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Roma, Funerali all'alba per il mammasantissima don Vincenzo Femia, il delitto, rientra nella faida di San Luca o della droga?

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‘Ndrangheta- il boss Vincenzo Femia, 67nne di Reggio Calabria, assassinato con una raffica di pallottole in faccia ed all’addome, era stato ucciso in una stradina buia nella periferia sud della Capitale, a Trigoria; il 25/01/2013 notte, in un agguato di chiaro stampo mafioso. Il boss mafioso, era stato indicato quale appartenente alla cosca Nirta di San Luca. Per la spartizione del territorio ed il mercato della droga, si aprono nuovi scenaria. La vittima era un  ‘personaggio di spicco’ della criminalità romana e calabrese; era referente a Roma, della ‘ndrina appartenente alla cosca  Strangio-Nirta-Giorgi di San Luca, conosciuta in tutto il pianeta per la famigerata, “ Strage di Duisburg”.
ROMA, IL QUESTORE DI REGGIO CALABRIA, GUIDO NICOLÓ LONGO,  VIETA LA CELEBRAZIONE PUBBLICA DEI FUNERALI DEL MAMMASANTISSIMA DON VINCENZO FEMIA (FIGLIO DEL PADRINO DEFUNTO ANTONIO DI SAN LUCA)UCCISO A ROMA. ULTIMO ANELLO DELLA FAMIGERATA FAIDA DI SAN LUCA?
Un’esecuzione di mafia in piena regola, quella avvenuta  nella notte tra il 24 ed il 25 gennaio 2013,  in cui è stato ucciso il boss Vincenzo Femia, 57 anni, coniugato, pensionato, pregiudicato. Il cadavere era stato trovato poco dopo le 23 da alcuni automobilisti, che hanno allertato il 113 dopo aver visto un corpo ricoperto di sangue e schegge di vetro, crivellato di colpi calibro 9, almeno una decina, mentre era all’interno della sua auto, una Matiz grigia,  con il motore acceso.  Accasciato sul volante, i finestrini in frantumi e c’erano pallottole ovunque. Valutata, l’ipotesi che a sparare sia stato più di un killer. Non è escluso che i sicari, devono aver attirato Femia con un inganno in via della Catelluccia di San Paolo.  Un agguato di mafia.
Domenico Salvatore
ROMA-Il primo dirigente della Polizia di Stato, Renato Cortese, capo della Squadra Mobile romana, ( proviene da Reggio Calabria, dove ha diretto per cinque anni; nello stesso tempo in cui procuratore capo della Repubblica era Giuseppe Pignatone, comandante provinciale della Guardia di Finanza Cosimo Di Gesù, comandante dei Carabinieri Pasquale Angelosanto, questore Carmelo Casabona, oggi, tutti a Roma), ha una bella gatta da pelare. Come se non bastasse la serie di omicidi, che hanno funestato la Capitale mondiale della Cristianità, nei mesi scorsi. Debellare le gangs, che si sono divise il territorio, per il controllo dei fiumi di cocaina, arrivati negli ultimi anni nella Capitale; che hanno causato la spirale di violenza tra la seconda metà del 2010 e l’inizio del 2012, non è facile come bere un bicchiere d’acqua. La Polizia di Stato, sta tentando di  dipanare i fili della matassa. La ‘ndrangheta, c.d. solidi legami con clan catanesi e palermitani, napoletani e pugliesi, già da tempo, ha avviato la sua scalata all’interno della gestione del traffico di droga a Roma; nella Capitale operano vari clan. Da sempre e storicamente parlando, la ‘ndrangheta (allora ‘Onorata Società’), ha programmato di conquistare una fetta di mercato nelle città di Roma, Milano e Torino, individuate come possibili miniere d’oro per i suoi affari torbidi e poco puliti.

