Giorni e memorie di
secoli fanno ormai storia e le tartarughe sono silenzio tra le solitudine dei
cammini
nella Calabria dei
giorni mai dimenticati
di
Pierfranco Bruni
Il
cancello una volta si apriva al giallo, rosso, viola, verde dei peperoncini ed
era una esplosione di sfumature. Non c’era il colore perfetto perché i colori
non sono perfezione. Bisognava saper cogliere la luce. Anche i peperoncini sono
nello specchio della luce.
Il
giardino era un teatro. Si saliva e si scendeva da una scala inizio Novecento e
si arrivava nella piazza del teatro e in dono si ricevevano le rose come pegno
per una partenza che era sempre segnata dal ritorno.
È
da mesi che ascolto e osservo quel giardino quando nei miei ritorni attraverso
il vento che ha lo spazio di anni custoditi e persi. I peperoncini non ci sono
più e i colori degli alberi non hanno il colore dell’impatto. Non hanno
sfumature le pagine degli alberi.
Riavvolgo
i giorni e ci sono memorie di secoli che fanno ormai storia.
Mio
Capitano, mi avevi lasciato in dono delle tartarughe e mi avevi offerto una
preghiera che era quella di custodirle, non solo lasciandole nel loro
trascorrere le ore nei passaggi delle stagioni.
Mi
rendo conto subito che scrivendo è come se ti scrivessi una nuova lettera, padre
mio, mio Capitano…
Custodire.
Dunque.
Già,
come tu hai custodito per me il nostro giardino e ogni qual volta ritornavo
dalle mie fughe – partenze – ritorni per te era sempre un orgoglio portarmi tra
gli scoppi dei colori. Soprattutto d’estate. E in primavera i gigli alti e in
inverno mi dicevi che bisognava tutti i giorni spazzare le foglie dalle aiole.
Mi
avevi dato in dono delle tartarughe, proprio in quelle sere mentre facevi la
conta dei gradini per raggiungere il settimo piano e ritrovare allora i due
tuoi fratelli e gli zii, come ritornava spesso, in quelle ore, lo zio
Giovannino d’America e dicevi di aver ritrovato il numero telefonico e con lui
ti dovevi mettere in contatto, con zio Adolfo e il Mariano che era stato una
guida, zio Mariano, e sempre impeccabile ironico me lo hai raccontato.
Ma
voi siete stati cinque fratelli che avete anteposto alla leggerezza l’ironia e
la leggerezza, invece, è stata contrapposta alla fatica di vivere, di esistere,
di essere.
Tu,
Adolfo, Mariano, Gino e Pietro.
Cinque
fratelli che hanno solcato il cammino della dignità della lealtà della coerenza
e della nobiltà come è nelle vostri origini.
Ad
una mia domanda sulla leggerezza, tu mio Capitano, mi hai risposto:
“La
leggerezza appartiene al vento e ne fa ciò che ritiene opportuno. Mentre noi
dobbiamo avere tra le mani il vento. Come possiamo fare? Un tempo mi hai
chiesto, e lo facevi spesso quando si andava a Cosenza, di trovarti, in una
libreria di Cosenza, un libro dal titolo ‘Cent’anni di solitudine’. Mi sono domandato
subito: ‘Come fa questo ragazzo a immergersi in un librone in cui si parla
soltanto di solitudine… E poi di una solitudine che ha cento anni…’. Ti ho
anche chiesto ciò. Ricordo. Dopo qualche anno mi lasciasti su uno dei miei
tavoli di lavoro, lo hai fatto appositamente come sempre hai fatto quando
volevi lasciarmi un messaggio senza parlarne, dello stesso autore, un libro in
cui si parlava di un Patriarca. L’ho letto. In un tuo ritorno ti ho anche detto
che se avessi voluto ti saresti potuto riprendere il libro che,
involontariamente, ti eri scordato sul tavolo dove c’è la morsa, nei magazzini…
Non hai replicato, mi hai detto semplicemente: Capitano guidami tra i
peperoncini e raccontami come fare a distinguere l’uno dall’altro a parte i
colori…!”.
Ricordo
perfettamente questo nostro discorrere. Io e te parlavamo. Anche quando le
nostre parole erano impregnate di silenzio. E poi andandotene via hai cercato
di regale alcune cose alle quali tenevi molto. Due tartarughe piccole piccole a
Paolo, qualcuna a Peppino di Terranova e le altre le avevi affidate a me,
quelle piccole, ancora raccomandandomi come non farle morire…
Ebbene,
non sono riuscito a tenere fede ai tuoi propositi. Non ti chiedo scusa,
Capitano mio, ti dico soltanto che sono stato distratto dalle distrazioni e mi
assumo, come sempre, le mie responsabilità… Non ha senso chiedere scusa…Sarebbe
una giustificazione e né tu né io abbiamo amato le giustificazioni…
Sono
andate via prima, d’un colpo, quelle che avevi donato a Paolo e poi quelle che
a me avevi affidato. Erano quattro. Poi si è aggiunta quella che custodiva,
come vita di un ricordo, mia madre che mi era stata consegnata da lei, da mamma
Maria, nei giorni della sua malattia.
