di Pietro Sergi
Da altri Regni vicini al nostro conversero ad un certo momento membri di nuove, strane forme di aggregazione, nelle quali i condottieri venivano eletti non già per discendenza ma per le loro attitudini alla prevaricazione sugli altri. Pian piano, il regno diventò una sorta di società multietnica, dove sbarcò gente di ogni colore e ceto sociale, ma anche strane e mostruose creature. Tutti cercavano di capire come poter imporre le proprie libertà.
Il concetto di libertà che essi cercavano in tutti i modi di far passare era questo: la mia libertà non finisce dove comincia la tua, no; è la tua che finisce dove comincia la mia, cioè, subito.
Naturalmente, questa situazione piaceva parecchio al nostro rivoluzionario, che pensò di aggregare a lui questi gruppi e di organizzare viaggi e pellegrinaggi per cercare adepti da indottrinare. In questi lunghi e tortuosi pellegrinaggi, spesso capitava di imbattersi in creature mostruose, con gambe di cavallo e teste di lupo, oppure in monasteri popolati da monaci di strani ordini, che dopo averli accolti, tentavano di rapire le fanciulle al seguito delle comitive dei pellegrini. In uno dei pellegrinaggi dei rivoluzionari, fu rapita una delle fanciulle al seguito; pare che ciò accadde perché i monaci videro che aveva al collo un simbolo che loro riconobbero essere antireligioso. In realtà quasi tutti i pellegrini portavano al collo quel simbolo, ma non era molto visibile forse per via dei vestiti. Questa tragedia fu l’inizio della fine, perché i pellegrini mai avrebbero potuto accettare che una di loro venisse rapita e segregata e si misero subito sul piede di guerra contro i monaci. Non sapevano, gli ignari, che sotto quei sai si celavano grandi guerrieri, cosicché quando i pellegrini rivoluzionari tentarono l’assedio per occupare l’abbazia e liberare la prigioniera, vennero immediatamente ridotti all’impotenza, fatti prigionieri e rinchiusi a loro volta.
Bisogna sapere che i poveri artigiani del regno, mai più immaginando che potesse accadere tutto questo, avevano costruito di tutto, tranne le armi e quindi non sapevano né potevano difendersi; erano, così, facili prede e venivano continuamente attaccati e derubati. Subivano saccheggi tutti i giorni!
La piccola e modesta bottega dei dolci veniva quotidianamente depredata e spesso i dolci venivano rubati direttamente dal forno. Tentarono anche di estorcere con la forza le ricette alla povera dolciera, che però non cedette.
Esasperati da questi attacchi i cittadini si divisero sul da farsi e si formarono tra di loro delle correnti di pensiero diverse. C’era chi pensava che bisognava procurarsi ed impugnare le armi per difendersi e chi pensava che bisognava aspettare che si sfogassero perché sarebbero poi spariti nel nulla, come dal nulla erano arrivati.
Ma anche tra i monaci vi furono ingenti perdite, attribuite ad altri guerrieri di altri Regni che, una volta innescata la guerra, si erano buttati dentro la mischia guidati dalla loro indole guerrafondaia e conquistatrice.
La costruzione de ‘l’Arca del tempo ’ che l’Essere Supremo aveva commissionato all’inventore necessitava di tempi ragionevoli, in quanto era un’invenzione assolutamente impensabile a quell'epoca, ma ad ogni modo andava avanti. Il pericolo era, piuttosto, che in uno degli ormai giornalieri attacchi al Regno, la bottega dell’ingegnoso inventore venisse depredata e l’aggeggio trafugato. Ma qualcuno, dall’alto, dava un’occhiatina di tanto in tanto e la bottega non venne mai fatta oggetto di razzie. La più esposta era sempre la dolceria, al punto che i monaci avevano una coscienza che era diventata come una gruviera, per via dei peccati di gola che commettevano ormai senza soluzione di continuità. Certo, cominciavano a lamentare qualche mal di denti e ormai non ridevano quasi più per la vergogna di far vedere i denti tutti cariati, ma continuavano le loro razzie.
Nel regno, tra il popolo, si cominciò a parlare della possibilità di dover lasciare la cittadina, anche se nessuno sapeva ancora come. Essendo sprovvisti di mezzi ed armi, avrebbero sicuramente subito attacchi a ripetizione lungo la strada.
