Ricordare
Camaldoli: 70 anni fa
Le
radici
In un
fondamentale articolo dal titolo intrigante, “Dal Codice di Camaldoli alla
Costituzione” (“Aggiornamenti Sociali”, maggio 2006) Giorgio
Campanini ci racconta che presso la Fondazione Giorgio La Pira esiste ancora una
copia del libro di Jacques Maritain , “Humanisme intégral”, nella sua
prima edizione in lingua francese. Il libro è un dono di Giovanni Battista
Montini, già assistente della FUCI, ed ora dell’associazione dei Laureati
Cattolici, al giovane professore di diritto romano Giorgio La Pira. Mi piace
pensare alla emozione con cui il bravo sacerdote bresciano, praticante alla
Segreteria di Stato, porta in dono a Giorgio La Pira questo libro, così
importante nella formazione del pensiero cattolico fra le due
guerre.
A Brescia una
casa editrice cattolica, la Morcelliana, è animata da personaggi come
Padre Giulio Bevilacqua, Mario Bendiscioli, Don Primo Mazzolari. Quando Montini,
diventato papa farà Cardinale Padre Bevilacqua, volendosi quasi giustificare,
dirà: “E’ un nepotismo rovesciato, perché non è lo zio che incorona il
nipote, ma il nipote che incorona lo zio”.
La
Morcelliana portava in Italia i testi cattolici di una profonda
opposizione al nazismo, i libri di Romano Guardini, di George Bernanos (come “I
grandi cimiteri sotto la luna” del 1938 con la sua dura condanna del
franchismo), gli scritti del giovane Emmanuel Mounier e la sua importante
rivista Esprit. Ma primo fra tutti Jacques Maritain col suo “Primato
della spiritualità” prima ed infine col suo “Umanesimo
integrale”.Erano i tempi in cui la cultura politica cattolica parlava
francese
Il libro era
una novità assoluta: in pratica il massimo contributo della cultura della
crisi alla comprensione della grande tragedia dell’ Europa sommersa dai
totalitarismi. Per di più propone un nuovo concetto nel rapporto tra fede e
politica: “la nuova cristianità”. La cristianità è, secondo Maritain, una
realtà storica terrena, diversa dalla Chiesa e dal suo significato metastorico,
dove si tenta di realizzare in maniera laica una società in cui si riflettano
alcuni valori cristiani adatti ai tempi. E’ l’uscita dal concetto di “stato
cristiano”, senza rinunciare a portare il proprio contributo nella
costruzione della storia. E’ la premessa di ogni pensiero democratico
cristiano.
Nella Fuci
andavano formandosi quelli che sarebbero stati i futuri leader
politici (come Guido Gonella e Giorgio La Pira, Giulio Pastore e
Giuseppe Dossetti, Aldo Moro e Giulio
Andreotti).
Presidente
della Fuci è un giovane romagnolo, Igino Righetti. In vista del temuto
scioglimento della Associazione, che puntualmente si verificò nel 1931, Montini
e Righetti danno vita alla casa editrice Studium , che sarà un
laboratorio per la formazione culturale della futura classa dirigente.
Scrive Philippe Chenaux ( “Cristiani d’Italia”; 2011):“La strategia di
autonomia e di indipendenza (‘a-fascista’) impressa da Righetti e Montini alla
Fuci mirava infatti alla formazione di una nuova élite cattolica in grado di
ricostruire una società basata sui principi del cristianesimo dopo la caduta del
regime fascista”.
Ma anche
l’Azione Cattolica, rinserrata nelle parrocchie e minacciata di scioglimento,
promuove una organizzazione di massa delle giovani donne, che il fascismo
trascurò perché la riteneva innocua. Armida Barelli fa uscire la Gioventù
Femminile di Azione Cattolica dai salotti delle “contessine”e dai
cenacoli delle “signorine” della borghesia e si dedica alla formazione
delle ragazze del popolo.
I personaggi
presenti a Camaldoli sono della Fuci e del movimento dei Laureati cattolici. Ma
attraverso La Pira c’è anche un collegamento con Fanfani e con il gruppo dei
professorini della “Cattolica” che già studiavano per conto loro “the after
day” del fascismo. Questo gruppo prendeva acqua da un’altra sorgente
importantissima in quegli anni: si erano sviluppati nel laicato gruppi di
“laici consacrati” che formeranno forti personalità per i momenti
difficili. Lo erano La Pira, Dossetti, Lazzati e molto altri della Universita
Cattolica. Alcuni si riunivano in “casa Padovani” e fra di loro c’era anche il
professor Boldrini. Lo portava in macchina alle riunioni clandestine un suo
giovane compaesano, Enrico Mattei, che avrà un ruolo nella Resistenza e persino
un ruolo nella realizzazione delle idee di
Camaldoli.
L’incontro
Teniamo
presenti queste due date. Il 19 luglio del ‘43 Roma viene bombardata. Né il Re,
né Mussolini, che si trovava ad un incontro con Hitler a Feltre, si fanno vedere
a San Lorenzo dove seicentotrentadue aerei alleati hanno colpito duro. Accorre
solo il Papa. Il 25 Luglio il Gran Consiglio del Fascismo delegittima Mussolini
ed il Re lo fa arrestare.
