L’Italia entra in deflazione ad agosto per la prima volta da oltre 50 anni, cioè dal settembre del 1959, quando però l’economia era in forte crescita. Brutte notizie anche per il Pil: la fase di stagnazione continuerà anche nel terzo trimestre del 2014. A lanciare l’allarme della deflazione è l’Istat, che ricorda come allora la variazione dei prezzi risultò negativa dell’1,1%, in una fase di 7 mesi di tassi negativi. Ad agosto 2014 l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat nelle prime stime ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (era +0,1% a luglio). Mentre per quanto riguarda il Pil le previsioni indicano che la crescita nel terzo trimestre sarà compresa in una forchetta che andrà dal +0,2% e il -0,2%. I nuovi dati evidenziano anche come nel secondo trimestre del 2014 sia diminuito dello 0,2 per cento sia rispetto al trimestre precedente, sia nei confronti del secondo trimestre del 2013. L’Italia, dice l’Istat, è in recessione. La stima preliminare diffusa il 6 agosto 2014 scorso aveva rilevato la stessa diminuzione congiunturale e una diminuzione tendenziale dello 0,3%, prosegue l’Istat. Il calo congiunturale del pil italiano nel secondo trimestre deriva dal contributo negativo di domanda estera netta (differenza tra export e import) e investimenti (diminuiti in tre mesi dello 0,9%), solo parzialmente bilanciato dal contributo positivo arrivato invece dai consumi delle famiglie. In dettaglio, la domanda nazionale al netto delle scorte ha sottratto 0,1 punti percentuali alla variazione del Pil. Il contributo è stato positivo per i consumi delle famiglie (0,1 punti percentuali), nullo per la spesa della PA e negativo per gli investimenti fissi lordi (-0,2 punti percentuali). Le scorte e gli oggetti di valore hanno contribuito positivamente alla variazione del Pil (+0,2 punti percentuali), mentre il contributo della domanda estera netta è stato negativo per 0,2 punti percentuali.
A luglio sale la disoccupazione
E intanto la disoccupazione torna a salire e, a luglio, balza al 12,6%, in rialzo di 0,3 punti percentuali su giugno e di 0,5 punti su base annua (circa 71 mila occupati). Seguendo i dati destagionalizzati rilevati dall’Istat, gli occupati a luglio calano di 35 mila unità: in sintesi, è come se si fossero persi più di mille posti di lavoro al giorno. Il tasso di occupazione, pari al 55,6%, diminuisce di 0,1 punti percentuali sia su base mensile che su base annua. Viene così cancellata la flessione del mese precedente, con il tasso che si riporta ai livelli di maggio, appena sotto i massimi storici. Il tasso di disoccupazione aumenta rispetto a giugno sia per la componente maschile (+3,3%), sia per quella femminile (+1,0%) rileva ancora l’Istat. Anche in termini tendenziali il numero di disoccupati, prosegue l’Istituto di statistica, cresce sia tra gli uomini (+0,9%) sia tra le donne (+9,3%). Il tasso di disoccupazione maschile, pari all’11,6%, aumenta di 0,3 punti percentuali su base mensile e di 0,1 punti nei dodici mesi; quello femminile, pari al 13,9%, aumenta di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,1 punti su base annua.
Disoccupazione giovanile: 42,9 per cento
Unica, flebile, nota positiva arriva per i giovani in cerca di lavoro: sempre in rifermento al mese di luglio, il dato riferito alla disoccupazione giovanile è in calo. Mentre, spiega l’Istat, i disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono oltre 700 mila. «I disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 705 mila – si legge nella nota dell’istituto di statistica – L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,8%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,1 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, e’ pari al 42,9%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 2,9 punti nel confronto tendenziale».
Ma che cos'è, la deflazione? Che cosa comporta? Queste le domande a cui, in breve, cerchiamo di offrire una risposta. Per prima la definizione: per deflazione s'intende una diminuzione generale del livello del prezzi, insomma l'esatto opposto dell'inflazione (che, al contrario, pur lieve, sta caratterizzando l'andamento macroeconomico dell'area euro, Italia esclusa).
Meccanismi psicologici - Per deflazione s'intende una discesa generalizzata del costo della vita. Buone notizie, pensate? Non proprio, perché gli effetti del fenomeno sull'economia sono disastrosi. In primis, con la caduta dei prezzi, se pur il conto per i consumatori diventa meno pesante, con la deflazione s'innesca un particolare meccanismo psicologico: rimandare l'acquisto attendendo un ulteriore calo dei prezzi. Stesso discorso per le aziende, che vengono invogliate a rimandare nel tempo gli investimenti produttivi già programmati, con ovvie conseguenze occupazionali. Il rischio, in buona sostanza, è che gran parte delle merci restino invendute in magazzino, che l'economia subisca una paralisi.