Il padrino dell’Onorata Società, don Antonio Femia, aveva precedenti che risalgono agli anni Trenta. E stato probabilmente il primo trafficante che ha importato cocaina in Italia. Negli Anni Sessanta e Settanta, conquistò il Piemonte e la Valle d’Aosta. Negli Anni Settanta ed Ottanta la Lombardia e la Liguria; se non Emilia e Toscana. Negli Anni Ottanta e Novanta la ‘ndrangheta, aveva pianificato il controllo di una fetta del territorio romano.  La Piovra calabrese e non solo, ha avuto coperture ad ogni livello, come la cronaca giudiziaria ha acclarato e consacrato agli atti passati in giudicato. Una serie impressionante di personaggi anche delle istituzioni, che facevano il doppio gioco…magistrati, ministri e sottosegretari, onorevoli e senatori, segretari dei partiti e del sindacato, finanzieri, carabinieri, poliziotti; corrotti e corruttori. La lotta è tra Stato ed antiStato. Tra Guardie & Ladri. Scrive Roberto Galullo…“Ricordate la frase con la quale ho attaccato questo articolo? No? Ve la riscrivo. «Io non vendo verdura…vendo rapporti…vendo relazioni…e queste relazioni a me costano…alberghi ... cene …pranzi…regali…bottiglie…champagne…». A parlare così è appunto il “torellino” Guido Torello, gentleman piemontese che, secondo i pm, pur estraneo al sodalizio criminale, risultava in contatto con personalità di vario genere e importanza, che "poneva a disposizione"di Nicola Femia, inteso Rocco, da cui era retribuito.”.

Femia, arrestato il 23 gennaio 2013 in una maxioperazione della Guardia di Finanza che ha portato al sequestro di 1500 slot machine truccate. Un'inchiesta questa emersa grazie al lavoro di Giovanni Tizian, blogger dell'Huffpost, giornalista della Gazzetta di Modena e inchiestista di Repubblica, Espresso e del sito Re le Inchieste.  Tizian, per la sua inchiesta e per Gotica, il libro che ha scritto sulla 'ndrangheta al Nord, da più di un anno è nel programma di protezione con scorta armata. Tizian,  in un articolo spiega …” Nel mondo del gioco legale i clan hanno messo le mani dagli anni ’90. Prima, gestivano i videopoker. Da quando sono stati messi al bando, smerciano legalmente le video slot, le ricariche per il poker online e tutto ciò che ruota attorno alle sale dove vengono installati i giochi. Ogni regione ha il suo re del settore. Negli anni ’90 e all’inizio del 2000 in Emilia e nel modenese spadroneggiavano le imprese del clan dei Casalesi. Accanto a loro, in una sorta di joint venture, per un periodo ha stabilito la sua base a Modena anche un imprenditore legato a Cosa Nostra. Legame iniziato fin dai tempi di Angelo Epaminonda inteso “Il Tebano”, un criminale italiano, attivo nel corso degli Anni Settanta e Ottanta, principalmente nella città di Milano. Ma ora in Emilia, un impero l’ha creato Nicola Femia”. Affermazioni, che hanno fatto andare su tutte le furie il boss. Nella telefonata intercettata tra Femia e Torello, quest’ultimo afferma: “In Italia ci sono due poteri, la magistratura e i giornali”. E Femia gli fa eco: “E i giornali sono il peggiore”.

Nicola Femia era in collegamento con il clan dei Valle-Lampada;  raccontato anche da Enzo Ciconte nell’ultimo report sulle mafie in Emilia-Romagna: “Alle porte delle elezioni del 2008 Lampada è in contatto con il politico reggiano dell’UDC Tarcisio Zobbi. Giulio Lampada ha una strategia precisa, aiutare Zobbi alle elezioni per permettere a un caro amico medico di entrare in politica. Una delle telefonate tra Zobbi e Lampada, pubblicata da tutti i giornali, termina con la promessa del boss milanese di coinvolgere un grosso imprenditore calabrese attivo in Emilia per convogliare voti verso il politico. Da alcuni atti ecco spuntare un particolare: Giulio Lampada, subito dopo aver chiuso con Zobbi, a distanza di un’ora, telefona a “Rocco” Femia. Gli chiede un favore: di convogliare il maggior numero di voti dall’Emilia Romagna per il candidato “nostro carissimo amico”. E di organizzare una grande cena in Emilia-Romagna, interessando tutti i territori, con numerosi invitati.” Nicola Femia, inteso Roccu ‘U Curtu, di cui si è parlato anche nell’operazione della DDA “Anje”, coinvolto in diverse inchieste contro la ‘ndrangheta a partire dalla fine degli Anni Novanta e arrestato l’ultima volta nel 2009, è stato arrestato il 23 gennaio 2013 con ventinove persone. Lui è un boss 'ndranghetista, che dalla provincia di Ravenna, dirigeva sul territorio nazionale ed estero, anche attraverso modalità tipicamente mafiose (estorsioni e sequestro di persona), un'intensa attività illecita nel settore del gioco on line e delle video slot manomesse. In una telefonata fra il capo della banda e il faccendiere Guido Torello, il primo si lamenta degli articoli che Tizian aveva cominciato a scrivere sulla "Gazzetta di Modena" evidenziando i legami di Femia con la criminalità organizzata calabrese. "O la smette o gli sparo in bocca".

