L’ISOLA DEI MORTI
(DIE TOTENINSEL)
a cura di Roberta Vanali
Inaugurazione
sabato 15 dicembre ore 18.30
Cagliari, Centro Comunale d’Arte e
Cultura EXMA’
Sala della Torretta
dal
15 dicembre al 9 gennaio 2013
|
“Plumbeo
mar, sepolcrale isola, cime
lugubri
alto surgenti, alto invocanti
delle
rupi, o flegrei canti e compianti,
densi
di erranti strofe in bieche rime.”
(Giovanni
Camerana dal IV sonetto a Arnold Böcklin)
Sabato 15 dicembre alle ore 18.30 nella Sala della Torretta
del Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà
a Cagliari inaugura la collettiva
L’Isola dei Morti
(Die Toteninsel).
La mostra a cura di Roberta Vanali presenta, sino al 9 gennaio 2013, opere realizzate ad hoc per il progetto.
Prendendo
come riferimento L’Isola dei Morti di
Arnold Böcklin nella sua
esegesi formale e concettuale, 17
artisti di diversa provenienza territoriale e differenti background di
appartenenza ne restituiscono una lettura che conferma la contemporaneità di
un’opera che sembra essere eterna: Michele
Andrich, Silvia Argiolas, Irene Balia, Antonio Bardino, Nicola Caredda,
Piercarlo Carella, Andrea Carpita, Gianni Casagrande, Stefano Cozzolino, Elisa
Desortes, Ester Grossi, Claudia Matta, Silvia Mei, Pastorello, Paolo Pibi,
Giuliano Sale, Daniele Serra.
Arnold
Böcklin dipinse 5 versioni
dell’opera L’Isola dei morti dal 1880
al 1886 e artisti come Dalì, Munch e Giger ne diedero la loro interpretazione.
Lo stesso artista descrive L’Isola dei
morti come "un'immagine onirica: essa deve produrre un tale silenzio
che il bussare alla porta dovrebbe fare paura”.
In
data ancora da stabilire Carla Deplano (Associazione Babel) terrà una
conferenza sul tema.
L’iniziativa
è realizzata in collaborazione con il Consorzio Camù e il patrocinio del Comune
di Cagliari.
L’ISOLA DEI
MORTI (DIE TOTENINSEL)
a cura di Roberta Vanali
a cura di Roberta Vanali
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Sabato 15 dicembre alle ore 18.30 nella Sala della
Torretta del Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà a Cagliari
inaugura la collettiva
L’Isola dei Morti (Die Toteninsel). La mostra
a cura di Roberta Vanali presenta, sino al 9 gennaio 2013,
opere realizzate ad hoc per il progetto.L’iniziativa è
realizzata in collaborazione con il Consorzio Camù e il
patrocinio del Comune di Cagliari.
Prendendo
come riferimento L’Isola
dei Morti di Arnold Böcklin nella sua
esegesi formale e concettuale, 17 artisti di
diversa provenienza territoriale e differenti background di
appartenenza ne restituiscono una lettura che conferma la
contemporaneità di un’opera che sembra essere eterna: Michele Andrich, Silvia
Argiolas, Irene Balia, Antonio Bardino, Nicola Caredda,
Piercarlo Carella, Andrea Carpita, Gianni Casagrande,
Stefano Cozzolino, Elisa Desortes, Ester Grossi, Claudia
Matta, Silvia Mei, Pastorello, Paolo Pibi, Giuliano Sale,
Daniele Serra.
Arnold
Böcklin
dipinse 5 versioni dell’opera L’Isola dei morti
dal 1880 al 1886 e artisti come Dalì, Munch e Giger ne
diedero la loro interpretazione. Lo stesso artista descrive
L’Isola dei morti
come "un'immagine onirica: essa deve produrre un tale
silenzio che il bussare alla porta dovrebbe fare paura”.
