Nino“Nano” Lo Giudice, sparisce da Reggio Calabria e spedisce un memoriale al figlio, affinchè lo consegni alla magistratura, agli avvocati ed alla stampa. Già condannato a sei anni e quattro mesi di reclusione….” Questa la condanna inflitta dal gup di Catanzaro al boss pentito Antonino Lo Giudice, capo dell'omonima cosca di Reggio Calabria, che si e' autoaccusato di essere l'ideatore della stagione delle bombe del 2010 a Reggio. Lo Giudice, al termine del processo con rito abbreviato, oltre allo sconto di pena previsto dal rito, ha avuto concesse le attenuanti generiche ed i benefici previsti dalla normativa sui collaboratori di giustizia”.
NINO LO GIUDICE INTESO ‘IL NANO’, LUPARA BIANCA, OMICIDIO OD ALLONTANAMENTO VOLONTARIO? LA “PATATA BOLLENTE” TORNA NELLE MANI DEL PROCURATORE CAPO DELLA REPUBBLICA
Domenico Salvatore
Quando un pentito ritratta, di solito “salta” il banco. Protagonisti ed antagonisti ‘ballano’ sulla corda come i pupi siciliani; se non, come i burattini di Mangiafoco. Un groviglio spaventoso…DNA, Procure di: Reggio Calabria, Napoli, Palermo, Roma, Perugia, Catanzaro. Tar, Consiglio di Stato, CSM, Corte di Cassazione, Presidenza della Repubblica e personaggi vari (non) in cerca d’autore, che di riffe o di raffe ruotano intorno. Per istituzionalità, casualità, coincidenza, caso, destino o sorte ecc… Piero Grasso, Giuseppe Pignatone, Francesco Messineo, Antonio Vincenzo Lombardo, Federico Cafiero De Raho, Alberto Cisterna, Roberto Pennisi, Nino Lo Giudice, inteso ‘Il Nano’ed i suoi fratelli Loris D’Ambrosio, Massimo Ciancimino, Antonio Ingroia, Nicolò Pollàri, Saverio Spadaro Tracuzzi, Bernardo Provenzano, Luigi Silipo. Il Tribunale di Reggio Calabria, poggiato sulla ‘faglia di Sant’Andrea’ continua a tremare dalle fondamenta. Una stagione dei veleni dietro l’altra. Ai cronisti di giudiziaria con qualche capello grigio, pancetta, tigna incipiente ed acciacchi pre-senili, sono noti gli scontri fra titani e giganti a palais de justice. Una corrente della magistratura contro l’altra; ma non chiamatela, cricca. Un giudice contro l’altro. C’eravamo tanto ‘a(r) mati’. Una Procura, che ribolle come il magma infocato nella Valle del Bove. Sebbene nel Distretto di Catanzaro, le diversità di opinione, se non i battibecchi, gli alterchi ed i dissidii, se non denunce e querele, perquisizioni anche hard e sequestri di faldoni, dossiers, fascicoli, fossero la regola.
Magistrati, a rivedere le carte non proprio perfetti. Non per questo, furono gettati dal monte Taigeto o dalla Rupe Tarpeia. Sebbene gli strali del CSM fossero impetosi, asettici ed impersonali. Non regnava certamente la “Pace di Vestfalia” ai tempi di Mariano Lombardi. A parte la diversità d’opinione mozzafiato fra Luigi De Magistris e lo scomparso Mariano Lombardi, che fece saltare sulla seggiola il plenum del CSI. Il ministro della giustizia Angelino Alfano chiese che sei magistrati di Salerno e Catanzaro, protagonisti di un aspro scontro sull'inchiesta “Why Not”, venissero trasferiti di sede e di funzione e che il capo della procura di Salerno, Luigi Apicella, venisse sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. Sequestri e contro sequestri, perquisizioni. Uno dei pm di Catanzaro, denunciò di essere stato denudato. Come dire, che se Messenia piange, Sparta non rida. Le beghe, i dissapori ed i contrasti, sono come le ciliegie:una tira l’altra. Il CSM, il TAR ed il Consiglio di Stato, se non gli stessi Presidenti della Repubblica, sono stati chiamati in causa, spesso e volentieri, per dirimere la vexata quaestio. Un tourbillon travolgente…La procura della Repubblica di Reggio Calabria, con tutti i suoi veleni passati e presenti, se non…futuri. Il grande procuratore f.f. Salvatore Boemi, vaso di coccio fra due di ferro. Stritolato fra carneade e il dottor Azzeccagarbugli.
Non solo a Reggio Calabria, ma soprattutto a Roma; sino all’ultimo. Poi ha mandato tutti a quel paese, presentando le sue irrevocabili dimissioni. E meno male che potesse farlo. Perché se no, nemmeno quelle gli avrebbero concesso. Anni ed anni, in messianica attesa di un procuratore. Senza voler alludere che la montagna avesse partorito il topolino. In attesa, che le “parti” si aggiustassero. In Italia, il potere politico, checché se ne dire, viene sempre al primo posto. In base alla…Costituzione. O meglio con il placet del CSM, del TAR e del Consiglio di Stato, la Corte Costituzionale, sempre e comunque chiamati in causa; se non delle segreterie nazionali della partitocrazia, i potentati economici, finanziarii, medici, militari, i servizi segreti… P2, P3, P4, P5 e P6, la massoneria, la mafia. Ma non chiamatelo trasversalismo, coordinato da faccendieri, trafficoni, affaristi, maneggioni, intrallazzatori buoni per tutte le stagioni. Se Boemi, a nostro parere, fosse stato più elegante e diplomatico, per non dire più arrendevole ed accomodante, certamente meno granitico di capitan Achab che sulla tolda del Pequod attende a piè di…legno, il passaggio di Moby Dick per arpionarlo, a quest’ora sarebbe procuratore della Repubblica a sua scelta fra Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Roma e Milano. Ma la sua dignità che sposta le montagne glielo ha impedito. I provvedimenti, sono stati duri, drastici, severi e rigorosi.
Chi è stato declassato; chi si è dovuto ritirare per…sopraggiunti limiti di età; chi è stato trasferito per…incompatibilità ambientale; chi ha fatto domanda di trasferimento e si è spostato Lari e Penati: chi è scappato di notte; e perfino chi…è stato promosso, promoveatur ut amoveatur; chi ‘parcheggiato’ da qualche parte in attesa che le acque tornassero ‘chete’; chi, costretto con le buone o con le cattive a dimettersi, chi è stato sospeso dalle funzioni e chi dallo stipendio e così via. Baruffe chiozzotte collegate agl’interessi di bottega, scuderia, fazione, casato e campanile. Ultimamente, si era mossa pure l’Associazione Nazionale Magistrati; alla quale, è iscritta la quasi totalità dei magistrati italiani in servizio (8284 sul totale di 8886). Il presidente del tempo, 39 anni, il più giovane della storia, Luca Palamara, goleador della squadra nazionale dei magistrati, aveva tentato di metterci il naso, ma poco dopo venne ‘accantonato’, per…fine mandato. L'Anm, lanciò un vivo allarme per il clima insostenibile, per i quotidiani attacchi nei confronti della magistratura.”Abbiamo reagito con dignità e risolutezza, senza timore, soprattutto quando si è messo in discussione, non il merito dei provvedimenti, ma l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. Noi diciamo che la delegittimazione della magistratura mette in pericolo la democrazia.”.
Dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che aveva confuso Palamara con ‘Palmera’, era stato chiamato “Faccia di tonno”. Il pentito, si è pentito di essersi pentito? Prima di far perdere le sue tracce, ha ritrattato le accuse contro l'ex viceprocuratore nazionale antimafia, Alberto Cisterna, sostenendo di essere stato minacciato quando, all'inizio della sua collaborazione, affermò che tra Cisterna e suo fratello Luciano “non c'erano affari illeciti, ma rapporti normali”. La “patata bollente” ritorna nelle mani del procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, dirigente anche della DDA, Antonio Vincenzo Lombardo? Su questi due fragorosi ed insidiosi interrogativi, s’innesta il rombo di tuono della cascate del Niagara, sotto il Ponte dell’Arcobaleno. Il collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, padrino del clan omonimo, dopo la scomparsa per omicidio del padre, Giuseppe Lo Giudice, capobastone della 'ndrina, ucciso in una faida il 14 giugno 1990 ad Acilia (Roma), dove abitava in regime di soggiorno obbligato. Nino Lo Giudice, intanto è sparito dal 3 giugno 2013, senza lasciare traccia; assieme al computer, il telefonino e la chiavetta usb. E anche qualche capo di vestiario.
La conferma, proviene dal procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho incontrando i giornalisti al termine di un vertice in Procura, al quale hanno partecipato gli aggiunti: Nicola Gratteri, Michele Prestipino e Ottavio Sferlazza e i due sostituti Antonio De Bernardo e Giuseppe Lombardo. La compagna non lo ha trovato nella località protetta in cui il pentito si trova agli arresti domiciliari e ha dato l’allarme. Quando si eclissa un pentito, scatta l’allarme rosso. Figurarsi, se il personaggio si chiami Nino Lo Giudice. Apriti cielo! Non tanto e solo perché sia un pentito di ‘ndrangheta e per giunta nella capitale della ‘Piovra’ calabrese; quanto, perché di riffe o di raffe se non di rimbalzo, sponda e carambola, ci siano di mezzo, in una sorta di catena di Sant’Antonio…Giorgio Napolitano, Alberto Cisterna, Giuseppe Pignatone, Piero Grasso, Renato Cortese, Michele Giarritta Prestipino, Loris D’Ambrosio, Massimo Ciancimino, Antonio Ingroia, Nicolò Pollàri, Roberto Pennisi, Saverio Spadaro Tracuzzi, Pasquale Condello, Giuseppe Morabito, Bernardo Provenzano, Luigi Silipo, Federico Cafiero De Raho. Antonino Lo Giudice, non ha potuto deporre, il 6 giugno, collegato in videoconferenza, al processo Archi-Astrea e il presidente del collegio Giuseppe Campagna in udienza, iniziata in ritardo, ha parlato di “problemi tecnici” comunicati dal SCP in relazione alla traduzione del pentito al sito riservato.
Antonino Lo Giudice è il boss dell’omonima cosca di Reggio Calabria che, dopo l’arresto, ha iniziato a collaborare con la giustizia; si è autoaccusato delle bombe esplose sotto l’ufficio della Procura generale di Reggio Calabria nel gennaio 2010 e sotto l’abitazione del pg Salvatore di Landro nell’agosto dello stesso anno, e del lanciarazzi fatto trovare a duecento metri dagli uffici giudiziari come segnale intimidatorio nei confronti dei magistrati reggini. Il mammasantissima della ‘ndrangheta pentito, Nino Lo Giudice si è autoaccusato delle bombe contro i magistrati reggini; compreso il procuratore generale Di Landro. Sostiene pure, di aver contribuito con le proprie dichiarazioni alla cattura del superboss Pasquale Condello, detto il supremo. La decisione di collaborare con la Giustizia, maturò mentre era detenuto nel carcere di Rebibbia. Davanti all’allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone riempì una serie infinita di verbali, che sottoscrisse. Preceduto in questo, dal fratello minore Maurizio, condannato per l’omicidio di un ristoratore reggino, Giuseppe Giardino, vittima di una rapina, finita nel sangue. Antonino e Maurizio Lo Giudice sono i pentiti, figli (dodici) del defunto boss del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria, Giuseppe. Piccoli ‘guappi’ forgiatisi durante l’infuriare della guerra di mafia scoppiata dopo l’assassinio del boss Paolo De Stefano, il 13 ottobre 1985.
Impelagati in una sanguinaria faida con la famiglia Rosmini. Per l’omicidio di Ernesto Rosmini, Lo Giudice e Rosmini, sotto l’alta garanzia del ‘Supremo’ Pasquale Condello, poi diventarono alleati. C’è pure Roberto Lo Giudice, sposato con la scomparsa Barbara Corvi Gli ultimi sviluppi del aprile 2012 vedono.La squadra mobile di Reggio Calabria, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti tra cui Maurizio Lo Giudice, fratello del boss Nino, anch’ egli pentito, ha arrestato i tre presunti responsabili dell’omicidio di Angela Costantino, madre di quattro figli; scomparsa, mentre si stava recando a trovare il marito detenuto nel carcere di Palmi; fu uccisa su ordine dei capi della cosca, perché avrebbe avuto una relazione extraconiugale; era moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni. Per quel delitto furono arrestati:Vincenzo Lo Giudice, 51 anni, fratello di Nino e considerato uno dei capi della cosca; il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestri’ (38). Due giorni dopo la scomparsa fu trovata a Villa San Giovanni (Reggio Calabria). Domanda, Nino Lo Giudice è vivo o è morto? In questa città, dove il Comune è stato sciolto per mafia ed il suo sindaco (Demetrio Arena) in attesa di entrare in Senato, parcheggiato alla Regione con la funzione di assessore,
sarebbero 200 i telefoni di magistrati, giornalisti (anche quello dello scrivente?) e imprenditori, sotto controllo preventivo.
In questa storia, di rimbalzo e carambola, c’entrano tanti personaggi, di cui, anche con l’aiutino di Wikipedia, diamo un cenno sommario…”Per l’ultimo saluto a Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, protagonista della cronaca nazionale per le intercettazioni telefoniche con l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia condotta dalla Procura di Palermo, morto giovedì pomeriggio del 26 luglio 2012, a causa di un’attacco cardiaco, erano giunti: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano accompagnato dalla moglie Clio; il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, il ministro della giustizia Paola Severino; dell’interno Annamaria Cancellieri; la sorella di Giovanni Falcone, Maria; il primo presidente della corte di Cassazione Ernesto Lupo, il vicepresidente del Csm Michele Vietti, l’ex presidente dell’ANM, Luca Palamara, Pier Ferdinando Casini Massimo D’Alema, Gaetano Quagliariello e Beppe Pisanu. Ed ecco Nicolò Pollari (Caltanissetta, 3 maggio 1943): è un generale italiano della Guardia di Finanza ed ex direttore del SISMI.Nominato sottotenente della GdF nel 1964. Ha conseguito le lauree in giurisprudenza, economia e commercio e scienze politiche, fonte Wikipedia.
