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Sovraffollamento carcerario: quel fardello d'inciviltà postmoderna dell'Italia filo-europea che l'Europa ci castiga

E’ un valzer di cifre e dati che quasi mai riescono a restituire bene l’idea della complessità della tematica che dietro si cela e il più delle volte non bastano a raccontare le storie ed i vissuti dei quasi 66mila detenuti delle carceri italiane, tanti in più rispetto ai posti disponibili.

Si parla di circa 20mila (18.821) reclusi in eccesso, secondo le cifre fornite dal Ministero, ma contestate dalle diverse associazioni che si occupano del settore, che parlano invece di 30mila detenuti in eccedenza rispetto alla normale capienza e che ci mal dispongono - nella  particolare classifica europea – al poco invidiabile terzo posto per   Sovraffollamento e che è costata all’Italia, proprio per questo, la conferma della condanna per sentenza, da parte della Corte europea dei diritti umani,  ultimamente rigettandone il successivo ricorso. Con una ammonizione che ha praticamente obbligato il Parlamento ed il Governo ad intervenire per trovare rimedi strutturali a questa gravissima situazione di invivibilità carceraria.

Di più, gli appelli ed i moniti di Napolitano ad affrontare risolutivamente il problema, si sono sprecati. Ma ciò che rende davvero preoccupante la questione è il triste fenomeno dei decessi intramurari negli istituti di pena che tra suicidi e morti per così dire bianche, come rilevato da un dossier della rivista Ristretti Orizzonti, dal 2000 alla metà di giugno di quest’anno ha mietuto la cifra di 778 suicidi e 1392 decessi per altre cause. Questi dati, purtroppo, lasciano pochi spazi a dubbi e certamente riflettono l’idea che se si spera di giungere al  recupero in società dei detenuti è oltremodo necessario - se non addirittura urgente - rimediare offrendo condizioni di vita carceraria ovviamente diverse dalle attuali.

D’altronde la redenzione dal reato ed il reinserimento nel tessuto sociale sono i veri scopi di fondo alla restrizione della libertà personale. Purtroppo il nostro limite non si evidenzia soltanto nei numeri con 147 detenuti ogni 100 posti disponibili nelle 214 strutture penitenziarie della penisola. Si disvela anche nella capacità a non comprendere un certo abuso delle misure restrittive che hanno determinato nel corso dell’ultimo ventennio e sino al 2006 (anno dell’applicazione dell’indulto) una impennata, non sempre giustificata, dell’aumento della popolazione carceraria in detenzione anche per reati minori se non quando – addirittura - in attesa di giudizio.

Ed è a tal proposito che è utile rilevare che circa 25mila persone (fonte Ministero della Giustizia, dati aggiornati a maggio 2013) sono parcheggiate proprio in attesa di giudizio (indagati o imputati in custodia cautelare) con evidente aggravio di costi finanziari per lo Stato ma soprattutto umani, con ricadute psicologiche ed emotive talvolta devastanti che si ripercuotono sull’incidenza della triste contabilità mortuaria di cui abbiamo parlato prima.

Ciò non significa il voler venir meno alla certezza della pena, pilastro fondante di una società basata sul diritto. Significa voler rideterminare la geografia penitenziale incardinandola su forme nuove e migliorative come la  sperimentazione per i giovani della custodia attenuata, modello vincente osservato ad esempio nell’istituto Daga di Laureana di Borrello (che forse rischia di pagare la sua efficienza con la chiusura), come la depenalizzazione di alcuni reati minori,  o come l’adozione di misure detentive domiciliari per tal altra serie di reati minori che consentirebbero un certo sollievo alle strutture carcerarie tradizionali.

Un fatto è certo: il problema è serio ed annoso. Ed i tempi per risolverlo si assottigliano ogni giorno che passa, visto che il termine ultimo assegnato all’Italia, paradossalmente essa stessa condannata, è maggio 2014.

Dopo di ché tutti i già non poco vessati contribuenti italiani pagheranno come al solito di tasca le inadempienze di Parlamento e Governo.



Giuseppe Campisi

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