LE MANI DELLA 'NDRANGHETA, DIRETTA DAL PLENIPOTENZIARIO DELLA "PROVINCIA LOMBARDIA", IL 'GRANDE VECCHIO' DON SALVATORE MUSCATELLO ORIGINARIO DI SANT'AGATA DEL BIANCO (RC) IN LOMBARDIA E NEI SUBAPPALTI CONNESSI CON L'EXPO,. L'ALTRO GRUPPO È DIRETTO DA ANTONIO GALATI 62 ANNI DI MILETO (V.V.)FACENTE CAPO AI MANCUSO DI LIMBADI MNELL'OCCHIO DEL CICLONE UN TERRENO A LUCERNATE DI RHO PER EDIFICARVI UN COMPLESSO IMMOBILIARE AD USO ABITATIVO
Domenico Salvatore
C'è tra i protagonisti di questa storia, un boss ultraottantenne, Salvatore Muscatello, nato ad Amato (CZ) il 2 di aprile del 1934, eminenza grigia della 'ndrangheta lombarda, protagonista dei maxi blitz degli anni Novanta (La Notte dei fiori di San Vito), capo della locale di Mariano Comense nell'operazione Infinito del 2010, arrestato, condannato, messo ai domiciliari; dal 2012, plenipotenziario della "Provincia Lombardia; gli era concesso di dialogare con i pezzi grossi: Rocco Aquino, Giuseppe Pelle e Domenico "Mico" Barbaro; accertata dall'ordinanza 'Infinito', la sua presenza al matrimonio del 2009 tra Elisa Pelle, figlia di Giuseppe, detto "Gambazza", e Giuseppe Barbaro, figlio del defunto Pasquale; nel suo bunker ci andavano anche Giovanni e Giuseppe Morabito (figlio e nipote) di Giuseppe Morabito, alias 'U Tiradrittu; Benito Cristello di Seregno la moglie del boss di Vigevano, Fortunato Valle, condannato a 24 anni di carcere ed Emilio Pizzinga, politico locale a caccia di voti ex consigliere comunale di Mariano Comense, che non risulta indagato nell'operazione, risultato in rapporti anche con i Galati; padre di Francesco Pizzinga, finito in galera nel 2006 perché trafficava droga con la 'ndrangheta di Africo. C'è anche un politico del Partito democratico, il consigliere comunale Calogero Addisi, dipendente della Milano Serravalle, la società che gestisce le tangenziali e l'autostrada A7, ma l'azienda non è minimamente coinvolta nell'inchiesta, originario del Vibonese, garantisce per sé e per i parenti, che stanno in Calabria. Incassa voti nel comune di Rho, investe una somma di denaro per l'acquisto del terreno e favorisce l'approvazione di una variazione di destinazione del terreno stesso, in modo da superare i vincoli di edificabilità e si fa comandare dal boss Pantaleone Mancuso, con cui è imparentato, la moglie è la nipote diretta dello zio , il capobastone, che lo riceve nella sua villa in contrada Agro di Limbadi. Perché come spiega il collaboratore di giustizia Antonino Belnome, "un locale è forte quando ha le sue radici in Calabria, il Nord non conta niente senza la Calabria". Vincoli di parentela già emersi nel corso dell'operazione della DDA " Metastasi" sulla 'ndrangheta nel Lecchese, nel corso della quale Addisi era stato intercettato mentre si diceva "disponibile" a raccogliere voti per l'allora candidata alle comunali di Milano, Mariolina Moioli. E c'è pure, un emissario lombardo del clan dei Mancuso di Limbadi, Antonio Galati. Ci sono, il 62enne Antonio Galati, suo figlio di 35 Giuseppe e altri parenti, tutti affiliati alla cosca Mancuso di Limbadi in provincia di Vibo Valentia. I Galati, gestivano il business della cosca in Lombardia : estorsioni, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, detenzione di armi. Ed anche un mega affare immobiliare a Lucernate di Rho. Emerge anche un quadro di relazioni con il mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e bancario per ottenere favori, notizie riservate, finanziamenti e altro. In particolare, la famiglia Galati aveva rapporti stretti con un funzionario dell'agenzia delle entrate, un agente di polizia penitenziaria, diversi imprenditori e politici locali. C'è altresì, un imprenditore lombardo coinvolto nell'affare Franco Monzini, che conosce Galati grazie ad Addisi braccio politico dei Mancuso. Ci sono i contorni. Un sorvegliato speciale, Fortunato Galati, non si ferma a un posto di blocco della polizia Municipale a Giussano. Un vigile Luigi Galanti