Ma il giudice Giovanni Falcone disse…”La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto, che si può vincere non pretendendo l'eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.“. Scrive ancora Galullo…”Sul ruolo delle istituzioni,  società civile,  Chiesa,  mass-media, riferisce, il sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio, uomo rigoroso e magistrato capace.  In più – per come lo conosco e lo ricordo – a differenza di magistrati che oggi scoprono ciò che i loro colleghi hanno già…scoperto 25/30 anni fa spacciandolo per novità, scrive Roberto Galullo sul Sole 24 Ore, nella relazione sulla ‘ndrangheta consegnata alla Dna che ha dato vita al Rapporto 2012 trasmesso al Parlamento, fa un’analisi della società civile, della Chiesa e dei media. ”insufficiente presenza di una società civile vigile, che cioè non solo non sia essa stessa 'ndrangheta o favoreggiatrice della ‘ndrangheta, ma che vi si contrappone ripudiando pubblicamente e visibilmente la sua mentalità i suoi metodi, i suoi valori. Anche se in tempi recenti, dopo la straordinaria attività repressiva svolta, sono emersi segnali positivi, si tratta di risposte ancora largamente insufficienti, perché legate esclusivamente all'azione di movimenti ed associazioni (come Riferimenti, Ammazzateci Tutti, Libera etc.) tanto meritevoli di considerazione quanto ancora numericamente esigui.

Mancano, invece, risposte strutturali, stabili, che con continuità evidenzino la verità, verità che è l’unica premessa di un possibile riscatto: il disastro morale, sociale ed economico in cui la 'ndrangheta ha precipitato la Calabria» in Calabria – si legge nella sua relazione - avviene da generazioni. In ampi strati della coscienza collettiva si è stratificata l'idea che la legittimazione sociale della 'ndrangheta, il suo essere una inevitabile componente della società calabrese, trovi un supporto anche nel sentire religioso»attualmente sembrano guardare con maggiore attenzione al fenomeno, anche se in questa attenzione si rilevano delle distorsioni o meglio, delle sproporzioni: tanto, e giustamente, si parla della espansione al Nord della ‘ndrangheta – fatto sicuramente rilevantissimo e preoccupante – e, meno, assai meno di quello della ‘ndrangheta in Calabria. Il che appare paradossale poiché, proprio la circostanza che il fenomeno è nato in tale regione, ed è lì che ha le sue radici capaci, come si è visto, di estendersi ovunque, dovrebbe indurre a svolgere proprio con riferimento a questi territori un’opera di continua informazione per garantire che proprio sulla Calabria e su ciò che accade vi sia la massima attenzione ed il massimo controllo da parte dell’opinione pubblica nazionale.

