Ulivi I ricordi di un’infanzia travagliata ma a misura di rigida formazione dei nuovi uomini e donne di quell’area in cui il progresso aveva il passo di un bradipo, che camminava, per giunta, nella direzione opposta al suo approdo, ora riemergono con la forza di dolci ferite mai guarite, di tacite rabbie mai sfogate neppure dopo aver conosciuto altri scenari sociali evoluti anche materialmente. La raccolta delle olive, ad esempio, aveva il suo fascino sacro in quanto sacro era il rispetto per l’albero che le produceva. Talmente forte era l’empatia e il rapporto tra la nostra piccola comunità e l’ulivo che a questo simbolo, invidiato per la longevità, gli venivano attribuiti poteri soprannaturali. Ad esempio, i nostri nonni ci dicevano che se nel caso ci trovassimo fuori durante temporali con tuoni e fulmini di non ripararci mai sotto le querce ma scegliere un ulivo; perché l’ulivo non attirava i fulmini, mentre la quercia sì.
Non so quanto di vero ci fosse, ma non ricordo di aver mai visto un ulivo squarciato da un fulmine. Oppure ricordo il disprezzo generale quando a qualcuno venivano tagliati gli alberi di ulivo in segno di avvertimento o disprezzo. Era peggio che ricevere delle coltellate, tanto era spregevole quel gesto contro quelle piante, sempre rigogliose. Le donne ufficialmente non lavoravano. In fabbrica. Per la raccolta di olive e ghiande, quindi, ci si organizzava lasciando a turno i bambini a rotazione tra parenti, amici stretti o “San Gianni” per “tenere” i bambini piccoli, che quasi mai mancavano nelle famiglie, nel periodo di maggior caduta delle olive. Poi una volta finita la raccolta di un “fundu di rrobba” si aiutava l’altra famiglia badando la prole piccola. Quando invece il tempo era buono, i figlioli non più in face se li portavano dietro. Mi ricordo che i pantaloni dei maschietti venivano tagliati tra le gambine fin dietro la schiena, per consentire loro di espletare i bisogni in autonomia. Non di rado si sentivano urli sotto gli ulivi, pianti o sgridate se incautamente si finiva per passare nel perimetro della “luvara rrampata”, dove cadevano le olive. Nel “portapranzu” c’erano spesso “miccinati di frittuli e ova”, o “pipalori frijuti”, “livi mpurnati” , “casu cu quagghjiu”, “sarzizzi o dui gruppa i supprizzati” quando la raccolta era fatta dopo le feste natalizie, duranti le quali venivano tradizionalmente macellati i maiali. In pochi usavano “rrimazzare i luvari cu camaci” perché le rovinavano, e quindi la raccolta delle olive si prolungava fino a marzo, quando non si verificavano “venticate” forti, tali da spogliare del tutto “l’arburu benidittu” dal suo prezioso frutto.
Poi arrivarono le “tende”, e succe ssivamente “u crivu” fatto artigianalmente, che soppiantava quello vecchio, di forma rotonda.
Poi le “tende” hanno semplificato molto il lavoro di raccolta, e migliorato anche la qualità dell’olio…il periodo migliore, secondo il mio modesto parere, è stato quando alla raccolta con le reti si abbinava ancora la macinatura con i vecchi frantoi. Ora, chi ancora si diletta nella raccolta delle olive, le insacca nei sacchi così come vengono raccolti dalle reti e le porta ai frantoi insaccati insieme alle foglie. Frantoi che nel frattempo si sono attrezzati per la pulitura. Ricordo con nostalgia la giornata assegnata dai proprietari dei frantoi, di mio zio, nello specifico, quanto andavamo a presenziare alla spremitura dei nostri chicchi sacri e preziosi. Ricordo che di solito, le famiglie più “i doviri” portavano loro da mangiare alla “pressa” nei giorni in cui venivano macinate le proprie raccolte. Era un lavoro durissimo ma poco mi affascinava come quella meccanicità perfetta quanto semplice e semi-manuale. Mi davo da fare ma spesso mi accorgevo di essere più un ingombro “ sì sempi ammenzu e pedi”…che un aiuto reale. Avrei dato non so cosa per poter spingere dei comandi, maneggiare la pasta per sistemarle nelle “sporte” oppure comandare il pulsante quando arrivò la macchina che dosava bene la pasta di olive macinate dalle grandi pietre tonde; instancabili nel loro girare schiacciando tutto, raccogliere l’olio dalle “cebbie” dove mischiato con l’acqua calda veniva fuori finalmente il prezioso liquido. Lo definirei il nostro petrolio.
