Per “14 - I diari della grande guerra”, docu-fiction in cui le storie, introdotte da Carlo Lucarelli, ricostruiscono sulla base delle lettere e dei diari scritti al fronte, le vite di uomini e di donne d' Europa in uno dei momenti più drammatici della nostra storia, Rai Cultura propone venerdì 4 luglio, alle 21.15, su Rai Storia – ch. 54 del Digitale terreste e ch.23 TivùSat, "L'attacco". La puntata racconta la fase del conflitto europeo che si trasforma in guerra mondiale. Grecia e Bulgaria, Giappone e Impero ottomano entrano in guerra. Si combatte in Europa, in Africa, di fronte alle isole Falkland e sul pacifico. Più di 20 milioni di uomini sono sotto le armi. I moderni sistemi di armamento si soprappongo alle forme tradizionali. La guerra di movimento si trasforma in guerra di trincea. Il numero di vittime è enorme, i generali non sanno cosa fare. Di fronte a un numero infinito di morti nessuno vuole ritirarsi, al contrario: per vincere è necessario spiegare eserciti ancora più grandi.
Il giornalista 48 enne inglese CHARLES EDWARD MONTAGUE è pacifista, ma la guerra rappresenta per lui la lotta tra la barbarie tedesca e la civiltà occidentale. Non esita quindi a farsi registrare volontario falsificando la sua età: “Avevo una gran voglia di combattere. Come tutti del resto. Il pericolo mi attirava di più… che stare seduto dietro ad una scrivania. Una passione per l’avventura. Per farla breve… volevo un po’ più di vita!”
Allo stesso modo, il giovane ERNST JÜNGER, di Hannover, parte volontario per scappare dalla routine della vita borghese. Con un esame di maturità in tasca si mette in marcia verso il fronte francese: “Al di sopra di tutte queste zone pericolose aleggiava un forte odore di putrefazione. Tuttavia quest’aria così pesante e dolciastra non era disgustosa. Unita all’odore pungente delle cariche esplosive provocava quasi un’eccitazione, come la prova chi sta per essere sfiorato dalla morte. Per questo motivo in quei momenti non avevo paura, ma provavo una grande, quasi demoniaca leggerezza. […]Ogni notte sono di guardia nella trincea più avanzata. Si aspetta di essere attaccati. Sessanta interminabili ore senza dormire, esposti all’umidità e al gelo... i reumatismi qui sono inevitabili. Durante questi turni di guardia si ha molto tempo per pensare. Prima della guerra, come tanti altri, pensavo: distruggiamo tutto ciò che è vecchio! Adesso, invece, mi sembra che la cultura e tutto ciò che è bello sia stato inghiottito dalla guerra. La guerra ha risvegliato in me la nostalgia per la pace perduta”.
Alla disperata ricerca del padre, MARINA YURLOVA incontra il cosacco Kosel che la accoglie nel suo gruppo di soldati, le dà una divisa e le regala una spada. La guerra inizia lentamente a cambiarla: “Non avevo la possibilità di lavarmi e un giorno ho constatato con orrore che i miei vestiti erano pieni di pidocchi. Il giorno dopo Kosel mi ha portato in una piccola baracca bianca al margine del paese. Lì dentro c’era una vasca da bagno, la prima che vedevo da settimane! Dopo essermi lavata, l’acqua sembrava liquame. […] Che strano, più i miei capelli si accorciano più io mi sento forte. Perfino le persone del mio stesso paese non mi potrebbero riconoscere”.
LOUIS BARTHAS costruisce botti nella regione vinicola del Minervois, in Francia. Deve salutare la moglie e i due figli quando viene chiamato sul fronte tedesco-francese. La trincea è la nuova casa per i soldati. Un posto odiato, segnato dalla miseria, dalla fame e dalla morte: “Quando ho visto per la prima volta le trincee c’era un silenzio assoluto. Non uno sparo, non un grido, niente. Era come se mi trovassi sul bordo del cratere di un vulcano. Dentro la terra si nascondevano migliaia di uomini pronti ad uccidersi a vicenda. Ho visto l’orrore sui loro visi, lo sfinimento, la fame. E ho capito che quello sarebbe stato anche il mio destino che la morte sarebbe stata sempre al mio fianco. […] Dopo aver corso per ore nel fango, mi sono reso conto con terrore che i miei stivali si erano riempiti di acqua ghiacciata. E non eravamo neanche arrivati alle nostre trincee dove saremmo rimasti otto giorni e otto notti”.