Data la situazione l’Essere Supremo non poteva più tacere o soprassedere, né poteva sperare che la guerra tra quei piccoli Regni e le abbazie cessasse come per incanto.
Doveva fare qualcosa e doveva farlo presto.
Fu così che si recò dall’inventore (il quale rimaneva sempre esterrefatto e affascinato nel sentire quella voce così saggia senza riuscirne mai a vedere le sembianze) e gli chiese di accelerare con la progettazione e la realizzazione de ‘L’arca del tempo’, il mezzo diabolico con cui egli pensava di poter trasferire gli abitanti del suo piccolo Regno in un luogo ed in un’era completamente diversi.
Il trasferimento diventava sempre più impellente, poiché qualcos’altro, oltre alle guerre, stava decimando gli abitanti; si vociferava di un mostro con la testa di lupo mannaro, che faceva sparire i bambini, soprattutto quelli viziati e troppo libertari, che spesso erano proprio i figli dei pellegrini rivoluzionari. I rivoluzionari attribuivano ai monaci quelle sparizioni, esasperando così gli animi e gli scontri.
In questo turbolento scenario, anche altri Regni, denominati ‘Regni canaglia’, tentarono di inserirsi nella guerra per cercare di conquistare il piccolo regno e, perché no, anche l’abbazia. Così successe che lo scontro si allargò a macchia d’olio e mentre i rivoluzionari erano incarcerati, i monaci, pensando che tutti gli abitanti del regno fossero degli eretici, attaccavano continuamente anche il villaggio dove però c’erano solo i laboriosi e tranquilli artigiani.
Nel frattempo i rivoluzionari erano ancora incarcerati. Alcisio stesso non sapeva che pesci prendere e la meritoria opera della grande famiglia dei Pirati buoni e saggi non bastava a lenire il malcontento e i problemi dei cittadini.
Improvvisamente si scoprì che, al di là di quello stato di calma apparente che era regnato fino ad allora, molte erano invece le correnti che lavoravano sotto sotto, come un fuoco che arde sotto la cenere, correnti che aderivano di volta in volta ai continui tentativi che il rivoluzionario intraprendeva.
C’era, tra gli altri, un cittadino che nessuno aveva mai visto lavorare e che non si sapeva dunque di cosa vivesse, il quale abitava in un vecchio ma ampissimo rudere, nel quale però, appena varcavi la soglia, scoprivi sale sfarzose come una reggia. Non si sapeva da dove arrivassero quelle ricchezze, anche se qualcuno più accorto cominciò a mugugnare e a raccontare in giro che il tizio ogni tanto chiedeva agli artigiani prodotti tipici e ai contadini prodotti alimentari in cambio dell' assicurazione che la bottega o la fattoria non sarebbe stata attaccata da gentaglia. Diceva anche di essere in grado di difenderli contro il maligno, contro il malocchio e pure contro il cimurro. A giudicare dagli atteggiamenti che avevano verso di lui, pare che le due fanciulle, la discendente di Mose’ e la ‘mestierante’, fossero in ottimi rapporti con costui e che fossero spesso tra coloro che si mettevano in mezzo, là dove Alcisio, per via del suo strabismo, non poteva vederli. Ma cosa ci facevano le due con quel cittadino così controverso? Mah…..
Questa era la situazione quando Alcisio convocò i suoi valorosi consiglieri, che nel frattempo si erano scavati dei bunker personali e dai quali uscivano solo quando annusavano aria di quiete, infischiandosene dei problemi degli artigiani e dei cittadini. Anche il popolo fu convocato in assemblea pubblica. Fu un’assemblea drammatica, perché fu reso veramente palese a tutti come e per colpa di chi il Regno si fosse cacciato, suo malgrado, in una situazione senza uscita.
In quella drammatica assemblea, si discusse anche della tremenda ma ormai inevitabile ipotesi di dover lasciare quei luoghi.
Ma cosa ne sarebbe stato di essi?
E chi si sarebbe insediato al posto dei nostri laboriosi e pacifici artigiani?
Domande queste a cui nessuno poteva rispondere.
Intanto tutto andava inesorabilmente avanti, sia gli attacchi che la costruzione dell’arca del tempo. Il mostro continuava a far sparire i bambini viziati, figli dei rivoluzionari incarcerati e questo faceva aumentare la paura in tutti gli altri che non si accorgevano di questa particolare preferenza del lupo mannaro.