Ma i grandi non mi facevano andare oltre il mettere un po’ di “nozzulu” nella grande stufa. Però si mangiava bene. Lo stocco, soprattutto, era buonissimo. Ricordo anche, prima dell’avvento dell’Ape e di qualche piccolo trattorino, il via vai dei mulattieri che recapitano i sacchi di olive raccolte nelle varie zone impervie coltivate, raggiunte da viottoli impraticabili per qualsiasi altro mezzo di trasporto. Lo scarico dei sacchi, i racconti e le battute accettate e stimolate dalla confidenza tra mulattieri e proprietari della pressa, mi vedevano costantemente vicino, intento ad ascoltare, a volte tra il divertito e lo scandalizzato per le battute a doppio senso ma mai volgari e finendo per essere a volte pure lì ammenzu e pedi. Gli sfottò, i soprannomi, la fatica, la consapevolezza di essere quello che l’epoca e le condizioni ambientali ci consentivano di essere. Però compiuti. Seppure in un piccolo mondo semi-isolato e solitario.
Piero Sergi
Ophelia Kipling Assolutamente rapita dalla descrizione di questo spaccato di vita. Magistrale l'uso dei termini dialettali, cultura allo stato puro... E poi infine qualche ricordo che affiora dall'oblio, ricordi come sogni di un'età troppo acerba.
Mi piaceVedi altre reazioni · Rispondi · Invia messaggio · 1 · 4 agosto alle ore 14:08
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Onirico per legittima difesa
Onirico per legittima difesa Grazie Ophelia...lusingato
Mi piaceVedi altre reazioni · Rispondi · 1 · Commento di Pietro Sergi · 4 agosto alle ore 14:10
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Mariantonia Stefanino
Mariantonia Stefanino "Il sacro poco"Pasoliniano che era il tanto del mondo
Mi piaceVedi altre reazioni · Rispondi · Invia messaggio · 1 · 4 agosto alle ore 16:33
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Dericati Calabrisi
Dericati Calabrisi ...un secchio di ferro pieno di braci, per far scaldare le mani delle donne, dalle dita intorpidite dalla raccolta, con gli uomini che salivano su ulivi alti più di dieci metri con la "percia" per 'rrimazzari le piante più cariche del prezioso frutto. Tutto ritorna alla memoria, nella finestra che hai aperto su uno spaccato di vita agreste e ormai perduta di un mondo ormai sbiadito dal tempo. Grazie...
Mi piaceVedi altre reazioni · Rispondi · Invia messaggio · 2 · 5 agosto alle ore 2:23
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Anna Zappia
Anna Zappia E l'immancabile luvara nta costera ...quando alzandoti la mattina con un vento da paura pensavi si stesse a casa e invece ti trovavi il trattorino caricato di tutto l 'occorrente per la raccolta.. e alla domanda "Con questo vento?" La risposta era : "Si figghjia jia è rripatu e non di pigghjia" 😣 Troppi bei ricordi riaffiorati... bellissimo vedere i miei genitori emozionati da questo racconto . Veramente stupendo...Grazie per queste gocce di memoria...
Mi piaceVedi altre reazioni · Rispondi · Invia messaggio · 1 · 6 agosto alle ore 13:07 · Modificato
Non so quanto di vero ci fosse, ma non ricordo di aver mai visto un ulivo squarciato da un fulmine. Oppure ricordo il disprezzo generale quando a qualcuno venivano tagliati gli alberi di ulivo in segno di avvertimento o disprezzo. Era peggio che ricevere delle coltellate, tanto era spregevole quel gesto contro quelle piante, sempre rigogliose. Le donne ufficialmente non lavoravano. In fabbrica. Per la raccolta di olive e ghiande, quindi, ci si organizzava lasciando a turno i bambini a rotazione tra parenti, amici stretti o “San Gianni” per “tenere” i bambini piccoli, che quasi mai mancavano nelle famiglie, nel periodo di maggior caduta delle olive. Poi una volta finita la raccolta di un “fundu di rrobba” si aiutava l’altra famiglia badando la prole piccola. Quando invece il tempo era buono, i figlioli non più in face se li portavano dietro. Mi ricordo che i pantaloni dei maschietti venivano tagliati tra le gambine fin dietro la schiena, per consentire loro di espletare i bisogni in autonomia. Non di rado si sentivano urli sotto gli ulivi, pianti o sgridate se incautamente si finiva per passare nel perimetro della “luvara rrampata”, dove cadevano le olive. Nel “portapranzu” c’erano spesso “miccinati di frittuli e ova”, o “pipalori frijuti”, “livi mpurnati” , “casu cu quagghjiu”, “sarzizzi o dui gruppa i supprizzati” quando la raccolta era fatta dopo le feste natalizie, duranti le quali venivano tradizionalmente macellati i maiali. In pochi usavano “rrimazzare i luvari cu camaci” perché le rovinavano, e quindi la raccolta delle olive si prolungava fino a marzo, quando non si verificavano “venticate” forti, tali da spogliare del tutto “l’arburu benidittu” dal suo prezioso frutto.