Ha inoltre conseguito la specializzazione in Giustizia Amministrativa presso l'Università di Bologna e le lauree specialistiche in Scienze della Sicurezza Economico Finanziaria e in Scienze Internazionali e Diplomatiche.Nominato Generale della Guardia di Finanza, dall'aprile 1993 all'agosto 1997 è stato Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza. Il 15 ottobre 2001 è stato chiamato a dirigere il SISMI dall'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed investito di ampi poteri, trovandosi ad operare nel periodo immediatamente successivo ai fatti dell'11 settembre 2001. Nel 2002 chiamò Nicola Calipari come capo divisione del Sismi. Ha conservato la carica sino al 20 novembre 2006, quando è stato sostituito da Bruno Branciforte. Il 25 gennaio 2007 Pollari è stato nominato dal governo Consigliere di Stato a Palazzo Chigi (incarico ricoperto a partire dal 9 febbraio), con il "conferimento di un importante incarico speciale alle dirette dipendenze del presidente del Consiglio". Attualmente è membro della IIa sezione consultiva del consiglio di stato. È docente di Diritto Tributario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria, e presso la libera università mediterranea (LUM) Jean Monnet di Bari - Casamassima.
Processi in corso. Il rapimento di Abu Omar.Dal gennaio 2007 Pollari è sotto processo a Milano (insieme ad altre 34 persone) per il rapimento dell'imam egiziano Abu Omar (extraordinary rendition), operazione organizzata dalla CIA ed eseguita a Milano il 17 febbraio 2003 con la presunta collaborazione del SISMI. È stato il primo caso di processo aperto sulle extraordinary rendition. Il 16 febbraio Pollari, Marco Mancini (allora capo del controspionaggio) e 26 agenti della CIA (tra cui Robert Seldon Lady, l'ex capocentro della CIA a Milano, e Jeff Castelli, responsabile del servizio segreto americano in Italia, oltre a ad una decina di funzionari del SISMI) sono stati rinviati a giudizio per concorso in sequestro di persona riguardo al rapimento di Abu Omar.Nel frattempo, la Corte costituzionale è stata chiamata in causa dal Governo Prodi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, perché si ritiene che l'attività dei pubblici ministeri e lo stesso rinvio a giudizio abbiano violato la legge sul segreto di stato, avendo attinto a materiale classificato che comprenderebbe anche i nominativi di vari dipendenti del SISMI.
Il processo ha avuto inizio l'8 giugno 2007 a Milano. Processo di primo grado. Iniziato praticamente con l'udienza del 22 ottobre 2008, presso la IV sezione penale del Tribunale di Milano, giudice Oscar Magi, si giunge alla requisitoria il 30 settembre 2009, al termine della quale il pubblico ministero Armando Spataro chiede 13 anni per l'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari. Pene varianti dai 13 ai 10 anni per gli altri imputati (tra cui l'ex capo del controspionaggio militare italiano, Marco Mancini e 26 agenti della Cia coinvolti nel rapimento) e tre richieste di proscioglimento per tre funzionari minori del Sismi.Il 4 novembre 2009 si giunge alla sentenza di primo grado, che delibera il non luogo a procedere per Mancini e Pollari, mentre condanna a 8 anni Robert Seldon Lady, a 3 anni Pio Pompa e Luciano Seno, entrambi funzionari del Sismi e mediamente a 5 anni gli altri agenti CIA.Processo d'appello. Il 28 ottobre 2010 il sostituto procuratore generale di Milano Piero De Petris ha chiesto, per Pollari, la condanna a 12 anni di reclusione[4]. Il 15 Dicembre 2010 La Corte d'Appello di Milano dichiara il non luogo a procedere per Pollari e Mancini, ex vertici del Sismi, per via del Segreto di Stato,condannando invece gli agenti americani della Cia per pene dai sette ai nove anni e Pio Pompa e Luciano Seno pena di 2 anni e otto mesi.
Il 19 Settembre 2012 la Suprema Corte Italiana annulla con rinvio la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dai giudici d'appello nei confronti di Nicolò Pollari e Marco Mancini disponendo quindi un nuovo giudizio di secondo grado per gli ex vertici del Sismi al fine di rivalutare le prove non coperte da segreto di stato, condanna invece definitivamente gli agenti americani Cia, Pio Pompa e Luciano Seno tutti per il reato di Sequestro di persona. Il 12 febbraio 2013 la Corte d'Appello condanna Pollari a 10 anni e Mancini a 9 anni di reclusione.La vicenda dell'Archivio segreto del SismiDal giugno 2007 Pollari e l'ex funzionario del SISMI Pio Pompa sono indagati dalla procura di Roma con l'accusa di peculato e possesso abusivo di informazioni riservate. La vicenda è relativa alla presunta attività di dossieraggio illecito ed organizzazione di campagne di discredito a mezzo stampa effettuata con il coordinamento da Pompa contro presunti nemici del governo Berlusconi (numerosi esponenti del centrosinistra, magistrati italiani e stranieri, giornalisti). Per tale accusa è stato prosciolto in data 01 febbraio 2013. Altro personaggio di primo piano, Roberto Pennisi. Se la memoria non c’inganni, negli Anni Ottanta e Novanta è stato uno dei magistrati di punta della magistratura reggina. Anche a Palmi, dove ha condotto dure battaglie contro la ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro…Piromalli-Molè, Pesce-Bellocco-Ascone.-Pisano, Mancuso ecc. A Reggio, è ricordato come il Pm che, nel 1992, fece scoppiare la "tangentopoli" reggina. Quella di ‘Titti’ Licandro e della fioriere; un intreccio perverso tra criminalità, politica ed economia. Come passa il vento… e gli anni…Federico Cafiero De Raho, Otavio Sferlazza f.f., Giuseppe Pignatone, Salvatore Boemi f.f., Francesco Scudieri f.f., Antonino Catanese, Giuliano Gaeta, Carlo Bellinvia, Sebastiano Surace…
Lo Giudice sono una 'ndrina, attiva nel Rione Santa Caterina di Reggio Calabria.Nella Seconda guerra di 'Ndrangheta i Lo Giudice si schierarono con gli Imerti-Condello-Serraino-Rosmini. Giuseppe Lo Giudice, capobastone della 'ndrina, ucciso in una faida il 14 giugno 1990 ad Acilia (Roma), dove abitava in regime di soggiorno obbligato. Antonino Lo Giudice (1969), detto Nino il nano, grado raggiunto (dote) Mammasantissima, arrestato nel 2010 e ora pentito. Il 15 ottobre 2010 Antonino Lo Giudice diventa pentito e confessa di essere il mandante degli attentati dinamitardi ai giudici, dopo che già 4 testimoni lo additavano come tale, nei confronti di Salvatore Di Landro e Giuseppe Pignatone e della Procura di Reggio Calabria avvenuti nel 2010.Luciano Lo Giudice, di 37 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria e detenuto presso la Casa Circondariale di Lanciano; Luciano Lo Giudice, con la dote della Santa, gestiva l'armeria della 'ndrina, costituita da armi anche da guerra, con l'aiuto dei fratelli Antonio Cortese, Pasquale Cortese e Paolo Sesto Cortese, dell’armeria “Top Gun” di Consolato Romolo, di Fortunato Pennestrì, dell’armeria “Caminiti”,
e di Demetrio Giuseppe Gangemi. Giuseppe Lo Giudice, di 23 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria; arrestato per illecita detenzione di armi e munizioni, e in concorso con Salvatore Pennestrì e Giuseppe Perricone, avere tentato di commettere una rapina. Antonio Cortese, di 49 anni (nel 2011), nato a Bova Marina (RC) e attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Voghera (PV); Pasquale Cortese, di 58 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria; Paolo Sesto Cortese, di 46 anni (nel 2011), nato a Melito Porto Salvo; Salvatore Pennestrì, di 21 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria; grado raggiunto sgarrista, ramo estorsioni e usura. Accusato di detenzione illecita di armi per aver assicurato contatti. Giuseppe Perricone, di 23 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria;Vincenza Mogavero, di 35 anni (nel 2011), nata a Scilla e residente a Reggio Calabria; prestanome nell'intestazione di immobili e di attività commerciali, dei negozi “Norfish”, “Smile” e “Peccati di gola”. Madalina Cristina Turcanu, di 25 anni (nel 2011), nata a Barlaad, (Romania) e residente a Reggio Calabria ma abitante a Barcellona (Spagna); imputata di concorso esterno in associazione mafiosa per avere assicurato contatti fra detenuti ed altri in libertà e per avere custodito, nascondendole, armi della consorteria, dietro compenso in denaro. Giuseppe Reliquato, di 40 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria, grado raggiungo (dote) Vangelo, accusato di associazione mafiosa. Bruno Stilo, di 49 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria,
con la dote della Santa, accusato di associazione mafiosa. Fortunato Pennestrì, di 36 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria, accusato di associazione mafiosa. Gli strali del ‘Nano”, contro una “cricca di magistrati” che lo avrebbero indotto a rivelare cose di cui non era, né poteva essere a conoscenza. Anche contro l’ex Procuratore capo della Dda reggina, oggi alla guida della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto, Michele Prestipino e il sostituto Beatrice Ronchi, da tempo trasferita a Bologna, ma applicata a Reggio proprio per il processo alla cosca Lo Giudice. Affermazioni pesantissime e ancora tutte da verificare, anche quelle contro il procuratore aggiunto della Dna, Gianfranco Donadio, che gettano un’ombra anche sulla Direzione Nazionale Antimafia. Dal 2008 sostituto procuratore della Dna, Gianfranco Donadio è membro della Commissione pentiti: Ma la Procura di Palermo, cosa c’azzecca in tutto questo
Nei giorni scorsi abbiamo ospitato un articolo di Nerina Gatti…“A dicembre del 2012 i legali di Cisterna chiesero alla procura di Reggio Calabria di sentire Pennisi in merito alle informazioni acquisite da Silipo. Ma la procura non lo fece mai.
Ecco parte della richiesta di audizione.
Vorrà il Pubblico Ministero procedere all’escussione del dr. Roberto Pennisi, magistrato in servizio presso la Direzione nazionale antimafia, al fine di conseguire da costui la narrazione di quanto spontaneamente riferitogli dal dr. Luigi Silipo a proposito dell’attività di indagine svolta a carico del dr. Cisterna. Il dr. Cisterna non solo non ha alcuna consapevolezza di un’asserita innocenza del funzionario di polizia, ma anzi ritiene di avere – anche in virtù del racconto di quel colloquio del dr. Pennisi – conseguito la piena certezza circa la colpevolezza del dr. Silipo in ordine ai fatti riferiti. L’escussione del dr. Pennisi è, quindi, elemento imprescindibile per la ricostruzione della vicenda in questione.
OMISSIS
IN CONCLUSIONE
Non v’è atto, accertamento o il più superfluo dei commenti provenienti da quel funzionario che sia risolto in favore del dr. Cisterna e, guarda caso, nessuna delle asserite «sviste» è stata mai favorevole all’indagato; a dispetto di qualunque legge statistica e probabilistica. Immaginare che un funzionario così gratificato dall’Amministrazione per la sua professionalità possa aver errato tante volte sarebbe una grave offesa all’intelligenza e all’esperienza di ciascuno e ben lo intenderanno le SS.LL. non appena avranno assunto le dichiarazioni del consigliere Pennisi. Quindi, ogni altra diversa “lettura” dei fatti attribuiti al dr.Silipo nell’imputazione provvisoria come meri “errori”, non può prescindere dall’insieme delle vicende sin qui ricostruite le quali escludono una conduzione ordinata e legittima delle investigazioni.
Roma, 11 dicembre 2012
Nerina Gatti
Giorgio Napolitano (Napoli, 29 giugno 1925) è un politico italiano, dodicesimo Presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 15 maggio 2006, rieletto per un secondo settennato consecutivo, caso unico nella storia repubblicana.In precedenza era stato presidente della Camera dei deputati nell'XI Legislatura (subentrando nel 1992 a Oscar Luigi Scalfaro, salito al Quirinale) e ministro dell'Interno nel Governo Prodi I, nonché deputato dal 1953 al 1996 e senatore a vita dal 2005 (nominato da Carlo Azeglio Ciampi) fino alla sua elezione alla prima carica della Repubblica. Il Presidente della Repubblica, reagisce alle ignobili provocazione con estrema chiarezza e durezza , anche con una lettera al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, nella quale definisce il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazionial Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragii dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche.” I nomi: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione".
Bernardo Provenzano, detto Binnu u' Tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui falciava le vite dei suoi nemici), Zu Binu e il ragioniere (Corleone, 31 gennaio 1933, è un criminale italiano, membro di Cosa Nostra e considerato il capo dell'organizzazione a partire dal 1995 fino al suo arresto. Arrestato l'11 aprile 2006 in una masseria a Corleone, Provenzano era ricercato sin dal 10 settembre 1963, con una latitanza record di quarantatré anni. In precedenza era già stato condannato in contumacia a tre ergastoli ed aveva altri procedimenti penali in corso. Nel 1995, nel processo per l'omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo, Provenzano venne condannato in contumacia all'ergastolo insieme a Salvatore Riina, Michele Greco e Leoluca Bagarella; lo stesso anno, nel processo per gli omicidi dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, venne pure condannato in contumacia all'ergastolo insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Salvatore Riina, a cui seguì il processo per gli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Michele Reina, nel quale gli viene inflitto un'ulteriore ergastolo in contumacia insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. Sempre nel 1995, nel processo per l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano, e del professor Paolo Giaccone, Provenzano venne condannato all'ergastolo in contumacia insieme a Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Nenè Geraci e Francesco Spadaro.Nel 1997, nel processo per la strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, Provenzano venne condannato all'ergastolo in contumacia insieme ai boss Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Raffaele Ganci, Nenè Geraci, Benedetto Spera, Nitto Santapaola, Salvatore Montalto, Giuseppe Graviano e Matteo Motisi .
Lo stesso anno, nel processo per l'omicidio del giudice Cesare Terranova, Provenzano ricevette un altro ergastolo in contumacia insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Nenè Geraci, Francesco Madonia e Salvatore Riina.Nel 2000 Provenzano subì una ulteriore condanna in contumacia all'ergastolo insieme a Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Salvatore Riina per gli attentati dinamitardi del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Nel 2002 la Corte d'Assise di Caltanissetta condannò Provenzano in contumacia all'ergastolo per l'omicidio del giudice Rocco Chinnici insieme ai boss Salvatore Riina, Raffaele Ganci, Antonino Madonia, Salvatore Buscemi, Nenè Geraci, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Salvatore e Giuseppe Montalto, Stefano Ganci e Vincenzo Galatolo[50]. Nel 2009 Provenzano ricevette un altro ergastolo insieme a Salvatore Riina per la strage di viale Lazio.