Ma chi era quel mostro? Chi era che si trasformava in belva immonda? Qualcuno mormorava che fosse addirittura colui che Alcisio stesso aveva nominato come guardiano della cittadina, un preposto che era l’equivalente del vigile urbano.
In questo cupo scenario, nessuno si accorse dell’arrivo della primavera e nessuno si preoccupò, quell’anno, di organizzare il ritrovo annuale per lo scambio dei prodotti, né altri cittadini dei Regni limitrofi vi avrebbero partecipato, vista la tensione che si era creata in quell’area geografica. Questo importantissimo particolare, però, non sfuggì all’essere supremo, che preoccupato da questa circostanza decise di fare di nuovo visita all’inventore. Quest’ultimo, come sempre estasiato da quella voce, gli disse che doveva soltanto verniciare l’arca e che poi tutto sarebbe stato pronto per la partenza. Gli disse anche che gli avrebbe fornito una copia del manuale illustrato dell’arca, da usare in caso di problemi tecnici o nel caso lui non fosse in grado di quadripilotarla. Ma perché doveva essere quadrifibia? Semplice, perché man mano che si avvicinavano all’era in cui sarebbero dovuti sbarcare, gli spazi aerei erano ormai come giardini di casa, dove ognuno recintava la sua No Fly Zone: solo su un mezzo capace di volare, navigare, immergersi e andare su terraferma si viaggiava sicuri di arrivare a destinazione, a dispetto di qualsiasi ostacolo.
Entro pochi giorni l’arca del tempo fu pronta e il geniale inventore ne illustrò i segreti tecnici e le caratteristiche all’essere supremo. Disse che sarebbe stata formata da piccole stanze con bagno interno, in ognuna delle quali avrebbero dovuto trovare posto due viaggiatori; ad ognuno di essi sarebbe stato assegnato un soprannome e il rispettivo numero di camera in modo da essere così riconosciuti in coppia. Disse anche che lui pensava fosse meglio che i soprannomi fossero di fantasia e non fossero i nomi dei mestieri dei cittadini, in quanto succedeva spesso che marito e moglie facessero un’attività diversa uno dall’altro, come nel caso della dolciera e del maestro. Suggerì egli stesso alcuni nomi: per la dolciera e il maestro potevano andar bene ‘Il gatto e la volpe ’, poi ci potevano essere gli ‘Ecumenici’, i ‘Pirati saggi e benefattori ’, i ‘Sondaggisti ’( “Che roba è????” pensarono tutti!!), i ‘Burocrati’, i ‘Rivoluzionari’ e i ‘Regolarizzanti’, i ‘Mandrilli’ più altre specie, come i ‘Tuttologi’. L’arca avrebbe navigato ad una velocità alta, in quanto era fornita di un motore potente ma anche molto sofisticato, affidabile ma anche difficilmente riparabile in caso di guasto in mare aperto,negli abissi marini, in volo o anche sulla terra ferma, in quanto si trattava di un mezzo quadrifibio che poteva anche volare oppure sommergersi e viaggiare sott’acqua in caso di pericolo o necessità, ma per la fretta l’inventore non aveva potuto costruire i pezzi di ricambio; si stava dedicando al loro assemblaggio ma forse non sarebbero stati disponibili al momento della partenza, che incombeva!
Il problema sembrò secondario all’essere supremo, vedendo il suo popolo ormai stanco e sfibrato dagli assalti continui. Il Sovrano, sentendo che ormai la partenza era l’unico sistema per salvare il suo popolo e se stesso, cercò una mediazione con i monaci affinché rilasciassero i rivoluzionari, promettendo loro che li avrebbe subito espulsi e allontanati da quei luoghi. I monaci, in preda a fortissimi mal di denti, acconsentirono, pensando che quel dolore fosse la causa dei loro peccati non già di gola ma per aver precluso la libertà ad altri esseri della loro specie e li rilasciarono.
Così, ormai tutti riuniti, i nostri decisero di partire, in un’atmosfera di cupa rassegnazione, in cui non si udivano urla di gioia per la prossima avventura: c’erano solo interminabili silenzi e si vedevano sguardi abbassati e musi lunghi come proboscidi. Le genti salirono sull’arca e furono alloggiate come previsto dall’inventore; costui era alla guida della nave, per supportare l’Essere Supremo, ancora acerbo ed inesperto nella manovra di un mezzo di quel genere.