Debito pubblico - Ci sono poi le conseguenze relative al debito pubblico, che rischia di schizzare verso l'alto. Il Pil, infatti, aumenta ogni anno in valore assoluto anche grazie all'inflazione e, soprattutto, grazie ai beni e servizi venduti. Dunque, se l'inflazione risulta negativa, anche il Pil sarà destinato a scendere. Di conseguenza il rapporto tra l'indebitamento pubblico e il Pil, storico tallone d'Achille del Belpaese, potrebbe muoversi ancora verso l'alto.
Occupazione - La deflazione, insomma, va combattuta - e subito - con misure efficaci. Il rischio di una pericolosissima spirale è molto elevato. La riduzione dei capitali provenienti dall'attività commerciale, come accennato, si ripercuote a cascata sulla produzione e sterilizza la possibilità di nuove assunzioni. Il concreto rischio è che la già altissima disoccupazione schizzi ancora verso l'alto. Lo spettro della deflazione, in particolare, rischia di assestare un colpo fatale alle imprese che non riescono ad affacciarsi su mercati differenti da quello nostrano: in un mercato stagnante, sarebbero quasi inevitabilmente destinate a una precoce chiusura.
La deflazione è, in macroeconomia, una diminuzione del livello generale dei prezzi[1]. Il fenomeno opposto si definisce inflazione. La deflazione non va confusa con la disinflazione, che descrive semplicemente un rallentamento del tasso di inflazione.
Descrizione
La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, che, in regime di deflazione, sono incentivati a posporre gli acquisti di beni e servizi non indispensabili, con l'aspettativa di ulteriori cali dei prezzi, con l'effetto di innescare una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori.
La riduzione dei prezzi si ripercuote conseguentemente per le imprese sui ricavi, anch'essi generalmente in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.
L'andamento deflativo dei prezzi tende a verificarsi come conseguenza di una recessione economica per la diminuzione della domanda aggregata di beni. Studi empirici più recenti hanno messo però in discussione la relazione tra deflazione e depressione economica[2]. Casi di forte deflazione possono indurre il fenomeno della tesaurizzazione, intesa come incetta dell'unità monetaria della quale si prevede un ulteriore aumento del potere d'acquisto.
Secondo Keynes, in tempi di crisi economica il risparmio è distruttivo perché se tutti risparmiano la domanda aggregata diminuisce ulteriormente e con essa diminuisce la ricchezza in quanto diminuiscono produzione aggregata e occupazione. Dunque, aumentando la massa liquida a disposizione si favorisce la speculazione e non gli investimenti. La tendenza al risparmio e all'accumulazione di denaro sono, sempre secondo Keynes, le caratteristiche peculiari della crisi. In particolare, la relazione empirica tra deflazione e crescita della disoccupazione è stata descritta mediante la Curva di Phillips[3].
Esempi storici
Una situazione di deflazione si verificò in Giappone fra il 2000 e 2006, con la Banca centrale giapponese costretta a fissare un tasso d'interesse allo 0%, per favorire la liquidità circolante.
Nel mese di luglio 2009 la Germania è entrata in deflazione con una contrazione dei prezzi al consumo, secondo una prima stima dell'Ufficio Statistico Federale, del -0,6% su base annua: non succedeva dal 1987. A maggio 2009 è stata rilevata una diminuzione del livello generale dei prezzi negli USA dove, nel periodo maggio 2008- maggio 2009, la deflazione ha fatto registrare un valore uguale a -1,3%.
Nel mese di agosto 2014 l'Italia è entrata in deflazione per la prima volta da oltre 50 anni, cioè dal settembre del 1959[4] [5]. Ad agosto 2014 l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat nelle prime stime ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (era +0,1% a luglio)[6].
A luglio sale la disoccupazione
E intanto la disoccupazione torna a salire e, a luglio, balza al 12,6%, in rialzo di 0,3 punti percentuali su giugno e di 0,5 punti su base annua (circa 71 mila occupati). Seguendo i dati destagionalizzati rilevati dall’Istat, gli occupati a luglio calano di 35 mila unità: in sintesi, è come se si fossero persi più di mille posti di lavoro al giorno. Il tasso di occupazione, pari al 55,6%, diminuisce di 0,1 punti percentuali sia su base mensile che su base annua. Viene così cancellata la flessione del mese precedente, con il tasso che si riporta ai livelli di maggio, appena sotto i massimi storici. Il tasso di disoccupazione aumenta rispetto a giugno sia per la componente maschile (+3,3%), sia per quella femminile (+1,0%) rileva ancora l’Istat. Anche in termini tendenziali il numero di disoccupati, prosegue l’Istituto di statistica, cresce sia tra gli uomini (+0,9%) sia tra le donne (+9,3%). Il tasso di disoccupazione maschile, pari all’11,6%, aumenta di 0,3 punti percentuali su base mensile e di 0,1 punti nei dodici mesi; quello femminile, pari al 13,9%, aumenta di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,1 punti su base annua.
Disoccupazione giovanile: 42,9 per cento
Unica, flebile, nota positiva arriva per i giovani in cerca di lavoro: sempre in rifermento al mese di luglio, il dato riferito alla disoccupazione giovanile è in calo. Mentre, spiega l’Istat, i disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono oltre 700 mila. «I disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 705 mila – si legge nella nota dell’istituto di statistica – L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,8%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,1 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, e’ pari al 42,9%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 2,9 punti nel confronto tendenziale».
