CALANNA (RC), MISTERO FITTO INTORNO AL DELITTO DI CHIARO STAMPO MAFIOSO, DI DOMENICO PRINCI, 41 ANNI, IMPIEGATO DELL’UFFICIO TECNICO DEL COMUNE, ASSASSINATO ALLA MANIERA DEI BOSS
L’omicidio stamani a Calanna, nel reggino. Un uomo che viaggiava alla guida di una Fiat-Bravo e si stava recando al lavoro, e' stato ucciso nel piccolo centro aspro montano; ad un tiro di schioppo da casa, nel centro agricolo-pastorale preaspromontano. I sicari, armati fi fucile automatico, caricato a lupara, erano appostati dietro una palizzata di lamiere. Sul posto sono intervenuti i carabinieri che hanno avviato indagini.Sul posto il medico legale, l’ambulanza del 118 e la macchina mortuaria per la rimozione del cadavere: Assieme ai pp.mm. di turno Stefano Musolino e Teodoro Catananti che si muove sotto le direttive del procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, anch’esso intervenuto sul posto. Le indagini dell’Arma dei Carabinieri (colonnello Carlo Pieroni comandante del ROP, vicecomandante provinciale; il capitano Pantaleone Grimaldi, comandante della Compagnia reggina; il capitano Davide Occhiogrosso, comandante della Compagnia di Villa San Giovanni; il comandante della stazione dei Carabinieri di Calanna personale SIS), sono orientate a 360° gradi. Comprese le scontate…pista passionale, pista mafiosa, pista legata alla professione
Domenico Salvatore
CALANNA(RC)-Sarà stato incensurato, lontano da frequentazioni equivoche, giri malavitosi e amicizie pericolose, ma Domenico Princi, è stato ammazzato (ung esto simbolicamente molto forte, per modalità dell’esecuzione, perché di questo si tratta e per la quantità di piombo utilizzata), come un mammasantissima della ‘ndrangheta. Qui si continua a sparare per uccidere. L’armistizio è stato firmato dai capimandamento di Reggio Calabria, Locri-Siderno e Gioia Tauro-Rosarno, nel lontano 1991. Più di vent’anni fa. Come ha chiarito il super-pentito della ‘ndrangheta Nino Moio, nipote del padrino don Giovanni Tegano; uno di quelli, che godevano della massima fiducia dei Tegano. È stato Moio ad accompagnare il boss don Antonio Nirta a casa di don Mico Alvaro, uno dei garanti della pace. Moio, che su incarico di Pasquale Tegano, riferì a tutti i capiclan legati ai De Stefano che la guerra fosse finita; che le cose si fossero aggiustate e bisognava deporre le armi. Ma, come le cronache hanno riferito, è stata una ‘pace armata’. In realtà, le cosche sul territorio in questi vent’anni, hanno continuato a sparare per uccidere. Sono cadute anche, le teste di tantissimi padrini, mammasantissima, santisti, vangelisti e capibastone. Ed un vero e proprio esercito di mafiosi è stato spedito al cimitero, senza tanti complimenti. ’L’efferato delitto di stampo mafioso, dell’impiegato del Comune di Calanna, un paese di scarsi mille abitanti, sul Tirreno reggino, ha scoperchiato un altro vaso di Pandora. Tantissime vicende, s’intrecciano e s’intersecano. Il pensiero delle forze di polizia, che indagano, corre anche alle recenti operazioni della DDA reggina. Per forza di cose, si va indietro nel tempo sino alla seconda guerra di mafia a Reggio Calabria. Se non alla prima. Allo scopo di trovare qualche appiglio e risalire all’autore dell’omicidio, al movente, ai mandanti. Per trovare una chiave di lettura dei tanti delitti avvolti nel mistero.