Pur avendoli costruiti, quando si trattò di caricarli sul mezzo di locomozione, il nostro inventore dimenticò a terra i pezzi di ricambio.
Il piccolo Regno era vicino al mare, ma la cittadina non si trovava proprio a ridosso della riva, quindi bisognava che il primo pezzo del viaggio fosse fatto sulla terra ferma. Tuttavia nessun problema per il mezzo quadrifibio: l’inventore, spiegò le vele e il vento cominciò a spingere l’arca ad una velocità spaventosa, così furono davanti al mare in un battibaleno.
Ora l’arca doveva accedere all’opzione due, che consisteva nel navigare. Nessun problema nemmeno stavolta: si misero in moto i suoi grossi cingoli che, potentissimi, girando nell’acqua facevano viaggiare l’arca a velocità siderali, così velocemente che la memoria dei cittadini non riusciva a stare dietro o dentro il mezzo e si perdeva man mano che l’arca viaggiava in avanti nel tempo. Percorsero alcuni secoli in pochissimo tempo, riuscendo appena a scrutarne i cambiamenti e vedendo come i vestiti delle donne si rimpicciolivano man mano che le epoche cambiavano. Le indicazioni che trovavano viaggiando non erano riferite ai luoghi ma alle varie epoche che essi attraversavano. Erano quasi arrivati, ma c’era ancora qualche quarto di secolo da fare volando nei cieli, perché si doveva passare una grande foresta percorribile soltanto per via aerea. E così l’inventore levò l’ancora, impugnò con forza il timone, lo tirò verso di sé e cominciarono a volare. Ora ad essere estasiato era l’essere supremo, nel vedere l’ingegno del giovane inventore che stava portando il suo piccolo popolo verso la sospirata salvezza. Sembrava che tutto filasse liscio, quando i rivoluzionari dissero che quella macchina era troppo rivoluzionaria anche per loro e tentarono un sabotaggio. Furono però subito bloccati e rinchiusi di nuovo nelle loro suite.
Da altri Regni vicini al nostro conversero ad un certo momento membri di nuove, strane forme di aggregazione, nelle quali i condottieri venivano eletti non già per discendenza ma per le loro attitudini alla prevaricazione sugli altri. Pian piano, il regno diventò una sorta di società multietnica, dove sbarcò gente di ogni colore e ceto sociale, ma anche strane e mostruose creature. Tutti cercavano di capire come poter imporre le proprie libertà.
Il concetto di libertà che essi cercavano in tutti i modi di far passare era questo: la mia libertà non finisce dove comincia la tua, no; è la tua che finisce dove comincia la mia, cioè, subito.
Naturalmente, questa situazione piaceva parecchio al nostro rivoluzionario, che pensò di aggregare a lui questi gruppi e di organizzare viaggi e pellegrinaggi per cercare adepti da indottrinare. In questi lunghi e tortuosi pellegrinaggi, spesso capitava di imbattersi in creature mostruose, con gambe di cavallo e teste di lupo, oppure in monasteri popolati da monaci di strani ordini, che dopo averli accolti, tentavano di rapire le fanciulle al seguito delle comitive dei pellegrini. In uno dei pellegrinaggi dei rivoluzionari, fu rapita una delle fanciulle al seguito; pare che ciò accadde perché i monaci videro che aveva al collo un simbolo che loro riconobbero essere antireligioso. In realtà quasi tutti i pellegrini portavano al collo quel simbolo, ma non era molto visibile forse per via dei vestiti. Questa tragedia fu l’inizio della fine, perché i pellegrini mai avrebbero potuto accettare che una di loro venisse rapita e segregata e si misero subito sul piede di guerra contro i monaci. Non sapevano, gli ignari, che sotto quei sai si celavano grandi guerrieri, cosicché quando i pellegrini rivoluzionari tentarono l’assedio per occupare l’abbazia e liberare la prigioniera, vennero immediatamente ridotti all’impotenza, fatti prigionieri e rinchiusi a loro volta.
