
Firenze, 14 Gennaio 2013. La Harvard University chiama Firenze. La scuola medica della celebre università americana e dieci altri centri specialistici dislocati in diversi altri paesi europei, oltre che negli Stati Uniti, hanno proposto ai ricercatori dell'Università di Firenze di collaborare alla definizione di nuovi programmi di screening neonatale. La richiesta è maturata dopo che i test sviluppati dall'Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer e dall'Università di Firenze si sono rivelati più affidabili ed efficaci, oltre che molto più economici, di quelli statunitensi nell'individuare una delle più gravi immunodeficienze congenite, quella da deficit dell'enzima adenosina deaminasi. In particolare un recente studio, cui hanno partecipato ricercatori fiorentini e scienziati inglesi e tedeschi e statunitensi, ha certificato per la prima volta la capacità del test di identificare tutte le forme cliniche del difetto in fase precoce.
«I nostri esperimenti hanno consentito di prevedere malattie dopo solo due giorni di vita anche se queste patologie potranno insorgere nei mesi e intorno ai 7 anni - spiega Giancarlo La Marca, ricercatore del Dipartimento di Farmacologia - mentre i test sviluppati dai colleghi americani si sono rivelati meno attendibili». I risultati comparati fra i due metodi sono stati oggetto di una pubblicazione da parte della rivista «Journal of Allergy and Clinical Immunology» e sono valsi un importante riconoscimento internazionale. Il test diagnostico è stato scoperto e brevettato all'Università Firenze da Giancarlo La Marca, Chiara Azzari e Massimo Resti. Consente di identificare una malattia rara, che ha un grave impatto nella vita del bambino e può portare a encefalite, sepsi, poliomielite e altre malattie causa di danni permanenti e irreversibili. Il difetto metabolico di Adenosina Deaminasi grazie alle terapie enzimatiche sostitutive, a quelle geniche e al trapianto di midollo, è perfettamente curabile: per questo è importantissimo individuarlo, prima che si manifesti con le sue conseguenze. L'incidenza della malattia stimata ad oggi è di 1 su 50mila nuovi nati ma potrebbe essere anche più frequente.
FARMACI: VACCINO ANTI-MENINGITE B, PROTEZIONE IN 95% VACCINATI SPESSO NON DIAGNOSTICATA PUÒ UCCIDERE IN 24 ORE,A RISCHIO BIMBI.
Ha dimostrato di indurre una risposta protettiva in oltre il 95% dei soggetti vaccinati il nuovo vaccino contro il meningococco B, responsabile dell'80% dei casi di meningite in Europa e del 50% dei casi nel mondo: il vaccino, prodotto dall'azienda Novartis, induce infatti una «robusta risposta immunitaria quando somministrato insieme ad altri vaccini di routine e come dose di richiamo». La conferma arriva dallo studio registrativo di fase II pubblicato oggi online su The Lancet e che ha coinvolto 3.630 bambini a partire dai due mesi di età. Lo studio, sottolinea Novartis in una nota, evidenzia le potenzialità del vaccino contro il meningococco B nel proteggere i bambini nella prima infanzia. I dati, inoltre, confermano il profilo di sicurezza e tollerabilità per il vaccino sempre nella prima infanzia, la fascia d'età maggiormente a rischio di contrarre tale malattia. Il vaccino, interamente sviluppato nei laboratori di Siena, ha ricevuto il parere positivo del Comitato per i Farmaci per uso umano dell'Ue lo scorso novembre 2012. Al momento della sua approvazione, sarà il primo vaccino ad ampia copertura indicato contro la meningite B, una patologia che, spesso, non viene diagnosticata correttamente e può uccidere nell'arco di 24 ore o causare gravi disabilità permanenti. «Da pediatra, mi rendo conto di quanto possa essere devastante il meningococco B nei lattanti e nei bambini e dell'agonia cui sono sottoposte le famiglie colpite. È una malattia che si manifesta senza preavviso e può progredire molto rapidamente, anche nei casi in cui i genitori intervengano con tempestività», rileva Susanna Esposito, direttore della Clinica Pediatrica della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e presidente della Società Italiana di Infettivologia Pediatrica. La prospettiva di «un nuovo vaccino che possa aiutare a prevenire la Meningite B - conclude l'esperta - rappresenta l'innovazione che stavamo aspettando da oltre dieci anni».