Compreso quello del capo bastone del locale di Gallico, Domenico Chirico, cognato del pentito Paolo Ianno’ e genero del boss Paolo Suraci, assassinato in un agguato nel 1987, indicato dagli investigatori come uno degli esponenti di spicco della cosca Condello. Il boss Mimmo Chirico, fu ammazzato la mattina del 20 settembre 2010, in un agguato di chiaro stampo mafioso, nei pressi del lungomare di Gallico, a colpi di pistola 9X21. Il padrino Domenico Chirico, che aveva 59 anni, era stato scarcerato da alcuni mesi dopo avere scontato una condanna per associazione mafiosa inflittagli nel processo per l’operazione Olimpia, risalente al 1995. Vicende torbide ed intricate, collegabili a tante operazioni della DDA reggina. Non ultime, “Meta” e “Cage”. Forse non c’entra niente il pentimento del capobastone di Calanna, don Peppe Greco, figlio del capo società don Ciccio Greco, che ha voluto parlare solo con il magistrato Giuseppe Lombardo, nel mirino di misteriosi ‘postini’ della ‘ndrangheta, che gli hanno recapitato lettere, epistole e missive, non proprio affettuose. Segnali di fumo; se non fumus persecutionis, minacciosi ed inquietanti; Greco, che storicamente era legato ai Tegano. Ritorna alla ribalta della cronaca, il piccolo comune tirrenico confinante con Reggio Calabria, da cui si accede attraverso la Vallata del Gallico e del Catona. Due zone ad alta densità mafiosa. Un tempo nemmeno troppo remoto, regno del padrino dell’Onorata Società, don Mico Tripodo.
Il mammasantissima ‘don Mico’ Tripodo, (Reggio Calabria, 1 gennaio 1923 – Napoli, 26 agosto 1976), fonte Wikipedia, è stato un criminale italiano. Capobastone della 'ndrangheta calabrese e capo dell'omonima cosca, presidente anche di uno dei summit di Montalto e di Mulini di Calanna, controllava Reggio Calabria e le zone circostanti negli anni cinquanta e sessanta. Nasce a Sambatello, quartiere di Reggio Calabria e insieme a Girolamo Piromalli, detto Don Mommo, e ad Antonio Macrì era ai tempi tra i più potenti capibastone dell'organizzazione. Salì al potere soppiantando il precedente boss Domenico Strati nel 1959 dopo 2 anni di lotta. Da allora nacque la spartizione delle zone di influenza con i sopracitati due capibastone. Negli anni '70 molti boss del reggino vogliono trarre profitto dal traffico di droga e dai sequestri di persona, attività nuove per la mafia calabrese, a cui si oppone insieme a Don Antonio Macrì. In quel periodo nasce anche la Santa, un'organizzazione interna alla 'Ndrangheta di cui potevano far parte solo i capi più importanti delle 'ndrine, e che potevano conferire con autorità esterne quali forze dell'ordine e magistrati...Prima guerra di 'Ndrangheta, arresto e morte. Scoppiò tra il 1974 e il 1976 così la prima guerra di 'Ndrangheta, a Reggio Calabria Tripodo si scontrò con i suoi sottoposti i fratelli De Stefano, (Giovanni, Giorgio, Paolo ed Orazio).
Questi, raggiunsero il monopolio per le opere edili a nord di Reggio Calabria, estromettendo la ‘ndrina dei Tripodo dagli appalti delle opere pubbliche, grazie anche al supporto dei Piromalli e dei Mammoliti. Rubarono inoltre anche una partita di tabacco di contrabbando appartenente al capobastone, Tripodo, nel 1974 reagì tentando di uccidere Giovanni De Stefano. Anche i De Stefano tentarono l'uccisione del capobastone senza successo. Fu arrestato il 21 febbraio 1975 e incarcerato alla prigione di Poggioreale a Napoli. Non vide la fine della guerra, poiché fu ucciso il 26 agosto 1976 in cella su richiesta di Paolo De Stefano dalla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo che lavorava con loro nel traffico di droga. I De Stefano divennero la 'ndrina predominante nel Mandamento di Reggio Calabria. Uno dei tre, assieme a quello della Montagna o Locride e della Piana. Durante il periodo della sua lunga latitanza, fu compare d'anello di Totò Riina nel matrimonio, che si celebrò a Corleone nella primavera del 1974. I pentiti o collaboratori di giustizia, assicurano che Riina, sia stato ospite di don Stilo ad Africo; altri del mammasantissima don Peppe Morabito, inteso ‘U Tiradrittu. All'inizio degli anni 70, la Rai produce e manda in onda uno sceneggiato televisivo "Nessuno deve sapere" ispirato alla leggendaria primula rossa di San Giovanni di Sambatello. Su di lui, c'è un fascicolo di oltre 1000 pagine in cui le sue attività furono definite, dal giudice Marino del tribunale di Locri,delle vere "Opere d'arte della malavita".