In
data ancora da stabilire Carla Deplano (Associazione Babel)
terrà una conferenza sul tema.L’ISOLA DEI MORTI (DIE TOTENINSEL)
a cura di Roberta Vanali
“Plumbeo mar, sepolcrale isola, cime
lugubri alto surgenti, alto invocanti
delle rupi, o flegrei canti e compianti,
densi di erranti strofe in bieche rime.”
(Giovanni Camerana dal IV sonetto a Arnold Böcklin)
E’ un’iconografia particolarmente rara quella dell’Isola dei Morti che non affonda le radici nella
tradizione cristiana, quanto piuttosto nel mito di Atlantide: luogo leggendario e indefinito,
l’Isola dei morti è un topos, una figura simbolica ricorrente in molte tradizioni mitologiche e in
numerose civiltà del passato (greca, indù, tibetana, cinese, scandinava) collegate a diverso
titolo con il mito di Atlantide.1 Ripreso dai pittori simbolisti, il soggetto è alla base della celebre
e controversa opera di Arnold Böcklin. Enigmatica e popolare fin dal principio del XX secolo e
che l’artista descrive come un’immagine onirica: essa deve produrre un tale silenzio che il
bussare alla porta dovrebbe far paura.
Böcklin dipinge cinque versioni dell’opera dal 1880 al 1886 con minime varianti che perlopiù
riguardano la gamma cromatica. Tiene per sé la prima, la seconda la realizza per la contessa
Marie Berne Orniola che la vede a casa sua, la terza dipinta per Fritz Gurlitt viene acquistata
da Hitler mentre la quarta, acquisita dal collezionista Thyssen-Bornemisza, andrà distrutta
durante la seconda guerra mondiale. Infine, la quinta versione si trova ancora oggi nel Museo
di Lipsia dal momento della commissione nel 1886.
Rendere visibile l’invisibile suggerendo significati spesso arcani, questo è l’obiettivo
predominante della corrente simbolista tanto più se, a dirla con Mallarmè, nominare un
oggetto è sopprimere tre quarti del godimento della poesia, che è costituita dalla felicità di
indovinare poco a poco: suggerire, ecco il sogno. E’ l’uso perfetto di questo mistero che
costituisce il simbolo.2 Appartiene all’altrove, al mondo dei sogni e degli incubi, questo scenario
irreale dall’atmosfera sospesa e silenziosa e dal bagliore nordico che è L’isola dei Morti, opera
ad alto tasso di seduzione. E’ un inno alla morte attraverso l’evocazione del mito, l’opera
pregna di significati impenetrabili e dalla forte intensità atmosferica che, unita alla potenza
dell’impatto visivo ed emotivo, sottolinea la caducità dell’esistenza - costante nella produzione
dell’artista - in un complesso di sensazioni contraddittorie. Monumentale nell’impianto e nella
realizzazione della rocca a picco sul mare dalle calme acque, l’imperscrutabile oscurità dei
cipressi enfatizza la barca che traghetta la solenne figura avvolta in un sudario, intensamente
illuminata nonostante la scena notturna. Tra le più accreditate ipotesi, che hanno suggerito il
modello d’ispirazione, quella del Cimitero degli Inglesi, che custodisce i resti dell’artista e di
una delle figlie, ma potrebbe trattarsi anche dello scoglio di Pontikonissi a Corfù o dell’Isola di
1 Enrico de Pascale, Morte e Resurrezione, “Collana i Dizionari dellʼArte”, Electa Milano, 2007, pag. 325.
2 Proses diverses. Rèponse à une wnquete sur lʼèvolution littèraire (1891) in “Oeuvres Complètes”, Parigi
1951, pag. 869.
San Giorgio in Montenegro oppure della rocca del Castello aragonese di Ischia, secondo le
indagini dello storico dell’arte svizzero Hans Holenweg.3
Opera ipnotizzante nonché feticcio di celebri estimatori tra artisti, scrittori e musicisti come
Magritte, Munch, Max Ernst, Dalì, Majakovskij, Rachmaninov, era originariamente intitolata Un
luogo tranquillo. Isola dei morti viene ribattezzata dal gallerista Fritz Gurlit solo nel 1884 in
occasione della sua prima esposizione a Berlino. Disposto ad acquistarla a qualunque cifra, nel
1933 Hitler si aggiudica ad un’asta la terza versione rimasta nel suo studio, quindi trasferita
nel bunker di Berlino fino a quando l’Armata Rossa non la restituisce alla Nationalgalerie.