Bisogna sapere che i poveri artigiani del regno, mai più immaginando che potesse accadere tutto questo, avevano costruito di tutto, tranne le armi e quindi non sapevano né potevano difendersi; erano, così, facili prede e venivano continuamente attaccati e derubati. Subivano saccheggi tutti i giorni!
La piccola e modesta bottega dei dolci veniva quotidianamente depredata e spesso i dolci venivano rubati direttamente dal forno. Tentarono anche di estorcere con la forza le ricette alla povera dolciera, che però non cedette.
Esasperati da questi attacchi i cittadini si divisero sul da farsi e si formarono tra di loro delle correnti di pensiero diverse. C’era chi pensava che bisognava procurarsi ed impugnare le armi per difendersi e chi pensava che bisognava aspettare che si sfogassero perché sarebbero poi spariti nel nulla, come dal nulla erano arrivati.
Ma anche tra i monaci vi furono ingenti perdite, attribuite ad altri guerrieri di altri Regni che, una volta innescata la guerra, si erano buttati dentro la mischia guidati dalla loro indole guerrafondaia e conquistatrice.
La costruzione de ‘l’Arca del tempo ’ che l’Essere Supremo aveva commissionato all’inventore necessitava di tempi ragionevoli, in quanto era un’invenzione assolutamente impensabile a quell'epoca, ma ad ogni modo andava avanti. Il pericolo era, piuttosto, che in uno degli ormai giornalieri attacchi al Regno, la bottega dell’ingegnoso inventore venisse depredata e l’aggeggio trafugato. Ma qualcuno, dall’alto, dava un’occhiatina di tanto in tanto e la bottega non venne mai fatta oggetto di razzie. La più esposta era sempre la dolceria, al punto che i monaci avevano una coscienza che era diventata come una gruviera, per via dei peccati di gola che commettevano ormai senza soluzione di continuità. Certo, cominciavano a lamentare qualche mal di denti e ormai non ridevano quasi più per la vergogna di far vedere i denti tutti cariati, ma continuavano le loro razzie.
Nel regno, tra il popolo, si cominciò a parlare della possibilità di dover lasciare la cittadina, anche se nessuno sapeva ancora come. Essendo sprovvisti di mezzi ed armi, avrebbero sicuramente subito attacchi a ripetizione lungo la strada.
Data la situazione l’Essere Supremo non poteva più tacere o soprassedere, né poteva sperare che la guerra tra quei piccoli Regni e le abbazie cessasse come per incanto.
Doveva fare qualcosa e doveva farlo presto.
Fu così che si recò dall’inventore (il quale rimaneva sempre esterrefatto e affascinato nel sentire quella voce così saggia senza riuscirne mai a vedere le sembianze) e gli chiese di accelerare con la progettazione e la realizzazione de ‘L’arca del tempo’, il mezzo diabolico con cui egli pensava di poter trasferire gli abitanti del suo piccolo Regno in un luogo ed in un’era completamente diversi.
Il trasferimento diventava sempre più impellente, poiché qualcos’altro, oltre alle guerre, stava decimando gli abitanti; si vociferava di un mostro con la testa di lupo mannaro, che faceva sparire i bambini, soprattutto quelli viziati e troppo libertari, che spesso erano proprio i figli dei pellegrini rivoluzionari. I rivoluzionari attribuivano ai monaci quelle sparizioni, esasperando così gli animi e gli scontri.
In questo turbolento scenario, anche altri Regni, denominati ‘Regni canaglia’, tentarono di inserirsi nella guerra per cercare di conquistare il piccolo regno e, perché no, anche l’abbazia. Così successe che lo scontro si allargò a macchia d’olio e mentre i rivoluzionari erano incarcerati, i monaci, pensando che tutti gli abitanti del regno fossero degli eretici, attaccavano continuamente anche il villaggio dove però c’erano solo i laboriosi e tranquilli artigiani.
Nel frattempo i rivoluzionari erano ancora incarcerati. Alcisio stesso non sapeva che pesci prendere e la meritoria opera della grande famiglia dei Pirati buoni e saggi non bastava a lenire il malcontento e i problemi dei cittadini.
Improvvisamente si scoprì che, al di là di quello stato di calma apparente che era regnato fino ad allora, molte erano invece le correnti che lavoravano sotto sotto, come un fuoco che arde sotto la cenere, correnti che aderivano di volta in volta ai continui tentativi che il rivoluzionario intraprendeva.