segnala; la cosa, finisce sul tavolo del Tribunale di Sorveglianza di Milano; Galati, torna in carcere. I soliti ignoti danno fuoco all'auto dell'agente della Polizia Municipale con una molotov. Galati, avrebbe "ordinato dal carcere di bruciare" l'auto del un vigile urbano che l'aveva visto transitare su una macchina in compagnia di un pregiudicato e aveva steso un rapporto che gli era costato la revoca della semi-libertà". Fortunato Galati, chiede e non ottiene il trasferimento dal carcere di Monza a un altro in Calabria. Parte un pizzino al colloquio "Pitaniello Maria Casa Circondariale Monza direttrice del carcere". Arriva una busta con tre proiettili 9X21. In arresto pure Fortunato Bartone, 41enne residente a Giussano (Mb); Matteo Rombolà, 27enne titolare di un panificio a Mariano Comense e imparentato con Fortunato Galati, e infine Saverio Sorrentino, 53enne "braccio destro" di Antonio Galati ed Alberto Pittito, commerciante d'auto operante tra Cantù e Mariano Comense,
Nella gerontocrazia moscovita per fare carriera agli alti livelli, bisognava 'prima' tagliare il traguardo delle ottanta primavere; beato chi ci riusciva. I più, crepavano anzitempo. Così nella 'ndrangheta? Forse sì, forse no, ma i capicrimine di Polsi dichiarati come Domenico Oppedisano ed Antonio Pelle, inteso 'Gambazza', li avevano raggiunti. E pure tanti altri non dichiarati, come Domenico Alvaro ("Massaru Micu"), Cosimo Alvaro ("U Forgiaru) Giuseppe Piromalli, Natale Iamonte, Peppino Marcianò, Giuseppe Morabito 'U Tiradrittu, Antonio Commisso Francesco Nirta, Antonio Nirta, Domenico Mancuso ("U zoppu") Francesco Barbaro 'U Castanu, Mario Ursini; Domenico Libri, li avrebbe compiuti in questi giorni, Paolo Crea ex capo di società del locale di Desio ecc.. Dunque, la 'ndrangheta esiste in Lombardia e nel Milanese. Non era un'invenzione dei giornalisti pettegoli, ficcanasi, scribacchini e pennivendoli. Quei Prefetti, Questori, Governatori Sindaci e Presidenti di Provincia che per decenni si sono lavati le mani come Ponzio Pilato, sono stati smentiti clamorosamente dalla magistratura, che ha tirato dritto per la sua strada. La politica, anzi il 'potere numero uno' dello Stato, ha tentato e tenta ancora di sottomettere la magistratura, potere 'numero tre', ma non ci riuscirà. Per lo meno ci auguriamo di no. I giudici sono indispensabili, fondamentali. Lo vediamo da mezzo secolo anche sui campi di gioco, nel microcosmo che per noi rimane una Facoltà di Sociologia e Psicologia, se non di antropologìa. Un osservatorio davvero privilegiato. Le squadre con tutto il loro entourage (tifosi, sportivi, infiltrati, famiglie al seguito, presidente, allenatore e spesso anche sindaci, consiglieri, assessori), ancor prima di entrare in campo, fanno capire e sentire in qualche modo le loro intenzioni. Ovvero l'imperativo categorico: vincere la partita. Lo stesso fanno i padroni di casa ovviamente con mille posture, moine, svenevolezze, infingimenti, smancerie, posizionamenti ed il linguaggio, padrone e signore dentro e fuori del campo. Il "povero" arbitro si viene a trovare tra l'incudine ed il martello. Tra Scilla e Cariddi. Se è un giovane alle prima armi ed ha carattere e personalità in qualche modo riesce a non finire al Pronto Soccorso; alternativa alla divisione di 'neuropsichiatria'. Se invece non ha esperienza e viene mandato nella fossa dei leoni per imparare, diventa una chewingum da masticare. Vanno bene i marpioni, esperti e duri del rettangolo di gioco. A questi Rambo del pallone non gliene frega un bel niente delle esigenze delle squadre e delle società. Il direttore di gare o giudice di gara bada ad applicare il regolamento per il resto risponde come Clark Gable a Vivien Leigh in "Via col vento…"Francamente me ne infischio". Non è facile per un giudice di gara, specialmente quand'è solo, garantire la trasparenza e la legalità sul camppo. I calciatori non collaborano. Il pubblico nemmeno. Anzi tentano di