SALUTE: FRAGOLE E MIRTILLI SALVA-CUORE PER LE DONNE, -30% RISCHI INFARTO , NUOVO STUDIO PROMUOVE VIRTÙ DEI FRUTTI DI BOSCO.
Frutti di bosco amici del cuore delle donne. Gli scienziati assicurano: mangiare in una settimana tre o più porzioni di mirtilli e fragole può aiutare il gentil sesso a ridurre il rischio di infarto di oltre un terzo. La stima è il risultato di uno studio pubblicato su 'Circulation', rivista dell'American Heart Association. Colorare di rosa e di viola la tavola conviene, osservano gli esperti. Mirtilli e fragole, infatti, contengono alti livelli di flavonoidi, sostanze presenti anche nell'uva e nel vino, nelle more e nelle melanzane. In particolare, l'effetto 'salva-cuorè viene collegato a una specifica sotto-classe di flavonoidi, gli antociani, che potrebbero contribuire a dilatare le arterie, contrastare l'accumulo di placche e produrre altri benefici cardiovascolari. «Mirtilli e fragole - spiega uno degli autori della ricerca, Eric Rimm, professore associato di Nutrizione ed epidemiologia all'Harvard School of Public Health di Boston - possono essere facilmente combinati con quello che le donne mangiano ogni settimana. Si tratterebbe di un semplice cambiamento nella dieta che però potrebbe avere un impatto significativo sugli sforzi di prevenzione». Del resto, precisano, è possibile che anche altri alimenti producano lo stesso risultato. I ricercatori della Harvard School of Public Health americana e dell'University of East Anglia nel Regno Unito hanno condotto uno studio prospettico sulle 93.600 donne fra i 25 e i 42 anni 'registratè nel maxi database del Nurses' Health Study II. Donne che, fra le altre cose, hanno compilato questionari sulle loro abitudini a tavola ogni 4 anni per 18 anni. Durante lo studio si sono verificati 405 attacchi di cuore e, secondo l'analisi degli scienziati, le donne che hanno consumato più fragole e mirtilli sono risultate avere un rischio di infarto ridotto del 32% rispetto a quelle che consumavano i frutti di bosco sono una volta al mese o meno, indipendentemente dal fatto che la loro dieta fosse eventualmente ricca di altra frutta e di verdure. «Abbiamo dimostrato che mangiare fin dalla tenera età una quantità maggiore di fragole e mirtilli potrebbe incidere sul rischio di infarto in età più avanzata», conclude Aedìn Cassidy, primo autore dello studio e capo del Dipartimento di nutrizione della Norwich Medical School (University of East Anglia, Norwich).
TUMORI: IN PIAZZA GLI AGRUMI DELLA SOLIDARIETÀ PER ANT, PER LA PREVENZIONE E L'ASSISTENZA A DOMICILIO.
In gennaio e febbraio tornano in molte piazze d'Italia gli Agrumi della solidarietà della Fondazione Ant Italia Onlus, attiva da 35 anni per la prevenzione anticancro, la diagnosi precoce e l'assistenza domiciliare ai malati di cancro. I volontari della Fondazione consegneranno confezioni di agrumi in cambio di una piccola offerta. «Le attività della Fondazione, sia nel campo della prevenzione sia in quello dell'assistenza - afferma Raffaella Pannuti, presidente Ant - sono rese possibili grazie alla disponibilità di risorse economiche reperite sul territorio, derivanti da attività di raccolta fondi, dalle donazioni di privati cittadini, aziende e istituzioni, e dai proventi derivanti dal 5 per mille, frutto della solidarietà e dell'impegno di tanti a servizio della comunità. Con manifestazioni come quella degli Agrumi della solidarietà, Ant intende diffondere la cultura della prevenzione nel nostro Paese, affinchè essa diventi davvero una buona abitudine».
RICERCA: IL PREMIO NOBEL? VA A CHI BEVE MOLTO LATTE, SVEZIA E SVIZZERA IN TESTA, STUDIO UK, PAESI CHE NE CONSUMANO DI PIÙ HANNO AVUTO PIÙ ONORIFICENZE.
