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"Se muore il Sud", la dura reprimenda di Stella alla malapolitica meridionale

Polistena (Reggio Calabria) - «Il padre nostro, la preghiera che esprime la fede cristiana conta 56 parole; un’autorizzazione rilasciata ad un signore di Messina ad allevare 2 cardellini ne ha contate ben 523!». Esordisce così Gian Antonio Stella,  editorialista del Corriere della Sera ed autore, assieme a Sergio Rizzo, del libro “Se muore il Sud” presentato per l’occasione a Polistena in compagnia del senatore Nicola Morra e del moderatore Fabio Auddino. 
Un racconto - quello del giornalista di Asolo – pregno delle tante italiche contraddizioni che attanagliano atavicamente il nostro paese ed il sud in particolare lasciato, sembrerebbe quasi intenzionalmente, nel pantano dell’immobilismo e dello spreco delle tante possibilità di riscatto che pur ci sarebbero. Una inchiesta racchiusa in un libro che ha il sapore della beffa, condotta col piglio degli investigatori e con lo zelo dei giornalisti, quella del collaudato duo Rizzo-Stella, che racconta ancora una volta di storture bizzarre, talora ridicole se non fosse per la tragicità dei risultati: vincoli paesaggistici sul pitosforo in un giardino privato, 11 pagine di protocollo per consentire l’allevamento di due cardellini che fanno da contraltare ad un fiume di soldi pubblici ingoiati dalla pedanteria statale e dal malaffare. 

«L’oppressione della burocrazia – riprende Stella – è mortale nella nostra vita e nella nostra società e dovrebbe essere la prima e più importante riforma, a costo zero, di ogni governo alla guida della cosa pubblica. Si muoverebbe così una guerra ad una casta forse più potente della stessa classe politica. D’altronde i burocrati – osserva – sono contigui al potere, servono alla politica che troppe volte ha espresso una classe dirigente mediocre, inetta a dare risposte. L’interesse di tutti è che la macchina statale funzioni ma non è lo stesso interesse dei burocrati che vedrebbero venir meno il loro stesso esistere: dunque è evidente che l’interesse particolare dei burocrati confligge con quello collettivo». 

Ed il sud troppo spesso si avvita su se stesso, assolutamente mancando di sfruttare il pieno potenziale di sviluppo che il suo immenso patrimonio culturale e territoriale gli porta in dote. E le cause sono quasi sempre riconducibili alla pessima classe dirigente che ha espresso nel tempo. 

«La scelta della classe dirigente è fondamentale. Qui in Calabria – continua Stella portando un esempio - avete un consiglio regionale composto per lo più da medici. Che vuol dire? Che il professionista sfrutta il suo ruolo per avere un beneficio politico, attinge al suo bacino di pazienti per avere consenso. Quindi si fa leva sulla salute per ottenere l’elezione alla carica, indipendentemente dalle reali capacità politiche». 

Un’arringa pungente, sferzante, che ha avuto come interesse non quello più immediatamente semplicistico di affossare una parte d’Italia, ritenuta al contrario indispensabile per il salvataggio dell’intero paese; semmai quello di mettere fatalmente il meridione di fronte alle sue colpe per spronarne il riscatto. 

«Ci sono un po’ ovunque in Italia, ma in particolar modo al sud, diritti perversi che si danno come acquisiti. Penso allo stipendio del segretario generale dell’Assemblea Regionale Siciliana con i suoi 650.000 euro annui: il triplo di quello del Presidente della Repubblica! Ecco, c’è il dovere sacrosanto di andare a toccare questi diritti che non sono affatto acquisiti a vita. E’ un dovere di equità sociale che dobbiamo ai nostri figli!» Sono questi i paradossi che svantaggiano il sud «ingabbiato – prosegue la firma del Corriere - in una rete fatta di burocrazia e clientele che lo mettono in una condizione difficilissima». 

E quel che è peggio è che ci sono in Europa altre realtà fors’anche più sfavorite del meridione italiano che hanno saputo risollevarsi ed addirittura superarlo in competitività e sviluppo. Un esempio concreto? La regione dello Yugozapaden in Bulgaria che in dieci anni (2000-2010) ha avuto – grazie ad un’accelerazione liberista impressionante – un recupero di reddito e di sviluppo superiore a quello di tutte le nostre regioni meridionali tanto da surclassarle. E questo dovrebbe far ben riflettere». 

Tanto “merito” in questo disastro hanno avuto anche i predoni imprenditori del nord, chiarisce Stella, che hanno volutamente ritenuto il sud come un serbatoio, «una terra da sfruttare solo per fare buoni affari». 

Ma Stella ha anche avuto parole di fuoco sul mancato impiego delle donne e sul ruolo volutamente marginale a cui sono relegate nell’ambito dei centri di potere, ed è voluto ritornare anche sulla querelle sanremese quando ha citato mons. Bregantini e la locride chiarendo che «la mafia ha bisogno di degrado per proliferare, nel senso che in una realtà deteriorata il rischio dell’abitudine al brutto è più accentuato. Ed è questo riscatto che bisogna cercare». 

Ed ancora sulla Calabria: «Solo il 4,1% del pil nazionale viene dal turismo e di questo la Calabria contribuisce col la 147a parte. Cioè niente. Qui, dai vostri beni culturali e museali, penso ai bronzi, avete ricavato in un anno solo 27.000 euro!» Allora la ricetta che offre Gian Antonio Stella per invertire la rotta è tutto sommato semplice: «occorre fare le 4-5 riforme serie e necessarie per rischiare di ripartire. Perché l’Italia è un paese che possiamo, tutti assieme, recuperare davvero. Ma solo se ricominciamo da una critica rilettura della nostra stessa società». 

E con una chiosa sconsolata rileva anche che «del sud e della sua “questione” la politica nazionale anestetizzata sembra non volersi interessare, quasi girandosi dall’altra parte. Ma sia chiaro – avverte – che se muore il sud si spegne l’Italia ».

Giuseppe Campisi   

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