corromperlo. Inizialmente ricordando le differenti posizioni di classifica. Poi, cominciano a rotolarsi al minimo contatto, accentuando la caduta; quindi stuzzicano l'arbitro per farlo 'cadere' in errore…non hai visto bene… il fallo era a mio favore…arbitro occhio…ci vedi bene….quello ti ha detto che sei cretino e tu fai finta di niente…estrai il cartellino giallo e rosso, concedimi il rigore,…il goal in fuorigioco…la punizione inesistente…arbitro cornuto. Se il direttore di gara, ha un principio di pancetta e si muove poco sul campo, lo sfottò è un tormentone che dura novanta minuti. In alcuni campi è usanza accerchiare l'arbitro al primo fallo a centrocampo, per fargli capire da che parte debba stare. Ma un arbitro al primo minuto ha espulso tre giocatori e i lupi rapaci, sono diventati agnellini da latte. Lo abbiamo detto e scritto e qui ci ripetiamo. Ognuno deve svolgere il suo mestiere. Il giudice dev'essere lasciato in santa pace. E dev'essere autonomo ed indipendente. Deve dare conto solo alla Legge. Si badi bene che la Legge, viene promossa e promulgata dal 'potere numero uno' cioè dalla politica. Il 'potere numero tre' cioè la magistratura deve farla osservare e rispettare. I padri della Costituzione lavorarono anni ed anni, decenni per approntarla in bozza. E successivamente venne migliorata. Anche di questi tempi. Sebbene le riforme non siano facili nel nostro Paese. Giudici a rischio. La politica li vorrebbe asserviti, schiavizzati, sottomessi, schiacciati ed appiattiti, per poter fare i suoi porci comodi. Sappiamo bene tutti quali tentazioni possano scattare; che, non sono solo totalitariste, oligarchiche, aristocratiche. La dittatura è sempre dietro l'angolo. In età repubblicana, ci sono stati dei tentativi, per fortuna falliti miseramente. La mafia in Lombardia esiste. Nel Milanese pure. In Brianza anche. E non si può più fare finta di non sentire; di non capire. I giudici, conoscono il loro mestiere. Passano trent'anni sui libri, prima di poter partecipare ad un concorso pubblico per uditore giudiziario; ed incominciare ad imparare l'arte, mestiere e professione. Dice il flash dell'agenzia Ansa…"In particolare avevano rapporti con un agente di polizia penitenziaria, un funzionario dell'Agenzia delle Entrate, un imprenditore immobiliare, attivo anche nel mondo bancario e con dei consiglieri comunali di comuni nel Milanese. Gli arresti, sono stati eseguiti nelle province di Milano, Como, Monza-Brianza, Vibo Valentia e Reggio Calabria. I 13 indagati sono accusati di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro di provenienza illecita, abuso d'ufficio, favoreggiamento, minacce e danneggiamento mediante incendio. Il procuratore aggiunto di Milano con delega alla DDA, Ilda Boccassini, ha spiegato punto per punto i dettagli dell'operazione, in conferenza stampa… "Un'impresa di Giuseppe Galati, presunto boss della 'ndrangheta in Lombardia, tra i destinatari delle misure cautelari, ha avuto la certificazione antimafia per lavorare in due subappalti del valore di ''450mila euro'' per la tangenziale esterna di Milano. Dopo l'operazione Infinito, quella con cui nel 2010 era stata smantellata la 'ndrangheta in Lombardia, "nulla cambia - dice Boccassini. E' una riflessione da fare. E per uscire dall'associazione mafiosa ci sono due modi o con la morte o diventi collaboratore e ti dai allo Stato". Il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, ha chiarito ''ci sarà una segnalazione alla Prefettura che ha già svolto un lavoro imponente per l'Expo''. La 'ndrangheta al Nord, in Pianura Padana ed anche Valle d'Aosta e Liguria c'è, come hanno dimostrato le ben numerose operazioni della DDA, le sentenze in Corte d'Assise, d'Appello e di Cassazione. Il sequestro e la confisca di beni mobili ed immobili nell'ordine dei miliardi di euri e le migliaia di anni se non ergastoli per capi e gregari; ed il famigerato regime del 41 bis per i mammasantissima. La testa pensante, soleva ripetere