È nel latte il segreto per sfornare premi Nobel. I Paesi golosi dell'alimento e dei suoi derivati (formaggio ma anche cioccolata al latte), in testa ci sono Svezia e Svizzera, sono anche quelli che possono vantare il maggior numero di vincitori del Nobel. A stabilire il legame tra il latte e la massima onorificienza mondiale in campo scientifico e culturale è uno studio del Gloucester Royal Hospital (GB) pubblicato sulla rivista 'New England Journal of Medicinè. I ricercatori inglesi hanno analizzato i dati (2007) dei consumi pro capite di latte in 22 nazioni registrati dalla Food and Agriculture Organization. La Svezia è in testa con 340 chili e ha anche la maggior parte dei premi Nobel in rapporto alla popolazione (33). La Svizzera si piazza al secondo posto, 300 kg e ben 32 connazionali premiati. Mentre la Cina, che ha anche il più basso consumo di latte a livello mondiale, 25 chili l'anno, è anche all'ultimo posto come numero di onorificenze. Secondo i ricercatori una spiegazione biologica plausibile del collegamento è nelle qualità del latte «ricco di vitamina D, e questa virtù può aumentare la potenza del cervello. Quindi - suggeriscono - per migliorare le probabilità di vincere il Nobel non si deve solo mangiare più cioccolato al latte, ma bere anche molto più latte».
FARMACI: RISPARMIO DI 1 MLD DOLLARI L'ANNO CON GENERICI ANTI-HIV IN USA, MA SECONDO GLI ESPERTI POTREBBERO ESSERE MENO EFFICACI DEI GRIFFATI.
Sostituire la combinazione di antiretrovirali griffati per il controllo dell'Hiv con le versioni generiche in arrivo sul mercato statunitense potrebbe permettere, solo negli Usa, di risparmiare una cifra intorno a 1 mld di dollari l'anno. Ma potrebbe anche ridurre l'efficacia dei trattamenti anti-Hiv. È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori del Massachusetts General Hospital e pubblicato sugli 'Annals of Internal Medicinè, che prende in esame il potenziale impatto di un simile cambiamento per le finanze statali e per la vita dei pazienti. «Il passaggio dagli antiretrovirali di marca a quelli generici ci metterebbe nella scomoda posizione di privilegiare una certa perdita in termini di qualità e quantità di vita, rispetto a un notevole risparmio di denaro», sintetizza Rochelle Walensky, autore principale dello studio. «Stimando la dimensione più probabile di questi effetti di segno opposto prima che gli antiretrovirali generici arrivino sugli scaffali, potremo confrontarci per fare queste difficili scelte». Nel 2011 il costo dei farmaci antiretrovirali negli Stati Uniti è stato di circa 9 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali è stato pagato da fonti governative. Il trattamento attualmente raccomandato per i pazienti con nuova diagnosi è una sola pillola (Atripla*) al giorno, che integra tre antiretrovirali di marca: tenofovir (Viread*), emtricitabina (Emtriva*) ed efavirenz (Sustiva*). Una forma generica del farmaco antiretrovirale lamivudina, che ha un meccanismo d'azione simile all'emtricitabina, è disponibile dal mese di gennaio 2012, e una versione generica di efavirenz dovrebbe arrivare in un futuro relativamente prossimo. Sostituire due dei tre farmaci di marca della triterapia con i generici potrebbe ridurre significativamente i costi, osservano gli autori, ma questa strategia avrebbe anche degli svantaggi. Un regime di trattamento più complicato, con tre pillole quotidiane invece di una, aumenta il rischio che alcuni pazienti saltino delle dosi, cosa che può portare alla perdita di efficacia del trattamento antiretrovirale. Studi di laboratorio hanno anche scoperto che la lamivudina può essere leggermente meno efficace rendere più vulnerabili allo sviluppo di ceppi virali resistenti ai farmaci rispetto a emtricitabina. Per valutare l'impatto del passaggio da griffati da generici, il team di ricerca ha utilizzato un odello matematico, adottando poi uno scenario in base al caso peggiore per proiettare l'efficacia dei farmaci generici e il loro impatto sulla resistenza virale. I risultati hanno indicato che il passaggio di tutti i pazienti affetti da Hiv negli Stati Uniti al regime con tre farmaci generici produrrebbe risparmi per 42.500 dollari a paziente. Solo nel primo anno a livello nazionale si risparmierebbe ben 1 mld di dollari. Tuttavia, la perdita di aspettativa di vita potrebbe arrivare a 4,5 mesi.
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