KARL KASSER ha ventisei anni ed è un agricoltore austriaco. Viene assegnato all’ottantesimo reggimento di fanteria nonostante una malformazione alla mano per la quale era stato riformato anni prima. Adesso l’impero asburgico non può permettersi di essere selettivo e Kasser viene incluso nelle fila dell’esercito: “ Abbiamo camminato due giorni con un tempo orribile senza riposarci, senza dormire. Con un equipaggiamento che pesava 40 chili. Poi ci hanno detto che dovevamo attraversare un acquitrino. Non sembrava così pericoloso. Pensai: “ce la farò ad attraversarlo. Dopo un paio di passi sono sprofondato fino alla pancia. Ho smesso ben presto di cercare di non sprofondare ancora di più. “Rimani fermo così”… ho pensato, guardando i corpi dei camerati che galleggiavano lì intorno… “Succederà la stessa cosa anche a me”. Anch’io farò questa fine miseranda.” Oltre alla paura di morire, le condizioni all’interno delle trincee sono terribili e i soldati iniziano a capire che tutto questo non finirà presto: “Passavamo tutto il giorno a scavare. Ce la facevamo appena, perché la fame non ci dava tregua. Ma dovevamo scavare, non c’era misericordia. Così passavano i giorni… tutti uguali. Da mangiare ci davano una minestra e un pezzo di pane. Ciò stimolava ancora di più il nostro appetito. Avevamo una fame da lupi”.
La precarietà di queste condizioni è un fil rouge presente in molte delle missive che partono dal fronte:
“ E’ incredibile che si possa resistere così a lungo. Non avevo mai mangiato così male in vita mia. La mattina acqua calda, chiamata caffè e poi in continuazione carote, ma cucinate in un modo che anche i maiali le avrebbero schifate.”
“C’erano cadaveri dappertutto, alcuni erano morti da poco, altri da molti giorni. Qui e là spuntavano delle mani dal terreno. Le pesanti ruote del mio carro passavano sopra a quei miseri resti. “ Per la prima volta ho visto morire degli uomini. Il loro sangue macchiava la mia uniforme. Il primo è morto in mezz’ora, l’altro la mattina del giorno dopo.”
“14 - I diari della grande guerra” è una coproduzione internazionale all’interno della programmazione che Rai Storia dedica al centenario della Prima Guerra mondiale, per comprendere e ripercorrere fatti, personaggi, culture e società del tempo.
Il giornalista 48 enne inglese CHARLES EDWARD MONTAGUE è pacifista, ma la guerra rappresenta per lui la lotta tra la barbarie tedesca e la civiltà occidentale. Non esita quindi a farsi registrare volontario falsificando la sua età: “Avevo una gran voglia di combattere. Come tutti del resto. Il pericolo mi attirava di più… che stare seduto dietro ad una scrivania. Una passione per l’avventura. Per farla breve… volevo un po’ più di vita!”
Allo stesso modo, il giovane ERNST JÜNGER, di Hannover, parte volontario per scappare dalla routine della vita borghese. Con un esame di maturità in tasca si mette in marcia verso il fronte francese: “Al di sopra di tutte queste zone pericolose aleggiava un forte odore di putrefazione. Tuttavia quest’aria così pesante e dolciastra non era disgustosa. Unita all’odore pungente delle cariche esplosive provocava quasi un’eccitazione, come la prova chi sta per essere sfiorato dalla morte. Per questo motivo in quei momenti non avevo paura, ma provavo una grande, quasi demoniaca leggerezza. […]Ogni notte sono di guardia nella trincea più avanzata. Si aspetta di essere attaccati. Sessanta interminabili ore senza dormire, esposti all’umidità e al gelo... i reumatismi qui sono inevitabili. Durante questi turni di guardia si ha molto tempo per pensare. Prima della guerra, come tanti altri, pensavo: distruggiamo tutto ciò che è vecchio! Adesso, invece, mi sembra che la cultura e tutto ciò che è bello sia stato inghiottito dalla guerra. La guerra ha risvegliato in me la nostalgia per la pace perduta”.
