Mario Luzi. A cento anni dalla nascita.
Nella sua cristianità il canto della vita e della poesia
di Pierfranco Bruni
In un recente convegno sul Novecento letterario italiano, in uno dei Paesi esteri, mi è stato affidato il compito di percorrere il rapporto di Mario Luzi, a cento anni dalla nascita, all’interno dei “parametri letterari” contemporanei.
A cento anni dalla nascita di Mario Luzi il viaggio nella cristianità della parola è un viaggio nella poesia dell’essere. Mario Luzi (Firenze 1914 – 2005) è un poeta nel tempo dello spazio nel quale i luoghi dell’essere sono fatti di sguardi ancorati alla memoria. Un intreccio che è conoscenza e dimensione dell’essere. La poesia, dunque. Una didattica sulla poesia. Bisognerebbe riflettere. Dovremmo spingerci verso una metodologia della didattica della poesia. Ma in modo serio. Il poeta è nel tempo. Chi continua negli esercizi linguistici non conosce il tempo perché non conosce l'emozione, lo stupore, la meraviglia, il dolore, la gioia, la passione. Luzi ha sempre creduto all’insegnamento della parola poetica. Tanti i suoi libri da quel 1935 quando uscì La barca. Sino a L’adorazione dei Magi e dei pastori: un classico nella sua costante ricerca di infinito.
La parola come la vita in Luzi. La parola nella vita. E, chiaramente, viceversa. Spesso si dibatte sulla funzione della poesia. Un gioco infinito ma anche indefinibile. Ci cattura. Ci aggredisce. Ci abbandona. Vive dentro di noi. Vive fuori di noi. Ma non voglio parlare di questo. Il poeta è uno scrittore. Lo scrittore non sempre è un poeta. Il poeta è attraversato dalle alchimie. Lo scrittore forse del pensare, di quel pensare che può conoscere magia e mistero ma può anche non conoscere i sentieri dell'incantesimo. Voglio andare oltre. I luoghi dello scrittore. I luoghi del poeta. I vizi. Gli assurdi.
Il poeta e lo scrittore hanno una loro geografia. Metaforica e fisica. Le case e il sogno. O la fantasia e l'allegoria. Il tempo. Il tempo nella geografia dell'anima e nella geografia del vedere, del toccare. I luoghi dello scrittore (quelli fisici inizialmente) diventano ben presto i luoghi e gli spazi della letteratura. Il più delle volte la geografia dello scrittore si impossessa dello stesso linguaggio. Un linguaggio che è recita di tempo e di modelli esistenziali. Lo scrittore si forma con il linguaggio recuperando alla memoria i segni del quotidiano. Una volta recuperati questi gesti bisogna assorbirli e non renderli rappresentativi.
La rappresentazione uccide l'atto poetico, uccide la favola, la magia, il mistero. Perché rende l'effetto creativo stesso come elemento di un realismo immediato. Lo stesso luogo non può essere una dimensione che conduce alla descrizione. Deve servirsi della metafora perché è la metafora che si impossessa di tutto il vissuto.
Mario Luzi in Vero e verso Scritti sui poeti e sulla letteratura ha sottolineato: "Il mistero è invece l'habitat, possiamo dire, ordinario del poeta, per quanto realistica possa essere la sua tesi o ipotesi di lavoro. Ci sono poeti che si professano, appunto, realisti e fondano la propria poetica sul realismo - anch'esso richiederebbe una più precisa definizione - prendiamo Brecht, per esempio: neanche lui potrebbe negare che c'è un margine di mistero nella trasformazione che il suo realismo, la sua capacità di analisi realistica del mondo è poi costretta a subire nel processo creativo, nel tradursi in un testo poetico".
Ed è vero quello che dice Luzi. Anche in Brecht si può leggere la dimensione della memoria oltre il realismo. La poesia come messaggio universale ma è tale perché si assottiglia il rapporto con il reale e prende il sopravvento il misterioso. Il tempo in letteratura non conosce il presente ma lo attraverso e lo conosce successivamente ma nel momento in cui lo ha conosciuto è già passato. In questo passato si definisce la nostalgia che in letteratura la si legge anche come patos.
Lo scrittore deve fare i conti con questi attraversamenti. In fondo il suo mondo (che è fatto di sentieri di parole e di sentieri di anima) non è un giocare con il presente e i luoghi della sua esistenza diventano metafora letterariamente ma anche antropologicamente. I luoghi dell'essere sono i luoghi del tempo. Sono i luoghi che fanno della parola un immenso universale. Un indefinito. La Sicilia per Pirandello, la Calabria per Alvaro, il Piemonte per Pavese, la Sardegna per Deledda, la Liguria per Caproni, la Toscana per Pratolini, Napoli per Domenico Rea. Soltanto esempi. Ma ci sono precise indicazioni che creano una ragnatela di suggerimenti onirici. I luoghi di Luzi sono nel cerchio magico delle immagini – metafore.
Il luogo viene sempre ad essere vissuto come destino di appartenenza. In Luzi c’è un’appartenenza fatta di cose e di simboli. appartenere ad un luogo che è stato un a - priori. Ovvero un riferimento ancestrale. Perché sì. Questo luogo di solito è il luogo dell'infanzia che si traduce come il luogo delle origini e le origini sono un richiamo che ci porta al senso della nascita. Origini come radici. Un legame che unisce ancora di più un orizzonte non solo letterario ma umano.
In questo proscenio il tempo e lo spazio sono decifrazione, appunto, di un mistero. Ma sia il tempo che lo spazio definiscono il luogo o i luoghi, come già si diceva. Ancora Luzi: "Mistero, d'altronde, non deve essere pensato come impossibilità, o rinunzia a conoscere, ma come modo altro della conoscenza, come modo particolare di conoscenza; conoscenza per mistero è una elargizione della fede, un dono dell'iniziazione confortato dal pensiero teologico, ma lo è anche per altri campi tra cui, appunto, la poesia".