Ma che cos'è, la deflazione? Che cosa comporta? Queste le domande a cui, in breve, cerchiamo di offrire una risposta. Per prima la definizione: per deflazione s'intende una diminuzione generale del livello del prezzi, insomma l'esatto opposto dell'inflazione (che, al contrario, pur lieve, sta caratterizzando l'andamento macroeconomico dell'area euro, Italia esclusa).
Meccanismi psicologici - Per deflazione s'intende una discesa generalizzata del costo della vita. Buone notizie, pensate? Non proprio, perché gli effetti del fenomeno sull'economia sono disastrosi. In primis, con la caduta dei prezzi, se pur il conto per i consumatori diventa meno pesante, con la deflazione s'innesca un particolare meccanismo psicologico: rimandare l'acquisto attendendo un ulteriore calo dei prezzi. Stesso discorso per le aziende, che vengono invogliate a rimandare nel tempo gli investimenti produttivi già programmati, con ovvie conseguenze occupazionali. Il rischio, in buona sostanza, è che gran parte delle merci restino invendute in magazzino, che l'economia subisca una paralisi.
Debito pubblico - Ci sono poi le conseguenze relative al debito pubblico, che rischia di schizzare verso l'alto. Il Pil, infatti, aumenta ogni anno in valore assoluto anche grazie all'inflazione e, soprattutto, grazie ai beni e servizi venduti. Dunque, se l'inflazione risulta negativa, anche il Pil sarà destinato a scendere. Di conseguenza il rapporto tra l'indebitamento pubblico e il Pil, storico tallone d'Achille del Belpaese, potrebbe muoversi ancora verso l'alto.
Occupazione - La deflazione, insomma, va combattuta - e subito - con misure efficaci. Il rischio di una pericolosissima spirale è molto elevato. La riduzione dei capitali provenienti dall'attività commerciale, come accennato, si ripercuote a cascata sulla produzione e sterilizza la possibilità di nuove assunzioni. Il concreto rischio è che la già altissima disoccupazione schizzi ancora verso l'alto. Lo spettro della deflazione, in particolare, rischia di assestare un colpo fatale alle imprese che non riescono ad affacciarsi su mercati differenti da quello nostrano: in un mercato stagnante, sarebbero quasi inevitabilmente destinate a una precoce chiusura.
La deflazione è, in macroeconomia, una diminuzione del livello generale dei prezzi[1]. Il fenomeno opposto si definisce inflazione. La deflazione non va confusa con la disinflazione, che descrive semplicemente un rallentamento del tasso di inflazione.
Descrizione
La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, che, in regime di deflazione, sono incentivati a posporre gli acquisti di beni e servizi non indispensabili, con l'aspettativa di ulteriori cali dei prezzi, con l'effetto di innescare una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori.
La riduzione dei prezzi si ripercuote conseguentemente per le imprese sui ricavi, anch'essi generalmente in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.
L'andamento deflativo dei prezzi tende a verificarsi come conseguenza di una recessione economica per la diminuzione della domanda aggregata di beni. Studi empirici più recenti hanno messo però in discussione la relazione tra deflazione e depressione economica[2]. Casi di forte deflazione possono indurre il fenomeno della tesaurizzazione, intesa come incetta dell'unità monetaria della quale si prevede un ulteriore aumento del potere d'acquisto.
Secondo Keynes, in tempi di crisi economica il risparmio è distruttivo perché se tutti risparmiano la domanda aggregata diminuisce ulteriormente e con essa diminuisce la ricchezza in quanto diminuiscono produzione aggregata e occupazione. Dunque, aumentando la massa liquida a disposizione si favorisce la speculazione e non gli investimenti. La tendenza al risparmio e all'accumulazione di denaro sono, sempre secondo Keynes, le caratteristiche peculiari della crisi. In particolare, la relazione empirica tra deflazione e crescita della disoccupazione è stata descritta mediante la Curva di Phillips[3].
Esempi storici
Una situazione di deflazione si verificò in Giappone fra il 2000 e 2006, con la Banca centrale giapponese costretta a fissare un tasso d'interesse allo 0%, per favorire la liquidità circolante.
Nel mese di luglio 2009 la Germania è entrata in deflazione con una contrazione dei prezzi al consumo, secondo una prima stima dell'Ufficio Statistico Federale, del -0,6% su base annua: non succedeva dal 1987. A maggio 2009 è stata rilevata una diminuzione del livello generale dei prezzi negli USA dove, nel periodo maggio 2008- maggio 2009, la deflazione ha fatto registrare un valore uguale a -1,3%.
Nel mese di agosto 2014 l'Italia è entrata in deflazione per la prima volta da oltre 50 anni, cioè dal settembre del 1959[4] [5]. Ad agosto 2014 l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat nelle prime stime ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (era +0,1% a luglio)[6].

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