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Il Novecento poetico non si serve di Dante e Petrarca ma ritorna a Saffo e recupera Boccaccio - di Pierfranco Bruni


Il Novecento poetico non si serve di Dante e Petrarca ma ritorna  a Saffo e recupera Boccaccio

Andiamo oltre le antologie scolastiche

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

      Il metro di comparazione tra "Chiare, fresche e dolci acque…" di Francesco Petrarca e "Tanto gentile e tanto onesta pare…" di Dante Alighieri non è soltanto di natura storico – culturale, ma ha riferimenti rigorosamente letterari, che hanno una valenza sia lirica sia strutturale sulla base di una verifica del verso.

La poesia del Novecento ha un indirizzo ben preciso che trova, comunque, le sue radici sia in Dante e, in modo particolare, in Tetrarca: questo è ciò che si deduce dalle antologie e dalle storie della letteratura. Ma non è così.

Se si affrontano i testi poetici, se si lavoro non di terza mano ma in forma diretta. Voglio dire che leggendo Cardarelli, faccio un esempio, Dante non c'è mai stato. Tra i suoi versi il frammento di Saffo si intaglia nell'amore che è insulto e passione. Persino Saba recupera Saffo. E poi c'è tutto la linea che va da Penna a Pavese. Petrarca è distante.

I poeti lavorano anche sui personaggi. Anzi creano un immaginario intorno ai personaggi. Il personaggio della modernità resta Fiammetta di Boccaccio. Non ci sono dubbi. Fiammetta è la donna amore, la donna puttana, la donna amante, la donna vita. È la donna che vive nella poesia del Novecento. Beatrice è soltanto noia e Laura è malinconia.  

      L'unico elemento che accomuna Dante e Petrarca è il concetto di donna angelicata, anche se in Petrarca il pensiero tra letteratura e vita assume una valenza più definita sul piano spirituale. La poesia e la forma di Dante sono molto classici. Le sue opere inaugurano un nuovo stile, in quanto esprimono una diversa direzione dell'amore trobadorico poiché tendono alla perfezione dell'amore celeste.

      Per Dante l'amore era una aggettivazione di un elemento della natura che portava, in forme allegoriche, alla salvezza dell'anima. Il poeta attribuisce sensi teologi all'amore. La donna diviene il simbolo della teologia, così amore per la donna e amore per Dio diventano identici.

      Nel componimento "Tanto gentile e tanto onesta pare" sia la prosa sia il sonetto contengono la raffigurazione dell'ideale femminile. Questa opera si differenzia dalla canzone di Petrarca "Chiare, fresche e dolci acque" oltre che per le tematiche centrali, anche nella metrica. "Tanto gentile e onesta pare" è un sonetto. Cioè un componimento poetico, formato da quattordici versi, generalmente endecasillabi, distribuiti in due quartine seguite da due terzine, variamente rimati.

      Per Petrarca, a differenza di Dante, l'amore è un sentimento capace di forti emozioni passionali. Le sue poesie sono caratterizzate da varie tematiche ma al centro della canzone "Chiare, fresche e dolci acque" vi è l'evocazione della donna attraverso il movimento della memoria. Una donna, che non è una creatura sovrannaturale come per Dante, ma essendo immersa nel fluire della temporalità ne subisce la forza distruttrice.

      In Petrarca vi è un lessico selezionato e una scorrevolezza musicale. Come citavo precedentemente "Chiare, fresche e dolci acque" è una canzone è quindi un componimento di origine romanza. E' formata da varie stanze e da un commiato in versi endecasillabi o in endecasillabi alternati a settenari, con ricorrenze linguistiche e clausole ritmiche costanti. Questa canzone accomuna con leggere sfumature Dante e Petrarca.

      Nell'opera in questione compaiono motivi di ascendenza stilnovistica e dantesca, la donna è vista come mediatrice tra l'uomo e il cielo. In realtà, in Petrarca scompaiono i significati teologi della poesia dantesca. Il tutto è immerso in una dimensione psicologica del sogno pensato come sogno. Inoltre, la mediazione della donna è una semplice ma raffinata metafora letteraria. Ma poi arriva Boccaccio, il quale rompe la testa sia a Dante sia alle sue ipocrisie sia al pavido Petrarca. Boccaccia non è neppure Rinascimento. È Novecento. Pasolini insegna.

Di metafora letteraria è ricca la poesia italiana del Novecento. Una metafora tutta giocata tra l'amore, nelle sue varie forme, e la donna nelle sue tante immagini simboliche.

Tutto questo che ho affermato finora è prettamente scolastico. Ma il Novecento poetico che inizia con "La pioggia nel pineto" di D'Annunzio non si presta a spiegazioni o a un modulario didattico. Nella poesia del Novecento non c'è la grazia dell'angelicato, non ci sono le dolcezze dell'acqua… C'è l'eros, l'attrazione, la nostalgia come dissolvenza, l'ulissismo come morte e partenza e ritorno e ripartenza…

Pascoli non è più Dante e neppure Omero. Pascoli innova con Calipso che vive l'eros di Fiammetta e recita la poesia come amore. oltre Abelardo ma nell'eros di Eloisa.

Ungaretti preannuncia il vizio assurdo. Soltanto Pound si intromette in Dante ma è un Dante che non è stile nuovo e tanto meno dolcezza. I versi dedicati a Clara (l'incipit del canto) sono nella trasparenza di un Novecento senza Guelfi e Ghibellini.

L'incoerenza di Dante si trasforma in Pound nella coerenza della rivolta e nella pazzia del sogno non sognato ma che riesce ad uccidere la realtà. Insomma il discorso è complesso. Ma smettiamola di far derivare tutta la poesia da Dante. È un falso positivo. Beatrice è una nenia che non interessa il Novecento. Laura è una penitente amorosa. Saffo è poeta ma anche personaggio. Eloisa è la trasmigratrice che porta il sogno oltre il peccato.

Andiamo oltre le antologie scolastiche e i vari commenti. Entriamo con la nostra vita nei testi. Capiremo non ciò che gli altri hanno voluto farci capire ma ciò che c'è di vero.

 




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Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
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