Nel 1957, la malavita reggina, viene coinvolta dall'operazione Marzano e don Mico, viene inviato al confinio di Ustica per 5 anni. Da Ustica il giovane boss scrisse al Questore e al Prefetto di Reggio Calabria”. “Il 16 ottobre 2007 la quarta sezione della corte di assise di Napoli, Fonte: Camera Penale Irpina (mafieitaliane.blogspot.com) ha pronunciato la sentenza contro Raffaele Cutolo, nato a Ottaviano il 10 dicembre 1941 imputato quale mandante dell'omicidio di Domenico Mico Tripodo condannato all'ergastolo. Ai tempi del fatto Cutolo era indicato come soggetto in formazione nell'ambito malavitoso. Nel corso dell'udienza del 30 aprile 2007, Giacomo Ubaldo Lauro ha dichiarato che il Cutolo "é stato affiliato dai reggini ... Ciccio Canale, detto Gnuri ..., Vincenzo Mammoliti, Egidio Muraca". Anche Gaetano Costa ha riferito dell'inserimento del Cutolo nella 'ndrangheta: "ha avuto il grado di santista, i referenti che l'hanno portato avanti ... Paolo Di Stefano, ... Egidio Muraca di San Biasi, ... Giuseppe Mammoliti".Alla luce di ciò la corte ha ritenuto verosimile che il Cutolo a quei tempi si prestasse a fare "favori" per migliorare la propria collocazione nella società criminale. Tutte le fonti concordano nell'affermare che l'omicidio del Tripodo sia un "favore" del Cutolo a Paolo Di Stefano.Pasquale D'Amico, indicato come braccio destro di Cutolo, dichiara che "i rapporti tra camorra e 'ndrangheta sono stati intensi almeno fino alla fine del 1982 ...
Cutolo fece uccidere in carcere, a richiesta del De Stefano, Mico Tripodo ... da Agrippino Effice e da Salvatore Esposito che allora non erano ancora legalizzati."Giuseppe Scriva, dell'omonima 'ndrina, ha sostanzialmente confermato la versione dei fatti, di cui sarebbe venuto a conoscenza direttamente dal Cutolo.
Carmine Alfieri sarebbe giunto alla conclusione che l'omicidio fosse stato commesso su ordine del Cutolo per ragionamento personale, essendo Effige ed Esposito vicini a Cutolo. Grazie al racconto fatto dal super-pentito Giacomo Ubaldo Lauro, si chiariscono anche i motivi dello scontro, che ha portato all'omicidio. Avrebbe infatti appreso direttamente da Paolo De Stefano che il Cutolo era stato incaricato dell'omicidio. Il Lauro era tendenzialmente dalla parte del Tripodo ma, essendo la sua parte in fase perdente, si era atteggiato ad una formale equidistanza, seguendo lo schema classico dei conflitti mafiosi rappresentato dal detto "imbasciati iunco che cala la china".Gaetano Costa ricorda infine come a metà degli anni ottanta il Mammoliti "disse che non poteva esprimersi contro Cutolo in quanto gli era riconoscente per quello che aveva fatto in ordine all'omicidio di Mico Tripodo". I carabinieri della stazione di Calanna, nel 1993 scrivevano in una nota trasmessa alla Procura della Repubblica di Reggio
: “Trattasi di elemento che in pubblico gode scarsa stima e reputazione, facente parte della presunta omonima cosca mafiosa, capeggiata dal proprio padre Francesco nato a Calanna l'1.1.1930, con precedenti penali per favoreggiamento, furto, apertura e sfruttamento abusivo di cava, nonché in atto sottoposto alla misura di prevenzione dell'avviso orale. Svolge l'attività di imprenditore edile, è questa la sua principale entrata di risorse finanziarie. Francesco, figlio di Giuseppe Greco, nato intorno alla fine del 1800 o inizio 1900; una tradizione che si tramanda. Sebbene risulta ditta individuale, collabora attivamente con quella del padre ed in 22 gare di appalto erogate dal Comune di Calanna dal 1988 al 1991, otto sono state aggiudicate dalle due ditte di cui sei dall'interessato. Questo Comando in collaborazione con il Nucleo Operativo di Villa San Giovanni, aveva eseguito una serie di controlli amministrativi all'interno della sede comunale di Calanna per accertare eventuali infiltrazioni mafiose. Il Greco, mediante l'appoggio di pregiudicati facenti parte della cosca, tiene alto l'indice di paura tra la popolazione e nello stesso momento appoggia l'amministrazione attuale nelle elezioni comunali. Dal 1988, data delle ultime elezioni comunali, in Calanna si è avuta una escalation criminale, dall'incendio di auto all'esplosioni di colpi d'arma da fuoco, all'omicidio, fattori questi, che hanno reso famosi i Greco e stretto in una morsa di paura la popolazione.
