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Gennaio. 18. Ti offro un caffé al bar delle Stelle Danzanti dove gli amori diventano infiniti di Pierfranco Bruni

Gennaio. 18. Ti offro un caffé al bar delle Stelle Danzanti

dove gli amori diventano infiniti

 

di Pierfranco Bruni

 

 

 

 

 

Ti scrivo oggi che è il 18 di gennaio.

Proprio oggi.

Sai perché? C'è uno specchio sul davanzale dei tuoi passi. Guarda la prospettiva. È un'immagini che conduce all'infinito o al finito?

 

Ti posso offrire un caffé?

 

Amarti è dire poco. Amarti abbastanza è dire ancora poco. Ma ti avverto. Un'avvertenza per noi che usiamo il linguaggio e i linguaggi è necessaria anche se le contraddizioni sono fiori d'acanto. Non chiosare le mie perplessità.

Il sorriso di questo giorno è un sorriso che ha i contorni nel vuoto. Questa volta non ti racconto favole e neppure cerco di inventarmi storie o di raccogliere destini intrecciandoli in altri destini.

Sarebbe semplicissimo e definitivo dirti soltanto: "La nostra armonia è diventata disarmonia. Il nostro amore, o ciò che noi credevamo fosse un grande amore, ha le pieghe e i contorni del disamore". Ma è proprio vero? Il gioco fa parte della mia recita. Ancora retorica o un gioco di parole.

Sono stato molto bravo, nella mia vita, a consumare parole giocandole sul tavolo verde della vita. Non provengo da lontano. Ho soltanto distanze da misurare e da colmare. Vengo da solitudini antiche. Sono rimasto sempre in piedi anche se molte volte ho legato i vetri della finestra alla trasparenza del vento.

Non mi sono mai illuso. Non mi sono illuso di te e neppure su di te. Il mio viaggio ha contorni contorti, ma nel mio viaggio non ci sono state donne che hanno tracciato la vita di una notte. Posso morire contento. Ho avuto donne che hanno pianto per me ed io ho vissuto attese aspettandole, ma, credimi, la pazienza non ha l'infinito. La pazienza trova la sua forza perchè trova sempre un limite. Tutto finisce. Come sta finendo il mio cammino. Tu sei unica. Vero o falso? Vero!

 

Preparati. Passo tra poco.

Ti posso offrire un caffé?

 

Eleonora.

Non sono triste. Non sono mai stato triste. Ma ho vinto la tristezza con l'ira, la rabbia, il combattimento. Seneca è nella mia vita e conosco le frontiere dell'ira e della morte. Ho compreso che gli amori finiscono nel momento in cui subentra il silenzio. Voler bene non è amare. Io non voglio soltanto voler bene.

Le donne che hanno segnato la mia vita sono state donne che hanno saputo amare e non voler bene. Le donne che hanno tracciato pezzi della mia vita sono state donne che ho amato. Quando è cominciato il voler bene è subentrato il silenzio, le pause, il disamore. Non si ama con il voler bene. Si ama con la sensualità, con la fisicità, con l'eroico gesto dei corpi che si penetrano. Anche questo ha una sua fine.

Ma tu sei la mia donna. Non le donne.

Le stelle danzanti non danzano più. Restano appiccicate agli angoli delle strade e disegnano le ombre e quando le ombre diventano nuvole di sabbia il mare non ha più bisogno di stelle. Sembra assurdo ciò che dico. O sembra incomprensibile? Ma l'amore è sempre un assurdo. Se non fosse tale respirerebbe il vento della ragione.

Il mio romanzo ormai è terminato. Anche questo che usa ormai chiamare romanzo. Dopo Asmà e Shadi. Dopo i racconti degli sciamani. Dopo il mio andare tra Eloisa e Claretta cosa mi resta ancora? Scrivere lettere? Non avrò più i segni della pesantezza. La leggerezza è nel mio cammino. Come gli antichi sciamani resto in ascolto delle distanze.

Ho penetrato in un istante fuggente i tuoi occhi ed ho capito che non sono più gli occhi che mi appartenevano. La consapevolezza che le parole sono una fuga dalla realtà è una verità inconfutabile. La consapevolezza che il silenzio segna una frattura è una realtà nella verità. Ho la consapevolezza che ti amo.