Possederne una riproduzione non era tanto un capriccio quanto una questione di prestigio, a
tal punto che tanto Lenin quanto D’Annunzio ne custodiscono una copia in camera da letto,
mentre Freud ne annovera ben ventidue. Più recentemente è stata presa come modello da
Nabokov, Milo Manara e Giger, mentre ultimo ma non ultimo, Jean Nouvel la reinterpreta
facendone un monolite galleggiante al centro del lago di Morat.
Opera eterna e quanto mai contemporanea, non solo è entrata a far parte della storia della
psicanalisi ma ha attratto e fatto sognare generazioni e probabilmente, per parafrasare Alberto
Savinio, anche il suo geniale creatore: terminato di edificare la sua isola, di sconfinare quel
mare desolato, Böcklin riserva a sé uno dei loculi, per abitarlo da morto e magari da vivo. [...]
In nessun altro artista, da che mondo è mondo, l’abitazione dell’uomo dentro il mondo poetico
è stata altrettanto completa.4
Apparentemente fiabesca, “L’Isola dei Morti” vista dal suo interno di Nicola Caredda
ricorderebbe più una selva del giardino dell’Eden se non fosse per l’insegna luminosa e una
discarica di bare vuote che accolgono il neo defunto appena sbarcato. L’Isola fantastica è
perciò ingannevole come un parco giochi che custodisce l’inquietante segreto del trapasso
contribuendo a una riflessione grottesca sul senso della vita e della morte. A suo modo anche
Michele Andrich stravolge la versione onirica di Böcklin per farne uno specchio ironico e
grottesco della condizione di crisi in cui versa la società contemporanea in cui neppure la morte
si sottrae a un cinico destino. Circondata da un mare minato, L’isola è vandalizzata dai
graffittari, mentre la barca cita il naufragio della Concordia e un personaggio ignoto infierisce
contro la figura bianca con una fionda. Anche quello di Stefano Cozzolino è un luogo solo
apparentemente felice, in realtà cromatismi particolarmente accesi e stilizzazione della linea
riflettono una vis polemica nei confronti della spettacolarizzazione della morte nella società
contemporanea.
Approfondisce e dilata il concetto di “funereo silenzio”, Andrea Carpita attraverso
elaborazione e sintesi di tipo orientale, nello specifico giapponese, di una natura matrigna che
riesce a sopraffare l’uomo in vita ma ancor più nel momento del trapasso. La sua è una visione
malinconica, una dimensione di solitudine e impotenza nei confronti della morte e di quel senso
di vuoto che attanaglia l’umanità. Così come avviene in modo analogo nell’opera di Giuliano
Sale che interpreta l’isola come genius loci. Una casa abbandonata dall’inquietante fascino di
hopperiana memoria, emerge silenziosa dalle acque, tra cipressi oscuri, evocando la più tragica
solitudine e l’incomunicabilità di un genere umano allo sbando.
Fuori da ogni tempo e luogo, Piercarlo Carella propone uno scenario decadente e spettrale di
ciò che un tempo avrebbe dovuto essere il migliore dei mondi possibili. L’Isola si trasforma
nelle rovine di un tempio greco che fluttuano inghiottite da un teschio di toro (emblema di Wall
Street), tra simboli della civiltà e del potere alla deriva, come relitti o scheletri di animali
oramai estinti, risultato dell’inevitabile fallimento del capitalismo occidentale. Al contrario
3 Paolo Conti, Corriere della Sera del 14 aprile 2011, pag. 51.
4 cit. Marisa Volpi, Bocklin, allegato “Art e Dossier n. 165, Giunti Firenze, 2001, pag. 47.