C’era, tra gli altri, un cittadino che nessuno aveva mai visto lavorare e che non si sapeva dunque di cosa vivesse, il quale abitava in un vecchio ma ampissimo rudere, nel quale però, appena varcavi la soglia, scoprivi sale sfarzose come una reggia. Non si sapeva da dove arrivassero quelle ricchezze, anche se qualcuno più accorto cominciò a mugugnare e a raccontare in giro che il tizio ogni tanto chiedeva agli artigiani prodotti tipici e ai contadini prodotti alimentari in cambio dell' assicurazione che la bottega o la fattoria non sarebbe stata attaccata da gentaglia. Diceva anche di essere in grado di difenderli contro il maligno, contro il malocchio e pure contro il cimurro. A giudicare dagli atteggiamenti che avevano verso di lui, pare che le due fanciulle, la discendente di Mose’ e la ‘mestierante’, fossero in ottimi rapporti con costui e che fossero spesso tra coloro che si mettevano in mezzo, là dove Alcisio, per via del suo strabismo, non poteva vederli. Ma cosa ci facevano le due con quel cittadino così controverso? Mah…..
Questa era la situazione quando Alcisio convocò i suoi valorosi consiglieri, che nel frattempo si erano scavati dei bunker personali e dai quali uscivano solo quando annusavano aria di quiete, infischiandosene dei problemi degli artigiani e dei cittadini. Anche il popolo fu convocato in assemblea pubblica. Fu un’assemblea drammatica, perché fu reso veramente palese a tutti come e per colpa di chi il Regno si fosse cacciato, suo malgrado, in una situazione senza uscita.
In quella drammatica assemblea, si discusse anche della tremenda ma ormai inevitabile ipotesi di dover lasciare quei luoghi.
Ma cosa ne sarebbe stato di essi?
E chi si sarebbe insediato al posto dei nostri laboriosi e pacifici artigiani?
Domande queste a cui nessuno poteva rispondere.
Intanto tutto andava inesorabilmente avanti, sia gli attacchi che la costruzione dell’arca del tempo. Il mostro continuava a far sparire i bambini viziati, figli dei rivoluzionari incarcerati e questo faceva aumentare la paura in tutti gli altri che non si accorgevano di questa particolare preferenza del lupo mannaro.
Ma chi era quel mostro? Chi era che si trasformava in belva immonda? Qualcuno mormorava che fosse addirittura colui che Alcisio stesso aveva nominato come guardiano della cittadina, un preposto che era l’equivalente del vigile urbano.
In questo cupo scenario, nessuno si accorse dell’arrivo della primavera e nessuno si preoccupò, quell’anno, di organizzare il ritrovo annuale per lo scambio dei prodotti, né altri cittadini dei Regni limitrofi vi avrebbero partecipato, vista la tensione che si era creata in quell’area geografica. Questo importantissimo particolare, però, non sfuggì all’essere supremo, che preoccupato da questa circostanza decise di fare di nuovo visita all’inventore. Quest’ultimo, come sempre estasiato da quella voce, gli disse che doveva soltanto verniciare l’arca e che poi tutto sarebbe stato pronto per la partenza. Gli disse anche che gli avrebbe fornito una copia del manuale illustrato dell’arca, da usare in caso di problemi tecnici o nel caso lui non fosse in grado di quadripilotarla. Ma perché doveva essere quadrifibia? Semplice, perché man mano che si avvicinavano all’era in cui sarebbero dovuti sbarcare, gli spazi aerei erano ormai come giardini di casa, dove ognuno recintava la sua No Fly Zone: solo su un mezzo capace di volare, navigare, immergersi e andare su terraferma si viaggiava sicuri di arrivare a destinazione, a dispetto di qualsiasi ostacolo.