Massimo Ciancimino (Palermo, 16 febbraio 1963) è un imprenditore italiano, testimone di giustizia attualmente indagato per calunnia, concorso in associazione mafiosa e concorso in riciclaggio di denaro.Figlio di Vito Ciancimino, è un testimone di giustizia con un ruolo chiave nel panorama delle indagini avviate da Sergio Lari, Francesco Messineo e Giuseppe Quattrocchi, rispettivamente capi delle Procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze che indagano sulla stagione stragista condotta da Cosa Nostra tra il 1992 e il 1993.È sposato con Carlotta Messerotti e ha un figlio, Vito Andrea, nato nel 2004. Nell'aprile 2010 esce il libro scritto insieme al giornalista Francesco La Licata, già autore di libri su mafia e politica. Il libro dal titolo Don Vito ha fatto molto discutere, suscitando anche le attenzioni delle Procure di Palermo e Caltanissetta che ne hanno acquisito copia nelle inchieste sulla presunta trattativa. Il mistero del papelloNel febbraio del 2005, mentre era a Parigi, i carabinieri perquisirono la sua casa sul lungomare dell'Addaura. In quell'occasione, a detta di Ciancimino, non furono trovati il famoso papello con le richieste di Totò Riina allo Stato al tempo delle stragi del ’92 e altri documenti del padre da lui conservati. L'ufficiale dei carabinieri che guidò l'operazione, il capitano Antonello Angeli, è indagato per favoreggiamento dalla Procura di Palermo. Secondo Ciancimino sul papello c’era un post-it giallo sul quale suo padre Vito aveva annotato di averlo consegnato personalmente al generale Mario Mori, oggi imputato di favoreggiamento e indagato per concorso in associazione mafiosa.
Mori ha sempre negato di averlo mai visto. Ciancimino, nel luglio del 2009, ha detto che il papello era conservato in una cassaforte. Nel verbale di perquisizione non si fa alcun riferimento ad una cassaforte, mentre nel 2009 altri investigatori spediti nella stessa casa l'hanno vista e fotografata. Angeli avrebbe chiamato il maresciallo Masi e gli avrebbe detto "di avere proceduto comunque a fare una fotocopia di detta documentazione, a mezzo di un suo fidato collaboratore, e di averli poi riposti nel luogo ove erano stati rinvenuti". Masi ha dichiarato ai pm che i militari avrebbero avuto l'ordine dal colonnello Sottili di lasciare il documento lì perché "si trattava di documenti già acquisiti". Nell'ottobre del 2009 inaspettatamente Ciancimino consegna ai pm di Palermo il papello contenente 40 documenti sulle richieste di Riina allo Stato e una lettera scritta dal padre dopo la Strage di via d'Amelio nella quale paragona la propria posizione a quella di Paolo Borsellino: entrambi vittime di traditori. Il 20 ottobre, l'ex colonnello dei ROS, Mario Mori, imputato per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra, ha dichiarato al tribunale di Palermo che non ci fu nessuna trattativa tra la mafia e lo Stato, e in una intervista successiva, Mori ha smentito di aver mai ricevuto dalle mani di Massimo Ciancimino o di altri il presunto "papello", preannunciando azioni legali in merito. Anche il capitano "Ultimo" ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sulla collaborazione tra Stato e mafia nella cattura di Provenzano, indicando nel figlio dell'ex sindaco di Palermo un "servo di Totò Riina.Minacce e intimidazioni.
Vive sotto scorta, lontano da Palermo, città natale, a causa di diverse minacce subite, tra le quali un rudimentale pacco bomba recapitato nella sua abitazione palermitana, da due finti uomini della Polizia di Stato. Nell'aprile 2010 è vittima di una intimidazione attraverso una busta contenente una lettera di minacce e cinque proiettili di kalashnikov, recapitata nella sua residenza di Bologna.Il 12 novembre 2010 è nuovamente vittima di una intimidazione: viene trovata una pistola nell'androne della sua abitazione in via Torrearsa a Palermo. Giuseppe Pignatone (Caltanissetta, 1949) è un magistrato italiano, procuratore della Repubblica di Roma dal 19 marzo 2012.Figlio di Francesco Pignatone Deputato della Democrazia Cristiana negli anni '50, entra in Magistratura nel 1974 e dopo una breve parentesi come Pretore a Caltanissetta nel 1977 viene trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo dove nel 2000 verrà nominato Procuratore aggiunto.Ha collaborato per tanto tempo con Piero Grasso, ex Procuratore capo di Palermo ( ed ex Procuratore nazionale antimafia), nella conduzione della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. A Palermo ha portato a termine numerose indagini contro Cosa Nostra facendo condannare vari capi e gregari della criminalità organizzata siciliana, in particolare negli anni '80 ha incriminato Vito Ciancimino ex sindaco di Palermo
poi condannato per Mafia, ha messo sotto indagine Totò Cuffaro ex Presidente della Regione Siciliana poi condannato definitivamente a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, ha anche coordinato le indagini che hanno portato all'arresto del superlatitante Bernardo Provenzano.Nel 2008 è stato nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura Procuratore capo di Reggio Calabria. Anche in Calabria continua la sua attività contro la criminalità organizzata assestando numerosi colpi alla 'Ndrangheta essendo anche a capo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.Per il suo impegno contro la 'Ndrangheta ha subito alcune intimidazioni e minacce, in particolare il 5 ottobre 2010 viene trovato, a seguito di telefonata anonima, un bazooka dinanzi la sede della Procura della Repubblica di Reggio C. indirizzato proprio a Giuseppe Pignatone A Reggio Calabria ha portato a termine numerose operazioni di polizia contro la 'ndrangheta tra le più importanti c'è sicuramente l'inchiesta il crimine coordinata da due procure (Reggio Calabria e Milano) che ha consentito di svelare il carattere unitario della 'ndrangheta con organismi di vertice (simili alla cupola di Cosa nostra) come la Provincia o il crimine e ha confermato ancora di più la forte presenza della criminalità organizzata calabrese al Nord Italia.
Nel 2012 è stato nominato dal CSM Procuratore capo di Roma con voto unanime.Il 4 ottobre seguente, su suo ordine, i carabinieri del NOE coordinati da Sergio De Caprio, meglio noto come Ultimo, e dal capitano Pietro Rajola Pescarini, hanno perquisito l'abitazione di Massimo Ciancimino a Palermo e di altri imprenditori e prestanome alla ricerca di carte, file e documenti sulla Ecorec utili alle indagini avviate dai pm Delia Cardia e Antonietta Picardi in riguardo al riciclaggio di denaro nella più grande discarica di rifiuti in Europa a Glina (Romania) del valore di circa 115 milioni di euro e che, secondo gli investigatori, è riconducibile proprio a Ciancimino e farebbe parte del tesoro accumulato dal padre Vito quando era sindaco di Palermo.Pietro Grasso, detto Piero (Licata, 1º gennaio 1945), è un magistrato e politico italiano, dal 16 marzo 2013 presidente del Senato della Repubblica. Nato a Licata, in provincia di Agrigento, nel 1945, si trasferisce a 18 mesi con la famiglia a Palermo. Inizia il proprio cursus honorum in magistratura il 5 novembre 1969 come pretore a Barrafranca. Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo dal 1972, intorno alla metà degli anni settanta si occupa di indagini sulla pubblica amministrazione e sulla criminalità organizzata.
Il 6 gennaio 1980 diviene titolare dell'inchiesta riguardante l'omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella[2]. Sposato con Maria dal 1970, ha un figlio, Maurilio, funzionario di Polizia. Il maxiprocesso.Nel 1984 ricopre l'incarico di giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra (10 febbraio 1986 - 10 dicembre 1987), con 475 imputati. Pietro Grasso, a fianco del presidente della corte Alfonso Giordano, è stato estensore della sentenza (oltre 8 000 pagine) che inflisse 19 ergastoli e oltre 2600 anni di reclusione. Conclusosi il maxiprocesso, nel febbraio del 1989 Grasso viene nominato consulente della Commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Gerardo Chiaromonte prima e da Luciano Violante poi. Nel 1991 viene nominato consigliere alla Direzione affari penali del Ministero di grazia e giustizia, il cui "guardasigilli" era Claudio Martelli, che chiamò anche Giovanni Falcone, e componente della Commissione centrale per i pentiti. Successivamente viene sostituto nell'incarico, per poi essere nominato procuratore aggiunto presso la Direzione nazionale antimafia (guidata da Pier Luigi Vigna), applicato nelle Procure di Palermo e Firenze dove ha seguito e coordinato le inchieste sulle stragi del 1992 e del 1993. Procuratore di Palermo.
A Palermo da Procuratore della Repubblica dall'agosto del 1999, sotto la sua direzione, dal 2000 al 2004, sono state arrestate 1.779 persone per reati di mafia e 13 latitanti, che erano inseriti tra i 30 più pericolosi. Nello stesso arco di tempo la procura del capoluogo siciliano ha ottenuto 380 ergastoli e centinaia di condanne circa per un totale di migliaia di anni di carcere.Capo della Direzione nazionale antimafia. L'11 ottobre 2005 è stato nominato procuratore nazionale antimafia, subentrando a Pier Luigi Vigna, che ha lasciato l'incarico nell'agosto 2005 per raggiunti limiti di età, mentre era ancora capo della Procura della Repubblica di Palermo. Il Csm (Consiglio superiore della magistratura) ha dato via libera alla sua nomina con 18 voti a favore e cinque astensioni. La sua nomina fu al centro di aspre polemiche nel mondo giudiziario e politico, poiché era molto probabile la nomina del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo Gian Carlo Caselli. Tuttavia, il Governo Berlusconi III, nella figura del senatore Luigi Bobbio (del partito Alleanza Nazionale), presentò un emendamento alla legge delega di riforma dell'ordinamento giudiziario (la cosiddetta "Riforma Castelli"). Secondo quanto dettato dall'emendamento, Caselli non poté più essere nominato procuratore nazionale antimafia per superamento del limite di età. La Corte costituzionale, successivamente alla nomina di Pietro Grasso quale nuovo procuratore nazionale antimafia, dichiarò incostituzionale il provvedimento che aveva escluso il giudice Gian Carlo Caselli dal concorso.
L'11 aprile 2006 contribuisce con il suo lavoro, dopo anni d'indagine, alla cattura di Bernardo Provenzano nella masseria di Montagna dei cavalli a Corleone, latitante dal 9 maggio 1963.Il 18 settembre 2006 la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, con il contributo della Procura Nazionale diretta dal procuratore nazionale Grasso, conclude un'indagine durata due anni riguardante l'azione di alcune cosche mafiose di Vibo Valentia, che avevano messo le mani sui villaggi turistici della costa. Le cosche in questione sono La Rosa di Tropea e quella dei Mancuso di Limbadi, che ricavavano ingenti guadagni dal controllo degli appalti per la costruzione e la fornitura dei villaggi vacanze nella zona di Catanzaro. L'operazione Odissea si conclude con 41 procedimenti di custodia cautelare. Alla scadenza naturale del primo mandato alla DNA è stato riconfermato dal Consiglio Superiore della Magistratura per un secondo mandato, stavolta senza alcuna polemica ed all'unanimità. A partire dal settembre 2012 per Rai Storia in 12 puntate Pietro Grasso conduce Lezioni di Mafia: un progetto di educazione alla legalità, dedicato alle generazioni più giovani per spiegare tutti i segreti di Cosa Nostra. Il programma si ispira alle lezioni di mafia ideate nel 1992 dal direttore del TG2 Alberto La Volpe assieme a Giovanni Falcone, una delle ultime iniziative del magistrato palermitano stroncata dall'attentato di Capaci.
A vent’anni di distanza, sollecitato in riguardo, Grasso ha accettato di tornare a raccontare ai giovani il fenomeno mafioso. Lezioni di Mafia scava dentro il sistema mafioso e ne restituisce una radiografia fatta di nomi, regole, storie, rete di complicità, intrecci, misteri, ambiguità. Nella prima puntata ha spiegato com'è formata la Cupola mafiosa.Senatore della Repubblica Italiana. Il 27 dicembre 2012 presenta al CSM la richiesta di aspettativa per motivi elettorali: il giorno successivo dichiara alla stampa che intende candidarsi nelle liste del Partito Democratico in vista delle Elezioni politiche italiane del 2013. L'8 gennaio 2013 la direzione nazionale del PD candida Pietro Grasso al Senato della Repubblica Italiana come capolista della lista PD nella regione Lazio, dove risulta poi eletto.A marzo, in seguito alle elezioni, insieme a molti altri colleghi del Parlamento, aderisce al progetto "Riparte il futuro" firmando la petizione che ha lo scopo di revisionare la legge anti-corruzione modificando la norma sullo scambio elettorale politico-mafioso (416 ter) entro i primi cento giorni di attività parlamentare. Il primo giorno di insediamento nelle aule di Palazzo Madama presenta questo disegno di legge.
Aveva fatto clamore l’arresto del capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi, già in servizio al Centro Dia di Reggio Calabria. Con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. L'accusa nei suoi confronti, è di essere stato colluso con la cosca Lo Giudice della 'ndrangheta, fornendo notizie coperte da segreto investigativo. Arrestato, dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria. Era stato trasferito nella Seconda Brigata Mobile di Livorno, città in cui era stato arrestato. Aveva ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Reggio Calabria. Accusato dal capo della cosca Lo Giudice della 'ndrangheta, Nino Lo Giudice, che da alcuni mesi si è pentito e collabora con la Dda di Reggio Calabria. Sentito per due giorni nel carcere di Rebibbia dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e dal procuratore aggiunto Michele Prestipino. Pur senza farne formalmente parte, aveva contribuito al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell'associazione mafiosa denominata 'ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria e sul territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali, articolate in tre mandamenti e con organo di vertice denominato "Provincia" e, in particolare, della cosca Lo Giudice, capeggiata da Antonino Lo Giudice, 41 anni". Aveva fatto riferimento anche il pentito Consolato Villani
Il direttore di” Calabria Ora”, Pietro Sansonetti, rispondendo alle domande di www.tempi.it . sul caso del giudice Alberto Cisterna, accusato ingiustamente, aveva detto…: ”Cisterna è stato affondato, poco più di un anno fa, da un avviso di garanzia. Il tutto per la deposizione di un pentito considerato assai poco attendibile da chiunque conosca un po’ la ‘ndrangheta. L’avviso di garanzia ha provocato l’intervento del Csm, che in primavera ha deciso di rimuoverlo dal suo prestigioso incarico di numero 2 dell’antimafia nazionale per spedirlo a fare il giudice in una piazza più modesta, come Tivoli. Una punizione severa, anche se non era stata provata ancora alcuna colpa. Adesso la procura di Reggio ha chiesto l’archiviazione. È come se avesse detto candidamente: “Scusate tanto, le indagini non hanno trovato nulla contro di lui”. Qual è il risultato di un anno di fango e sospetti? Sul piano giudiziario nessuno, su quello personale la carriera di Cisterna è stata rovinata.