Giuseppe Pignatone e prima di lui, Salvatore Boemi, che hanno diretto la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, è a Reggio Calabria. Ma le filiali della "Provincia" organo supremo di autogoverno della 'ndrangheta planetaria, sono sparse ai cinque continenti ed in modo speciale al Nord ed al Centro Italia. La mafia vuole comandare a Reggio, a Roma, a Milano, a New York, a Londra ed a Tokyo. È una holding internazionale del crimine con le mani in pasta in tutti i settori; nessuno escluso. Nei suoi forzieri ci sono montagne di soldi con cui può corrompere e conquistare i mercati. I figli dei boss, non indossano vestiti di velluto, camicie di flanella, coppole e scarpe grosse sopra i calzettoni di lana pecorina. E soprattutto non bazzicano i contrafforti aspromontani a far da mediatori per partite di vacche, pecore, maiali, capre asini, cavalli e muli, partite di paglie e grano e fieno, il rientro del trattore o motocoltivatore al legittimo proprietario. E perfino la pianura per trattare le partite di arance, mandarini, limoni, ciliegie, mele, pere ed altra frutta. La mafia, ha avuto la sua evoluzione, grazie agli errori della politica ( non sappiamo quanto in buonafede), che ha voluto cavalcare la tigre della mafia, per dire pane al pane e vino al vino. Si tratta di una minoranza d'accordo. Il resto cioè il grosso della politica, la parte sana, onesta, laboriosa, continua invece a lavorare per lo Stato e nello Stato. Altrimenti ci troveremmo in situazioni apocalittiche, se non disperate. La mafia si è evoluta. I suoi figli, studiano nelle migliori Università, si specializzano, prendono il master, imparano tre o quattro lingue. Vivono in villette e chalet od in sontuosi palazzetti, con tutti i conforts possibili. Hanno macchine veloci e costose, yacht e Panfili e viaggiano in aereo, business class. Sono ricercati nella persone. Fitness point e palestre attrezzate, coiffeur personale, vestiti griffati, calzature alla moda, occhiali da sole Ray ban. Non vive nemmeno di sequestri di persona, come venticinque anni fa. Ha trovato il business comodo e bello della droga. Ma pure rischioso visto l'inasprimento delle pene, che possono arrivare anche a venti anni. Massimo D'Azeglio era un politico avveduto del Risorgimento Italiano. Fu lui a capire che gl'Italiani ancora non fossero 'fatti'. Di fatto, c'era solamente la Patria, l'Italia. Purtroppo i suoi colleghi successivi, fagocitati dai ricchi industriali ed agricoltori facoltosi ed istruiti (il 99 per cento della popolazione era analfabeta o semi-analfabeta), s'interessarono solamente per uno spezzone del Paese. Da Roma in su per intenderci. Il Mezzogiorno fu completamente e colpevolmente abbandonato in balia delle onde e di se stesso. Ed oggi non è cambiato granchè. Lascia stare la classe politica locale imbelle, inetta, imbranata ed incapace; con le dovute eccezioni per carità, embeh! La fame si tagliava con il coltello. La povertà regnava ed ancora regna sovrana a centocinquant'anni e passa dalla Proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861). Conosciamo famiglie di sei componenti con quattro disoccupati, tanto per, che devono mangiare tutti i giorni, vestirsi, calzarsi e…rassegnarsi a rinunziare a 'vivere'. Ci sono paesi della cerchia melitese, completamente spopolati. Decine di migliaia di persone che hanno abbandonato le loro case, i luoghi della memoria, il cimitero, la chiesa, la piazza, il campo sportivo, la processione per le vie del paese eccetera. Apprendiamo con stupore che alcune decine di giovani siano partiti in cerca di fortuna. Ma non al Nord Italia, dove comunque c'è un certo equilibrio economico. All'estero. Sissignori. Questa è nuova. La tentazione è venuta pure a noi, che male c'è. Ma oramai, non abbiamo più vent'anni e trenta. Respiriamo ogni giorno le difficoltà della gente che si aggiungono alle nostre. Un malessere ed un malumore per nulla alleviato dai Governi centrale periferico e locale. Solo