Alla disperata ricerca del padre, MARINA YURLOVA incontra il cosacco Kosel che la accoglie nel suo gruppo di soldati, le dà una divisa e le regala una spada. La guerra inizia lentamente a cambiarla: “Non avevo la possibilità di lavarmi e un giorno ho constatato con orrore che i miei vestiti erano pieni di pidocchi. Il giorno dopo Kosel mi ha portato in una piccola baracca bianca al margine del paese. Lì dentro c’era una vasca da bagno, la prima che vedevo da settimane! Dopo essermi lavata, l’acqua sembrava liquame. […] Che strano, più i miei capelli si accorciano più io mi sento forte. Perfino le persone del mio stesso paese non mi potrebbero riconoscere”.
LOUIS BARTHAS costruisce botti nella regione vinicola del Minervois, in Francia. Deve salutare la moglie e i due figli quando viene chiamato sul fronte tedesco-francese. La trincea è la nuova casa per i soldati. Un posto odiato, segnato dalla miseria, dalla fame e dalla morte: “Quando ho visto per la prima volta le trincee c’era un silenzio assoluto. Non uno sparo, non un grido, niente. Era come se mi trovassi sul bordo del cratere di un vulcano. Dentro la terra si nascondevano migliaia di uomini pronti ad uccidersi a vicenda. Ho visto l’orrore sui loro visi, lo sfinimento, la fame. E ho capito che quello sarebbe stato anche il mio destino che la morte sarebbe stata sempre al mio fianco. […] Dopo aver corso per ore nel fango, mi sono reso conto con terrore che i miei stivali si erano riempiti di acqua ghiacciata. E non eravamo neanche arrivati alle nostre trincee dove saremmo rimasti otto giorni e otto notti”.
KARL KASSER ha ventisei anni ed è un agricoltore austriaco. Viene assegnato all’ottantesimo reggimento di fanteria nonostante una malformazione alla mano per la quale era stato riformato anni prima. Adesso l’impero asburgico non può permettersi di essere selettivo e Kasser viene incluso nelle fila dell’esercito: “ Abbiamo camminato due giorni con un tempo orribile senza riposarci, senza dormire. Con un equipaggiamento che pesava 40 chili. Poi ci hanno detto che dovevamo attraversare un acquitrino. Non sembrava così pericoloso. Pensai: “ce la farò ad attraversarlo. Dopo un paio di passi sono sprofondato fino alla pancia. Ho smesso ben presto di cercare di non sprofondare ancora di più. “Rimani fermo così”… ho pensato, guardando i corpi dei camerati che galleggiavano lì intorno… “Succederà la stessa cosa anche a me”. Anch’io farò questa fine miseranda.” Oltre alla paura di morire, le condizioni all’interno delle trincee sono terribili e i soldati iniziano a capire che tutto questo non finirà presto: “Passavamo tutto il giorno a scavare. Ce la facevamo appena, perché la fame non ci dava tregua. Ma dovevamo scavare, non c’era misericordia. Così passavano i giorni… tutti uguali. Da mangiare ci davano una minestra e un pezzo di pane. Ciò stimolava ancora di più il nostro appetito. Avevamo una fame da lupi”.
La precarietà di queste condizioni è un fil rouge presente in molte delle missive che partono dal fronte:
“ E’ incredibile che si possa resistere così a lungo. Non avevo mai mangiato così male in vita mia. La mattina acqua calda, chiamata caffè e poi in continuazione carote, ma cucinate in un modo che anche i maiali le avrebbero schifate.”
“C’erano cadaveri dappertutto, alcuni erano morti da poco, altri da molti giorni. Qui e là spuntavano delle mani dal terreno. Le pesanti ruote del mio carro passavano sopra a quei miseri resti. “ Per la prima volta ho visto morire degli uomini. Il loro sangue macchiava la mia uniforme. Il primo è morto in mezz’ora, l’altro la mattina del giorno dopo.”
“14 - I diari della grande guerra” è una coproduzione internazionale all’interno della programmazione che Rai Storia dedica al centenario della Prima Guerra mondiale, per comprendere e ripercorrere fatti, personaggi, culture e società del tempo.
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