Quali sono gli insegnamenti di questa vicenda per la nostra giustizia?
Credo siano due. Il primo è che la magistratura, una fetta almeno di essa, usa il suo enorme potere talvolta male e per lotte interne. Per capirlo basta guardare il contesto in cui avviene la vicenda di Cisterna. È tutto lampante, non lo dico io.
Cioè?
Semplice: il procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, dopo 4 anni, stava per andarsene (in seguito è stato infatti nominato procuratore capo a Roma) e si poneva il problema della successione. Uno dei candidati era proprio Cisterna, magistrato di grande prestigio, all’epoca alla Direzione nazionale antimafia. Ma a Reggio Calabria ci sono due gruppi di magistrati in lotta tra loro, uno che faceva riferimento a Pignatone, l’altro contrapposto che si riferiva a Cisterna. Lo scontro era anzitutto “di potere”, prima che di idee. C’era sicuramente anche una differenza di concezione della ‘ndrangheta (Pignatone la vedeva molto verticistica, Cisterna la vedeva come organizzazione orizzontale), ma non era tanto questo. La procura di Reggio sotto la gestione Pignatone ha ottenuto risultati molto importanti nella lotta alla ‘ndrangheta, eseguendo numerosi arresti, ma questo non esclude che si possa avanzare una critica, che sotto la sua gestione le lotte di potere sono state spregiudicate. Una parte della procura voleva evitare la nomina di Cisterna, considerato troppo vicino alla cordata opposta: questa lotta di potere si è spinta fino a convincere i magistrati anti-Cisterna a considerare attendibile la testimonianza di un pentito minore, come Nino Lo Giudice, detto “Il nano”. Si è intrecciata una campagna giornalistica ed è stata confermata la tesi che, quando giudici e giornalisti fanno squadra, il diritto se ne va a quel paese. La magistratura è un istituzione che ha tanto potere, ed è inevitabile che si creino gruppi di potere, e non sempre la differenza è sulle idee. Come si può intervenire su questo elemento? L’unica via è ridimensionare il potere della magistratura. L’altro insegnamento che va tratto dalla vicenda Cisterna è sulla legge sui pentiti.
Perché?
La legge sui pentiti, secondo me, oggi non serve a niente. Servì ai tempi di Falcone, ma introduce una tacca nel diritto. Perché chi si pente non paga? Non possiamo sospettare che qualcuno abbia avuto un nome dando in cambio la garanzia dell’impunità? Nel caso dei pentiti la legge è addirittura usata dai pentiti stessi meglio che dai magistrati. Nel caso Cisterna questo è evidente. C’è un pentito, Lo Giudice, che non aveva alcun peso nell’organizzazione criminale, era un “cocomerario”. Lo Giudice ha accusato un esponente politico e Cisterna: sono state prese per buone solo le sue dichiarazioni su Cisterna. E oggi viene fuori che sul politico le indagini avrebbero dovute essere approfondite, mentre su Cisterna non c’era assolutamente nulla, a parte le parole del pentito. Eppure su questa base è stata fatta una campagna stampa. Cisterna in primavera è stato “riservatamente” convocato da Pignatone a Roma per essere interrogato. Tanto riservatamente che, mentre era in volo sull’areo, ha letto la notizia della convocazione sul Corriere. A mio avviso, la legge dei pentiti va riformata, o meglio abolita perché la mafia sa usare lo strumento legislativo meglio dei giudici. Ma succede anche che qualche magistrato, anche senza pensare chissà a quale macchinazione, ma in buona fede, si convinca di una tesi investigativa e non avendo le prove, trovi il pentito pronto a parlare”. Cisterna indagato per corruzione in atti giudiziari dopo le dichiarazioni fatte dal collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, che non è stato creduto, venne scagionato, se non discolpato, quando Barbara Bennato, gip di Reggio Calabria, il 26 novembre 2012, accolse la richiesta di archiviazione, avanzata dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Beatrice Ronchi.
Notizia, diffusa dal quotidiano on line’ Corriere della Calabria’ diretto da Paolo Pollichieni e confermata all'ANSA dal procuratore f.f. di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza. L’archiviazione del caso, non sta bene a Cisterna che chiede la revoca del provvedimento ed il rinvio a giudizio. Cisterna, intanto, ha fatto ricorso al Tar per essere nominato Procuratore Capo della Repubblica di Ancona. Battaglia vinta dell'ex sostituto procuratore della Dna. Cisterna, ha avuto la meglio sull'ex pm di Bologna Elisabetta Melotti. Il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso proposto dagli avv. Lirosi e Clarizia, ha confermando gli effetti di una sua precedente sentenza (ribadita dal Consiglio di Stato), dichiarando la nullita' del conferimento dell'incarico alla Melotti.Il Csm entro 60 giorni dovra' affidare l'incarico a Cisterna, il cui nome è stato infangato e la carriera distrutta, sulla base di dichiarazioni che non hanno mai avuto riscontro.
Pasquale Condello, detto U Supremu (Reggio Calabria, 24 settembre 1950), è un criminale italiano appartenente all'organizzazione denominata 'ndrangheta.U Supremu, chiamato così anche dai suoi rivali a causa dell'infallibilità delle sue sentenze che, all'interno dell'organizzazione malavitosa, erano considerate legge o anche "primula rossa", è il capobastone dell'omonima famiglia, latitante dal 1990 al 18 febbraio 2008, considerato uno dei numero uno della 'ndrangheta dopo l'arresto di Giuseppe Morabito.Non sono Provenzano, sono io »(Pasquale Condello)La sua carriera criminale inizia col matrimonio di Pasquale, che scelse come compari Paolo "don Paolino" De Stefano e Giovanni Fontana. De Stefano, caduto in un agguato, eclatante risposta all'autobomba contro Nino Imerti, vide però Condello allearsi con gli Imerti, i Rosmini, Serraino, Lo Giudice, i Fontana e i Saraceno, sciogliendo così il loro legame. L'accordo con gli Imerti venne sancito dal matrimonio di Antonio Imerti con una cugina di Condello.Il luogo dell'arresto.Iniziò così una delle prime due guerre di mafia che vedeva i due schieramenti contrapposti. Alla morte di Paolo De Stefano viene quindi collegata l'ascesa del capo dei "condelliani". Condello è ritenuto il mandante dell'assassinio di Lodovico Ligato, ex presidente delle Ferrovie dello Stato, morto in un agguato la notte del 27 agosto 1989.
Dopo l'arresto di Giuseppe Morabito detto "U tiradrittu" viene considerato capo indiscusso della 'ndrangheta. I suoi affari spaziavano dalle tangenti alle estorsioni, dagli appalti al controllo di numerose attività economiche anche fuori dalla Calabria e all'estero. Inseguito da vari provvedimenti restrittivi e condanne all'ergastolo, Pasquale Condello è stato latitante dal 28 novembre 1990, finché non è stato arrestato la sera del 18 febbraio 2008, in un blitz in cui sono intervenuti circa 100 carabinieri del ROS e dei cacciatori del Gruppo Operativo Calabria. Condello è stato condannato a 4 ergastoli e 22 anni di reclusione, e dal 1993 era ricercato in campo internazionale. L'operazione ha avuto luogo intorno alle ore 20.00 a Occhio di Pellaro, ed ha portato al fermo di Condello, del genero Giovanni Barillà e del nipote Giandomenico Condello, oltre ad un'altra persona. Ora è detenuto al carcere di Spoleto.
Il primo dirigente della Polizia di Stato, Luigi Silipo, oggi capo della Squadra Mobile di Torino ma dal lungo e prestigioso passato in Questura a Reggio nelle vesti di vice capo della Squadra Mobile e di dirigente del commissariato di Siderno. confessò al magistrato Roberto Pennisi di esser stato “costretto” a fare quelle nebulose indagini su Cisterna che non hanno mai avuto riscontri. I difensori di Cisterna già nel dicembre 2012, inoltrarono la richiesta che Pennisi venisse sentito dalla procura di Reggio Calabria, perché in possesso di questa inquietante informazione. Ma non ebbero alcuna risposta. E i due milioni che sarebbero stati offerti ad un delatore per la cattura di Bernardo Provenzano? Cisterna, aveva rilasciato dichiarazioni ai pp.mm. della Procura di Palermo che indagano sul famigerato intermediario, che il procuratore capo della Dna Piero Grasso definì inaffidabile. Tuttavia, il procuratore generale di Ancona, Vincenzo Macrì, all’epoca dei fatti magistrato in Dna, disse:”Un uomo che si presenta in Dna con notizie su Provenzano non lo fa per truffare, non gioca col fuoco. Perché in questi casi, chi sbaglia paga.”. Sullo sfondo del processo, relativo alla trattativa Stato-mafia
Arriva a San Vitale Renato Cortese, originario di Santa Severina (KR) il nuovo capo della Squadra Mobile di Roma che prende il posto di Vittorio Rizzi, che lascia dopo cinque anni; con un curriculum di tutto rispetto: è considerato l'esperto nella cattura dei latitanti…. Giovanni Brusca, Carlo Greco, Benedetto Graviano, Pietro Aglieri, Gaspare Spatuzza, Antonino Tinnirello. Suo, fu l'arresto di Bernardo Provenzano, allora fu il primo a entrare nel casolare di contrada'Montagna dei cavalli' nei pressi di Corleone, dove si trovava Bernardo Povenzano, latitante da oltre quarant’anni; cattura, che gli è valsa, insieme ad altri successi, una promozione a primo dirigente. A Reggio Calabria arriva il 15 giugno del 2007, due mesi prima della strage di Duisburg. Dopo due anni, l'arresto di Giovanni Strangio, considerato l'ideatore e uno degli autori della strage in Germania in cui vengono uccise sei persone. Tra i protagonisti di questa stagione anche il procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, Antonio Vincenzo Lombardo,. Una vita trascorsa a Reggio Calabria. Ma è stato anche procuratore capo della Repubblica di Palmi. Prima di approdare a Catanzaro. Un magistrato di lungo corso, noto per il suo carisma, esperienza, competenza e professionalità. Dovrà cavare la castagne dal fuoco, con la zampa di gatto. Ed ora tutti a chiedersi, se Nino Lo Giudice, inteso ‘ il Nano’, si sia nascosto da qualche parte per inconfessabili ragioni. Oppure si sia dato alla latitanza. Questa storia, ovviamente, non finisce qui.
A parte i processi in sospeso, c’è la caratura del personaggio, che sta polarizzando le prime pagine dei giornali cartacei, agenzie di stampa, radio, televisione e giornali on line. Nino Lo Giudice appartiene alla prima delle cinque categorie elencate dal capomafia don Mariano Arena, protagonista del “Giorno della civetta” di Leonardo Sciascia... gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. In attesa di un cenno, la mamma, la famiglia, i fratelli, i parenti, ma anche gli avversari di sempre. Quasi nessuno pensa all’omicidio. Tuttavia il leggendario Giulio Andreotti soleva dire che… A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca.” Ed ora quale scenario?Che cosa c’entra la procura della Repubblica di Palermo? Quali i nessi? Ed Aiello, Antonella, Borsellino? I giornali si stanno occupando in queste ore del caso Francesco Messineo, procuratore capo di Palermo, dal luglio del 2006, che rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale. Tra le accuse mosse, quella di essersi fatto influenzare dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, il ‘capo ombra’, uno degli allievi prediletti di Paolo Borsellino, che potrebbe lasciare addirittura la magistratura, per la politica. Ma non è stato eletto al Parlamento, nell’ultima competizione, dove era candidato premier. C’è chi parla e scrive di nuovi veleni alla Procura di Palermo. a prima commissione del Csm ha aperto la relativa procedura, contestandogli una gestione debole dell'ufficio e che non garantirebbe la necessaria indipendenza;oltre alla mancanza di circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio. C’è lo J’accuse del procuratore aggiunto Leonardo Agueci. Uno dei più critici, assieme a Teresa Principato. Per concludere c'è il capitolo del mammasantissima Messina Denaro.
L’arresto fallì, per mancato coordinamento. A giugno 2012, fu promosso il blitz contro il capo dei capi, successore di Bernardo Provenzano e Totò Riina. Scattò l'arresto di una ventina di mafiosi. Compreso Leo Sutera, indicato come il nuovo uomo forte della provincia agrigentina. Il suo arresto avrebbe mandato all'aria la pista, che avrebbe potuto portare i carabinieri del Ros al boss di Cosa Nostra. Sullo sfondo del la tormentata vicenda dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. Sembra di tornare indietro di una trentina d’anni, se non di più; alla fine degli anni ’80 quando le polemiche investivano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che si opponevano allo smantellamento del pool antimafia. … Giovanni Falcone e Piero Giammanco prima, Giancarlo Caselli e Piero Grasso successivamente. Palais de justice diventò il Palazzo dei veleni, per le lettere anonime, inquisizioni del Csm, fughe di notizie e perfino un processo, a carico del pm di punta, Alberto Di Pisa, passato alla storia come “Il corvo” . Ad inizio del Terzo Millennio le baruffe chiozzotte, ebbero un seguito con altri scontri fra Caselliani (Massimo Russo, Antonio Ingroia, l’attuale procuratore generale a Caltanissetta Roberto Scarpinato) e Grassiani (Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino). Ma i giudici a Palermo…Francesco Messineo, Piero Grasso, Giancarlo Caselli, Pietro Giammanco, Salvatore Curti Giardina, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Pietro Scaglione, Cesare Terranova…non ebbero mai vita facile…
Dopo la strage di via D'Amelio, il 19 luglio 1992, otto sostituti procuratori si rivoltano contro il procuratore capo Giammanco, al quale viene addebitata la responsabilità di avere progressivamente isolato Giovanni Falcone, inducendolo ad andare via dalla Procura di Palermo. I tempi per la soluzione di ogni problema? Si sa quando comincino… Il 2 luglio intanto Francesco Messineo dovrà presentarsi davanti all’apposita Commissione del CSM, assieme ad un suo legale di fiducia, per difendersi da tante accuse. Come se non bastasse, quella che riguarda la posizione del fratello e del cognato. C’è da valutare anche, il rapporto fra Francesco Messineo e Francesco Maiolini, ex direttore generale di Banca Nuova, indagato dalla Procura per reati bancari, e datore di lavoro del figlio di Messineo, dipendente dell’istituto di credito. I giochi di prestigio, se non di potere, gli equilibri fra i gruppi di pressione ed occulti incrociati al Sud, al Centro ed al Nord, in continua evoluzione? Nooooo! Gl’interessi dello…Stato, casomai. Domenico Salvatore
NINO LO GIUDICE INTESO ‘IL NANO’, LUPARA BIANCA, OMICIDIO OD ALLONTANAMENTO VOLONTARIO? LA “PATATA BOLLENTE” TORNA NELLE MANI DEL PROCURATORE CAPO DELLA REPUBBLICA
Domenico Salvatore
Quando un pentito ritratta, di solito “salta” il banco. Protagonisti ed antagonisti ‘ballano’ sulla corda come i pupi siciliani; se non, come i burattini di Mangiafoco. Un groviglio spaventoso…DNA, Procure di: Reggio Calabria, Napoli, Palermo, Roma, Perugia, Catanzaro. Tar, Consiglio di Stato, CSM, Corte di Cassazione, Presidenza della Repubblica e personaggi vari (non) in cerca d’autore, che di riffe o di raffe ruotano intorno. Per istituzionalità, casualità, coincidenza, caso, destino o sorte ecc… Piero Grasso, Giuseppe Pignatone, Francesco Messineo, Antonio Vincenzo Lombardo, Federico Cafiero De Raho, Alberto Cisterna, Roberto Pennisi, Nino Lo Giudice, inteso ‘Il Nano’ed i suoi fratelli Loris D’Ambrosio, Massimo Ciancimino, Antonio Ingroia, Nicolò Pollàri, Saverio Spadaro Tracuzzi, Bernardo Provenzano, Luigi Silipo. Il Tribunale di Reggio Calabria, poggiato sulla ‘faglia di Sant’Andrea’ continua a tremare dalle fondamenta. Una stagione dei veleni dietro l’altra. Ai cronisti di giudiziaria con qualche capello grigio, pancetta, tigna incipiente ed acciacchi pre-senili, sono noti gli scontri fra titani e giganti a palais de justice. Una corrente della magistratura contro l’altra; ma non chiamatela, cricca. Un giudice contro l’altro. C’eravamo tanto ‘a(r) mati’. Una Procura, che ribolle come il magma infocato nella Valle del Bove. Sebbene nel Distretto di Catanzaro, le diversità di opinione, se non i battibecchi, gli alterchi ed i dissidii, se non denunce e querele, perquisizioni anche hard e sequestri di faldoni, dossiers, fascicoli, fossero la regola.
