di Pierfranco Bruni - L’utile e il superfluo sono diventati ormai due modelli “culturali” in una società dalle radici perdute. È come se fosse un bilanciamento del necessario e del “relativo” bisogno. I processi storici si consumano quotidianamente tra il presente e la presunzione dell’aspettativa di futuro. Ma tra questi due estremi insiste una cultura dell’umanesimo, che ha sempre meno immaginario, ma ha sempre più consistenza soprattutto nella lacerazione dei valori accantonati e mai sconfitti che la modernità ha appeso ai tentacoli dell’oblio.
Insiste, comunque, ed è invasivo, un modello relativista che ha trovato nell’ottimismo della ragione della leggerezza una sua chiave di lettura straziante. Siamo in un tempo che ha sempre più bisogno del pessimismo della coscienza. Proprio per questo non possiamo, pedagogicamente, rappresentarci con la ragione della leggerezza.
Il problema è ancora sottovalutato, ma tra il bisogno e il necessario la rappresentazione della volontà forte, di quella volontà autorevole, che è al di al del bene e del male, deve poter sconfiggere l’ottimismo della ragione per far discutere, in modo particolare le nuove generazioni, che provengono da un mondo scolastico superficiale e approssimativo, sull’etica del pessimismo del pensiero, sul senso dell’etica – morale, sulla morale non come tecnica ma come a – priori metafisicità.
La morale è nella metafisica. Il relativismo incombe, ma questo che noi chiamiamo relativismo non è altro che il legame, in sintesi, tra la cultura cristiana e quella marxista, che tradotta in termini ontologici ed economici è l’incontro tra due movimenti storici.
Il movimento storico che si serve della fede - sacro. Il movimento storico che si serve del materialismo ateo. La lacerazione dell’umanesimo come cultura della spiritualità o del pensiero forte, e mai leggero, ha sempre dovuto scontrarsi con l’Illuminismo del negativo che è incarnato dalla ragione cristiana e dalla ragione marxista.
La filosofia non è teologia. Il rischio che stiamo correndo è che la teologia del cattomarxismo trova la sua deriva proprio nel relativismo. L’attuale potere cattolico, con lo scardinamento di Benedetto XVI, è al trionfo dell’effimero e dell’angoscia del relativo. Siamo, in questo particolare momento, in quella frattura che Heri Laborit, ha definito legame “cristiano – marxista”.
Infatti egli sottolineava: “I cristiani – marxisti hanno trovato in Marx la descrizione di alcuni meccanismo che portano allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, e sono stati sedotti dalla somiglianza degli obiettivi perseguiti”. È di sicura attualità. Ma ciò ci impegna, come persone, e non come individui, a perseguire una cultura del pessimismo, mai della ragione, dell’essere e questa non può che trovare la sua giusta e normale “pesantezza”.
Ma non è tempo di effimero e di restare sospesi nella incongruità del leggero. Siamo persone che attraversano il triste contesto della supremazia della ragione sull’essere. E le responsabilità ci sono tutte da parte di un mondo cattolico e della Chiesa che usano l’esercizio della cultura trasformando l’impegno in un progressivo modello di etica del “progresso”. Non conoscono più il deserto, la metafora del deserto, la realtà del deserto e la contemplazione del silenzio.
La Chiesa non può considerarsi “progressista”. La Chiesa è nella tradizione. Ma questo mondo cattolico tout court ha come principio la trasposizione del “messianesimo” e del “samaritismo” in relativismo nel marxismo mai sconfitto.
Un dato certo era quando Benedetto XVI sosteneva che: “Avvertiamo tutti il bisogno di speranza, ma non di una speranza qualsiasi”. Oppure quando sottolineava: “…il relativismo è diventato una sorta di dogma…”. Non abbiamo bisogno di una speranza qualsiasi. Non abbiamo bisogno del relativo per capire il tempo in cui viviamo.
La Chiesa non deve fare un passo avanti. Ne dovrebbe fare tre indietro. Le società si adeguano al cambiamento delle transizioni. La cultura dell’umanesimo, dentro il mondo cristiano, deve restare fedele e coerente a dei principi eterni, altrimenti gli stessi concetti di eterno e di infinito andrebbero messi in discussione. Ma sono due mondi a sé, ormai. Quello del vero umanesimo (che ha al centro la persona) e quello della Chiesa che ha come riferimento il processo debole e leggero verso il l’individuo progressista, ovvero il destino del cristiano-marxista.
