Antonio Altomonte lo scrittore
dimenticato a 80 anni dalla nascita
di Pierfranco Bruni
Completamente dimenticato. Bisognerebbe
ricordarlo. Morto a 52 anni. Antonio Altomonte è lo scrittore delle disarmonie
ritrovate che vivono in letteratura come paradossi di un mosaico che cerca i
tasselli giusti per tentare di offrire una lettura “particolare” della vita. Lo
scrittore, nato e sepolto in Calabria, non ha trasportato nei suoi libri il
sapore della diaspora.
“Affacciata sul Tirreno, la città sembrava
come in ginocchio. Le case si addossavano ad una collina, scendevano
affollandosi nel ripiano intorno al grande zero della piazza maggiore, si
spingevano fino a una seconda più in basso, rompendo quella compattezza di
esercito a vasti spazi di campagna che suggerivano appunto l'idea dei
quartieri periferici in fuga”. C’è tutto
un paesaggio che sembra prendere forma tra le linee, le conformazioni, i colori
che dalla tavolozza si catapultano sulla pagina scritta.
E poi quest’altro spaccato: “Della parte
alta della città si diceva infatti che avesse le sue radici ai tempi delle
emigrazioni dalla costa devastata dai corsari, Dragut Rais o i fratelli
Barbarossa, quando le popolazioni si trovarono costrette a trasferirsi
all’interno, verso i rilievi, che in sé offrivano una naturale difesa”. Una
sottolineatura che rivela l’osservatorio particolareggiato dello scrittore.
Immagini di territori e recupero di
memorie, dunque, in uno spaccato che non è d’ambiente, circolano negli scritti
di Antonio Altomonte in questo profilo – racconto di “Adolescenza” in Una stagione sull’altra del 1981. Un libro che risale al 1965 ma
anni dopo è stato rivisto e riscritto. C’è da sottolineare un fatto importante
che riguarda le sue eredità e il suo senso costante di appartenenza che si
avverte nella sua pagina. Una pagina ricca di contrasti ma anche di grandi
armonie.
Ha vissuto la Calabria , quella Calabria
antica di ricordi e fascinosa per il suo tempo passato, come un’eterna
giovinezza ma anche come una costante fuga. Esempio: “In alcuni casi erano
lunghi viaggi di trasferimento, e abitudini e mestieri nuovi”.
Il suo romanzo in cui la
Calabria è un luogo del tempo ma anche uno spazio della
metafora è certamente Il feudo del
1964. Romanzo d’ambientazione ma anche di recupero di ispirazione dei segni in
cui le origini si fanno destino. Ma poi ci sono nel 1978 Dopo il Presidente e nel 1982 Sua
Eccellenza. Mentre Il fratello
orientale è del 1984.
C’è indubbiamente una rottura di stile ma anche di schemi narrativi tra
il romanzo del 1964 e i successivi. Rottura che segna una eterogeneità di
impostazioni narrative nell’ottica della non omologazione della struttura
narrante stessa. Seguire le sue fasi e i suoi passaggi di scrittura, da questo
punto di vista, è un dato non solo critico ma anche di approccio esistenziale
alla letteratura.
I giochi di immagini del primo romanzo sono atmosfere che danno vitalità
alle allegorie, alla inverosimilità della costruzione narrante stessa. Il
Presidente e l’Eccellenza. Il tema del potere e della violenza. Il tema della
ricostruzione di una identità. Il tema dell’uomo non come l’eroe del momento ma
come il sognatore che vive dentro la realtà. Il terrorismo campeggia nelle
pagine di Altomonte. Ed è come dire che questo scrittore non ha mai perso i
contatti con la realtà. Quella realtà degli anni Settanta.
Ma la Calabria
non è un barlume lontano. Ritorna nella sua consapevolezza e vive profondamente
in un suo saggio dedicato, tra i tanti suoi scritti saggistici, a Leonida
Repaci. Un saggio del 1976. La
Calabria qui non è solo un’atmosfera ma è un percorso
storico. Una storia che fa riecheggiare le ombre e le luci di una lunga attesa
tutta trasportata nell’ansia di identificarsi nelle tracce della memoria.
D’altronde Repaci è uno scrittore della storia e non della memoria ma
Altomonte, nonostante tutto, riesce a raccogliere un tracciato fondamentale che
è quello dell’identità non sommersa ma recuperata. Anzi ritrovata. Ma la storia
è sempre lì. La storia che si fa terra, appartenenza, civiltà. Se non fosse
così non avrebbe senso il rapporto tra identità e viaggio nella letteratura e
in particolare, in questo caso specifico, nella letteratura di Altomonte e nel
confronto che Altomonte ha cercato nello studio dedicato a Repaci.
Il saggio su Repaci è un viaggio nella ritrovata calabresità. Ma
Altomonte si distingue soprattutto per quel libro dedicato a Lorenzo dei Medici
del 1982. Ovvero: il Magnifico. Narrativa e riflessione critica. I due aspetti
fondamentali di un unico viaggio
culturale. Ma è il romanzo che in Altomonte si fa voce, destino, appartenenza.
Perché in esso c’è la metafora di un viaggio interiore prima di tutto e poi un
viaggio alla ricerca di una risposta o ancora di un interrogativo esistenziale
tutto giocato tra esistenza e scrittura.
Un viaggio che comunque pone al centro il destino dell’uomo. Città –
paese in Altomonte è anche la metafora di una attesa di viaggio. Molto bella è
questa “visione” tutta realizzata sul profilo dell’allegoria raccordo realtà –
proiezione. Ecco, ancora tratto da “Adolescenza”: “La città, che si dominava
quasi per intero, mostrava fughe di abitazioni giù per le terrazze ulivetate,
verso il mare…”.
Immagini ariose, che restano sulla pagina come “epigrammi” indelebili,
che disegnano forme e danno luce ai colori della sua Calabria geografica e
della sua Calabria dell’anima. Ancora un incrocio tra il visibile e la fantasia
che è sempre fatta di “pezzi” di memoria che non si staccano dall’uomo e dallo
scrittore. Nato a Palmi, 25
novembre 1934 e morto a Roma, 1 gennaio 1987.
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