Magistrati, a rivedere le carte non proprio perfetti. Non per questo, furono gettati dal monte Taigeto o dalla Rupe Tarpeia. Sebbene gli strali del CSM fossero impetosi, asettici ed impersonali. Non regnava certamente la “Pace di Vestfalia” ai tempi di Mariano Lombardi. A parte la diversità d’opinione mozzafiato fra Luigi De Magistris e lo scomparso Mariano Lombardi, che fece saltare sulla seggiola il plenum del CSI. Il ministro della giustizia Angelino Alfano chiese che sei magistrati di Salerno e Catanzaro, protagonisti di un aspro scontro sull'inchiesta “Why Not”, venissero trasferiti di sede e di funzione e che il capo della procura di Salerno, Luigi Apicella, venisse sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. Sequestri e contro sequestri, perquisizioni. Uno dei pm di Catanzaro, denunciò di essere stato denudato. Come dire, che se Messenia piange, Sparta non rida. Le beghe, i dissapori ed i contrasti, sono come le ciliegie:una tira l’altra. Il CSM, il TAR ed il Consiglio di Stato, se non gli stessi Presidenti della Repubblica, sono stati chiamati in causa, spesso e volentieri, per dirimere la vexata quaestio. Un tourbillon travolgente…La procura della Repubblica di Reggio Calabria, con tutti i suoi veleni passati e presenti, se non…futuri. Il grande procuratore f.f. Salvatore Boemi, vaso di coccio fra due di ferro. Stritolato fra carneade e il dottor Azzeccagarbugli.
Non solo a Reggio Calabria, ma soprattutto a Roma; sino all’ultimo. Poi ha mandato tutti a quel paese, presentando le sue irrevocabili dimissioni. E meno male che potesse farlo. Perché se no, nemmeno quelle gli avrebbero concesso. Anni ed anni, in messianica attesa di un procuratore. Senza voler alludere che la montagna avesse partorito il topolino. In attesa, che le “parti” si aggiustassero. In Italia, il potere politico, checché se ne dire, viene sempre al primo posto. In base alla…Costituzione. O meglio con il placet del CSM, del TAR e del Consiglio di Stato, la Corte Costituzionale, sempre e comunque chiamati in causa; se non delle segreterie nazionali della partitocrazia, i potentati economici, finanziarii, medici, militari, i servizi segreti… P2, P3, P4, P5 e P6, la massoneria, la mafia. Ma non chiamatelo trasversalismo, coordinato da faccendieri, trafficoni, affaristi, maneggioni, intrallazzatori buoni per tutte le stagioni. Se Boemi, a nostro parere, fosse stato più elegante e diplomatico, per non dire più arrendevole ed accomodante, certamente meno granitico di capitan Achab che sulla tolda del Pequod attende a piè di…legno, il passaggio di Moby Dick per arpionarlo, a quest’ora sarebbe procuratore della Repubblica a sua scelta fra Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Roma e Milano. Ma la sua dignità che sposta le montagne glielo ha impedito. I provvedimenti, sono stati duri, drastici, severi e rigorosi.
Chi è stato declassato; chi si è dovuto ritirare per…sopraggiunti limiti di età; chi è stato trasferito per…incompatibilità ambientale; chi ha fatto domanda di trasferimento e si è spostato Lari e Penati: chi è scappato di notte; e perfino chi…è stato promosso, promoveatur ut amoveatur; chi ‘parcheggiato’ da qualche parte in attesa che le acque tornassero ‘chete’; chi, costretto con le buone o con le cattive a dimettersi, chi è stato sospeso dalle funzioni e chi dallo stipendio e così via. Baruffe chiozzotte collegate agl’interessi di bottega, scuderia, fazione, casato e campanile. Ultimamente, si era mossa pure l’Associazione Nazionale Magistrati; alla quale, è iscritta la quasi totalità dei magistrati italiani in servizio (8284 sul totale di 8886). Il presidente del tempo, 39 anni, il più giovane della storia, Luca Palamara, goleador della squadra nazionale dei magistrati, aveva tentato di metterci il naso, ma poco dopo venne ‘accantonato’, per…fine mandato. L'Anm, lanciò un vivo allarme per il clima insostenibile, per i quotidiani attacchi nei confronti della magistratura.”Abbiamo reagito con dignità e risolutezza, senza timore, soprattutto quando si è messo in discussione, non il merito dei provvedimenti, ma l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. Noi diciamo che la delegittimazione della magistratura mette in pericolo la democrazia.”.
Dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che aveva confuso Palamara con ‘Palmera’, era stato chiamato “Faccia di tonno”. Il pentito, si è pentito di essersi pentito? Prima di far perdere le sue tracce, ha ritrattato le accuse contro l'ex viceprocuratore nazionale antimafia, Alberto Cisterna, sostenendo di essere stato minacciato quando, all'inizio della sua collaborazione, affermò che tra Cisterna e suo fratello Luciano “non c'erano affari illeciti, ma rapporti normali”. La “patata bollente” ritorna nelle mani del procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, dirigente anche della DDA, Antonio Vincenzo Lombardo? Su questi due fragorosi ed insidiosi interrogativi, s’innesta il rombo di tuono della cascate del Niagara, sotto il Ponte dell’Arcobaleno. Il collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, padrino del clan omonimo, dopo la scomparsa per omicidio del padre, Giuseppe Lo Giudice, capobastone della 'ndrina, ucciso in una faida il 14 giugno 1990 ad Acilia (Roma), dove abitava in regime di soggiorno obbligato. Nino Lo Giudice, intanto è sparito dal 3 giugno 2013, senza lasciare traccia; assieme al computer, il telefonino e la chiavetta usb. E anche qualche capo di vestiario.
La conferma, proviene dal procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho incontrando i giornalisti al termine di un vertice in Procura, al quale hanno partecipato gli aggiunti: Nicola Gratteri, Michele Prestipino e Ottavio Sferlazza e i due sostituti Antonio De Bernardo e Giuseppe Lombardo. La compagna non lo ha trovato nella località protetta in cui il pentito si trova agli arresti domiciliari e ha dato l’allarme. Quando si eclissa un pentito, scatta l’allarme rosso. Figurarsi, se il personaggio si chiami Nino Lo Giudice. Apriti cielo! Non tanto e solo perché sia un pentito di ‘ndrangheta e per giunta nella capitale della ‘Piovra’ calabrese; quanto, perché di riffe o di raffe se non di rimbalzo, sponda e carambola, ci siano di mezzo, in una sorta di catena di Sant’Antonio…Giorgio Napolitano, Alberto Cisterna, Giuseppe Pignatone, Piero Grasso, Renato Cortese, Michele Giarritta Prestipino, Loris D’Ambrosio, Massimo Ciancimino, Antonio Ingroia, Nicolò Pollàri, Roberto Pennisi, Saverio Spadaro Tracuzzi, Pasquale Condello, Giuseppe Morabito, Bernardo Provenzano, Luigi Silipo, Federico Cafiero De Raho. Antonino Lo Giudice, non ha potuto deporre, il 6 giugno, collegato in videoconferenza, al processo Archi-Astrea e il presidente del collegio Giuseppe Campagna in udienza, iniziata in ritardo, ha parlato di “problemi tecnici” comunicati dal SCP in relazione alla traduzione del pentito al sito riservato.
Antonino Lo Giudice è il boss dell’omonima cosca di Reggio Calabria che, dopo l’arresto, ha iniziato a collaborare con la giustizia; si è autoaccusato delle bombe esplose sotto l’ufficio della Procura generale di Reggio Calabria nel gennaio 2010 e sotto l’abitazione del pg Salvatore di Landro nell’agosto dello stesso anno, e del lanciarazzi fatto trovare a duecento metri dagli uffici giudiziari come segnale intimidatorio nei confronti dei magistrati reggini. Il mammasantissima della ‘ndrangheta pentito, Nino Lo Giudice si è autoaccusato delle bombe contro i magistrati reggini; compreso il procuratore generale Di Landro. Sostiene pure, di aver contribuito con le proprie dichiarazioni alla cattura del superboss Pasquale Condello, detto il supremo. La decisione di collaborare con la Giustizia, maturò mentre era detenuto nel carcere di Rebibbia. Davanti all’allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone riempì una serie infinita di verbali, che sottoscrisse. Preceduto in questo, dal fratello minore Maurizio, condannato per l’omicidio di un ristoratore reggino, Giuseppe Giardino, vittima di una rapina, finita nel sangue. Antonino e Maurizio Lo Giudice sono i pentiti, figli (dodici) del defunto boss del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria, Giuseppe. Piccoli ‘guappi’ forgiatisi durante l’infuriare della guerra di mafia scoppiata dopo l’assassinio del boss Paolo De Stefano, il 13 ottobre 1985.
Impelagati in una sanguinaria faida con la famiglia Rosmini. Per l’omicidio di Ernesto Rosmini, Lo Giudice e Rosmini, sotto l’alta garanzia del ‘Supremo’ Pasquale Condello, poi diventarono alleati. C’è pure Roberto Lo Giudice, sposato con la scomparsa Barbara Corvi Gli ultimi sviluppi del aprile 2012 vedono.La squadra mobile di Reggio Calabria, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti tra cui Maurizio Lo Giudice, fratello del boss Nino, anch’ egli pentito, ha arrestato i tre presunti responsabili dell’omicidio di Angela Costantino, madre di quattro figli; scomparsa, mentre si stava recando a trovare il marito detenuto nel carcere di Palmi; fu uccisa su ordine dei capi della cosca, perché avrebbe avuto una relazione extraconiugale; era moglie del pregiudicato Pietro Lo Giudice, 46 anni. Per quel delitto furono arrestati:Vincenzo Lo Giudice, 51 anni, fratello di Nino e considerato uno dei capi della cosca; il cognato Bruno Stilo (51) e il nipote Fortunato Pennestri’ (38). Due giorni dopo la scomparsa fu trovata a Villa San Giovanni (Reggio Calabria). Domanda, Nino Lo Giudice è vivo o è morto? In questa città, dove il Comune è stato sciolto per mafia ed il suo sindaco (Demetrio Arena) in attesa di entrare in Senato, parcheggiato alla Regione con la funzione di assessore,
sarebbero 200 i telefoni di magistrati, giornalisti (anche quello dello scrivente?) e imprenditori, sotto controllo preventivo.
In questa storia, di rimbalzo e carambola, c’entrano tanti personaggi, di cui, anche con l’aiutino di Wikipedia, diamo un cenno sommario…”Per l’ultimo saluto a Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, protagonista della cronaca nazionale per le intercettazioni telefoniche con l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia condotta dalla Procura di Palermo, morto giovedì pomeriggio del 26 luglio 2012, a causa di un’attacco cardiaco, erano giunti: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano accompagnato dalla moglie Clio; il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, il ministro della giustizia Paola Severino; dell’interno Annamaria Cancellieri; la sorella di Giovanni Falcone, Maria; il primo presidente della corte di Cassazione Ernesto Lupo, il vicepresidente del Csm Michele Vietti, l’ex presidente dell’ANM, Luca Palamara, Pier Ferdinando Casini Massimo D’Alema, Gaetano Quagliariello e Beppe Pisanu. Ed ecco Nicolò Pollari (Caltanissetta, 3 maggio 1943): è un generale italiano della Guardia di Finanza ed ex direttore del SISMI.Nominato sottotenente della GdF nel 1964. Ha conseguito le lauree in giurisprudenza, economia e commercio e scienze politiche, fonte Wikipedia.
Ha inoltre conseguito la specializzazione in Giustizia Amministrativa presso l'Università di Bologna e le lauree specialistiche in Scienze della Sicurezza Economico Finanziaria e in Scienze Internazionali e Diplomatiche.Nominato Generale della Guardia di Finanza, dall'aprile 1993 all'agosto 1997 è stato Capo di Stato Maggiore del Comando Generale della Guardia di Finanza. Il 15 ottobre 2001 è stato chiamato a dirigere il SISMI dall'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed investito di ampi poteri, trovandosi ad operare nel periodo immediatamente successivo ai fatti dell'11 settembre 2001. Nel 2002 chiamò Nicola Calipari come capo divisione del Sismi. Ha conservato la carica sino al 20 novembre 2006, quando è stato sostituito da Bruno Branciforte. Il 25 gennaio 2007 Pollari è stato nominato dal governo Consigliere di Stato a Palazzo Chigi (incarico ricoperto a partire dal 9 febbraio), con il "conferimento di un importante incarico speciale alle dirette dipendenze del presidente del Consiglio". Attualmente è membro della IIa sezione consultiva del consiglio di stato. È docente di Diritto Tributario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria, e presso la libera università mediterranea (LUM) Jean Monnet di Bari - Casamassima.
