Reggio Calabria 19 gennaio 2013 - Il Presidente Scopelliti, nell’ambito dell’incontro dal titolo “ora parlo io”, ha sollevato una problematica, senza approfondirla, che dovrebbe vederci tutti riflettere circa il futuro della nostra (meglio delle nostre) città.
Scopelliti ha ricordato come l’Ispettorato Generale di Finanza, nell’ambito delle annuali relazioni al Ragioniere dello Stato sui controlli effettuati nei comuni (si possono consultare sul sito della Ragioneria dello Stato le relazioni del maggio 2009 o del settembre 2011), ha evidenziato alcune criticità, che rispecchiano fedelmente quelle poi riscontrate al comune di Reggio.
Le criticità alle quali fa riferimento Scopelliti sono: la scarsa esigibilità dei residui attivi e la irregolare imputazione di alcune voci di spesa ai servizi per conto terzi.
Lo stesso Ispettorato lascia intendere come le irregolarità suddette vengano, dagli enti locali, utilizzate per poter quadrare i bilanci.
Da questa ultima affermazione dell’Ispettorato purtroppo nascono le mie preoccupazioni, da cittadino, che voglio esternare per consentire la più ampia riflessione possibile, indipendentemente da valutazioni partigiane o difese di ufficio, ma solo nell’ottica di contribuire alla costruzione del “bene comune” e di sperare nella continuità di un “modello” sociale, che garantisca alle nostre famiglie un livello di servizi almeno essenziale.
La mia prima preoccupazione riguarda appunto l’argomento appena accennato, cioè, mi chiedo quanto sia pensabile poter godere di servizi almeno essenziali, continuando, come ha fatto il Governo, a pretendere dagli Enti locali che si intervenga con tagli lineari della spesa. Allo stato attuale una città come la nostra, senza una spesa corrente che si collochi tra i 150/180 milioni, non può permettersi la erogazione di servizi (beninteso non di qualità, ma appena) essenziali. Il contenimento della spesa quindi non può essere solo un fatto aritmetico, ma passa attraverso processi di “efficientamento” della stessa, che debbono necessariamente coinvolgere l’apparato “burocratico”, sia per la introduzione di reali sistemi di controllo, appunto, della spesa, sia per la produzione del necessario “cambiamento di mentalità” con conseguente passaggio da una gestione burocratica ad una gestione manageriale.
La seconda preoccupazione nasce dal fatto che se, almeno nell’immediato, non si possono ottenere livelli di prestazioni essenziali riducendo la spesa, in qualche modo questa va coperta (almeno a legislazione vigente e, presumibilmente, futura, dato che, in Europa, si va sempre più verso il principio del pareggio di bilancio, contrariamente a quanto sta avvenendo negli USA).
Per coprire la spesa bisogna che gli accertamenti delle entrate degli enti locali siano, finalmente, veritieri e sufficienti, e che i residui attivi diminuiscano sempre più, non per pretesa ispettiva ma perché vengono riscossi. Ora se teniamo presente che a legislazione vigente fatte 100 le entrate correnti (beninteso quelle che danno le risorse per erogare i servizi) di un comune, i trasferimenti non incidono più di 20, comprendiamo come 80 su 100 di spesa vanno trovati sul territorio. Da tecnico direi che la soluzione è semplice basta aumentare tributi e tariffe, ma, se fossi politico, dovrei pensare a criteri e principi di equità della tassazione, di progressività della stessa, di incidenza della tassazione locale su tutti e quanti ne fruiscono i servizi, ecc. ecc.. Allora bisogna in primo luogo pensare all’allargamento della base imponibile, che tradotto significa che bisogna far pagare i tributi locali e le tariffe a tutti, anziché far pagare di più chi ha sempre pagato. Bisogna poi che gli importi di cui sopra vengano effettivamente versati e qui il tema è sempre più complesso ed è quello della riscossione.
Certo il cittadino consapevole dovrebbe pagare spontaneamente, ma le amministrazioni purtroppo hanno le armi spuntate nei confronti del cittadino scorretto (che gode i servizi e non paga), sia in termini di accertamento, ma soprattutto in termini di riscossione coattiva, la cui riforma ormai indispensabile, è stata dal Governo per l’ennesima volta rinviata.
Purtroppo non vedo soluzioni semplici, almeno nell’immediato, ed ecco il dubbio, che, ovviamente non occupandomi di politica economica, non so risolvere, per questo chiedo aiuto: non sarebbe il caso che accanto ad azioni che consentano ai comuni di accertare e riscuotere quando spettante, nella consapevolezza della grave crisi globale che spesso non consente di pagare il dovuto neanche al cittadino corretto, si pensasse ad una rivisitazione della politica del pareggio di bilancio?