Se non è in Calabria che la ‘ndrangheta verrà sradicata definitivamente, l’opera di contrasto che verrà fatta altrove porterà sempre a risultati non definitivi, perché le metastasi si riprodurrebbero».per “gli ampi margini di miglioramento”. Per Curcio quelli di livello nazionale, hanno la responsabilità di avere quasi ignorato il fenomeno fino a pochissimo tempo fa; sostanzialmente fino all’indagine Crimine/Infinito. La stessa cosa hanno fatto, chi più chi meno, l’Unità, Repubblica, La Stampa e il Corriere della Sera e tra le tv Rai3, Rainews24, La7. lo stesso Curcio, quando dichiara che «attualmente sembrano guardare con maggiore attenzione al fenomeno, anche se in questa attenzione si rilevano delle distorsioni o meglio, delle sproporzioni: tanto, e giustamente, si parla della espansione al Nord della ‘ndrangheta – fatto sicuramente rilevantissimo e preoccupante – e, meno, assai meno di quello della ‘ndrangheta in Calabria.

Il che appare paradossale poiché, proprio la circostanza che il fenomeno è nato in tale regione, ed è lì che ha le sue radici capaci, come si è visto, di estendersi ovunque, dovrebbe indurre a svolgere proprio con riferimento a questi territori un’opera di continua informazione per garantire che proprio sulla Calabria e su ciò che accade vi sia la massima attenzione ed il massimo controllo da parte dell’opinione pubblica nazionale. Se non è in Calabria che la ‘ndrangheta verrà sradicata definitivamente, l’opera di contrasto che verrà fatta altrove porterà sempre a risultati non definitivi, perché le metastasi si riprodurrebbero». Ecco il decalogo di Francesco Curcio…”.1) è una organizzazione unitaria (come, tra l’altro, testimoniato anche dall’obbligo di tutte le strutture locali di destinare un contributo economico – provento delle proprie attività illecite -alla cosiddetta “mamma di San Luca”) ;
2) ha come propria cellula primigenia, la ‘ndrina composta da soggetti appartenenti alla medesima famiglia ovvero legati da vincoli di sangue;
3) ad un livello immediatamente superiore, conosce il (o la) “locale”, che opera su base territoriale (normalmente coincide con un Comune) ed è composta da almeno 50 affiliati appartenenti a più ‘ndrine. Il capo locale ha potere gerarchico assoluto su tutti i componenti della locale. E’ coadiuvato da un “Crimine” che coordina le attività delittuose e da una “Contabile” che gestisce la cassa comune ;
4) ha una struttura orizzontale. Ogni locale opera formalmente in posizione paritaria rispetto a tutte le altre ed ha il compito di controllare capillarmente il territorio di propria competenza, si che si trovi in Provincia di Reggio Calabria che altrove;
5) è caratterizzata, all’interno della locale (quando questa è caratterizzata dalla presenza di almeno sette componenti che hanno raggiunto un grado ‘ndranghetistico assai elevato, quello di “Santa”) dallo schema della cd. doppia compartimentazione: la Società Minore e la Società Maggiore. Sebbene non in tutte per tutti le locali si riesce a costituire la Società Maggiore (che è ovviamente sovraordinata alla “Minore”), allorquando, tuttavia, è presente quest’ultima struttura organizzativa, il medesima locale viene definito, anche, con il termine Società, proprio per indicare la differenza con il locale formato solo dalla minore;
6) è suddivisa in tre mandamenti (tirrenico, Reggio centro e jonico) tutti collocati nella provincia di Reggio Calabria, all’interno di ciascuno dei quali operano le suddette locali;
7) conosce, oltre ai suddetti “mandamenti”, al di fuori della Provincia reggina, strutture del tutto analoghe di tipo “intermedio” nei seguenti territori ove è particolarmente radicata: Lombardia, Liguria, Australia e Canada. In Lombardia, è stata accertata l'esistenza di una struttura denominata Lombardia, in Liguria una struttura simile è denominata “camera di controllo”, in Canada vi è prova dell’esistenza di un Crimine canadese e, infine, in Australia vi è un Crimine australiano, entità, tutte, che sono una sorta di mandamento, che hanno una funzione sia di coordinamento “interno” che di interlocuzione e d’interfaccia con la "casa madre" e cioè, in concreto, con la "Provincia", detta “Crimine di Polsi” organo di vertice. E mentre tutte le strutture intermedie sopra citate si sono contraddistinte per una accettazione sostanzialmente pacifica e stabile nel tempo quanto a modalità ed intensità della sovraordinazione del Crimine di Polsi, il grado di subordinazione (dunque il quantum, non l’an) della "Lombardia" nei confronti della "Provincia" reggina e, più in generale, dalle famiglie calabresi (con cui molti 'ndranghetisti lombardi hanno continuato ad avere stretti legami) è materia fluida ed altalenante nel tempo, variabile a seconda delle leaderships che si sono susseguite;
8) è coordinata, a livello nazionale ed internazionale, da un organismo collegiale espressione di vertice dei soli mandamenti della Provincia di Reggio Calabria - denominato la “Provincia”;
9) attribuisce il ruolo di primus inter pares. fra i componenti della “Provincia”, al Capo Provincia o Capo Crimine che viene democraticamente eletto (anche se è ovvio che esistano elettori più influenti di altri) dai componenti della stessa “Provincia”;
10) pur non essendo caratterizzata da rigidi rapporti gerarchici fra le diverse strutture indicate, la Provincia (o “Crimine di Polsi) di fatto è sovraordinata alle locali (anche quelle ubicate fuori dalla Provincia di Reggio Calabria) ai mandamenti e alle altre strutture intermedie ed ha il compito non solo di coordinarne l’attività, ma di dirimerne le controversie, custodire le regole e applicare le relative sanzioni in caso di loro trasgressione. Soprattutto, per le posizioni di maggiore potere, decide, ha l'ultima parola sul chi comanda su chi . Si tratta, evidentemente, di una funzione fondamentale, primaria, in un’organizzazione criminale che, alla fine, pone al vertice del proprio sistema di valori (ampiamente condiviso dalla maggioranza dei suoi appartenenti) proprio l’esercizio del potere”.