Poi arrivarono le “tende”, e succe ssivamente “u crivu” fatto artigianalmente, che soppiantava quello vecchio, di forma rotonda.
Poi le “tende” hanno semplificato molto il lavoro di raccolta, e migliorato anche la qualità dell’olio…il periodo migliore, secondo il mio modesto parere, è stato quando alla raccolta con le reti si abbinava ancora la macinatura con i vecchi frantoi. Ora, chi ancora si diletta nella raccolta delle olive, le insacca nei sacchi così come vengono raccolti dalle reti e le porta ai frantoi insaccati insieme alle foglie. Frantoi che nel frattempo si sono attrezzati per la pulitura. Ricordo con nostalgia la giornata assegnata dai proprietari dei frantoi, di mio zio, nello specifico, quanto andavamo a presenziare alla spremitura dei nostri chicchi sacri e preziosi. Ricordo che di solito, le famiglie più “i doviri” portavano loro da mangiare alla “pressa” nei giorni in cui venivano macinate le proprie raccolte. Era un lavoro durissimo ma poco mi affascinava come quella meccanicità perfetta quanto semplice e semi-manuale. Mi davo da fare ma spesso mi accorgevo di essere più un ingombro “ sì sempi ammenzu e pedi”…che un aiuto reale. Avrei dato non so cosa per poter spingere dei comandi, maneggiare la pasta per sistemarle nelle “sporte” oppure comandare il pulsante quando arrivò la macchina che dosava bene la pasta di olive macinate dalle grandi pietre tonde; instancabili nel loro girare schiacciando tutto, raccogliere l’olio dalle “cebbie” dove mischiato con l’acqua calda veniva fuori finalmente il prezioso liquido. Lo definirei il nostro petrolio.
Ma i grandi non mi facevano andare oltre il mettere un po’ di “nozzulu” nella grande stufa. Però si mangiava bene. Lo stocco, soprattutto, era buonissimo. Ricordo anche, prima dell’avvento dell’Ape e di qualche piccolo trattorino, il via vai dei mulattieri che recapitano i sacchi di olive raccolte nelle varie zone impervie coltivate, raggiunte da viottoli impraticabili per qualsiasi altro mezzo di trasporto. Lo scarico dei sacchi, i racconti e le battute accettate e stimolate dalla confidenza tra mulattieri e proprietari della pressa, mi vedevano costantemente vicino, intento ad ascoltare, a volte tra il divertito e lo scandalizzato per le battute a doppio senso ma mai volgari e finendo per essere a volte pure lì ammenzu e pedi. Gli sfottò, i soprannomi, la fatica, la consapevolezza di essere quello che l’epoca e le condizioni ambientali ci consentivano di essere. Però compiuti. Seppure in un piccolo mondo semi-isolato e solitario.
Piero Sergi
Ophelia Kipling Assolutamente rapita dalla descrizione di questo spaccato di vita. Magistrale l'uso dei termini dialettali, cultura allo stato puro... E poi infine qualche ricordo che affiora dall'oblio, ricordi come sogni di un'età troppo acerba.
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Onirico per legittima difesa
Onirico per legittima difesa Grazie Ophelia...lusingato
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Mariantonia Stefanino
Mariantonia Stefanino "Il sacro poco"Pasoliniano che era il tanto del mondo
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Dericati Calabrisi
Dericati Calabrisi ...un secchio di ferro pieno di braci, per far scaldare le mani delle donne, dalle dita intorpidite dalla raccolta, con gli uomini che salivano su ulivi alti più di dieci metri con la "percia" per 'rrimazzari le piante più cariche del prezioso frutto. Tutto ritorna alla memoria, nella finestra che hai aperto su uno spaccato di vita agreste e ormai perduta di un mondo ormai sbiadito dal tempo. Grazie...
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Anna Zappia
Anna Zappia E l'immancabile luvara nta costera ...quando alzandoti la mattina con un vento da paura pensavi si stesse a casa e invece ti trovavi il trattorino caricato di tutto l 'occorrente per la raccolta.. e alla domanda "Con questo vento?" La risposta era : "Si figghjia jia è rripatu e non di pigghjia" 😣 Troppi bei ricordi riaffiorati... bellissimo vedere i miei genitori emozionati da questo racconto . Veramente stupendo...Grazie per queste gocce di memoria...
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