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Tumori: in Italia, 900 casi ogni anno di leucemia mieloide cronica (Lmc). Ematologi, oggi è più facile guarire.

PASSI AVANTI VERSO GUARIGIONE A BOLOGNA CONVEGNO CON SPECIALISTI.

Roma, 21 Gennaio 2013. La leucemia mieloide cronica (Lmc) ha una frequenza di circa 15 nuovi casi per milione per anno, che in un Paese come l'Italia vuol dire circa 900 nuovi casi ogni anno. Oggi, 4-5 pazienti su 10, tra quelli che, grazie alla terapia, ottengono la risposta molecolare completa, ovvero un livello talmente basso di cellule leucemiche residue da non poter più essere evidenziato con le comuni tecniche di monitoraggio, potrebbero arrivare a sospendere la terapia perchè guariti dalla malattia.

Il messaggio giunge da Bologna, dove si riuniscono i massimi esperti dell'ematologia italiana in occasione del convegno 'Cml Path to cure: Communicate Meet & Link to build the Path to Curè e si fa il punto sulle prospettive di cura di una malattia che oggi, in alcuni casi, può essere guarita. È una vera e propria rivoluzione - evidenzia una nota - quella che coinvolge la leucemia mieloide cronica, che fino a qualche anno fa sembrava una malattia invincibile, trattabile solo in casi selezionati con il trapianto di midollo, e che oggi può essere dominata grazie ai moderni inibitori della tirosinochinasi. «Dal 2000 - spiega Michele Baccarani, professore di Ematologia Università di Bologna - la scena terapeutica è stata dominata da imatinib, al quale fanno oggi compagnia almeno altri quattro inibitori delle tirosin-chinasi. Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che per almeno 20 anni era stato lo strumento terapeutico principale, l'unico in grado di produrre guarigioni, è ora impiegato solo nei casi di comprovata resistenza agli inibitori delle tirosino chinasi. La leucemia mieloide cronica rappresenta un modello di malattia 'pre-malignà che inevitabilmente diventerebbe maligna se non fosse colpita dai farmaci diretti specificamente verso la molecola leucemogena, farmaci che essendo specifici sono poco tossici per la parte sana dell'organismo».

Grazie all'introduzione delle nuove terapie con più potenti inibitori della tirosin-chinasi di Bcr-Abl (quindi capaci di andare a interferire direttamente e con maggior intensità rispetto a imatinib sul meccanismo genetico che dà il via alla malattia) come nilotinib, è aumentato il tasso di sopravvivenza dei pazienti affetti da Lmc e dunque di coloro che vivono con la malattia. Ma soprattutto le ricerche più recenti dimostrano che oggi è possibile anche giungere a una completa guarigione, cioè a non aver più bisogno di trattamenti farmacologici. Mediamente il 40-50% dei pazienti che ottengono la risposta molecolare completa dopo terapia può raggiungere l'obiettivo della guarigione, ovvero la sospensione del trattamento senza andare incontro a recidive. Le percentuali di successo terapeutico, in genere, sono maggiori nei pazienti che sono in cura da più anni e in coloro che fin dall'inizio avevano una malattia più mite e meno aggressiva. «Ovviamente queste percentuali si riferiscono ai casi in cui si è ottenuta la risposta molecolare completa - precisa Giuseppe Saglio, professore Ordinario di Medicina interna ed ematologia dell'Università di Torino - Ospedale Universitario S. Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino) - bisogna sempre ricordare che si ottiene una più elevata percentuale di risposta molecolare completa quando si impiegano inibitori della tirosin-chinasi più potenti, come nilotinib. Dopo quattro anni di trattamento con nilotinib, assunto al dosaggio di 300 milligrammi per due volte al giorno, il 40% dei pazienti in terapia raggiunge questo importantissimo obiettivo. Inoltre la terapia con nilotinib si è rivelata in grado di far raggiungere la remissione molecolare completa (la premessa perchè la sospensione della terapia possa almeno essere tentata) in una significativa percentuale di pazienti e in tempi molto brevi, con indubbi vantaggi per la qualità della vita dei pazienti e anche per le finanze del sistema sanitario nazionale». 

L'approccio 'Path to CureTm', sostenuto da Novartis, punta alla ricerca di nuove soluzioni terapeutiche e alla standardizzazione del metodo di misura della risposta alla terapia per definire una risposta molecolare ancora più profonda, la risposta molecolare completa. Inoltre con 'Path to CureTm' si sviluppano studi clinici specifici per consentire avanzamenti nelle conoscenze sulla patologia e favorire il raggiungimento dell'obiettivo 'guarigionè, quando ovviamente questo sia possibile. Ne è un esempio lo Studio EnestFreedom, che sta prendendo il via in queste settimane e mira a valutare la possibilità di sospensione della terapia con nilotinib. Il trial, che dovrebbe concludersi nel 2018, sarà effettuato in molti Paesi del mondo e coinvolgerà inizialmente 8 centri italiani. Oltre che sui trial clinici, la strategia 'Path to CureTm' si basa anche sull'opportunità di studiare con le migliori tecnologie disponibili in ogni Regione del nostro Paese l'evoluzione della malattia. «Noi ematologi - conferma Fabrizio Pane, direttore Uo di Ematologia e trapianti di midollo dell'Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli e presidente della Società italiana di ematologia (Sie) - abbiamo a disposizione farmaci estremamente efficaci e la possibilità di indurre la remissione ematologica abbastanza rapidamente in quasi tutti i pazienti. Per questo è fondamentale disporre di indagini per utilizzare al meglio i farmaci stessi e soprattutto per valutare l'effetto del farmaco sulla malattia». Per Pane «è anche grazie a questi test che oggi, nei pazienti che rispondono meglio alle cure, osserviamo un'aspettativa di vita paragonabile a quella dei pari età sani. Un esempio di questo approccio è il progetto Labnet, nato in Italia nel 2007, che coinvolge 40 laboratori in tutta Italia ed è nato sotto l'egida della Sie e gestito dal Gimema (Gruppo italiano malattie ematologiche) nell'adulto. In pratica grazie a Labnet si mettono in rete una serie di strutture specializzate in biologia molecolare in Italia che effettuano un monitoraggio della risposta molecolare di elevato livello e privo di carico economico per pazienti e ospedali attraverso metodiche sofisticate standardizzate e di elevata qualità». (Adnkronos Salute)