La ‘ndrangheta  come da prassi, piazza i suoi uomini migliori nei punti strategici della scacchiera.   Uno degli esponenti di spicco e referenti su Roma era Vincenzo Femia, 67 anni, (figlio del padrino ‘don Antonio Femia di San Luca, di cui diremo più sotto) precedenti per associazione mafiosa, traffico internazionale di stupefacenti, tentato omicidio e armi, sorvegliato speciale, originario di Reggio Calabria ma  residente da molti anni a Roma nel quartiere di Montespaccato, era da due decenni, “un personaggio di primo piano” nella malavita della Capitale.  Un referente romano dei Nirta, padrini della ‘ndrangheta ed affiliato alla cosca di San Luca, con cui era anche imparentato, secondo una tradizione consolidata. L’uomo, “apparteneva” alla ‘ndrangheta di San Luca; la stessa coinvolta nella strage del 2007 di Duisburg in Germania, dove in un ristorante italiano furono uccise sei persone tutte calabresi. La vicenda, venne inquadrata nel processo di Locri, per la Strage di Duisburg, come la risposta della cordata Nirta-Strangio-Giorgi ai rivali Pelle-Vòttari-Romeo per l’assassinio di Maria Strangio, moglie di Giovanni Luca Nirta. Comunque un anello della celeberrima faida, che insanguina le contrade da un quarto di secolo; se non prima.

Per anni i Femia erano stati i referenti della potente famiglia Nirta a Roma. Suo padre un curriculum vitae stracolmo di precedenti penali e coinvolgimenti, alcuni dei quali di rilevanza internazionale, Antonio Femia, classe 1915, ritenuto dalla polizia "un autentico pezzo storico della criminalita' italiana, ”boss della Locride”, è stato un noto trafficante di droga e considerato ‘pezzo storico’ della criminalità organizzata in Italia, coinvolto in vicende di sequestri, ma poi assolto. venditore ambulante di stoffe; costretto a interrompere durante il secondo conflitto. Riciclava il denaro proveniente dalla vendita di eroina e cocaina, per acquistare boutiques, enoteche, mobilifici e depositi di elettrodomestici. Resta da vedere, se fosse stato in rapporti con la “Banda della Magliana”. Allora, al momento dell' arresto, Femia gestiva personalmente una rosticceria nella zona di Primavalle; copertura, per la vendita degli stupefacenti. Aveva pure, studiato un piano, mai attuato, per rapire il calciatore brasiliano Paulo Roberto Falcao.

