Il giornalista Francesco Gangemi, di 79 anni, è stato arrestato a Reggio Calabria dalla polizia di Stato in esecuzione di un provvedimento di carcerazione emesso dalla Procura generale della Repubblica di Catania. Gangemi, direttore responsabile del mensile ''Dibattito News'' di Reggio Calabria, deve scontare due anni di carcere per una serie di condanne per diffamazione a mezzo stampa ed altro. Gangemi è stato portato nel carcere di Reggio. Avrebbe omesso di presentare l’istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti
FRANCESCO GANGEMI, ANCOR PRIMA DI DIVENTARE SINDACO DI REGGIO CALABRIA, E PPRESIDENTE DELL’USL 31, AVEVA SOLLEVATO IL COPERCHIO DEL VASO DI PANDORA DELLA TANGENTOPOLI REGGINA E DA QUEL GIORNO COMINCIARONO I SUOI GUAI
Domenico Salvatore
Finalmente è esploso fragorosamente in tutto il Belpaese, il caso Gangemi.Sganciata la sordina, si sono mossi i colossi dell’informazione…Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, l’Ansa e così via. Un ‘tonar di ferree canne che rimbomba lontan di villa in villa’. Dapprima a macchia di leopardo e poi a macchia d’olio. Un ciclone dal Manzanarre al Reno, da Scilla al Tanaj e da Pantelleria al Cadore. Il fuoco di fila delle batterie d’internet, sia pure a scoppio ritardato, è stato devastante. Il miglior battage pubblicitario possibile per Francesco Gangemi ed il suo “Il Dibattito News”. L’ultimo numero uscito nelle edicole è andato letteralmente a ruba. Non si trova nemmeno una copia, a comprarla a peso d’oro. Ma soprattutto, trova nuovo slancio e nuova linfa lo spinoso problema della diffamazione a mezzo stampa. La soluzione è in mano al Parlamento, che però gioca al salto della quaglia. Sulla loro stessa pelle, visto che molti senatori e deputati sono anche iscritti dell’Ordine dei Giornalisti e Pubblicisti. C’è lo scoglio della conservazione reazionaria.
Un lercio, obsoleto e fatiscente vecchiume, che sta inchiodando il Paese; oramai sull’orlo del baratro. Gangemi che ha svelato (insieme ad altri), il nervo scoperto della tangentopoli “riggitana”, si è rifiutato di rivelare la fonte delle sue informazioni, come la normativa consente. Un cronista, è stato detto in tutte le salse, ha il diritto-dovere del segreto professionale, stabilito per legge; e di rendere noto ai cittadini, le notizie di pubblico interesse, assioma, anch’esso sancito dalla normativa. Sebbene, troppo spesso, chi dà le notizie si ritrovi indagato e perquisito: armadi, cassetti e computer; il telefonino bloccato. Le passerelle delle forze di polizia nelle redazioni nascondono sempre il tentativo di mettere il bavaglio alla stampa o no? Trent’anni al servizio della verità! Trent’anni al servizio della società. Trent’anni al servizio della stampa. Un collega che oramai da qualche primavera, risiede nel mondo dei giusti, soleva ripetere...”Ma io da chi mi devo guardare e difendere, dalla mafia o dall’antimafia?”. Ed un altro…”Ho avuto più rogne dall’antimafia, che dalla mafia”. Nessun malato immaginario, per carità. L’ipocondria, stavolta, non c’azzecca. Gli avvisi di garanzia ed i rinvii a giudizio per diffamazione a mezzo stampa, non sono bruscolini. Gli arresti plateali e la gogna mediatica nemmeno.
Gli avvocati Lorenzo Gatto e Giuseppe Lupis, legali del direttore de ''Il dibattito'' Francesco Gangemi, arrestato sabato scorso, hanno presentato al Tribunale misure di sorveglianza un'istanza di scarcerazione per il loro assistito per motivi di salute. Gangemi, 79 anni, è invalido civile al 100% ed è stato malato di cancro. Il giornalista è stato arrestato su disposizione della Procura generale di Catania per scontare 2 anni per diffamazione aggravata a mezzo stampa. Il segretario generale, Franco Siddi, e il vicesegretario nazionale e segretario del Sindacato Giornalisti Calabria, Carlo Parisi, hanno bollato la decisione del Tribunale di Catania:” È allucinante che a 79 anni, un giornalista, condannato per diffamazione e per non avere rivelato le fonti fiduciarie di notizie, venga arrestato e portato in carcere.