Dal 18 al 23
luglio, si svolge l’incontro di Camaldoli. Il raffronto fra queste date ci fa
capire quale fosse l’atmosfera di quei giorni, quali pensieri dovessero
affollare le menti e quali emozioni dovessero turbare i cuori dei convenuti.
L’incontro fu chiuso addirittura prima del giorno previsto, perché molti
dovevano tornare alle loro case per l’accavallarsi delle brutte notizie. Anche
la lista dei partecipanti è lacunosa, credo, proprio per questo motivo. Penso
che l’incontro fosse stato preparato accuratamente nelle relazioni e nei testi
preparatori, al punto che l’accavallarsi degli eventi, non impedì la rapida
stesura del documento.
La partecipazione di
circa cinquanta giovani fa pensare più ad un corso di formazione che ad
una riunione di saggi. Ma questa formulazione forse era dovuta ad una prudenza,
allora necessaria. I lavori furono coordinati da Adriano Bernareggi, vescovo di
Bergamo ed
assistente dei Laureati. I principi-guida furono elaborati da Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni.
Alla stesura definitiva del Codice parteciparono Mario Ferrari Aggradi, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella,
Giuseppe Capograssi, Ferruccio Pergolesi, Vittore Branca,
Giorgio La Pira,
Aldo Moro,
Giuseppe Medici.
Il documento fu infine presentato da Pietro Pavan, incaricato anche di pronunciarne le considerazioni
conclusive.
Campanini, nel
suo articolo sottolinea l’Importanza di due giovani: Igino Righetti e Sergio
Paronetto. C’è qualcosa di simbolico e di straordinario nella loro
vicenda.
Igino Righetti
è stato presidente della Fuci dal 1926, con Montini assistente, e poi Presidente
dei “Laureati, fondatore della “Studium” e promotore delle Settimane di
Camaldoli. Maestro di una intera futura classe dirigente , muore nel 1939, a 34
anni, alle soglie della guerra
Sergio
Paronetto è l’estensore materiale del Codice di Camaldoli ed è un personaggio
incredibile. Lavora all’Iri, rifiuta di diventarne direttore generale nel
settembre del ’43. E’ il teorico di quelle che saranno chiamate “le
partecipazioni statali”. E’ in rapporto con i comunisti cattolici, con Rodano e
con Saraceno. E’ legato a Vanoni, ha capacita organizzative straordinarie
ed è, di fatto,l’attento ed accurato esecutore del
documento.
Anche lui
lascia in anticipo dal Convegno, prima della chiusura, il 25 Luglio, ma per il
semplice motivo che lui, il 26 luglio si sposa. Questa è una notizia
singolare che ci dice molto sull’impegno e la passione di quegli uomini e di
quei tempi. Muore nel 1945, a 34 anni. Era già considerato un “maestro” e muore
alle soglie della Costituente.
Il
documento
Il documento ha
la struttura di analoghi documenti della scuola sociale cristiana, quali il
Codice di Malines del 1927. Da qui trae il suo nome di Codice di
Camaldoli. Tre pensieri, nuovi per allora, ne sono il
fondamento.
Il primo
riguarda il concetto di “Stato”. Non si parla più di uno “stato nemico”,
di un“paese reale contrapposto a paese legale”. Secondo il documento,
fine dello Stato è quel bene comune che le famiglie e le classi più deboli non
son in grado di promuovere da sole. C’è in nuce il concetto fondamentale
di sussidiarietà. (A questa concezione si ispira Giuseppe Dossetti nella sua
famosa lezione ai “Laureati Cattolici” del 1949 intitolata: “Non avere paura
dello Stato” ).
La seconda idea
nuova è appunto il concetto di bene comune, tratto da Tommaso e aggiornato sulla
base del radiomessaggio del Papa Pio XII nel Natale 1942 (“Quelle esterne
condizioni le quali sono necessarie all’insieme dei cittadini per lo sviluppo
della loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e
religiosa”).
La terza idea
attiene al principio della disobbedienza. Se l’oggetto della legge è immorale,
cioè lede la dignità umana o è in aperto confitto con la legge di Dio, ciascuno
è obbligato in coscienza a non obbedire.
Dopo questi
fondamenti vene la enumerazione dei principi che ordinano la vita
economica: la preminenza di un programma economico (è anche questa una
grande novità, sorprendente in quei giorni, per la sua modernità); la
dignità della persona umana; l’eguaglianza dei diritti di carattere personale;
una bene ordinata libertà del singolo, anche in campo economico; la
solidarietà, cioè il dovere della collaborazione anche in campo economico;
la destinazione primaria dei beni materiali a vantaggio di tutti gli
uomini; il lavoro preminente rispetto al capitale; il rispetto
dell’esigenza della giustizia distributiva nell’intervento dello Stato; la
limitazione della proprietà dei beni non necessari, nella misura occorrente a
provvedere al bisogno degli indigenti; un sistema economico che eviti
l’arricchimento eccessivo; l’intervento dello Stato richiesto con
forza contro i disagi (principio in cui si sente l’influenza di Keynes e di
Roosevelt).