Pierfranco Bruni
Insiste, comunque, ed è invasivo, un modello relativista che ha trovato nell’ottimismo della ragione della leggerezza una sua chiave di lettura straziante. Siamo in un tempo che ha sempre più bisogno del pessimismo della coscienza. Proprio per questo non possiamo, pedagogicamente, rappresentarci con la ragione della leggerezza.
Il problema è ancora sottovalutato, ma tra il bisogno e il necessario la rappresentazione della volontà forte, di quella volontà autorevole, che è al di al del bene e del male, deve poter sconfiggere l’ottimismo della ragione per far discutere, in modo particolare le nuove generazioni, che provengono da un mondo scolastico superficiale e approssimativo, sull’etica del pessimismo del pensiero, sul senso dell’etica – morale, sulla morale non come tecnica ma come a – priori metafisicità.
La morale è nella metafisica. Il relativismo incombe, ma questo che noi chiamiamo relativismo non è altro che il legame, in sintesi, tra la cultura cristiana e quella marxista, che tradotta in termini ontologici ed economici è l’incontro tra due movimenti storici.
Il movimento storico che si serve della fede - sacro. Il movimento storico che si serve del materialismo ateo. La lacerazione dell’umanesimo come cultura della spiritualità o del pensiero forte, e mai leggero, ha sempre dovuto scontrarsi con l’Illuminismo del negativo che è incarnato dalla ragione cristiana e dalla ragione marxista.
La filosofia non è teologia. Il rischio che stiamo correndo è che la teologia del cattomarxismo trova la sua deriva proprio nel relativismo. L’attuale potere cattolico, con lo scardinamento di Benedetto XVI, è al trionfo dell’effimero e dell’angoscia del relativo. Siamo, in questo particolare momento, in quella frattura che Heri Laborit, ha definito legame “cristiano – marxista”.
Infatti egli sottolineava: “I cristiani – marxisti hanno trovato in Marx la descrizione di alcuni meccanismo che portano allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, e sono stati sedotti dalla somiglianza degli obiettivi perseguiti”. È di sicura attualità. Ma ciò ci impegna, come persone, e non come individui, a perseguire una cultura del pessimismo, mai della ragione, dell’essere e questa non può che trovare la sua giusta e normale “pesantezza”.
Ma non è tempo di effimero e di restare sospesi nella incongruità del leggero. Siamo persone che attraversano il triste contesto della supremazia della ragione sull’essere. E le responsabilità ci sono tutte da parte di un mondo cattolico e della Chiesa che usano l’esercizio della cultura trasformando l’impegno in un progressivo modello di etica del “progresso”. Non conoscono più il deserto, la metafora del deserto, la realtà del deserto e la contemplazione del silenzio.
La Chiesa non può considerarsi “progressista”. La Chiesa è nella tradizione. Ma questo mondo cattolico tout court ha come principio la trasposizione del “messianesimo” e del “samaritismo” in relativismo nel marxismo mai sconfitto.
Un dato certo era quando Benedetto XVI sosteneva che: “Avvertiamo tutti il bisogno di speranza, ma non di una speranza qualsiasi”. Oppure quando sottolineava: “…il relativismo è diventato una sorta di dogma…”. Non abbiamo bisogno di una speranza qualsiasi. Non abbiamo bisogno del relativo per capire il tempo in cui viviamo.
La Chiesa non deve fare un passo avanti. Ne dovrebbe fare tre indietro. Le società si adeguano al cambiamento delle transizioni. La cultura dell’umanesimo, dentro il mondo cristiano, deve restare fedele e coerente a dei principi eterni, altrimenti gli stessi concetti di eterno e di infinito andrebbero messi in discussione. Ma sono due mondi a sé, ormai. Quello del vero umanesimo (che ha al centro la persona) e quello della Chiesa che ha come riferimento il processo debole e leggero verso il l’individuo progressista, ovvero il destino del cristiano-marxista.
Pierfranco Bruni
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