Quanto accaduto al giornalista pubblicista Francesco Gangemi appare una mostruosità difficilmente concepibile per qualsiasi ordinamento democratico che si fondi sulla libertà di espressione, di stampa e sul pluralismo delle idee. Ể indispensabile che il Parlamento, riformi con urgenza la legge sulla diffamazione. Chiediamo, infine, una considerazione appropriata e umana del caso che faccia uscire al più presto il giornalista Gangemi dalle patrie galera”. Il figlio Maurizio Gangemi, direttore di un giornale online, non le manda a dire…” Le sentenze si rispettano! Si discutono e si commentano, certo, ma si rispettano. Chiunque ne sia il soggetto destinatario, anche mio padre! Detto questo, con la convinzione di chi ha avuto in eredità dal padre proprio rettitudine, onestà e, soprattutto, dignità, a me non resta che discuterne un po’. Posso, per esempio, dire che per reati molto più gravi si rimane liberi (magari di reiterarli); posso, per esempio, dire che mio padre ha da poco compiuto 79 anni; posso, per esempio, elencare tante di quelle patologie gravi che affliggono mio padre da riempire cartelle cliniche di quasi tutte le specializzazioni mediche esistenti; posso, per esempio, dire che mio padre è stato riconosciuto invalido civile al 100%; posso, per esempio, dire che ho difficoltà a credere che il regime carcerario sia compatibile con tutto quello di cui soffre e con tutte quelle medicine che io e mia madre gli abbiamo scrupolosamente preparato non dimenticando di appuntargli dosi ed orari. E’ una vicenda grottesca quella che vede protagonista mio padre. E’ così tanto grottesca che solo in Italia poteva verificarsi”. Molto importante è ricordare anche perché è stato condannato per falsa testimonianza:Perché non ha rivelato, dinnanzi al Giudice, le proprie fonti.
Gli ultraquarantenni come me ricorderanno certamente il cosiddetto “scandalo delle fioriere” o “tangentopoli reggina” che investì la Città della Fata Morgana nel 1992. In quell’epoca, l’intera Giunta Licandro venne arrestata (tranne il Licandro che si pentì e collaborò finendo anche tra la letteratura con il libro a 4 mani “La città dolente”) per aver preso tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire. Mio padre, all’epoca Consigliere comunale, se non ricordo male ancor prima che scattassero le manette alla Giunta, in aula a Palazzo San Giorgio, si alzò dallo scranno ed affermò che in qualche stanza le valigette entrano piene (di soldi) e ne uscivano vuote. Al processo che ne seguì, interrogato dal Giudice, si rifiutò categoricamente di rivelare chi ed in che circostanza gli diede la notizia. Reato gravissimo, quello commesso da mio padre”.
Francesco Gangemi, classe 1934, giornalista pubblicista dal 1983, direttore del periodico mensile “Il Dibattito News” che esce Reggio Calabria è stato arrestato. Nonostante le quasi ottanta primavere, l’invalidità al 100% ed anche un tumore, fa sapere il figlio. Tutto certificato ovviamente. Gli agenti della Squadra Mobile della città calabrese, diretta dal dottor Gennaro Semeraro, avrebbero voluto forse farne a meno, ma non hanno potuto esimersi ed hanno notificato al giornalista, un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale della Repubblica di Catania a firma del sostituto procuratore generale Elvira Tafuri, coordinata dal procuratore generale Giovanni Tinebra; procuratore capo della Repubblica di Catania, è Giovanni Salvi. Gangemi, dopo l'arresto, è stato portato prima in Questura e, in seguito, nella casa circondariale di via San Pietro di Reggio Calabria.
