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C'è differenza tra giustizia ed ipocondria da giustizialismo

Quale sia la differenza sottile, ma dirimente, che si staglia al confine tra giustizia ed ingiustizia - forse per certi versi, solo aleatorio- non può essere dato a sapere con certezza. Ciò che però scava un solco profondissimo - e peraltro pericoloso - è l’assioma inconfutabile che questo paese debba dipendere e soggiacere dalle vicende giudiziarie di una persona, di un privato cittadino che pretende l’erogazione di sentenze a piacere. Salvo poi gridare al complotto od alla congiura od alla persecuzione per cercare di spostare l’ attenzione dai fatti al vittimismo esasperato ed esasperante quale leit-motiv che compiace il proprio entourage, dotato di un pretesto in più per fare il gioco sporco contro il governo, le istituzioni ritenute avverse e la magistratura. C’è ne davvero per tutti.

Ma sarà mai possibile che il cittadino-imprenditore Silvio Berlusconi sia stato cassato in quanto ritenuto reo semplicemente per motivi strettamente legati ai fatti processuali, considerati fondati e meritevoli di conferma della condanna, così come avviene centinaia di volte all’anno, in un’ assordante anonimato, per altri cittadini? Perché non si deve, non si vuole e non si può scindere la figura del cittadino che può essere uscito dal tracciato stretto della legalità da quella del politico, capopartito e leader di un movimento visto come una sorta di re-sole infallibile ed incensurabile? Quale particolare immunità gode Silvio B., primus inter pares, affinché ciò non debba essere possibile? Ma già capovolgendo il fronte, le ritorsioni non si sono fatte attendere. Immantinenti. Un’ora dopo, eccolo in video a rappresentare le proprie ragioni, a ravvivare le proprie invettive e ad elargire le sue giustificazioni. Ovviamente tele-irradiate ed insindacabili. A quanti altri cittadini sarebbero riservate le medesime possibilità?

C’è il sospetto che la difesa mediatica di Silvio B., così strenua e marcata proveniente dai gangli endogeni del partito, soprattutto da una parte, un nucleo ben definito di stretti seguaci e cortigiani malpancisti, possa celare l’egida di un personale interesse - ritenuto in pericolo – che occorre salvaguardare ad ogni costo prima dell’ irrimediabile logoramento. La paura di perdere quella rendita di posizione così miracolosamente conquistata che potrebbe – d’un tratto - svanire o passar di mano. Allora smettiamola di credere nella giustizia e cediamo alle lusinghe della giustizia autoassolvente o fai da te. Perché se è vero che spesso l'ingiustizia derivante dall'applicazione della giustizia è devastante, ci sarebbe da chiedersi anche cosa ne sarebbe dell'ingiustizia derivante dalla mancata applicazione della giustizia. Perché - a distanza di 20 anni - questo paese debba ancora pendere dalle labbra delle vicende di un Silvio B. o (o del fù Andreotti o del fù Craxi, o di qualsivoglia altro leader politico) per poter determinare serenamente il suo destino? Perché si deve accettare la regola della sistematica sostituzione per equivalente secondo la quale le riforme debbano essere compiute solo quando ad subirne pregiudizio sia un interesse particolare?


Il riferimento è alla minaccia – apertis verbis – circa la urgenza della riforma del sistema giudiziario. In un paese normale quale stentiamo ad essere, allora, non sarebbe più utile pensare - nell’essenza e nella salvaguardia dell’interesse generale - che la riforma della giustizia – come qualunque altra - si dovrebbe ai cittadini prima che a Silvio B.? Perché il rischio serio è che il paese naufraghi alla deriva nel mare dell’individualismo del più forte, che comporti il capestro, talvolta intenzionale, di non saper più distinguere la differenza tra giustizia ed ipocondria da giustizialismo. Che Dio ce ne scampi.

 Giuseppe Campisi

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