Così facendo ha conquistato la partecipazione degli amministratori comunali e raggiunto il suo fine, cioè quello di poter lavorare tranquillamente nel Comune e di scoraggiare eventuali ditte non residenti, se non richieste dallo stesso per lavori tecnici che egli non potrebbe effettuare per la natura dei lavori stessi. Il clan dei Greco controllava ogni attività nel comune di Calanna. Complici, gli amministratori e rappresentanti della Comunità Montana “Versante dello Stretto”. In quell’operazione furono 15 i fermati, tra cui il sindaco di Calanna, Bruno Fortugno (lista civica di centrodestra). In quegli anni a Fiumara, comandavano i Furci, gli Zito e gl’Imerti, poi la cosca Buda-Imerti-Buda (Pasquale e Natale); a Gallico (Superiore) don Mico Martino, coinvolto nel sequestro del farmacista di Montebello, Giuseppe Gullì, mai tornato a casa, oggi è boss, Franco Rodà; a Catona, Giovanni Rugolino inteso “Craxi”, Santo Le Pera ed i Fontana; a Villa San Giovanni, i Bertuca, gl’Imerti, i Fontana; a Campo Calabro i Garonfolo (Antonio, Antonino e Giuseppe); ad Archi, a don Mico Tripodo subentrarono i De Stefano-Tegano, ed i Condello-Imerti; a Cannavò, ma controlla anche Spirito Santo e Tre Fontane, comanda don Pasquale Libri, fratello del defunto don Mico, coadiuvato dal genero Filippo Chirico e da Nino Caridi; a Rosalì, i fratelli Morgante.
Dall’altra parte, alcuni pentiti (a parte Peppe Greco) Paolo Iannò, Giovanbattista Fracapane, Nino Fiume, Consolato Villani, Antonino Lo Giudice, Roberto Moio & company, hanno chiarito in tutte le salse, chi comandasse ieri e chi comanda oggi. Sui verbali ed in Tribunale. Nino Fiume, cognato per sette anni dei De Stefano, fidanzato con Giorgia De Stefano, che ha conosciuto all’Università, ne ha per tutti. Preziosissimo l’apporto dei pentiti. Di Nino Fiume. Aiuta, nel corso del Processo “Meta”, a ricostruire le nuove dinamiche criminali reggine, protagoniste, le quattro grandi famiglie: De Stefano, Tegano, Libri, Condello, un tempo impegnate in lotte cruente, oggi unite, dopo la pax del 1991. Le carte giudiziarie, consacrate dai processi, servono per far cadere anche, le inesattezze storiche; le ipotesi giornalistiche; le fantasiose tesi di comodo e le mezze verità; se non verità pilotate. Nino Fiume, fa rivelazioni inedite…“Avevano deciso di uccidere Paolo De Stefano molto prima della bomba a Nino Imerti. Hanno fatto finta che c'entrasse quell'episodio per farlo fuori. Pasquale Condello non ha mai voluto la morte di Paolo De Stefano. Lui scese in campo solo dopo l'uccisione di suo fratello ”; ne ha anche per la massoneria e le logge deviate…Ndrangheta, politica e imprenditoria, tutto all'ombra dei "cappucci”; che il defunto mammasantissima don Mico Libri, padrino di Cannavò, dipingeva come ‘i nobili’. Fiume, dice che "sono gli stessi imprenditori a cercare il contatto con la 'ndrangheta’. Ma torniamo dopo queste premesse, doverose ed essenziali per capire bene le dinamiche criminali
La vittima di chiamava Domenico Princi. Secondo quanto si e' appreso, si stava recando al lavoro a bordo della sua auto quando e' stato raggiunto da colpi di arma da fuoco. L'agguato e' avvenuto sulla strada tra Calanna e Rosali'.