È interessante
ascoltare il commento di alcuni partecipanti. Secondo Paolo Emilio Taviani il “Codice” è stato l’ispiratore del periodo delle riforme
democratico-cristiane: la liberalizzazione degli scambi con l’estero, la
politica abitativa (“piano Fanfani-casa“), la questione meridionale (con la istituzione della Cassa per il Mezzogiorno), la riforma agraria,
la creazione di enti a partecipazione statale (come l’Eni, l’Efim,
l’Iri), le riforme
della previdenza sociale, la priorità delle infrastrutture (piano autostradale) e
perfino la nazionalizzazione delle fonti di energia (come
per l’elettricità, con
la nascita dell’Enel).
Secondo Mario Ferrari Aggradi alcune di queste finalità (ad esempio quella della piena
occupazione) erano espressamente perseguite dalle partecipazioni statali. Anzi
definì queste ultime “lo strumento preferenziale per un intervento pubblico
in economia“.
L’esito
Poche volte
nella storia un manifesto ( per usare un vocabolo marxista) o un
codice ( per usare una parola romana che significava pacchetto ben legato
di tavolette) ha così fortemente influenzato gli avvenimenti in cosi poco tempo.
Le idee del Codice trovarono l’occasione storica di influenzare fortemente la
Costituzione negli anni 46-’47 e, subito dopo, contribuirono al “miracolo
italiano” per il forte impulso che la impresa pubblica seppe dare alla
economia italiana, con grandi rimbrotti di Luigi
Sturzo.
Nella
Costituzione, in una felice contaminazione fra concetti cristiani e principi
socialisti entrò la definizione di persona con i suoi diritti inalienabili che è
prioritaria al concetto stesso di Stato e la serie degli articoli fondamentali
dedicati ai “diritti inalienabili”. Del resto nella commissione dei 75 vi erano,
non a caso, Fanfani, Dossetti, La Pira, Caronia, Angela Gotelli, Mortati assidui
nella “comunità del porcellino”, ed anche Moro, Spataro, Taviani, Codacci
Pisanelli, Leone cresciuti nella Fuci o nei Laureati
cattolici.
Anche il
programma del Governo De Gasperi subì l’influenza del programma di Camaldoli,
come ha annotato Taviani. Il piano Vanoni, la politica delle partecipazioni
statali, l’intervento straordinario nel Mezzogiorno subirono l’influenza di
Saraceno e di Baroni, e la politica dell’Eni subì quella di Marcello Boldrini,
che si ispiravano esplicitamente ai principi di
Camaldoli.
Scrive Piero
Barucci (“ La politica economica durante l’epoca democristiana”. 17-11-2011):
“La “chiave di volta” per la questione sociale richiedeva forme organizzative
dell’economia più complesse e più moderne. Una volta che questa esperienza
sostanzialmente accademica trovò il modo di raccordarsi con quella maturata
nelle stanze dell’IRI, si ebbe quel prodotto politicamente di grande rilievo che
si tradusse nel Codice di Camaldoli. E’ attraverso quel documento ed il
colloquio fra F. Vito, A. Fanfani, P.E. Taviani, S. Paronetto, P. Saraceno che
fu elaborata quella che è stata una soluzione di stampo ideologico, ovvero la
proposta della “economia mista” all’interno di una visione solidaristica della
vita economica”.
La “proposta
della economia mista all’interno di una visione solidaristica portò l’Italia ad
un periodo di sviluppo e di crescita fra i più importanti della sua
storia.
Conclusione
Quelli che
fecero il codice di Camaldoli furono una buona squadra, capace di guardare il
futuro. Fecero molta strada e fu dato loro di servire utilmente la loro
Patria.
Ma niente di
tutto questo sarebbe successo se non ci fossero stati due giovani a cui non fu
concesso di raggiungere la “terra promessa”.
Il primo
l’indefettibile Igino Righetti, un giovane che con una Casa Editrice ed una
Associazione era riuscito ad educare una classe dirigente. Oggi nessuno sa chi
fosse.
Il secondo,
Sergio Paronetto, l’estensore del Codice di Camaldoli, a cui toccò di
lasciare il convegno in anticipo perchè il giorno dopo si doveva sposare.
Morti ambedue alla età di 34 anni.
E con loro “la
Signorina” Armida Barelli, la “ sorella maggiore” di una folla di ragazze
del popolo, per lo più contadine, forse analfabete, che avevano raccolto,
soldino su soldino, i milioni per la loro Università. Le ragazze a cui Armida
Barelli avrebbe parlato della “nostra Costituzione”. E non voleva
intendere nostra , di noi italiani, ma “nostra di loro” ragazze,
madri della loro Università Cattolica, che non a caso vollero
chiamare, contro tutti, compresi Padre Gemelli ed il Papa, del “Sacro Cuore”.
Bartolo Ciccardini
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TweetYou. It e penso a te. la nuova idea.
www.tweetyou.it
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