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| L'ex magistrato Pietro D'Amico. |
ROMA, 15 Aprile 2013 - L'ennesimo caso di «morte all'estero sollecita l'urgenza di una normativa adeguata sul fine-vita». Lo afferma la Consulta di bioetica, dopo la notizia del suicidio assistito in Svizzera dell'ex magistrato Pietro D'Amico.
«Quello di D'Amico - sottolinea in una nota il presidente della Consulta, Maurizio Mori - è solo l'ultimo dei casi, sempre più numerosi, di persone che si recano all'estero per cercare un modo accettabile e umano di morire, quasi costrette dal buco normativo italiano in materia.
Al proposito non possiamo dimenticare Mario Monicelli e Lucio Magri che sono tra i più noti esponenti di un gruppo probabilmente molto più ampio, composto forse da anonimi cittadini i quali, non trovando in Italia la possibilità di uscire in modo dignitoso dalla propria vita, si affidano ai mezzi più diversi affrontando morti terribili.
D'Amico e Magri hanno potuto avvalersi degli ausili offerti da paesi più civili, come la Svizzera». La Consulta di Bioetica auspica dunque che questi casi diventino per il legislatore «materia di una seria riflessione in vista della formulazione di leggi appropriate a garantire a tutti i cittadini, senza discriminazioni economiche, il diritto di determinare autonomamente le proprie scelte in materia di come porre fine alla propria vita».
La Consulta afferma inoltre che «non solo le situazioni di conclamata patologia organica (come nel caso di Monicelli), ma anche quelle di 'disagio esistenzialè insolvibile e insopportabile devono essere prese in seria considerazione, al fine di evitare i disastri di cui siamo informati dalle cronache».

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