Entro pochi giorni l’arca del tempo fu pronta e il geniale inventore ne illustrò i segreti tecnici e le caratteristiche all’essere supremo. Disse che sarebbe stata formata da piccole stanze con bagno interno, in ognuna delle quali avrebbero dovuto trovare posto due viaggiatori; ad ognuno di essi sarebbe stato assegnato un soprannome e il rispettivo numero di camera in modo da essere così riconosciuti in coppia. Disse anche che lui pensava fosse meglio che i soprannomi fossero di fantasia e non fossero i nomi dei mestieri dei cittadini, in quanto succedeva spesso che marito e moglie facessero un’attività diversa uno dall’altro, come nel caso della dolciera e del maestro. Suggerì egli stesso alcuni nomi: per la dolciera e il maestro potevano andar bene ‘Il gatto e la volpe ’, poi ci potevano essere gli ‘Ecumenici’, i ‘Pirati saggi e benefattori ’, i ‘Sondaggisti ’( “Che roba è????” pensarono tutti!!), i ‘Burocrati’, i ‘Rivoluzionari’ e i ‘Regolarizzanti’, i ‘Mandrilli’ più altre specie, come i ‘Tuttologi’. L’arca avrebbe navigato ad una velocità alta, in quanto era fornita di un motore potente ma anche molto sofisticato, affidabile ma anche difficilmente riparabile in caso di guasto in mare aperto,negli abissi marini, in volo o anche sulla terra ferma, in quanto si trattava di un mezzo quadrifibio che poteva anche volare oppure sommergersi e viaggiare sott’acqua in caso di pericolo o necessità, ma per la fretta l’inventore non aveva potuto costruire i pezzi di ricambio; si stava dedicando al loro assemblaggio ma forse non sarebbero stati disponibili al momento della partenza, che incombeva!
Il problema sembrò secondario all’essere supremo, vedendo il suo popolo ormai stanco e sfibrato dagli assalti continui. Il Sovrano, sentendo che ormai la partenza era l’unico sistema per salvare il suo popolo e se stesso, cercò una mediazione con i monaci affinché rilasciassero i rivoluzionari, promettendo loro che li avrebbe subito espulsi e allontanati da quei luoghi. I monaci, in preda a fortissimi mal di denti, acconsentirono, pensando che quel dolore fosse la causa dei loro peccati non già di gola ma per aver precluso la libertà ad altri esseri della loro specie e li rilasciarono.
Così, ormai tutti riuniti, i nostri decisero di partire, in un’atmosfera di cupa rassegnazione, in cui non si udivano urla di gioia per la prossima avventura: c’erano solo interminabili silenzi e si vedevano sguardi abbassati e musi lunghi come proboscidi. Le genti salirono sull’arca e furono alloggiate come previsto dall’inventore; costui era alla guida della nave, per supportare l’Essere Supremo, ancora acerbo ed inesperto nella manovra di un mezzo di quel genere.
Pur avendoli costruiti, quando si trattò di caricarli sul mezzo di locomozione, il nostro inventore dimenticò a terra i pezzi di ricambio.
Il piccolo Regno era vicino al mare, ma la cittadina non si trovava proprio a ridosso della riva, quindi bisognava che il primo pezzo del viaggio fosse fatto sulla terra ferma. Tuttavia nessun problema per il mezzo quadrifibio: l’inventore, spiegò le vele e il vento cominciò a spingere l’arca ad una velocità spaventosa, così furono davanti al mare in un battibaleno.
Ora l’arca doveva accedere all’opzione due, che consisteva nel navigare. Nessun problema nemmeno stavolta: si misero in moto i suoi grossi cingoli che, potentissimi, girando nell’acqua facevano viaggiare l’arca a velocità siderali, così velocemente che la memoria dei cittadini non riusciva a stare dietro o dentro il mezzo e si perdeva man mano che l’arca viaggiava in avanti nel tempo. Percorsero alcuni secoli in pochissimo tempo, riuscendo appena a scrutarne i cambiamenti e vedendo come i vestiti delle donne si rimpicciolivano man mano che le epoche cambiavano. Le indicazioni che trovavano viaggiando non erano riferite ai luoghi ma alle varie epoche che essi attraversavano. Erano quasi arrivati, ma c’era ancora qualche quarto di secolo da fare volando nei cieli, perché si doveva passare una grande foresta percorribile soltanto per via aerea. E così l’inventore levò l’ancora, impugnò con forza il timone, lo tirò verso di sé e cominciarono a volare. Ora ad essere estasiato era l’essere supremo, nel vedere l’ingegno del giovane inventore che stava portando il suo piccolo popolo verso la sospirata salvezza. Sembrava che tutto filasse liscio, quando i rivoluzionari dissero che quella macchina era troppo rivoluzionaria anche per loro e tentarono un sabotaggio. Furono però subito bloccati e rinchiusi di nuovo nelle loro suite.
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