Mentre a Reggio Calabria era in visita… il capo della polizia, Alessandro Pansa. Ma non è stato un bel “regalo”; si direbbe anzi, quasi una mossa azzardata, quella della Procura di Catania, alla luce degli “spifferi” al vetriolo di Maurizio Gangemi che rivelano i quasi ottanta anni del padre, invalido al 100% e le patologie gravi che lo affliggono, compreso il cancro che lo sta divorando; casomai, una vittoria di Pirro. Un incidente di percorso. Un tonfo clamoroso, splash down! Un granchio colossale. Alberto Lenzi, il “giudice meschino”, magistrato scioperato e donnaiolo, indolente, costretto a diventare eroe suo malgrado, uscito dalla bella penna di un altro Gangemi, il cristino Mimmo, avrebbe risolto il caso diversamente. Il giornalista in questione, un santuario della comunicazione, è uno degli ultimi mohicani del giornalismo d’inchiesta, che affronta il tema scottante della “Gramigna” e delle sue sterminate collusioni col potere politico, con i colletti bianchi, con la zona grigia, con la borghesia mafiosa e con il territorio in cui agisce. Sul banco degl’imputati, la modifica al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge n. 47 del 1948 in materia di diffamazione. L’attuale legislazione, espone il giornalista, anche in buona fede, ad elevati rischi che possono interferire con la libertà di espressione e di critica e con il diritto di cronaca.
Galeotto fu il caso di Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale condannato in Cassazione a ad un anno e due mesi di carcere (e ad una pena pecuniaria di 5mila euro) per diffamazione a mezzo stampa, in riferimento ad un articolo del 2007 lesivo nei confronti del giudice di Torino Giuseppe Cocilovo. Il caso del redattore di “La Repubblica”, Giuliano Foschini, indagato e perquisito. Il monito europeo rivolto all’Italia ad eliminare il carcere per i cronisti e a rivedere le norme sulla diffamazione, è solo aria fritta?.I giudici di Strasburgo, avevano accolto il ricorso di Maurizio Belpietro, contro la condanna a otto mesi di carcere, dopo le vicende dei direttori Alessandro Sallusti, condannato a quattro mesi per diffamazione nei confronti di un giudice per un articolo che non aveva controllato, poi graziato dal presidente Napolitano e di Giorgio Mulè di Panorama, condannato a otto mesi per omesso controllo su un articolo che attaccava un pm.
Domenico Salvatore
FRANCESCO GANGEMI, ANCOR PRIMA DI DIVENTARE SINDACO DI REGGIO CALABRIA, E PPRESIDENTE DELL’USL 31, AVEVA SOLLEVATO IL COPERCHIO DEL VASO DI PANDORA DELLA TANGENTOPOLI REGGINA E DA QUEL GIORNO COMINCIARONO I SUOI GUAI
Domenico Salvatore
Finalmente è esploso fragorosamente in tutto il Belpaese, il caso Gangemi.Sganciata la sordina, si sono mossi i colossi dell’informazione…Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, l’Ansa e così via. Un ‘tonar di ferree canne che rimbomba lontan di villa in villa’. Dapprima a macchia di leopardo e poi a macchia d’olio. Un ciclone dal Manzanarre al Reno, da Scilla al Tanaj e da Pantelleria al Cadore. Il fuoco di fila delle batterie d’internet, sia pure a scoppio ritardato, è stato devastante. Il miglior battage pubblicitario possibile per Francesco Gangemi ed il suo “Il Dibattito News”. L’ultimo numero uscito nelle edicole è andato letteralmente a ruba. Non si trova nemmeno una copia, a comprarla a peso d’oro. Ma soprattutto, trova nuovo slancio e nuova linfa lo spinoso problema della diffamazione a mezzo stampa. La soluzione è in mano al Parlamento, che però gioca al salto della quaglia. Sulla loro stessa pelle, visto che molti senatori e deputati sono anche iscritti dell’Ordine dei Giornalisti e Pubblicisti. C’è lo scoglio della conservazione reazionaria.