MEDICINA: VIA LIBERA IN USA A CEROTTO CONTRO MAL DI TESTA, ADATTO SOPRATTUTTO A PAZIENTI CON NAUSEA CORRELATA A EMICRANIA.


Addio pillole, il mal di testa si potrà curare con un cerotto. Le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti hanno infatti approvato il primo 'patch' anti-emicrania, che sarà d'aiuto soprattutto ai pazienti con nausea correlata a questo disturbo, che colpisce circa 30 milioni di persone solo Oltreoceano. La Food and Drug Administration (Fda) ha autorizzato Zecuity* di NuPathe, un cerotto monouso alimentato a batteria che rilascia attivamente il principio attivo anti-mal di testa sumatriptan attraverso la pelle. La decisione si basa sui dati di studi di fase III su circa 800 pazienti in trattamento con più di 10.000 patch: ne è emerso che Zecuity consente di liberarsi dal dolore per due ore al doppio delle persone rispetto al placebo (18% e 9%). Inoltre, l'84% dei pazienti trattati con Zecuity sono rimasti liberi da nausea per due ore rispetto al 63% del braccio di controllo. Secondo il principale autore dello studio, Stephen Silberstein, professore di Neurologia e direttore del Centro Cefalee Jefferson di Philadelphia, la nausea correlata all'emicrania può essere debilitante come il dolore dello stesso mal di testa, e «i trattamenti che bypassano il tratto gastrointestinale possono essere il modo migliore per trattare questi pazienti». Nel 2011 - ricorda 'PharmaTimes' - la Fda aveva respinto il patch per timori sulla sua sicurezza, in particolare per quanto riguarda alcune reazioni cutanee. Problemi che l'azienda ha ormai evidentemente risolto. NuPathe spera di lanciare il cerotto nel quarto trimestre dell'anno e sta intensificando l'impegno del trovare partner commerciali per il prodotto.


UNIVERSITÀ: A MILANO TORNA MASTER FARMACOVIGILANZA, 85% TROVA LAVORO = SENTINELLE SICUREZZA 'CORTEGGIATÈ DA AZIENDE, ASL E OSPEDALI, SBOCCHI ANCHE ALL'ESTERO.


È ai nastri di partenza la decima edizione del Master di secondo livello in farmacovigilanza organizzato dal Sefap, Centro interuniversitario di epidemiologia e farmacologia preventiva dell'università degli Studi di Milano. Istituito su richiesta del ministero della Salute, il Master fornisce gli strumenti specifici per valutare la sicurezza dei farmaci, a partire dagli effetti collaterali. Il corso attira studenti da tutta la Penisola - oltre che dalla Lombardia (46%), da tutte le altre regioni italiane e in particolare da Puglia (11%) e Campania (10%) - e offre ai giovani importanti sbocchi professionali: anche in tempi di crisi 8 diplomati su 10 trovano lavoro, assicurano i promotori. «Con il costante invecchiamento della popolazione, e con il conseguente uso sempre maggiore di farmaci - sottolinea infatti Alberico Catapano, ordinario di Farmacologia alla Statale di Milano e coordinatore Master - le attuali strutture di farmacovigilanza (statali, regionali, locali, pubbliche e private) hanno sempre più bisogno di una figura professionale con competenze per valutarla sicurezza dei farmaci». L'85% degli studenti che hanno frequentato il Master nelle prime 8 edizioni (la nona è ancora in corso) hanno trovato entro 12 mesi un lavoro nel settore farmaceutico, oppure hanno consolidato la loro posizione in Agenzia italiana del farmaco, grandi ospedali, centri di ricerca e multinazionali farmaceutiche. Le aziende del farmaco devono avere per legge un servizio di farmacovigilanza, ma questa attività viene eseguita obbligatoriamente anche in Asl e aziende ospedaliere, e a queste si aggiungono i Centri regionali di farmacovigilanza che collaborano con l'Aifa per valutare le segnalazioni che arrivano dalla Rete nazionale di farmacovigilanza. «In questo tipo di strutture lo studente in possesso del diploma di Master ha un accesso preferenziale alla posizione di 'farmaco vigilante junior'», evidenzia Catapano. «Spesso sono le stesse multinazionali farmaceutiche che, nella ricerca di personale da inserire nelle strutture di farmacovigilanza, preferiscono rivolgersi direttamente al nostro Centro e restringere la selezione agli studenti diplomati. Anche a livello internazionale, ed in particolare europeo - conclude - sono disponibili posti presso le autorità preposte alla farmacovigilanza».

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