Italo Calvino. Ciò che non è stato. Una lettera inedita a Francesco Grisi
di Pierfranco Bruni
Se dovessi tracciare un profilo sistematico o analitico delle opere e dei testi vari (mi riferisco in particolare agli scritti di saggistica) di Italo Calvino, ad una rilettura sistematica del Novecento letterario italiano, dovrei certamente riconsiderare la sua funzione letteraria in un contesto ben preciso che è quello compreso tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta (direi proprio dalla fine degli anni quaranta) e in una temperie caratterizzata dalla forte presenza e prevalenza dell'ideologia sulla letteratura pura, dalla quale ideologia (l'ideologia dentro la letteratura e viceversa) Calvino non si è mai assentato.
Non è un caso che Alberto Asor Rosa lo ha sempre considerato (e su Calvino ha speso molti saggi) "il più grande scrittore italiano del secondo Novecento" (fa fede, in questo mio dire e in questa mia citazione, un lungo articolo di Eugenio Scalari del 2001, attraverso il quale si tenta una ricollocazione del Calvino letto da Asor Rosa, avvalorato, allora, tra l'altro, da una pubblicazione, per molti aspetti significativa, dal titolo: "Lo stile Calvino", nel quale Asor Rosa fa confluire tutti i suoi lavori a cominciare dal 1957 sino al 2000).
Detto ciò non si può prescindere dal fatto che Italo Calvino (1923 – 1985) è stato uno scrittore che ha espresso un modello di fare letteratura ed ha segnato un percorso all'interno stesso di un vissuto letterario. I suoi romanzi o i suoi racconti non sempre hanno puntualizzato l'esperienza motivata da quel punto di partenza, sollevato anche da Asor Rosa, che voleva l'intreccio articolato tra letteratura e società.
Soprattutto nei suoi primi scritti si è tentata la via di far confluire l'ideologia dentro la parola letteraria e dentro un progetto di narrativa realista – fabulistica. Mi riferisco a "Il sentiero dei nidi di ragno" del 1947 e a "Ultimo viene il corvo" del 1949. Qui siamo in pieno "processo" realistico e Calvino (qui sta la sua ambiguità letteraria ed espressiva) spinge verso un linguaggio in cui la cronaca dovrebbe essere prevalente e la rappresentazione, se pur allegorica, di una certa realtà dovrebbe dominare lo scenario della pagina.
Calvino, il più delle volte, sta a metà. Perché la sua scrittura non riesce a spingersi sino in fondo nel campo della "razionalità" ideologica anche se il tutto è intriso di un relativismo non compromissorio ma visibilmente a volte elementare. La contraddizione di Calvino sta proprio nell'incontro – scontro tra la teoria e l'espressione narrativa. Anche ideologicamente si potrebbe considerare uno scrittore di rottura negli ambienti dell'allora imperante comunismo.
I concetti di tempo e di metafora vengono usati con forte incisività a scapito, a volte, dei concetti di storia e descrizione. Usa il medito dell'incastro e del gioco. Una ambiguità letteraria che si consumerà chiaramente nelle sue ultime esperienze narrative: "Se una notte d'inverno un viaggiatore" del 1979 e "Palma" del 1983.
Ma prima di giungere a questi due ultimi testi (che considero significativi esempi di un fare letteratura non "dimezzata") Calvino passa attraverso il percorso de "I nostri antenati" del 1960 (volume che mette insieme "Il visconte dimezzato" del 1952, "Il barone rampante" del 1957, "Il cavaliere inesistente" del 1959).
Poi verranno "La giornata di uno scrutatore" del 1963 che considero un parentesi non consistente, "Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città" sempre del 1963: un altro tentativo di affabulare ma che non rende per quello che si propone, "Le cosmicomiche" del 1965, "Ti con zero" del 1967, "Le città invisibili" del 1972, "Il castello dei destini incrociati" del 1973 ma prima aveva pubblicato, nel 1963, "La speculazione edilizia".
Un intercalare, per questo ho voluto citare in ultimo questo testo del 1963, tra forme incisivamente realistiche e "populistiche" con una testimonianza in cui si vuol far primeggiare la favola. Calvino ha studiato le favole e ha lavorato su un apparato in cui la fiaba costituisce un tracciato di una metafora che raggiunge il lettore più di una immediata descrizione. E da questo punto di vista la sua operazione è stata intelligente ma anche la fiaba non la si può contestualizzare. Resta significativa e di straordinaria importanza se si riesce ad inserire nella visione che si vuole interpretare una decontestualizzazione.
Calvino, tra i suoi testi di saggistica (cito soltanto: "Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società" del 1980 e il testo postumo "Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio" del 1988) ha scritto un libro dal titolo "Sulla fiaba" che considero il suo migliore lavoro. Perché non solo offre una struttura teorica alla fiaba ma si allontana dal quell'intreccio tra società e letteratura e rende alla parola la sua purezza e la sua affascinante genuinità.
C'è un passo che reputo fondamentale e che dovrebbe fare da sfondo ad una rilettura dell'opera compressiva di Calvino. Infatti egli sottolinea: "Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a inseguire il fulminoso percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo. Nella mia predilezione per l'avventura e la fiaba cercavo sempre l'equivalente di una energia interiore, d'un movimento della mente". Ma ciò, comunque, si contraddice con un'altra osservazione dello stesso Calvino quando afferma: "Appartengo all'ultima generazione che ha creduto a un disegno di letteratura inserito in un disegno di società".
L'ambiguità letteraria è "modus" caratteriale di uno scrittore che si è diviso tra l'ideologia di quegli anni di imperante politicizzazione (la sua formazione e il suo impegno testimoniano), i quali non hanno contribuito alla forza di uno scrittore – simbolo letterario, e la riconsiderazione di una metafora che resta la vera anima della letteratura. Riporto una lettera di Calvino a Francesco Grisi. Va riletta per capire anche l'uomo e lo scrittore.
Non credo che sia il più importante scrittore come lo ha definito Asor Rosa. Stereotipi che andrebbero non accettati sul piano critico e di una analisi squisitamente dialettica.

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