Tutte
e tre le tartarughine sono state trovate immobili nel loro silenzio da Virgilio
e Micol in un mattino di agosto. Morte, rigide e ferme tutte e tre nella stessa
posizione. Ed è come se fossero morte insieme perché insieme sono vissute e
insieme sono morte e non so se per solitudine o per il troppo caldo, anche se
la sera prima, tornando dalla Calabria, giocavano a nascondersi sotto la terra e poi ricomparire…
Nel mistero non si cercano spiegazioni…
Erano
tre. Aggiungi, tu che sai cosa sono i simboli e i numeri che hanno sempre fatto
la storia nella tua famiglia Bruni –
Gaudinieri, quelle che, nell’estate di qualche mese prima del tuo colloquiare
con l’aquila, con il sorriso hai regalato a Paolo e il conto ritorna.
Cinque.
In
pochi mesi ti hanno raggiunto.
Prima
due tartarughe come i tuoi fratelli maggiori, Adolfo e Mariano, e poi in fila,
uno dietro l’altro, tu, Pietro e Gino. Non è strana la vita. La vita è
semplicemente un mistero complicato, magico, religiosamente istrionico, perché
il mistero è anche intrappolato dal destino.
Qui
ci fottiamo, mio caro Capitano.
La
nave gigante di Via Carmelitani, e rimane sempre tale, è nelle mie mani, ma io
ancora non riesco ad assumere il grado di Capitano, sembro piuttosto il
guardiano del fare, o l’Ernest che ha scritto il suo essere vecchio nel mare, e
sfogliando pagine e foglie di questa storia dei cinque fratelli ho capito che
tanti fatti, negli anni, non mi sono stati raccontati o che mi sono stati
raccontati ed io ho rimosso.
Mia
madre aspetta, ogni sera, che tu le porti una rosa. Una rosa del nostro
giardino, o quella rosa che porta nel becco l’aquila dello stemma di famiglia. Ed
è mia madre che mi racconta di nonna Giulia Gaudinieri. Proprio lei che è dei
Caracciolo…
Le
hai volute con te. Le tartarughe. Ed hai ancora una volta giocato come si gioca
una partita a poker perfetta.
Prima
due e poi hai rilanciato. Due più tre. Cinque. I tuoi cinque fratelli. Lo hai
fatto perché ogni fratello potesse avere la sua tartaruga con le sue tredici
lune, anzi con le sue 13 lune. Ovvero 1
+ 3. 1 + 3 fa quattro.
Certo,
ma zio Mariano ci potrebbe dimostrare, come sai anche tu, che può fare anche
14. Sono morte il giorno in cui sul calendario compare la data del giorno 14.
Ovvero 1+4. Ma uno più quattro fa cinque, ovvero 5. I cinque fratelli.
Distanziate nel tempo. Le prime due e le ultime tre.
Ritorno
spesso alla simbologia dei numeri. Siamo in una terra in cui Pitagora
raccoglieva gli amori attraverso la conta di quante onde del mare di Magna
Grecia colpivano la Colonna
e poi i numeri hanno un vissuto che ci conduce agli archetipi… Il Colonnello
Agostino Gaudinieri ne conosceva i segreti…
Penso
alla storia della tua e nostra famiglia. E lo so che sei stato sempre il centro
dei cinque fratelli che ti hanno amato con il bene dei fratelli e che tu hai
amato con la dignità dell’amore e della saggezza. Il vero punto di contatto tra
i Bruni e i Gaudinieri. Tra San Lorenzo, Spezzano, Cosenza e la Sardegna e non mancavano
i tuoi pellegrinaggi a Bisignano ed Acri.
Sei
stato tu a parlarmi per primo delle tue radici albanesi discendenti dai
Gaudinieri, diventati Arbereshe, provenienti da Acri e Bisignano.
Ormai
sono mesi che dormo di un sonno vagante e cerco i pensieri per fermare le
parole, o cerco nelle parole di lasciare un pensiero tra pagine di libri per
poi dimenticare il pensiero le parole e il libro stesso tra i tanti che
affollano le mie stanze e la mia mente.