Un lercio, obsoleto e fatiscente vecchiume, che sta inchiodando il Paese; oramai sull’orlo del baratro. Gangemi che ha svelato (insieme ad altri), il nervo scoperto della tangentopoli “riggitana”, si è rifiutato di rivelare la fonte delle sue informazioni, come la normativa consente. Un cronista, è stato detto in tutte le salse, ha il diritto-dovere del segreto professionale, stabilito per legge; e di rendere noto ai cittadini, le notizie di pubblico interesse, assioma, anch’esso sancito dalla normativa. Sebbene, troppo spesso, chi dà le notizie si ritrovi indagato e perquisito: armadi, cassetti e computer; il telefonino bloccato. Le passerelle delle forze di polizia nelle redazioni nascondono sempre il tentativo di mettere il bavaglio alla stampa o no? Trent’anni al servizio della verità! Trent’anni al servizio della società. Trent’anni al servizio della stampa. Un collega che oramai da qualche primavera, risiede nel mondo dei giusti, soleva ripetere...”Ma io da chi mi devo guardare e difendere, dalla mafia o dall’antimafia?”. Ed un altro…”Ho avuto più rogne dall’antimafia, che dalla mafia”. Nessun malato immaginario, per carità. L’ipocondria, stavolta, non c’azzecca. Gli avvisi di garanzia ed i rinvii a giudizio per diffamazione a mezzo stampa, non sono bruscolini. Gli arresti plateali e la gogna mediatica nemmeno.
Gli avvocati Lorenzo Gatto e Giuseppe Lupis, legali del direttore de ''Il dibattito'' Francesco Gangemi, arrestato sabato scorso, hanno presentato al Tribunale misure di sorveglianza un'istanza di scarcerazione per il loro assistito per motivi di salute. Gangemi, 79 anni, è invalido civile al 100% ed è stato malato di cancro. Il giornalista è stato arrestato su disposizione della Procura generale di Catania per scontare 2 anni per diffamazione aggravata a mezzo stampa. Il segretario generale, Franco Siddi, e il vicesegretario nazionale e segretario del Sindacato Giornalisti Calabria, Carlo Parisi, hanno bollato la decisione del Tribunale di Catania:” È allucinante che a 79 anni, un giornalista, condannato per diffamazione e per non avere rivelato le fonti fiduciarie di notizie, venga arrestato e portato in carcere.
Quanto accaduto al giornalista pubblicista Francesco Gangemi appare una mostruosità difficilmente concepibile per qualsiasi ordinamento democratico che si fondi sulla libertà di espressione, di stampa e sul pluralismo delle idee. Ể indispensabile che il Parlamento, riformi con urgenza la legge sulla diffamazione. Chiediamo, infine, una considerazione appropriata e umana del caso che faccia uscire al più presto il giornalista Gangemi dalle patrie galera”. Il figlio Maurizio Gangemi, direttore di un giornale online, non le manda a dire…” Le sentenze si rispettano! Si discutono e si commentano, certo, ma si rispettano. Chiunque ne sia il soggetto destinatario, anche mio padre! Detto questo, con la convinzione di chi ha avuto in eredità dal padre proprio rettitudine, onestà e, soprattutto, dignità, a me non resta che discuterne un po’. Posso, per esempio, dire che per reati molto più gravi si rimane liberi (magari di reiterarli); posso, per esempio, dire che mio padre ha da poco compiuto 79 anni; posso, per esempio, elencare tante di quelle patologie gravi che affliggono mio padre da riempire cartelle cliniche di quasi tutte le specializzazioni mediche esistenti; posso, per esempio, dire che mio padre è stato riconosciuto invalido civile al 100%; posso, per esempio, dire che ho difficoltà a credere che il regime carcerario sia compatibile con tutto quello di cui soffre e con tutte quelle medicine che io e mia madre gli abbiamo scrupolosamente preparato non dimenticando di appuntargli dosi ed orari. E’ una vicenda grottesca quella che vede protagonista mio padre. E’ così tanto grottesca che solo in Italia poteva verificarsi”. Molto importante è ricordare anche perché è stato condannato per falsa testimonianza:Perché non ha rivelato, dinnanzi al Giudice, le proprie fonti.