tasse, tasse e tasse. È giusto che si debbano pagare per carità; finchè sarà possibile. Poi, si evade, inevitabilmente. Il grosso della popolazione, quasi il 50% che vive con il reddito della pensione, non arriva a mille euri il mese. Gli aumenti del vivere quotidiano non accennano a placarsi. Presto o tardi s'imploderà dal di dentro. Intanto per tornare all'operazione "Quadrifoglio: Luigi Calogero Addisi, 55 anni, ex consigliere comunale di Rho, imparentato con alcuni esponenti di vertice della cosca Mancuso di Limbadi, originario di San Calogero, in provincia di Vibo Valentia ma residente a Rho; Fortunato Bartone, 41 anni, originario di Mileto (Vv), residente a Giussano (Mb); Antonio Denami, 25 anni, originario di Vibo Valentia, già agli arresti domiciliari per estorsione. Antonio Galati, 62 anni, originario di Mileto (Vv), residente a Cabiate (Co), emerso quale esponente apicale dell'omonimo clan, proiezione in territorio lombardo della cosca "Mancuso" di Limbadi; Fortunato Galati, 36 anni, originario di Vibo Valentia, già detenuto per omicidio; Giuseppe Galati, 43 anni, originario di Castellana Sicula (Pa), già detenuto per traffico di stupefacenti; Giuseppe Galati, 35 anni, originario di Vibo Valentia, residente a Cabiate (Co), imprenditore nel settore dei compro-oro, figlio del principale indagato, Antonio Galati; Franco Monzini, 65 anni, originario di San Benedetto Po (Mn), residente a Milano, imprenditore edile, protagonista di un investimento immobiliare in società occulta con Antonio Galatu, insieme agli indagati Addisi e Vellone; Salvatore Muscatello, 80 anni, originario di Amato (Cz), già agli arresti domiciliari perchè condannato per associazione mafiosa a seguito del processo "Infinito", quale capo del locale di 'ndrangheta di Mariano Comense (Co); Alberto Pititto, 39 anni, originario di Vibo Valentia, commerciante di automobili a Mariano Comense e Cantù, emerso quale persona a disposizione della "famiglia Muscatello"; Matteo Rombolà, 27 anni, originario di Seregno (Mb), titolare di un panificio a Mariano Comense, cognato del detenuto Fortunato Galati; Saverio Sorrentino, 53 anni, originario di Francica (Vv), "braccio destro" di Antonio Galati; Luigi Vellone, 54 anni, originario di Serra San Bruno (VV), residente a Gessate (MI), imprenditore in diversi settori, protagonista di un investimento immobiliare in società occulta con Antonio Galati, insieme agli indagati Addisi e Monzini, sono finiti in galera con pesanti accuse. L'operazione dimostra che il giudice Vincenzo Macrì avesse mille ragioni per lanciare l'allarme negli Anni Ottanta, sui pericoli dell'espansione della 'ndrangheta. I miliardi, la 'ndrangheta li ha fatti sempre e comunque al Nord Italia. Dapprima, con i sequestri di persona. Poi, con la droga ed in parallelo con appalti e sub-appalti e soprattutto fornitura di tutto ciò che ruota intorno a questo business. Senza per questo, trascurare gli altri settori, a partire dal rakett delle estorsioni. Dove ci sono soldi, lì c'è la mafia. Questo, è lapalissiano. Lo Stato, fa quel che può con i (pochi) soldi investiti nella lotta alla mafia. L'Antistato, che vuole prenderne il posto, fa di più e resta a galla. Il flash dell'Ansa Calabria recita così…"Le mani della 'ndrangheta su speculazioni immobiliari e subappalti di grandi opere connesse ad Expo 2015. E' quanto emerge dalle indagini che hanno portato i Carabinieri ad eseguire in Lombardia e Calabria 13 arresti, su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Milano, nei confronti di altrettanti indagati per associazione di tipo mafioso. L'indagine è diretta dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini.Al centro delle indagini del Ros dei Carabinieri due gruppi della 'ndrangheta radicati nel Comasco, con infiltrazioni nel tessuto economico lombardo. Accertati, secondo le indagini, gli interessi delle cosche in speculazioni immobiliari e in subappalti di grandi opere connesse ad Expo 2015.