La poesia come motivazione. L'ancestrale desiderio di ritrovare il luogo è un costante bisogno di ritrovar - si. Ritrovarsi, dunque, è un indefinibile desiderio che cattura, tra l'altro, il bisogno di conoscenza. Riconoscer - si nei luoghi è riconoscere un tempo e uno spazio. Ritrovarsi, riconoscersi, ritornare. Appunto il viaggio che va verso il sentimento del nostos.
Lo scrittore ha come filo conduttore un legame, appunto, ancestrale, forse inconscio, ma che diventa simbolico. Il linguaggio si nutre di simboli. Altrimenti si perde, si dimentica. Ecco perché il luogo ha sempre un valore metafisico. Non potrebbe essere diversamente. E dentro il luogo ci sono i luoghi. Il paese, il quartiere, la via, la piazza, il bar, l'incontro. Tutto questo lo si potrebbe riassumere come la "circostanza" del paesamento.
Lo scrittore cerca di allontanarsi dallo spaesamento facendo ritorno al centro. Il centro del luogo o dei piccoli luoghi è il ritornare. Ma questo luogo che è la metafisica di una esistenza e la metafora della parola che richiama echi antichi non è altro che il destino che accomuna in una identità che ha sempre una sua visione omerica. Questo luogo non può che essere definito allegoricamente con il concetto che rimanda alla metafora, ormai antica ma sempre valida, di Itaca.
Lo scrittore che cerca il paesamento o che si cerca nello spaesamento è sempre uno scrittore della nostalgia. Un paese vuol dire non essere soli raccontava Pavese. "Pensa a Itaca, sempre,/il tuo destino ti ci porterà" recitava Kavafis. Bisogna sempre pensare a quest'Itaca. Quando la si è lasciata la si porta dentro. Quando si vive fisicamente Itaca continuerà ad essere la nostra meta. E', in fondo, il viaggio. Lo scrittore che dimentica è lo scrittore che si è lasciato intrappolare dall'assenza. Uno scrittore attraversato dall'assenza sa di essere aggredito dal vuoto.
L'assenza è assentarsi. Per lo scrittore è smarrirsi. La perdita del luogo letterariamente diventa una "vacanza" ma soprattutto la si legge come un lutto e quindi come l'intrappolamento dell'angoscia. E' da questa angoscia che lo scrittore deve cercare di uscir fuori. La fuga, in questo caso, è piuttosto una fuga dall'angoscia che mira a riconquistare un destino. Ma in Luzi non c’è deriva. C’è una ontologia dello spazio e del tempo.
La letteratura è la metafora del luogo perché in essa si recupera l'agonia dello smarrimento in una dimensione non del rifuggiar - si nel luogo ma ritrovare il luogo e quindi lacerare così anche il sentimento della distanza. Ritornare è in fondo è "ricostruire un universo perduto" (come dice Luzi). Sostanzialmente l'idea omerica è un destino e resta tale in un tempo che non può essere reale e che in letteratura si traduce nell'orizzonte della memoria.
La letteratura è un orizzonte che va oltre la linea ma lo scrittore non è un confine. Il poeta è un vagare. La poesia non è un percorso. E' una geografia del tempo e dell'essere. Si è stati si dice in poesia. Non si è. Perché se si è, si è già stati. La poesia è una metafora che intaglia nell'essere attraverso anche la fisicità. Un giocare con l'anima, con le disarmonie - armonie del cuore, con le linee del corpo.
Insomma vivere la poesia non è in un vivere astratto. La realtà esiste ma la realtà conosce le maschere e le finzioni. Forse nel sogno. Forse oltre… Bisogna proprio riprendersi il perduto per essere nell'anima della poesia ricostruendosi nel tempo che fugge. E' il tempo che fugge una geografia indefinibile, come è indefinibile la nostalgia della parola che sfiora le labbra in una leggera carezza tra amanti nella tenerezza, nella passione, nel respiro di un silenzio. A volte la poesia è anche silenzio. Bisogna saperla ascoltare. Il silenzio della poesia di Luzi è incanto dello sguardo. Oltre ogni luogo reale ma nel luogo del sempre.
Il poeta è il silenzio. Ma il silenzio è un linguaggio nell'indefinibilità dell'essere e del tempo. I rimandi letterari sono necessari, ma perché cercarli? Verranno da soli. Oltre i luoghi. O nei luoghi. Oppure, chissà? Il viaggio di Mario Luzi è un incidere nel solco di una memoria che supera ogni steccato geografico perché è la geografia dell’essere che si fa misterioso cammino. Un io nel simbolico che chiosa la favola indefinibile dell’uomo che non può dimenticare.
Un viaggio che si fa oggi ancora di più indefinibile. Ed è quel viaggio nell’amore che va oltre i limiti. Così in una poesia del 2004 da Dottrina dell’estremo principiante: “L’amore aiuta a vivere, a durare,/l’amore annulla e dà principio. E quando/chi soffre o langue e spera, se anche spera, che un soccorso s’annunci di lontano,/è in lui, un soffio basta a suscitarlo./Questo ho imparato e dimenticato mille volte,/ora da te mi torna fatto chiaro,/ora prende vivezza e verità.//La mia pena è durare oltre quest’attimo”. Calore istintivo ed effetto singolare. Due termini che Luzi usò leggendo le poesie di Selvaggi. Sono due straordinarie sottolineature con le quali è possibile raccontare, in una battuta soltanto, il percorso di Luzi, il percorso della poesia.
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
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