Gli ultraquarantenni come me ricorderanno certamente il cosiddetto “scandalo delle fioriere” o “tangentopoli reggina” che investì la Città della Fata Morgana nel 1992. In quell’epoca, l’intera Giunta Licandro venne arrestata (tranne il Licandro che si pentì e collaborò finendo anche tra la letteratura con il libro a 4 mani “La città dolente”) per aver preso tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire. Mio padre, all’epoca Consigliere comunale, se non ricordo male ancor prima che scattassero le manette alla Giunta, in aula a Palazzo San Giorgio, si alzò dallo scranno ed affermò che in qualche stanza le valigette entrano piene (di soldi) e ne uscivano vuote. Al processo che ne seguì, interrogato dal Giudice, si rifiutò categoricamente di rivelare chi ed in che circostanza gli diede la notizia. Reato gravissimo, quello commesso da mio padre”.
Francesco Gangemi, classe 1934, giornalista pubblicista dal 1983, direttore del periodico mensile “Il Dibattito News” che esce Reggio Calabria è stato arrestato. Nonostante le quasi ottanta primavere, l’invalidità al 100% ed anche un tumore, fa sapere il figlio. Tutto certificato ovviamente. Gli agenti della Squadra Mobile della città calabrese, diretta dal dottor Gennaro Semeraro, avrebbero voluto forse farne a meno, ma non hanno potuto esimersi ed hanno notificato al giornalista, un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale della Repubblica di Catania a firma del sostituto procuratore generale Elvira Tafuri, coordinata dal procuratore generale Giovanni Tinebra; procuratore capo della Repubblica di Catania, è Giovanni Salvi. Gangemi, dopo l'arresto, è stato portato prima in Questura e, in seguito, nella casa circondariale di via San Pietro di Reggio Calabria.
Mentre a Reggio Calabria era in visita… il capo della polizia, Alessandro Pansa. Ma non è stato un bel “regalo”; si direbbe anzi, quasi una mossa azzardata, quella della Procura di Catania, alla luce degli “spifferi” al vetriolo di Maurizio Gangemi che rivelano i quasi ottanta anni del padre, invalido al 100% e le patologie gravi che lo affliggono, compreso il cancro che lo sta divorando; casomai, una vittoria di Pirro. Un incidente di percorso. Un tonfo clamoroso, splash down! Un granchio colossale. Alberto Lenzi, il “giudice meschino”, magistrato scioperato e donnaiolo, indolente, costretto a diventare eroe suo malgrado, uscito dalla bella penna di un altro Gangemi, il cristino Mimmo, avrebbe risolto il caso diversamente. Il giornalista in questione, un santuario della comunicazione, è uno degli ultimi mohicani del giornalismo d’inchiesta, che affronta il tema scottante della “Gramigna” e delle sue sterminate collusioni col potere politico, con i colletti bianchi, con la zona grigia, con la borghesia mafiosa e con il territorio in cui agisce. Sul banco degl’imputati, la modifica al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge n. 47 del 1948 in materia di diffamazione. L’attuale legislazione, espone il giornalista, anche in buona fede, ad elevati rischi che possono interferire con la libertà di espressione e di critica e con il diritto di cronaca.
Galeotto fu il caso di Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale condannato in Cassazione a ad un anno e due mesi di carcere (e ad una pena pecuniaria di 5mila euro) per diffamazione a mezzo stampa, in riferimento ad un articolo del 2007 lesivo nei confronti del giudice di Torino Giuseppe Cocilovo. Il caso del redattore di “La Repubblica”, Giuliano Foschini, indagato e perquisito. Il monito europeo rivolto all’Italia ad eliminare il carcere per i cronisti e a rivedere le norme sulla diffamazione, è solo aria fritta?.I giudici di Strasburgo, avevano accolto il ricorso di Maurizio Belpietro, contro la condanna a otto mesi di carcere, dopo le vicende dei direttori Alessandro Sallusti, condannato a quattro mesi per diffamazione nei confronti di un giudice per un articolo che non aveva controllato, poi graziato dal presidente Napolitano e di Giorgio Mulè di Panorama, condannato a otto mesi per omesso controllo su un articolo che attaccava un pm.
Domenico Salvatore


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