Un impiegato dell'ufficio tecnico del Comune di Calanna, Domenico Princi, di 41 anni, e' stato ucciso stamattina in un agguato. L'uomo era a bordo della sua automobile quando e' stato raggiunto da diversi colpi di fucile. L'uomo e' morto all'istante. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, che hanno avviato le indagini. Domenico Princi, secondo quanto si e' appreso, si stava recando a lavoro a bordo della sua automobile Fiat-Brava e stava percorrendo la strada che collega Rosalì e Calanna. Il mezzo e' stato avvicinato da alcune persone che hanno sparato diversi colpi di fucile caricato a pallettoni. Al momento non e' stato ancora accertato se gli autori dell'omicidio fossero a bordo di una moto o di un'automobile. Forse erano nascosti dietro una palizzata di lamiere, in modo da poter controllare il transito. Princi e' stato raggiunto in diverse parti del corpo ed e' morto all'istante. Sul posto, sono giunti a più riprese, il medico legale, per la perizia necroscopica esterna sul corpo della vittima, l’ambulanza del 118, il p.m. di turno, che si muove sotto le direttive del procuratore capo della Repubblica, Federico Cafiero De Raho, la macchina mortuaria per la rimozione del cadavere. Nell’immediatezza del delitto, le forze di polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato), hanno steso una ‘cintura militare intorno al vasto comprensorio. Fatta anche di perquisizioni domiciliari, controllo dei pregiudicati della zona, loro alibi-orario e guanto di paraffina, per accertare se abbiano sparato, blocchi stradali volanti.
Alla ricerca del mezzo usato per battere in ritirata La dinamica è chiara. La vittima è stata centrata con le prime scariche di fucile, caricato a lupara. Il mezzo oramai senza controllo, con il parabrezza ridotto come un colabrodo ed il lunotto divelto dalla furia del piombo rovente, ha cominciato ad indietreggiare, sino a incocciare il muretto a bordo pista. Il killer, spietato e cinico, arma in mano si è avvicinato alla vittima designata ed a bruciapelo gli ha fracassato il cranio. Quindi si è allontanato, assieme ai complici, a bordo di un altro mezzo “pulito”; ed ha fatto perdere le proprie tracce. Nonostante i vicini, che avevano sentito i colpi; se non visto qualche cosa, abbiano dato l’allarme in maniera (quasi) tempestiva. La retata non ha sortito effetto alcuno. Non ci sarebbero testimoni al delitto, in grado di testimoniare in Tribunale. In una zona ad alta densità mafiosa, dove l’omertà, regna sovrana e cuce le bocche a doppia mandata, per paura di vendette e rappresaglia, anche trasversali. Le varie piste seguite dai Carabinieri, vanno bene, ma qui ci sono tutte le caratteristiche del delitto di stampo mafioso. Compreso il colpo di grazia. Dalle prime indiscrezioni trapelate, sembra che la vittima, fosse lontana da certi giri viziosi, che conducono alla delinquenza organizzata. Si può ipotizzare allora che il movente del delitto sia collegato alla sua attività di funzionario dell’ufficio tecnico.

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