Dopo
due giorni intensi di lavoro nonostante le vigilie del Ferragosto, rincasando
Micol mi è venuta incontro e mi ha semplicemente detto: “Papà, siediti. Ti
dobbiamo dire un fatto. Abbiamo trovato morte le tre tartarughe”.
Ed
io ho chiesto cosa fosse accaduto. “Stamattina Virgilio le ha trovate quasi
imbalsamate…”.
Sono
entrato nella stanza di Virgilio e il suo silenzio è stato una pietra scagliata
nel vento del tempo.
Erano
ancora lì, avvolte in una busta. Le ho riprese. Le ho messe insieme su un
tappeto. Stavano con la testa protesa e le zampette in avanti. Ho osservato la
loro immobilità. Si è immobili, con la morte.
Ho
ripensato alle due tartarughe di Paolo che avevo visto morire qualche mese
prima. L’immobilità è un silenzio che si offre in dono alle pietre del deserto.
Cinque
tartarughe per cinque fratelli.
Ogni
tartaruga tredici lune. Ogni luna per tredici tartarughe che hanno abitato il
mio giardino. Tredici lune per cinque tartarughe sono 65 lune. Ma 6 + 5 non fa
solo sessantacinque. Fa anche 11.
Dalla
mia casa della Calabria io sono ritornato, appunto, il giorno in cui sul
calendario è segnata la data dell’11. Il giorno in cui mi sono fermato davanti
al portone dei Gaudinieri di Spezzano per contare le decorazioni che fanno da
cornice al portone.
I
rosoni che pongono al centro, nella cornice alta, uno stemma e scendono per
tutta l’incorniciato sono 12, ovvero 1 + 3. Le tre tartarughe. Con lo stemma
sono 14 i simboli raffigurati, ma 14 equivale anche a 1+4. I cinque fratelli.
Il
caso non esiste. Sembra che stia dando i numeri o è la fantasia che mi proietta
nella cabala e nel viaggio dei miei simboli sciamanici…
Anzi
sono diventato un venditore di numeri, ma no, sono soltanto un cercatore di
simboli e vivo di immagini riflesse in un immaginario che non è solo
immaginario, ma i cinque fratelli raccontano destini e storie, mistero e
bellezza.
La
bellezza di dare un senso ai simboli…
Ma
tutta la vita è fatta di morte perché è tappezzata di memorie e le memorie non
sono altro che le macerie che la nostra esistenza ha depositato lungo i fiumi
del vivere.
Ascolto
spesso la voce dei cinque fratelli.
E
quell’aquila con la corona sul capo e nel becco una rosa rossa porta nel volo
il canto del mare e di terre che conoscono le dune. Ora le cinque tartarughe
hanno smesso di incontrarsi nell’alba di ogni giornata nuova.
Mio
padre ha fatto in modo di regalare una tartaruga ad ogni fratello e forse la
più piccola l’ha riservata per sé. Come guida. Con il coraggio della sfida. Con
quel coraggio, con quella sfida che non hai mai perso, anche quando il timore
della nave è passato tra le mie mani in un mattino di dicembre, che racconta la
storia dei numeri dispari pur nel calendario del conformismo.
È
vero, il cancello, una volta, si apriva al giallo, viola, rosso verde… dei
peperoncini che giocavano alle luci di un artificio di colori…
Poi
il tempo è passato… E ora siamo rimasti noi a raccontare e a decifrare la vita
che non smette la sua vera sfida…
Ma
la Platea dei
Gaudinieri porta la data del 1851 nella quale si racconta una storia che viene
dal tempo del Barocco…
1851.
Uno più otto fa nove. Cinque più uno fa sei. Uno più otto più cinque più sei
equivale a 15. Il 15 si ha moltiplicando i cinque fratelli per le tre
tartarughe, ma il resto delle altre due?
Ci
sarà un’altra storia e forse altri destini si racconteranno mente osservo il
volo dell’aquila con la rosa rossa nel becco…
I
cinque fratelli disegnano sulle lune delle tartarughe i colori del sole e delle
terre, ed io riempio di ricordi le mie parole..
So
bene che pur riavvolgendo i giorni e le memorie di secoli, che fanno ormai
storia, le tartarughe sono silenzio tra le solitudine dei cammini nella
Calabria dei giorni mai dimenticati…
Alla
fine non si fa altro che assomigliare ai propri padri… Anzi più si invecchia e
più si somiglia al proprio padre… Capitano, O mio Capitano…
Foto: Platea
del 1851, Ingresso Palazzo Gaudinieri a Spezzano Albanese, Virgilio Italo e
Virgilio junior, le tartarughe
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