Amarsi non è amarsi un po'. Ma amarsi non significa amarsi per sempre. È giusto dire amarsi in quel o in un momento particolare. Discutere è uccidere un amore. Perché quando finisce si annuncia o può anche non annunciarsi ma l'amore non ha bisogno di parole. Il voler bene sì. Ma io che uso le parole non mi pongo più in ascolto delle parole. Mi pongo in ascolto del silenzio e delle solitudini.

Le solitudini in questi anni sono state le mie aquile. Continueranno ad essere i miei voli. E non accetto giustificazioni. Quando un amore entra nelle stanze delle giustificazioni si è toccato il graffio del cuore. Non bisogna mai arrivare alle giustificazione.

L'amore è amarsi con il coraggio di proteggersi… Io e te…

Bisogna fermarsi nel corridoi che precede il labirinto dell'assenza. Ma sono io la solitudine. Sono io che mi porto nell'anima la solitudine. Sono io che non riesco più a vivermi. E tu che mi ascolti puoi fare ancora tutto, se amore c'è, o puoi distruggere tutto, se amore non c'è. Stanne certa che non ho bisogno di alcuna pietà perché non ti concederò alcuna pietà.

 

Siamo al 18 di gennaio.

Posso offrirti un caffé? Araba che giungi dall'Egitto. I tuoi riccioli biondi che una volta ti cadevano sulla fronte ed io infilavo le mie dita tra i tuoi capelli per legare il tuo viso al mio viso.

Baciami con i baci di un tempo. Ma il tempo è passato e non raccolgo il passato per renderlo nostalgia. Mai fatto. Mai farò ciò e se questo amore finisce o è già finito io sarò altrove. Sarò oltre. Non avrò indugi.

Forse sarebbe stato meglio continuare a raccontare una favola. Ma ciò che ho inciso finora è una favola o è soltanto l'abbandono della favola?

Cammino per Via del Corso.

È un giorno di sole. Questa sera raccoglierò gli applausi in un teatro di anime perse. Sulla scalinata di Trinità dei Monti si sale e si scende.

Tanto tempo fa si raccontavano le rivoluzioni e si cantava la vita e la giovinezza.

Gli anni che si credevano immutabili e infiniti. Poi sono giunti i giorni che hanno vissuto le pagine dei decenni.

A quella rivoluzione si aggiunta la storia di un uomo. Quell'uomo ha diviso stagioni e gli amori lo hanno salvato e lo hanno sacrificato, lo hanno reso vivo e lo hanno fatto carnefice.

Ma tutto corre.

Roma è solo una cartolina. L'infanzia è un frammento. La giovinezza è un dettaglio. E tu amore mio cosa mi racconti in questo spazio di ore che tratteggia silenzi di epoche?

 

Non so! È tutto inutile ora che le lancette girano sui passi felpati incavati nella sabbia. La clessidra l'ha portata via mio padre. La danza delle stelle è rimasta nello sguardo dello sciamano ed io osservo il tuo lento camminare.

Dirti che ti amo è poco.

Dirti che ti amo abbastanza è ancora poco.

Dirti che non voglio perderti vale nella misura in cui vorrei sentirti dire che non puoi e non vuoi fare a meno di me. E tutto questo che ho scritto? È perché amandoti vorrei possederti ogni vita in più.

Ma tutto finisce? Se così non è insegnami il non finito. Portami con te nell'infinito. Io sarò il tuo infinito perché tu resterai nel mio infinito. Non domandarti nulla. Accarezzami dove sai tu.

Le tue dita dove tu sai, le tue labbra sulle mie labbra. La mia follia? Ma certo che la mia follia è una vibrazione di corpo e di anima. E se non ci fosse?

Io e te siamo in amore perché siamo amanti nella follia. Tutto il resto?

Eleonora cara, oggi ti scrivo per non scriverti più.

Ti scrivo l'ultimo mio viaggio per non lacerarti l'anima ancora di più. Ti scrivo per sigillare lo sguardo della bellezza del mio amore per te.

Un fatto è certo. Non sono più paziente. Ma l'amore che chiedeva pazienza è diventato l'impazienza di un amore che non smette di cercarti, di possederti, di averti lungo i tramonti e le albe.

Fermati.

Mi fermo sul tuo penultimo respiro.

L'ultimo di questa sera vedrà i nostri corpi stringersi sino a raccogliere i crepuscoli che toccano i tramonti.

 

Posso offrirti un caffé?

Ma sì, dai.

Ti aspetto al bar delle Stelle Danzanti…

 

 

 

 

 




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Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
Cell.: +39 338 10 30 287
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