Venne arrestato il 18 gennaio del 1994 dagl’  investigatori della IV sezione della Squadra Mobile diretta dal commissario capo Antonello Novellino; sorpreso a conclusione di una lunga serie di appostamenti e pedinamenti in un appartamento alla borgata Ottavia, dove si era rifugiato in compagnia della figlia e del genero …"Siete riusciti a trovarmi, complimenti". A prendere le ‘consegne’ del vertice della cosca, dopo l’arresto e la morte del padre, secondo gli investigatori era stato proprio Vincenzo, in passato latitante e arrestato più volte. La cosca dei Femia era stata legata con un matrimonio a quella dei Nirta, ritenuta una delle più importanti della costa jonica calabrese. Poi l’affiliazione a quella di San Luca, forse la più sanguinaria. Anche quest’anno proprio a Roma, ma anche Milano, Torino, Genova, Firenze, Bologna  Catanzaro e Reggio Calabria, tanto per citare, il fenomeno ‘ndrangheta di riffe o di raffe, ha trovato ampio spazio nelle relazioni, lette durante l'inaugurazione dell'Anno Giudiziario. Il presidente della Corte d'appello di Catanzaro, Gianfranco Migliaccio, ha ricordato che ''la 'ndrangheta non e' piu' un problema locale ma nazionale e per fronteggiarla serve adeguare gli organici''. A Reggio il presidente della Corte d'appello, Giovanni Battista Macri', ha detto che ''la carenza degli organici rende la situazione al limite della paralisi della giurisdizione''. Il territorio di San Luca, è tenuto sotto scacco e sotto controllo h 24. Nei giorni scorsi, i Carabinieri hanno scoperto l’ennesimo arsenale composto da nove fucili di vario calibro, 85 cartucce e pure un chilo di cocaina.

La “merce” è stata trovata nel corso di una operazione compiuta dai carabinieri a San Luca; armi e  droga, erano nascoste in un’ abitazione abbandonata. Le armi sono stati inviate al Ris di Messina per verificare se sono state utilizzate per compiere reati. Il super-pentito della ‘ndrangheta, Michael Panaija, (che ha partecipato a decine di riti di affiliazioni racconta ai pm come ovunque ci si trovi per le cariche criminali che contano tutti debbano riferire a San Luca, il paese ai piedi dell'Aspromonte che di fatto ha segnato la storia della 'ndrangheta,) di recente, ha chiarito in aula e sui verbali, o meglio ribadito, quanto già si sapeva e svelato le gerarchie della 'ndrangheta ai magistrati della Distrettuale antimafia di Milano … San Luca è la casa madre della 'ndrangheta. Dopo le doti di sgarro, per la "santa" o il "vangelo", tutti devono riferire a San Luca, “Casa-madre”, che è un locale a dieci santisti.  Il boss Vincenzo Femia di 67 anni, sorvegliato speciale precedenti per associazione mafiosa, traffico internazionale di stupefacenti, tentato omicidio e armi era uno degli esponenti di spicco e referenti della 'ndrangheta, su Roma da vent'anni. Secondo gli inquirenti si tratta di «un personaggio di primo piano» nella malavita della Capitale. L’omicidio è avvenuto nella zona dell'Ardeatina  a Roma; ucciso a colpi d'arma da fuoco, mentre era a bordo della sua auto, in via Castelluccio di San Paolo, all'Eur.

L'episodio e' accaduto poco dopo le 23 di sera. È un agguato mafioso, su questo non c’è nemmeno il ragionevole dubbio. Resta da vedere se il movente sia legato alla famigerata faida di San Luca, oppure sia legato e collegato con il traffico internazionale di droga; se non la rete locale. Le forze di polizia sono in pre-allarme. Vogliono evitare pericolose e sconsiderate reazioni e rappresaglie. In un caso o nell’altro, il delitto del boss Vincenzo Femia, è considerato un omicidio eccellente. Questo, potrebbe innescare reazioni inconsulte e trasformare la Capitale, in un teatro di guerra fra clan di mafia. Domenico Salvatore









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