So bene che i più mi diranno ma come la mettiamo con lo spread, con la permanenza nell’euro, con la permanenza in Europa, confesso che non lo so, spetta a chi si occuperà della politica economica del nostro Paese, ma una cosa la so, anche per averla discussa in questi giorni con alcuni imprenditori affermati, non vorrei ritrovarmi in futuro senza debiti, ma morto di fame.
enzo cuzzola, già dirigente settore finanze e tributi comune Reggio
Scopelliti ha ricordato come l’Ispettorato Generale di Finanza, nell’ambito delle annuali relazioni al Ragioniere dello Stato sui controlli effettuati nei comuni (si possono consultare sul sito della Ragioneria dello Stato le relazioni del maggio 2009 o del settembre 2011), ha evidenziato alcune criticità, che rispecchiano fedelmente quelle poi riscontrate al comune di Reggio.
Le criticità alle quali fa riferimento Scopelliti sono: la scarsa esigibilità dei residui attivi e la irregolare imputazione di alcune voci di spesa ai servizi per conto terzi.
Lo stesso Ispettorato lascia intendere come le irregolarità suddette vengano, dagli enti locali, utilizzate per poter quadrare i bilanci.
Da questa ultima affermazione dell’Ispettorato purtroppo nascono le mie preoccupazioni, da cittadino, che voglio esternare per consentire la più ampia riflessione possibile, indipendentemente da valutazioni partigiane o difese di ufficio, ma solo nell’ottica di contribuire alla costruzione del “bene comune” e di sperare nella continuità di un “modello” sociale, che garantisca alle nostre famiglie un livello di servizi almeno essenziale.
La mia prima preoccupazione riguarda appunto l’argomento appena accennato, cioè, mi chiedo quanto sia pensabile poter godere di servizi almeno essenziali, continuando, come ha fatto il Governo, a pretendere dagli Enti locali che si intervenga con tagli lineari della spesa. Allo stato attuale una città come la nostra, senza una spesa corrente che si collochi tra i 150/180 milioni, non può permettersi la erogazione di servizi (beninteso non di qualità, ma appena) essenziali. Il contenimento della spesa quindi non può essere solo un fatto aritmetico, ma passa attraverso processi di “efficientamento” della stessa, che debbono necessariamente coinvolgere l’apparato “burocratico”, sia per la introduzione di reali sistemi di controllo, appunto, della spesa, sia per la produzione del necessario “cambiamento di mentalità” con conseguente passaggio da una gestione burocratica ad una gestione manageriale.
La seconda preoccupazione nasce dal fatto che se, almeno nell’immediato, non si possono ottenere livelli di prestazioni essenziali riducendo la spesa, in qualche modo questa va coperta (almeno a legislazione vigente e, presumibilmente, futura, dato che, in Europa, si va sempre più verso il principio del pareggio di bilancio, contrariamente a quanto sta avvenendo negli USA).
Per coprire la spesa bisogna che gli accertamenti delle entrate degli enti locali siano, finalmente, veritieri e sufficienti, e che i residui attivi diminuiscano sempre più, non per pretesa ispettiva ma perché vengono riscossi. Ora se teniamo presente che a legislazione vigente fatte 100 le entrate correnti (beninteso quelle che danno le risorse per erogare i servizi) di un comune, i trasferimenti non incidono più di 20, comprendiamo come 80 su 100 di spesa vanno trovati sul territorio. Da tecnico direi che la soluzione è semplice basta aumentare tributi e tariffe, ma, se fossi politico, dovrei pensare a criteri e principi di equità della tassazione, di progressività della stessa, di incidenza della tassazione locale su tutti e quanti ne fruiscono i servizi, ecc. ecc.. Allora bisogna in primo luogo pensare all’allargamento della base imponibile, che tradotto significa che bisogna far pagare i tributi locali e le tariffe a tutti, anziché far pagare di più chi ha sempre pagato. Bisogna poi che gli importi di cui sopra vengano effettivamente versati e qui il tema è sempre più complesso ed è quello della riscossione.
Certo il cittadino consapevole dovrebbe pagare spontaneamente, ma le amministrazioni purtroppo hanno le armi spuntate nei confronti del cittadino scorretto (che gode i servizi e non paga), sia in termini di accertamento, ma soprattutto in termini di riscossione coattiva, la cui riforma ormai indispensabile, è stata dal Governo per l’ennesima volta rinviata.
Purtroppo non vedo soluzioni semplici, almeno nell’immediato, ed ecco il dubbio, che, ovviamente non occupandomi di politica economica, non so risolvere, per questo chiedo aiuto: non sarebbe il caso che accanto ad azioni che consentano ai comuni di accertare e riscuotere quando spettante, nella consapevolezza della grave crisi globale che spesso non consente di pagare il dovuto neanche al cittadino corretto, si pensasse ad una rivisitazione della politica del pareggio di bilancio?
So bene che i più mi diranno ma come la mettiamo con lo spread, con la permanenza nell’euro, con la permanenza in Europa, confesso che non lo so, spetta a chi si occuperà della politica economica del nostro Paese, ma una cosa la so, anche per averla discussa in questi giorni con alcuni imprenditori affermati, non vorrei ritrovarmi in futuro senza debiti, ma morto di fame.
enzo cuzzola, già dirigente settore finanze e tributi comune Reggio
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