Gli arrestati avevano contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e bancario da cui ottenevano vantaggi, notizie riservate e finanziamenti. In particolare avevano rapporti con un agente di polizia penitenziaria, un funzionario dell'Agenzia delle Entrate, un imprenditore immobiliare, attivo anche nel mondo bancario e con dei consiglieri comunali di comuni nel Milanese.Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Milano, Como, Monza-Brianza, Vibo Valentia e Reggio Calabria. I 13 indagati sono accusati di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro di provenienza illecita, abuso d'ufficio, favoreggiamento, minacce e danneggiamento mediante incendio. Boccassini: a società boss certificato antimafia - Un'impresa di Giuseppe Galati, presunto boss della 'ndrangheta in Lombardia, tra i destinatari delle misure cautelari, ''ha avuto la certificazione antimafia'' per lavorare in due subappalti del valore di ''450mila euro'' per la tangenziale esterna di Milano. Lo ha spiegato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini. Il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, ha chiarito ''ci sarà una segnalazione alla Prefettura che ha già svolto un lavoro imponente per l'Expo''. Dopo l'operazione Infinito, quella con cui nel 2010 era stata smantellata la 'ndrangheta in Lombardia, "nulla cambia - dice Boccassini -. E' una riflessione da fare." E per uscire dall'associazione mafiosa ci sono due modi "o con la morte o diventi collaboratore e ti dai allo Stato". Uno dei presunti boss della famiglia Galati avrebbe "ordinato dal carcere di bruciare" l'auto di un vigile urbano "che l'aveva visto transitare su una macchina in compagnia di un pregiudicato e aveva steso un rapporto che gli era costato la revoca della semi-libertà". Lo ha spiegato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini. Tra gli episodi di intimidazione messi a segno dalla cosca dei Galati, riferisce Boccassini, c'è anche l'invio da Vibo Valentia di una "busta con proiettili" alla "direttrice del carcere di Monza", Maria Pitaniello, come minaccia per cercare di ottenere un diverso trattamento detentivo per Fortunato Galati.Tra gli arrestati ex consigliere comunale di Rho - Luigi Calogero Addisi e' accusato di riciclaggio e abuso d'ufficio con l'aggravante di aver favorito l'associazione mafiosa. Avrebbe riciclato denaro per l'acquisto di un terreno nella zona di Rho per poi votare a favore in Consiglio comunale della destinazione d'uso che ne avrebbe aumentato il valore.Tra gli arrestati c'è anche Salvatore Muscatello, già agli arresti domiciliari perché condannato a seguito della maxi-inchiesta 'Infinito' del luglio 2010 e che ancora era "a capo della 'locale' di Mariano Comense", in provincia di Como. Boccassini ha chiarito che "ancora fino a stamattina, quando poi è finito in carcere, Muscatello continuava a esercitare quel ruolo di capo". Nella sua casa, ha aggiunto il magistrato, "andavano persone per confrontarsi sulla gestione della 'locale' e, tra queste, anche la moglie" di un presunto boss della cosca Lampada-Valle "per chiedere un contributo per la sua famiglia". Domenico Salvatore










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