Processi in corso. Il rapimento di Abu Omar.Dal gennaio 2007 Pollari è sotto processo a Milano (insieme ad altre 34 persone) per il rapimento dell'imam egiziano Abu Omar (extraordinary rendition), operazione organizzata dalla CIA ed eseguita a Milano il 17 febbraio 2003 con la presunta collaborazione del SISMI. È stato il primo caso di processo aperto sulle extraordinary rendition. Il 16 febbraio Pollari, Marco Mancini (allora capo del controspionaggio) e 26 agenti della CIA (tra cui Robert Seldon Lady, l'ex capocentro della CIA a Milano, e Jeff Castelli, responsabile del servizio segreto americano in Italia, oltre a ad una decina di funzionari del SISMI) sono stati rinviati a giudizio per concorso in sequestro di persona riguardo al rapimento di Abu Omar.Nel frattempo, la Corte costituzionale è stata chiamata in causa dal Governo Prodi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, perché si ritiene che l'attività dei pubblici ministeri e lo stesso rinvio a giudizio abbiano violato la legge sul segreto di stato, avendo attinto a materiale classificato che comprenderebbe anche i nominativi di vari dipendenti del SISMI.
Il processo ha avuto inizio l'8 giugno 2007 a Milano. Processo di primo grado. Iniziato praticamente con l'udienza del 22 ottobre 2008, presso la IV sezione penale del Tribunale di Milano, giudice Oscar Magi, si giunge alla requisitoria il 30 settembre 2009, al termine della quale il pubblico ministero Armando Spataro chiede 13 anni per l'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari. Pene varianti dai 13 ai 10 anni per gli altri imputati (tra cui l'ex capo del controspionaggio militare italiano, Marco Mancini e 26 agenti della Cia coinvolti nel rapimento) e tre richieste di proscioglimento per tre funzionari minori del Sismi.Il 4 novembre 2009 si giunge alla sentenza di primo grado, che delibera il non luogo a procedere per Mancini e Pollari, mentre condanna a 8 anni Robert Seldon Lady, a 3 anni Pio Pompa e Luciano Seno, entrambi funzionari del Sismi e mediamente a 5 anni gli altri agenti CIA.Processo d'appello. Il 28 ottobre 2010 il sostituto procuratore generale di Milano Piero De Petris ha chiesto, per Pollari, la condanna a 12 anni di reclusione[4]. Il 15 Dicembre 2010 La Corte d'Appello di Milano dichiara il non luogo a procedere per Pollari e Mancini, ex vertici del Sismi, per via del Segreto di Stato,condannando invece gli agenti americani della Cia per pene dai sette ai nove anni e Pio Pompa e Luciano Seno pena di 2 anni e otto mesi.
Il 19 Settembre 2012 la Suprema Corte Italiana annulla con rinvio la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dai giudici d'appello nei confronti di Nicolò Pollari e Marco Mancini disponendo quindi un nuovo giudizio di secondo grado per gli ex vertici del Sismi al fine di rivalutare le prove non coperte da segreto di stato, condanna invece definitivamente gli agenti americani Cia, Pio Pompa e Luciano Seno tutti per il reato di Sequestro di persona. Il 12 febbraio 2013 la Corte d'Appello condanna Pollari a 10 anni e Mancini a 9 anni di reclusione.La vicenda dell'Archivio segreto del SismiDal giugno 2007 Pollari e l'ex funzionario del SISMI Pio Pompa sono indagati dalla procura di Roma con l'accusa di peculato e possesso abusivo di informazioni riservate. La vicenda è relativa alla presunta attività di dossieraggio illecito ed organizzazione di campagne di discredito a mezzo stampa effettuata con il coordinamento da Pompa contro presunti nemici del governo Berlusconi (numerosi esponenti del centrosinistra, magistrati italiani e stranieri, giornalisti). Per tale accusa è stato prosciolto in data 01 febbraio 2013. Altro personaggio di primo piano, Roberto Pennisi. Se la memoria non c’inganni, negli Anni Ottanta e Novanta è stato uno dei magistrati di punta della magistratura reggina. Anche a Palmi, dove ha condotto dure battaglie contro la ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro…Piromalli-Molè, Pesce-Bellocco-Ascone.-Pisano, Mancuso ecc. A Reggio, è ricordato come il Pm che, nel 1992, fece scoppiare la "tangentopoli" reggina. Quella di ‘Titti’ Licandro e della fioriere; un intreccio perverso tra criminalità, politica ed economia. Come passa il vento… e gli anni…Federico Cafiero De Raho, Otavio Sferlazza f.f., Giuseppe Pignatone, Salvatore Boemi f.f., Francesco Scudieri f.f., Antonino Catanese, Giuliano Gaeta, Carlo Bellinvia, Sebastiano Surace…
Lo Giudice sono una 'ndrina, attiva nel Rione Santa Caterina di Reggio Calabria.Nella Seconda guerra di 'Ndrangheta i Lo Giudice si schierarono con gli Imerti-Condello-Serraino-Rosmini. Giuseppe Lo Giudice, capobastone della 'ndrina, ucciso in una faida il 14 giugno 1990 ad Acilia (Roma), dove abitava in regime di soggiorno obbligato. Antonino Lo Giudice (1969), detto Nino il nano, grado raggiunto (dote) Mammasantissima, arrestato nel 2010 e ora pentito. Il 15 ottobre 2010 Antonino Lo Giudice diventa pentito e confessa di essere il mandante degli attentati dinamitardi ai giudici, dopo che già 4 testimoni lo additavano come tale, nei confronti di Salvatore Di Landro e Giuseppe Pignatone e della Procura di Reggio Calabria avvenuti nel 2010.Luciano Lo Giudice, di 37 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria e detenuto presso la Casa Circondariale di Lanciano; Luciano Lo Giudice, con la dote della Santa, gestiva l'armeria della 'ndrina, costituita da armi anche da guerra, con l'aiuto dei fratelli Antonio Cortese, Pasquale Cortese e Paolo Sesto Cortese, dell’armeria “Top Gun” di Consolato Romolo, di Fortunato Pennestrì, dell’armeria “Caminiti”,
e di Demetrio Giuseppe Gangemi. Giuseppe Lo Giudice, di 23 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria; arrestato per illecita detenzione di armi e munizioni, e in concorso con Salvatore Pennestrì e Giuseppe Perricone, avere tentato di commettere una rapina. Antonio Cortese, di 49 anni (nel 2011), nato a Bova Marina (RC) e attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Voghera (PV); Pasquale Cortese, di 58 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria; Paolo Sesto Cortese, di 46 anni (nel 2011), nato a Melito Porto Salvo; Salvatore Pennestrì, di 21 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria; grado raggiunto sgarrista, ramo estorsioni e usura. Accusato di detenzione illecita di armi per aver assicurato contatti. Giuseppe Perricone, di 23 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria;Vincenza Mogavero, di 35 anni (nel 2011), nata a Scilla e residente a Reggio Calabria; prestanome nell'intestazione di immobili e di attività commerciali, dei negozi “Norfish”, “Smile” e “Peccati di gola”. Madalina Cristina Turcanu, di 25 anni (nel 2011), nata a Barlaad, (Romania) e residente a Reggio Calabria ma abitante a Barcellona (Spagna); imputata di concorso esterno in associazione mafiosa per avere assicurato contatti fra detenuti ed altri in libertà e per avere custodito, nascondendole, armi della consorteria, dietro compenso in denaro. Giuseppe Reliquato, di 40 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria, grado raggiungo (dote) Vangelo, accusato di associazione mafiosa. Bruno Stilo, di 49 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria,
con la dote della Santa, accusato di associazione mafiosa. Fortunato Pennestrì, di 36 anni (nel 2011), nato a Reggio Calabria, accusato di associazione mafiosa. Gli strali del ‘Nano”, contro una “cricca di magistrati” che lo avrebbero indotto a rivelare cose di cui non era, né poteva essere a conoscenza. Anche contro l’ex Procuratore capo della Dda reggina, oggi alla guida della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto, Michele Prestipino e il sostituto Beatrice Ronchi, da tempo trasferita a Bologna, ma applicata a Reggio proprio per il processo alla cosca Lo Giudice. Affermazioni pesantissime e ancora tutte da verificare, anche quelle contro il procuratore aggiunto della Dna, Gianfranco Donadio, che gettano un’ombra anche sulla Direzione Nazionale Antimafia. Dal 2008 sostituto procuratore della Dna, Gianfranco Donadio è membro della Commissione pentiti: Ma la Procura di Palermo, cosa c’azzecca in tutto questo
Nei giorni scorsi abbiamo ospitato un articolo di Nerina Gatti…“A dicembre del 2012 i legali di Cisterna chiesero alla procura di Reggio Calabria di sentire Pennisi in merito alle informazioni acquisite da Silipo. Ma la procura non lo fece mai.
Ecco parte della richiesta di audizione.
Vorrà il Pubblico Ministero procedere all’escussione del dr. Roberto Pennisi, magistrato in servizio presso la Direzione nazionale antimafia, al fine di conseguire da costui la narrazione di quanto spontaneamente riferitogli dal dr. Luigi Silipo a proposito dell’attività di indagine svolta a carico del dr. Cisterna. Il dr. Cisterna non solo non ha alcuna consapevolezza di un’asserita innocenza del funzionario di polizia, ma anzi ritiene di avere – anche in virtù del racconto di quel colloquio del dr. Pennisi – conseguito la piena certezza circa la colpevolezza del dr. Silipo in ordine ai fatti riferiti. L’escussione del dr. Pennisi è, quindi, elemento imprescindibile per la ricostruzione della vicenda in questione.
OMISSIS
IN CONCLUSIONE
Non v’è atto, accertamento o il più superfluo dei commenti provenienti da quel funzionario che sia risolto in favore del dr. Cisterna e, guarda caso, nessuna delle asserite «sviste» è stata mai favorevole all’indagato; a dispetto di qualunque legge statistica e probabilistica. Immaginare che un funzionario così gratificato dall’Amministrazione per la sua professionalità possa aver errato tante volte sarebbe una grave offesa all’intelligenza e all’esperienza di ciascuno e ben lo intenderanno le SS.LL. non appena avranno assunto le dichiarazioni del consigliere Pennisi. Quindi, ogni altra diversa “lettura” dei fatti attribuiti al dr.Silipo nell’imputazione provvisoria come meri “errori”, non può prescindere dall’insieme delle vicende sin qui ricostruite le quali escludono una conduzione ordinata e legittima delle investigazioni.
Roma, 11 dicembre 2012
Nerina Gatti
Giorgio Napolitano (Napoli, 29 giugno 1925) è un politico italiano, dodicesimo Presidente della Repubblica Italiana, in carica dal 15 maggio 2006, rieletto per un secondo settennato consecutivo, caso unico nella storia repubblicana.In precedenza era stato presidente della Camera dei deputati nell'XI Legislatura (subentrando nel 1992 a Oscar Luigi Scalfaro, salito al Quirinale) e ministro dell'Interno nel Governo Prodi I, nonché deputato dal 1953 al 1996 e senatore a vita dal 2005 (nominato da Carlo Azeglio Ciampi) fino alla sua elezione alla prima carica della Repubblica. Il Presidente della Repubblica, reagisce alle ignobili provocazione con estrema chiarezza e durezza , anche con una lettera al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, nella quale definisce il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazionial Quirinale il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragii dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche.” I nomi: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione".
Bernardo Provenzano, detto Binnu u' Tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui falciava le vite dei suoi nemici), Zu Binu e il ragioniere (Corleone, 31 gennaio 1933, è un criminale italiano, membro di Cosa Nostra e considerato il capo dell'organizzazione a partire dal 1995 fino al suo arresto. Arrestato l'11 aprile 2006 in una masseria a Corleone, Provenzano era ricercato sin dal 10 settembre 1963, con una latitanza record di quarantatré anni. In precedenza era già stato condannato in contumacia a tre ergastoli ed aveva altri procedimenti penali in corso. Nel 1995, nel processo per l'omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo, Provenzano venne condannato in contumacia all'ergastolo insieme a Salvatore Riina, Michele Greco e Leoluca Bagarella; lo stesso anno, nel processo per gli omicidi dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, venne pure condannato in contumacia all'ergastolo insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Salvatore Riina, a cui seguì il processo per gli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Michele Reina, nel quale gli viene inflitto un'ulteriore ergastolo in contumacia insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. Sempre nel 1995, nel processo per l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano, e del professor Paolo Giaccone, Provenzano venne condannato all'ergastolo in contumacia insieme a Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Nenè Geraci e Francesco Spadaro.Nel 1997, nel processo per la strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, Provenzano venne condannato all'ergastolo in contumacia insieme ai boss Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Raffaele Ganci, Nenè Geraci, Benedetto Spera, Nitto Santapaola, Salvatore Montalto, Giuseppe Graviano e Matteo Motisi .
Lo stesso anno, nel processo per l'omicidio del giudice Cesare Terranova, Provenzano ricevette un altro ergastolo in contumacia insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Nenè Geraci, Francesco Madonia e Salvatore Riina.Nel 2000 Provenzano subì una ulteriore condanna in contumacia all'ergastolo insieme a Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Salvatore Riina per gli attentati dinamitardi del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Nel 2002 la Corte d'Assise di Caltanissetta condannò Provenzano in contumacia all'ergastolo per l'omicidio del giudice Rocco Chinnici insieme ai boss Salvatore Riina, Raffaele Ganci, Antonino Madonia, Salvatore Buscemi, Nenè Geraci, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Salvatore e Giuseppe Montalto, Stefano Ganci e Vincenzo Galatolo[50]. Nel 2009 Provenzano ricevette un altro ergastolo insieme a Salvatore Riina per la strage di viale Lazio.