Daniele Serra propone una visione romantica, dai tratti particolarmente raffinati, partendo
dall’idea di creare uno specchio mentale che conduca alla scoperta di un non luogo come
“L’Isola dei Morti”. Presenza costante nella nostra vita nonostante il tentativo di ignorarne il
pensiero.
Interpretazione insolita, quella di Gianni Casagrande dove Hitler (il più grande estimatore
dell’opera) esaminando nelle mappe la regressione della sua Nazione crede di vedere il profilo
della tanto amata isola immaginandola come il suo ultimo approdo in vista della imminente
fine.
Paolo Pibi prende in prestito alcuni elementi pittorici dell’Isola e li traspone a sottolineare gli
ultimi agghiaccianti avvenimenti in Palestina. La Striscia di Gaza si configura come vera e
propria isola dei morti contemporanea, paesaggio surreale e quasi lunare che mostra i segni
della catastrofe, circondato da scheletri di barche che sembrano sopravvissuti a una qualche
guerra nucleare. E se Pastorello suggerisce una versione in antitesi con la quiete dell’opera
originale, dove il profilo severo della scogliera a picco sul mare in tempesta è attraversata da
un turbinio di segni che dichiarano una visione tormentata della rappresentazione, Silvia Mei
ritrae la disperazione di una donna che ha perso il figlio, il cui sofferente viso è stampato a
fuoco sulle sue carni, e lo vorrebbe in pace nell’”Isola dei Morti”. Attraverso un linguaggio
istintivo e selvatico che sottolinea la drammaticità dell’evento e il lutto che la consumerà.
Antonio Bardino Conduce un’indagine introspettiva, restituendo accanto all’immagine cult
dell’opera uno scorcio di Alghero, sua città natale, vista non come approdo ma come luogo di
contemplazione a distanza dopo un naufragio inevitabile. Il superstite è l’osservatore che
navigando tra le acque tempestose della propria anima approda sul suo isolotto prima di
arenarsi nuovamente. Dichiara invece un approccio autobiografico Elisa Desortes
nell’interpretazione dell’opera che scaturisce da un sasso ritrovato in una pozzanghera. Sasso
che in un altro momento non avrebbe notato ma che ora rappresenta la sua isola dove
rifugiarsi. Presenza che compare all’improvviso in un momento drammatico vissuto in
solitudine.
Non è uno stravolgimento, quello di Ester Grossi ma una sintesi dell’opera con l’esigenza di
mettere in atto giochi di luce traendo ispirazione dal romanzo “Il buio oltre la siepe” e su ciò
che è sconosciuto pur essendo vicino. Stesure geometrizzanti e bidimensionalità mettono in
luce non l’Isola come nell’opera di Böcklin bensì l’orizzonte, per una visione nostalgica sul
mondo che si sta per lasciare, nonostante l’apparente freddezza del dipinto. Stesso sistema per
Irene Balia che annulla qualunque cenno di prospettiva, tra simmetria e stesura di tinte piatte
che si contrappongono al certosino decorativismo, dando vita a un luogo non luogo ideale in
cui si trovano i suoi cari estinti. Un’isola di incontro esclusiva tra chi non c’è più.
Claudia Matta riprende il concetto delle fotografie post mortem in auge fino agli anni ’40 che
documentavano l’unica certezza che la vita offre. Immortalare un parente defunto era come
congelare quella verità che cerchiamo di evitare. E’ questo il tentativo dell’artista: rendere
l’umanità consapevole che la morte è parte della vita e inevitabilmente prima o poi
raggiungerà tutti. Immagina, invece, un mondo di mangiatori di dolori dalle vesti variopinte,
Silvia Argiolas, dove ogni colore rappresenta un’anima. E anime straziate sono quelle che
incontrano e torturano dal momento che, per giungere alla salvezza e approdare all’”Isola dei
Morti”, è imprescindibile un processo di catarsi individuale e quindi di profonda purificazione.
Roberta Vanali
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