino, Genova, Bologna, Firenze, Venezia, Trieste, Aosta, Trento), di riffe o di raffe, entrino in quasi tutte, le operazioni della DDA e non solo quelle?Anche l'ultima operazione della DDA reggina in collaborazione con Palermo come recita il comunicato stampa della Questura… "Nelle prime ore della mattinata odierna, personale della Squadra Mobile di Reggio Calabria e del Commissariato di Cittanova, con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo e della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, a conclusione di una articolata e complessa attività investigativa, coordinata dalla locale Procura Distrettuale Antimafia, ha condotto una vasta operazione antidroga nei confronti di esponenti di un'organizzazione criminale transnazionale, con base operativa nella piana di Gioia Tauro, dedita al traffico di sostanze stupefacente del tipo cocaina ed hashish. In particolare, sono state eseguite nr. 23 Ordinanze di custodia cautelare emesse dal G.I.P. presso il locale Tribunale, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti dei sottoelencati soggetti:
1) MAGNOLI Girolamo, nato a Cannes (Francia) il 7/09/1979;
2) MAGNOLI Girolamo, nato ad Antibes (Francia) il 29/02/1980;
3) IANNI' Filippo, nato a Palmi (RC) il 12/02/1956;
4) IERACE Salvatore, nato a Gioia Tauro (RC) il 25/07/1989;
5) RASO Ippolito, nato a Cinquefrondi (RC) il 10/02/1988;
6) RASO Michelangelo, nato a Taurianova (RC) il 04/01/1977;
7) SORRENTI Antonio, nato a Gioia Tauro (RC) il 22/09/1986;
8) LOFARO Antonino, nato a Gioia Tauro (RC) il 07/08/1980;
9) SACCO Giovanni, nato a Palermo il 21/11/1962;
10) INZERRA Salvatore, nato a Palermo il 28/07/1967;
11) SALA Antonino, nato a Palermo il 19/04/1984;
12) TESTA Matteo, nato a Palermo il 29/08/1984;
13) D'AGOSTINO Pietro, nato a Palermo l'11/04/1949;
14) D'ALIA Angela, nata a Palermo il 28/06/1962;
15) SAMAROVSKI Jerome Patrick, nato a Cannes (Francia) il 18/01/1988;
16) SAGUIA Samir, nato a Casablanca (Marocco) il 09/08/1976;
17) GHALLOUSSI Sodok, nato a Cannes (Francia) il 03/06/1988;
18) GIOVINAZZO Michele, nato a Gioia Tauro (RC) il 14/10/1976;
19) FURFARO Arcangelo, nato a Taurianova (RC) il 24/05/1969;
20) LUCCHETTA Mirko, nato a Gioia Tauro (RC) il 2.11.1988;
21) GUERRISI Carmelo, nato a Gioia Tauro il 16.7.1990;
L'indagine in argomento ha consentito di individuare una pericolosa ed agguerrita associazione criminale, a carattere transnazionale, attiva nella Piana di Gioia Tauro, i cui sodali provvedevano ad importare, con cadenza settimanale, ingenti quantitativi di sostanza stupefacente dalla Francia, per poi smerciarla in diverse regioni italiane quali la Sicilia, Lazio, Puglia e la Liguria.La sostanza stupefacente veniva trasportata a bordo di autovetture di grossa cilindrata che venivano predisposte in maniera tale da occultarne il contenuto, all'interno di vani sottoscocca.
Le attività tecniche hanno permesso, da un lato, di dare sempre maggiore nitidezza ai singoli episodi di narcotraffico, delineando, al tempo stesso, l'area geografica, nazionale ed internazionale, d'influenza del sodalizio, e, dall'altro, di individuarne gli appartenenti, tratteggiandone, specificamente, per ognuno, ruoli e funzioni esercitate.In particolare, al vertice della citata organizzazione criminale oggetto d'investigazioni è risultato essere l'indagato MAGNOLI Girolamo cl. 1979, il quale, oltre a promuovere, dirigere ed organizzare, l'associazione e le attività collegate, procurava in Francia lo stupefacente da importare in Italia. Il predetto, teneva contatti diretti con il gruppo di trafficanti residenti in Francia, per la maggior parte cittadini francesi di origine magrebina o figli di connazionali emigrati in Francia, tra i quali il cugino MAGNOLI Girolamo cl. 1980.L'indagine ha permesso di documentare diverse operazione di trasferimento dello stupefacente, in ingenti quantitativi, prima dalla Francia a Gioia Tauro e poi da qui veniva smistato verso altre regioni italiane.
Particolarmente intensi, sono stati i rapporti intercorrenti tra i calabresi e soggetti palermitani, il cui responsabile è stato individuato nell'indagato SACCO Giovanni, residente a Palermo, nel quartiere Brancaccio, il quale curava l'acquisto sistematico di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente direttamente dalla base calabrese, reperendo le risorse finanziarie necessarie e mantenendo continui contatti con MAGNOLI Girolamo ed i suoi intermediari. L'indagine, protrattasi per oltre due anni, è stata caratterizzata da una copiosa attività tecnica oltre che da mirati servizi di sorveglianza finalizzati a riscontrare il contenuto dei dialoghi intercettati, nonché da alcuni sequestri e da arresti in flagranza di appartenenti alla citata consorteria. In particolare in data 11/05/2011, sull'autostrada A3 SA/RC nel territorio di Eboli (SA), è stato sequestrato un carico di 75 kg di hashish nei confronti di due cittadini francesi; mentre in data 28/05/2011, sono stati sequestrati a Ficarazzi (PA), in una villa di contrada Badia, 2 kg di cocaina e tratte in arresto sette soggetti. Nel corso della stessa operazione veniva sequestrata anche la somma complessiva di denaro pari a 27.050,00 euro. Nel corso delle attività, gli indagati facevano ricorso a termini criptici e convenzionali per indicare il materiale illecito oggetto di consegna tra cui "D&G", "dolcè", "dolce e gabbana", "gold", "trucco", dal quale è derivato il nome convenzionale dell'operazione "Griffe". In particolare "D&G" (marchio della nota griffe "Dolce e Gabbana") è il logo impresso su alcuni panetti di hashish sequestrati.Nel corso dell'indagine è emerso, inoltre, che il prezzo della sostanza stupefacente variava a secondo della qualità/quantità acquistata.
In media, il prezzo dell'hashish oscillava tra i 1.400 ed i 1.700 euro al kg, mentre la cocaina tra i 45.000 ed i 50.000 euro al kg. Nella mattinata odierna, personale della Squadra Mobile di Reggio Calabria, dei locali Commissariati distaccati di P.S., in collaborazione con il Reparto Prevenzione Crimine Calabria, e grazie all'ausilio di personale del Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica di Reggio Calabria e di unità cinofile della locale Questura ha eseguito le Ordinanze di Custodia Cautelare in carcere nei confronti dei soggetti testé indicati.Tra i destinatari del provvedimento restrittivo, risultano cinque soggetti francesi, tre dei quali sono tratti in arresto in collaborazione con la Polizia francese, di concerto con il Servizio di Cooperazione Internazione di Polizia.Si rappresenta, infine, che con il medesimo provvedimento, è stato disposto il sequestro preventivo dell'immobile sito in Gioia Tauro, Contrada Sovereto, del valore stimato di oltre 1.000.000,00 di euro, nella disponibilità dell'indagato MAGNOLI Girolamo.Gli arrestati, dopo le formalità di rito, sono stati associati presso le locali case circondariali, a disposizione dell'A.G. procedente. Allo stato risultano irreperibili 2 cittadini francesi attivamente ricercati". Domenico Salvatore
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