Massimo Ciancimino (Palermo, 16 febbraio 1963) è un imprenditore italiano, testimone di giustizia attualmente indagato per calunnia, concorso in associazione mafiosa e concorso in riciclaggio di denaro.Figlio di Vito Ciancimino, è un testimone di giustizia con un ruolo chiave nel panorama delle indagini avviate da Sergio Lari, Francesco Messineo e Giuseppe Quattrocchi, rispettivamente capi delle Procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze che indagano sulla stagione stragista condotta da Cosa Nostra tra il 1992 e il 1993.È sposato con Carlotta Messerotti e ha un figlio, Vito Andrea, nato nel 2004. Nell'aprile 2010 esce il libro scritto insieme al giornalista Francesco La Licata, già autore di libri su mafia e politica. Il libro dal titolo Don Vito ha fatto molto discutere, suscitando anche le attenzioni delle Procure di Palermo e Caltanissetta che ne hanno acquisito copia nelle inchieste sulla presunta trattativa. Il mistero del papelloNel febbraio del 2005, mentre era a Parigi, i carabinieri perquisirono la sua casa sul lungomare dell'Addaura. In quell'occasione, a detta di Ciancimino, non furono trovati il famoso papello con le richieste di Totò Riina allo Stato al tempo delle stragi del ’92 e altri documenti del padre da lui conservati. L'ufficiale dei carabinieri che guidò l'operazione, il capitano Antonello Angeli, è indagato per favoreggiamento dalla Procura di Palermo. Secondo Ciancimino sul papello c’era un post-it giallo sul quale suo padre Vito aveva annotato di averlo consegnato personalmente al generale Mario Mori, oggi imputato di favoreggiamento e indagato per concorso in associazione mafiosa.
Mori ha sempre negato di averlo mai visto. Ciancimino, nel luglio del 2009, ha detto che il papello era conservato in una cassaforte. Nel verbale di perquisizione non si fa alcun riferimento ad una cassaforte, mentre nel 2009 altri investigatori spediti nella stessa casa l'hanno vista e fotografata. Angeli avrebbe chiamato il maresciallo Masi e gli avrebbe detto "di avere proceduto comunque a fare una fotocopia di detta documentazione, a mezzo di un suo fidato collaboratore, e di averli poi riposti nel luogo ove erano stati rinvenuti". Masi ha dichiarato ai pm che i militari avrebbero avuto l'ordine dal colonnello Sottili di lasciare il documento lì perché "si trattava di documenti già acquisiti". Nell'ottobre del 2009 inaspettatamente Ciancimino consegna ai pm di Palermo il papello contenente 40 documenti sulle richieste di Riina allo Stato e una lettera scritta dal padre dopo la Strage di via d'Amelio nella quale paragona la propria posizione a quella di Paolo Borsellino: entrambi vittime di traditori. Il 20 ottobre, l'ex colonnello dei ROS, Mario Mori, imputato per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra, ha dichiarato al tribunale di Palermo che non ci fu nessuna trattativa tra la mafia e lo Stato, e in una intervista successiva, Mori ha smentito di aver mai ricevuto dalle mani di Massimo Ciancimino o di altri il presunto "papello", preannunciando azioni legali in merito. Anche il capitano "Ultimo" ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sulla collaborazione tra Stato e mafia nella cattura di Provenzano, indicando nel figlio dell'ex sindaco di Palermo un "servo di Totò Riina.Minacce e intimidazioni.
Vive sotto scorta, lontano da Palermo, città natale, a causa di diverse minacce subite, tra le quali un rudimentale pacco bomba recapitato nella sua abitazione palermitana, da due finti uomini della Polizia di Stato. Nell'aprile 2010 è vittima di una intimidazione attraverso una busta contenente una lettera di minacce e cinque proiettili di kalashnikov, recapitata nella sua residenza di Bologna.Il 12 novembre 2010 è nuovamente vittima di una intimidazione: viene trovata una pistola nell'androne della sua abitazione in via Torrearsa a Palermo. Giuseppe Pignatone (Caltanissetta, 1949) è un magistrato italiano, procuratore della Repubblica di Roma dal 19 marzo 2012.Figlio di Francesco Pignatone Deputato della Democrazia Cristiana negli anni '50, entra in Magistratura nel 1974 e dopo una breve parentesi come Pretore a Caltanissetta nel 1977 viene trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo dove nel 2000 verrà nominato Procuratore aggiunto.Ha collaborato per tanto tempo con Piero Grasso, ex Procuratore capo di Palermo ( ed ex Procuratore nazionale antimafia), nella conduzione della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. A Palermo ha portato a termine numerose indagini contro Cosa Nostra facendo condannare vari capi e gregari della criminalità organizzata siciliana, in particolare negli anni '80 ha incriminato Vito Ciancimino ex sindaco di Palermo
poi condannato per Mafia, ha messo sotto indagine Totò Cuffaro ex Presidente della Regione Siciliana poi condannato definitivamente a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, ha anche coordinato le indagini che hanno portato all'arresto del superlatitante Bernardo Provenzano.Nel 2008 è stato nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura Procuratore capo di Reggio Calabria. Anche in Calabria continua la sua attività contro la criminalità organizzata assestando numerosi colpi alla 'Ndrangheta essendo anche a capo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.Per il suo impegno contro la 'Ndrangheta ha subito alcune intimidazioni e minacce, in particolare il 5 ottobre 2010 viene trovato, a seguito di telefonata anonima, un bazooka dinanzi la sede della Procura della Repubblica di Reggio C. indirizzato proprio a Giuseppe Pignatone A Reggio Calabria ha portato a termine numerose operazioni di polizia contro la 'ndrangheta tra le più importanti c'è sicuramente l'inchiesta il crimine coordinata da due procure (Reggio Calabria e Milano) che ha consentito di svelare il carattere unitario della 'ndrangheta con organismi di vertice (simili alla cupola di Cosa nostra) come la Provincia o il crimine e ha confermato ancora di più la forte presenza della criminalità organizzata calabrese al Nord Italia.
Nel 2012 è stato nominato dal CSM Procuratore capo di Roma con voto unanime.Il 4 ottobre seguente, su suo ordine, i carabinieri del NOE coordinati da Sergio De Caprio, meglio noto come Ultimo, e dal capitano Pietro Rajola Pescarini, hanno perquisito l'abitazione di Massimo Ciancimino a Palermo e di altri imprenditori e prestanome alla ricerca di carte, file e documenti sulla Ecorec utili alle indagini avviate dai pm Delia Cardia e Antonietta Picardi in riguardo al riciclaggio di denaro nella più grande discarica di rifiuti in Europa a Glina (Romania) del valore di circa 115 milioni di euro e che, secondo gli investigatori, è riconducibile proprio a Ciancimino e farebbe parte del tesoro accumulato dal padre Vito quando era sindaco di Palermo.Pietro Grasso, detto Piero (Licata, 1º gennaio 1945), è un magistrato e politico italiano, dal 16 marzo 2013 presidente del Senato della Repubblica. Nato a Licata, in provincia di Agrigento, nel 1945, si trasferisce a 18 mesi con la famiglia a Palermo. Inizia il proprio cursus honorum in magistratura il 5 novembre 1969 come pretore a Barrafranca. Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo dal 1972, intorno alla metà degli anni settanta si occupa di indagini sulla pubblica amministrazione e sulla criminalità organizzata.
Il 6 gennaio 1980 diviene titolare dell'inchiesta riguardante l'omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella[2]. Sposato con Maria dal 1970, ha un figlio, Maurilio, funzionario di Polizia. Il maxiprocesso.Nel 1984 ricopre l'incarico di giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra (10 febbraio 1986 - 10 dicembre 1987), con 475 imputati. Pietro Grasso, a fianco del presidente della corte Alfonso Giordano, è stato estensore della sentenza (oltre 8 000 pagine) che inflisse 19 ergastoli e oltre 2600 anni di reclusione. Conclusosi il maxiprocesso, nel febbraio del 1989 Grasso viene nominato consulente della Commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Gerardo Chiaromonte prima e da Luciano Violante poi. Nel 1991 viene nominato consigliere alla Direzione affari penali del Ministero di grazia e giustizia, il cui "guardasigilli" era Claudio Martelli, che chiamò anche Giovanni Falcone, e componente della Commissione centrale per i pentiti. Successivamente viene sostituto nell'incarico, per poi essere nominato procuratore aggiunto presso la Direzione nazionale antimafia (guidata da Pier Luigi Vigna), applicato nelle Procure di Palermo e Firenze dove ha seguito e coordinato le inchieste sulle stragi del 1992 e del 1993. Procuratore di Palermo.
A Palermo da Procuratore della Repubblica dall'agosto del 1999, sotto la sua direzione, dal 2000 al 2004, sono state arrestate 1.779 persone per reati di mafia e 13 latitanti, che erano inseriti tra i 30 più pericolosi. Nello stesso arco di tempo la procura del capoluogo siciliano ha ottenuto 380 ergastoli e centinaia di condanne circa per un totale di migliaia di anni di carcere.Capo della Direzione nazionale antimafia. L'11 ottobre 2005 è stato nominato procuratore nazionale antimafia, subentrando a Pier Luigi Vigna, che ha lasciato l'incarico nell'agosto 2005 per raggiunti limiti di età, mentre era ancora capo della Procura della Repubblica di Palermo. Il Csm (Consiglio superiore della magistratura) ha dato via libera alla sua nomina con 18 voti a favore e cinque astensioni. La sua nomina fu al centro di aspre polemiche nel mondo giudiziario e politico, poiché era molto probabile la nomina del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo Gian Carlo Caselli. Tuttavia, il Governo Berlusconi III, nella figura del senatore Luigi Bobbio (del partito Alleanza Nazionale), presentò un emendamento alla legge delega di riforma dell'ordinamento giudiziario (la cosiddetta "Riforma Castelli"). Secondo quanto dettato dall'emendamento, Caselli non poté più essere nominato procuratore nazionale antimafia per superamento del limite di età. La Corte costituzionale, successivamente alla nomina di Pietro Grasso quale nuovo procuratore nazionale antimafia, dichiarò incostituzionale il provvedimento che aveva escluso il giudice Gian Carlo Caselli dal concorso.
L'11 aprile 2006 contribuisce con il suo lavoro, dopo anni d'indagine, alla cattura di Bernardo Provenzano nella masseria di Montagna dei cavalli a Corleone, latitante dal 9 maggio 1963.Il 18 settembre 2006 la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, con il contributo della Procura Nazionale diretta dal procuratore nazionale Grasso, conclude un'indagine durata due anni riguardante l'azione di alcune cosche mafiose di Vibo Valentia, che avevano messo le mani sui villaggi turistici della costa. Le cosche in questione sono La Rosa di Tropea e quella dei Mancuso di Limbadi, che ricavavano ingenti guadagni dal controllo degli appalti per la costruzione e la fornitura dei villaggi vacanze nella zona di Catanzaro. L'operazione Odissea si conclude con 41 procedimenti di custodia cautelare. Alla scadenza naturale del primo mandato alla DNA è stato riconfermato dal Consiglio Superiore della Magistratura per un secondo mandato, stavolta senza alcuna polemica ed all'unanimità. A partire dal settembre 2012 per Rai Storia in 12 puntate Pietro Grasso conduce Lezioni di Mafia: un progetto di educazione alla legalità, dedicato alle generazioni più giovani per spiegare tutti i segreti di Cosa Nostra. Il programma si ispira alle lezioni di mafia ideate nel 1992 dal direttore del TG2 Alberto La Volpe assieme a Giovanni Falcone, una delle ultime iniziative del magistrato palermitano stroncata dall'attentato di Capaci.
A vent’anni di distanza, sollecitato in riguardo, Grasso ha accettato di tornare a raccontare ai giovani il fenomeno mafioso. Lezioni di Mafia scava dentro il sistema mafioso e ne restituisce una radiografia fatta di nomi, regole, storie, rete di complicità, intrecci, misteri, ambiguità. Nella prima puntata ha spiegato com'è formata la Cupola mafiosa.Senatore della Repubblica Italiana. Il 27 dicembre 2012 presenta al CSM la richiesta di aspettativa per motivi elettorali: il giorno successivo dichiara alla stampa che intende candidarsi nelle liste del Partito Democratico in vista delle Elezioni politiche italiane del 2013. L'8 gennaio 2013 la direzione nazionale del PD candida Pietro Grasso al Senato della Repubblica Italiana come capolista della lista PD nella regione Lazio, dove risulta poi eletto.A marzo, in seguito alle elezioni, insieme a molti altri colleghi del Parlamento, aderisce al progetto "Riparte il futuro" firmando la petizione che ha lo scopo di revisionare la legge anti-corruzione modificando la norma sullo scambio elettorale politico-mafioso (416 ter) entro i primi cento giorni di attività parlamentare. Il primo giorno di insediamento nelle aule di Palazzo Madama presenta questo disegno di legge.
Aveva fatto clamore l’arresto del capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi, già in servizio al Centro Dia di Reggio Calabria. Con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. L'accusa nei suoi confronti, è di essere stato colluso con la cosca Lo Giudice della 'ndrangheta, fornendo notizie coperte da segreto investigativo. Arrestato, dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria. Era stato trasferito nella Seconda Brigata Mobile di Livorno, città in cui era stato arrestato. Aveva ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Reggio Calabria. Accusato dal capo della cosca Lo Giudice della 'ndrangheta, Nino Lo Giudice, che da alcuni mesi si è pentito e collabora con la Dda di Reggio Calabria. Sentito per due giorni nel carcere di Rebibbia dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e dal procuratore aggiunto Michele Prestipino. Pur senza farne formalmente parte, aveva contribuito al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell'associazione mafiosa denominata 'ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria e sul territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali, articolate in tre mandamenti e con organo di vertice denominato "Provincia" e, in particolare, della cosca Lo Giudice, capeggiata da Antonino Lo Giudice, 41 anni". Aveva fatto riferimento anche il pentito Consolato Villani
Il direttore di” Calabria Ora”, Pietro Sansonetti, rispondendo alle domande di www.tempi.it . sul caso del giudice Alberto Cisterna, accusato ingiustamente, aveva detto…: ”Cisterna è stato affondato, poco più di un anno fa, da un avviso di garanzia. Il tutto per la deposizione di un pentito considerato assai poco attendibile da chiunque conosca un po’ la ‘ndrangheta. L’avviso di garanzia ha provocato l’intervento del Csm, che in primavera ha deciso di rimuoverlo dal suo prestigioso incarico di numero 2 dell’antimafia nazionale per spedirlo a fare il giudice in una piazza più modesta, come Tivoli. Una punizione severa, anche se non era stata provata ancora alcuna colpa. Adesso la procura di Reggio ha chiesto l’archiviazione. È come se avesse detto candidamente: “Scusate tanto, le indagini non hanno trovato nulla contro di lui”. Qual è il risultato di un anno di fango e sospetti? Sul piano giudiziario nessuno, su quello personale la carriera di Cisterna è stata rovinata.
Quali sono gli insegnamenti di questa vicenda per la nostra giustizia?
Credo siano due. Il primo è che la magistratura, una fetta almeno di essa, usa il suo enorme potere talvolta male e per lotte interne. Per capirlo basta guardare il contesto in cui avviene la vicenda di Cisterna. È tutto lampante, non lo dico io.
Cioè?
Semplice: il procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, dopo 4 anni, stava per andarsene (in seguito è stato infatti nominato procuratore capo a Roma) e si poneva il problema della successione. Uno dei candidati era proprio Cisterna, magistrato di grande prestigio, all’epoca alla Direzione nazionale antimafia. Ma a Reggio Calabria ci sono due gruppi di magistrati in lotta tra loro, uno che faceva riferimento a Pignatone, l’altro contrapposto che si riferiva a Cisterna. Lo scontro era anzitutto “di potere”, prima che di idee. C’era sicuramente anche una differenza di concezione della ‘ndrangheta (Pignatone la vedeva molto verticistica, Cisterna la vedeva come organizzazione orizzontale), ma non era tanto questo. La procura di Reggio sotto la gestione Pignatone ha ottenuto risultati molto importanti nella lotta alla ‘ndrangheta, eseguendo numerosi arresti, ma questo non esclude che si possa avanzare una critica, che sotto la sua gestione le lotte di potere sono state spregiudicate. Una parte della procura voleva evitare la nomina di Cisterna, considerato troppo vicino alla cordata opposta: questa lotta di potere si è spinta fino a convincere i magistrati anti-Cisterna a considerare attendibile la testimonianza di un pentito minore, come Nino Lo Giudice, detto “Il nano”. Si è intrecciata una campagna giornalistica ed è stata confermata la tesi che, quando giudici e giornalisti fanno squadra, il diritto se ne va a quel paese. La magistratura è un istituzione che ha tanto potere, ed è inevitabile che si creino gruppi di potere, e non sempre la differenza è sulle idee. Come si può intervenire su questo elemento? L’unica via è ridimensionare il potere della magistratura. L’altro insegnamento che va tratto dalla vicenda Cisterna è sulla legge sui pentiti.
Perché?
La legge sui pentiti, secondo me, oggi non serve a niente. Servì ai tempi di Falcone, ma introduce una tacca nel diritto. Perché chi si pente non paga? Non possiamo sospettare che qualcuno abbia avuto un nome dando in cambio la garanzia dell’impunità? Nel caso dei pentiti la legge è addirittura usata dai pentiti stessi meglio che dai magistrati. Nel caso Cisterna questo è evidente. C’è un pentito, Lo Giudice, che non aveva alcun peso nell’organizzazione criminale, era un “cocomerario”. Lo Giudice ha accusato un esponente politico e Cisterna: sono state prese per buone solo le sue dichiarazioni su Cisterna. E oggi viene fuori che sul politico le indagini avrebbero dovute essere approfondite, mentre su Cisterna non c’era assolutamente nulla, a parte le parole del pentito. Eppure su questa base è stata fatta una campagna stampa. Cisterna in primavera è stato “riservatamente” convocato da Pignatone a Roma per essere interrogato. Tanto riservatamente che, mentre era in volo sull’areo, ha letto la notizia della convocazione sul Corriere. A mio avviso, la legge dei pentiti va riformata, o meglio abolita perché la mafia sa usare lo strumento legislativo meglio dei giudici. Ma succede anche che qualche magistrato, anche senza pensare chissà a quale macchinazione, ma in buona fede, si convinca di una tesi investigativa e non avendo le prove, trovi il pentito pronto a parlare”. Cisterna indagato per corruzione in atti giudiziari dopo le dichiarazioni fatte dal collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, che non è stato creduto, venne scagionato, se non discolpato, quando Barbara Bennato, gip di Reggio Calabria, il 26 novembre 2012, accolse la richiesta di archiviazione, avanzata dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Beatrice Ronchi.
Notizia, diffusa dal quotidiano on line’ Corriere della Calabria’ diretto da Paolo Pollichieni e confermata all'ANSA dal procuratore f.f. di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza. L’archiviazione del caso, non sta bene a Cisterna che chiede la revoca del provvedimento ed il rinvio a giudizio. Cisterna, intanto, ha fatto ricorso al Tar per essere nominato Procuratore Capo della Repubblica di Ancona. Battaglia vinta dell'ex sostituto procuratore della Dna. Cisterna, ha avuto la meglio sull'ex pm di Bologna Elisabetta Melotti. Il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso proposto dagli avv. Lirosi e Clarizia, ha confermando gli effetti di una sua precedente sentenza (ribadita dal Consiglio di Stato), dichiarando la nullita' del conferimento dell'incarico alla Melotti.Il Csm entro 60 giorni dovra' affidare l'incarico a Cisterna, il cui nome è stato infangato e la carriera distrutta, sulla base di dichiarazioni che non hanno mai avuto riscontro.
Pasquale Condello, detto U Supremu (Reggio Calabria, 24 settembre 1950), è un criminale italiano appartenente all'organizzazione denominata 'ndrangheta.U Supremu, chiamato così anche dai suoi rivali a causa dell'infallibilità delle sue sentenze che, all'interno dell'organizzazione malavitosa, erano considerate legge o anche "primula rossa", è il capobastone dell'omonima famiglia, latitante dal 1990 al 18 febbraio 2008, considerato uno dei numero uno della 'ndrangheta dopo l'arresto di Giuseppe Morabito.Non sono Provenzano, sono io »(Pasquale Condello)La sua carriera criminale inizia col matrimonio di Pasquale, che scelse come compari Paolo "don Paolino" De Stefano e Giovanni Fontana. De Stefano, caduto in un agguato, eclatante risposta all'autobomba contro Nino Imerti, vide però Condello allearsi con gli Imerti, i Rosmini, Serraino, Lo Giudice, i Fontana e i Saraceno, sciogliendo così il loro legame. L'accordo con gli Imerti venne sancito dal matrimonio di Antonio Imerti con una cugina di Condello.Il luogo dell'arresto.Iniziò così una delle prime due guerre di mafia che vedeva i due schieramenti contrapposti. Alla morte di Paolo De Stefano viene quindi collegata l'ascesa del capo dei "condelliani". Condello è ritenuto il mandante dell'assassinio di Lodovico Ligato, ex presidente delle Ferrovie dello Stato, morto in un agguato la notte del 27 agosto 1989.
Dopo l'arresto di Giuseppe Morabito detto "U tiradrittu" viene considerato capo indiscusso della 'ndrangheta. I suoi affari spaziavano dalle tangenti alle estorsioni, dagli appalti al controllo di numerose attività economiche anche fuori dalla Calabria e all'estero. Inseguito da vari provvedimenti restrittivi e condanne all'ergastolo, Pasquale Condello è stato latitante dal 28 novembre 1990, finché non è stato arrestato la sera del 18 febbraio 2008, in un blitz in cui sono intervenuti circa 100 carabinieri del ROS e dei cacciatori del Gruppo Operativo Calabria. Condello è stato condannato a 4 ergastoli e 22 anni di reclusione, e dal 1993 era ricercato in campo internazionale. L'operazione ha avuto luogo intorno alle ore 20.00 a Occhio di Pellaro, ed ha portato al fermo di Condello, del genero Giovanni Barillà e del nipote Giandomenico Condello, oltre ad un'altra persona. Ora è detenuto al carcere di Spoleto.
Il primo dirigente della Polizia di Stato, Luigi Silipo, oggi capo della Squadra Mobile di Torino ma dal lungo e prestigioso passato in Questura a Reggio nelle vesti di vice capo della Squadra Mobile e di dirigente del commissariato di Siderno. confessò al magistrato Roberto Pennisi di esser stato “costretto” a fare quelle nebulose indagini su Cisterna che non hanno mai avuto riscontri. I difensori di Cisterna già nel dicembre 2012, inoltrarono la richiesta che Pennisi venisse sentito dalla procura di Reggio Calabria, perché in possesso di questa inquietante informazione. Ma non ebbero alcuna risposta. E i due milioni che sarebbero stati offerti ad un delatore per la cattura di Bernardo Provenzano? Cisterna, aveva rilasciato dichiarazioni ai pp.mm. della Procura di Palermo che indagano sul famigerato intermediario, che il procuratore capo della Dna Piero Grasso definì inaffidabile. Tuttavia, il procuratore generale di Ancona, Vincenzo Macrì, all’epoca dei fatti magistrato in Dna, disse:”Un uomo che si presenta in Dna con notizie su Provenzano non lo fa per truffare, non gioca col fuoco. Perché in questi casi, chi sbaglia paga.”. Sullo sfondo del processo, relativo alla trattativa Stato-mafia
Arriva a San Vitale Renato Cortese, originario di Santa Severina (KR) il nuovo capo della Squadra Mobile di Roma che prende il posto di Vittorio Rizzi, che lascia dopo cinque anni; con un curriculum di tutto rispetto: è considerato l'esperto nella cattura dei latitanti…. Giovanni Brusca, Carlo Greco, Benedetto Graviano, Pietro Aglieri, Gaspare Spatuzza, Antonino Tinnirello. Suo, fu l'arresto di Bernardo Provenzano, allora fu il primo a entrare nel casolare di contrada'Montagna dei cavalli' nei pressi di Corleone, dove si trovava Bernardo Povenzano, latitante da oltre quarant’anni; cattura, che gli è valsa, insieme ad altri successi, una promozione a primo dirigente. A Reggio Calabria arriva il 15 giugno del 2007, due mesi prima della strage di Duisburg. Dopo due anni, l'arresto di Giovanni Strangio, considerato l'ideatore e uno degli autori della strage in Germania in cui vengono uccise sei persone. Tra i protagonisti di questa stagione anche il procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, Antonio Vincenzo Lombardo,. Una vita trascorsa a Reggio Calabria. Ma è stato anche procuratore capo della Repubblica di Palmi. Prima di approdare a Catanzaro. Un magistrato di lungo corso, noto per il suo carisma, esperienza, competenza e professionalità. Dovrà cavare la castagne dal fuoco, con la zampa di gatto. Ed ora tutti a chiedersi, se Nino Lo Giudice, inteso ‘ il Nano’, si sia nascosto da qualche parte per inconfessabili ragioni. Oppure si sia dato alla latitanza. Questa storia, ovviamente, non finisce qui.
A parte i processi in sospeso, c’è la caratura del personaggio, che sta polarizzando le prime pagine dei giornali cartacei, agenzie di stampa, radio, televisione e giornali on line. Nino Lo Giudice appartiene alla prima delle cinque categorie elencate dal capomafia don Mariano Arena, protagonista del “Giorno della civetta” di Leonardo Sciascia... gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. In attesa di un cenno, la mamma, la famiglia, i fratelli, i parenti, ma anche gli avversari di sempre. Quasi nessuno pensa all’omicidio. Tuttavia il leggendario Giulio Andreotti soleva dire che… A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca.” Ed ora quale scenario?Che cosa c’entra la procura della Repubblica di Palermo? Quali i nessi? Ed Aiello, Antonella, Borsellino? I giornali si stanno occupando in queste ore del caso Francesco Messineo, procuratore capo di Palermo, dal luglio del 2006, che rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale. Tra le accuse mosse, quella di essersi fatto influenzare dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, il ‘capo ombra’, uno degli allievi prediletti di Paolo Borsellino, che potrebbe lasciare addirittura la magistratura, per la politica. Ma non è stato eletto al Parlamento, nell’ultima competizione, dove era candidato premier. C’è chi parla e scrive di nuovi veleni alla Procura di Palermo. a prima commissione del Csm ha aperto la relativa procedura, contestandogli una gestione debole dell'ufficio e che non garantirebbe la necessaria indipendenza;oltre alla mancanza di circolazione delle informazioni all’interno dell’ufficio. C’è lo J’accuse del procuratore aggiunto Leonardo Agueci. Uno dei più critici, assieme a Teresa Principato. Per concludere c'è il capitolo del mammasantissima Messina Denaro.
L’arresto fallì, per mancato coordinamento. A giugno 2012, fu promosso il blitz contro il capo dei capi, successore di Bernardo Provenzano e Totò Riina. Scattò l'arresto di una ventina di mafiosi. Compreso Leo Sutera, indicato come il nuovo uomo forte della provincia agrigentina. Il suo arresto avrebbe mandato all'aria la pista, che avrebbe potuto portare i carabinieri del Ros al boss di Cosa Nostra. Sullo sfondo del la tormentata vicenda dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. Sembra di tornare indietro di una trentina d’anni, se non di più; alla fine degli anni ’80 quando le polemiche investivano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che si opponevano allo smantellamento del pool antimafia. … Giovanni Falcone e Piero Giammanco prima, Giancarlo Caselli e Piero Grasso successivamente. Palais de justice diventò il Palazzo dei veleni, per le lettere anonime, inquisizioni del Csm, fughe di notizie e perfino un processo, a carico del pm di punta, Alberto Di Pisa, passato alla storia come “Il corvo” . Ad inizio del Terzo Millennio le baruffe chiozzotte, ebbero un seguito con altri scontri fra Caselliani (Massimo Russo, Antonio Ingroia, l’attuale procuratore generale a Caltanissetta Roberto Scarpinato) e Grassiani (Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino). Ma i giudici a Palermo…Francesco Messineo, Piero Grasso, Giancarlo Caselli, Pietro Giammanco, Salvatore Curti Giardina, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Pietro Scaglione, Cesare Terranova…non ebbero mai vita facile…
Dopo la strage di via D'Amelio, il 19 luglio 1992, otto sostituti procuratori si rivoltano contro il procuratore capo Giammanco, al quale viene addebitata la responsabilità di avere progressivamente isolato Giovanni Falcone, inducendolo ad andare via dalla Procura di Palermo. I tempi per la soluzione di ogni problema? Si sa quando comincino… Il 2 luglio intanto Francesco Messineo dovrà presentarsi davanti all’apposita Commissione del CSM, assieme ad un suo legale di fiducia, per difendersi da tante accuse. Come se non bastasse, quella che riguarda la posizione del fratello e del cognato. C’è da valutare anche, il rapporto fra Francesco Messineo e Francesco Maiolini, ex direttore generale di Banca Nuova, indagato dalla Procura per reati bancari, e datore di lavoro del figlio di Messineo, dipendente dell’istituto di credito. I giochi di prestigio, se non di potere, gli equilibri fra i gruppi di pressione ed occulti incrociati al Sud, al Centro ed al Nord, in continua evoluzione? Nooooo! Gl’interessi dello…Stato, casomai. Domenico Salvatore

















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