Carissimi
fratelli,
1. Inizio il
mio ministero a Reggio Cal. ricordando le parole di Paolo: approdammo a
Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio
(At 28, 12)
Tale ricordo
mi ha spinto a confrontarmi idealmente con lui, con il suo amore a Cristo, con
la sua personalità di apostolo, con il suo coraggio ed entusiasmo. La liturgia
ci ha offerto un brano della lettera agli Efesini, che è un richiamo forte per
la nostra vocazione cristiana e per la fedeltà alla missione affidata a
chierici e a laici nella comunità ecclesiale.
Voglio
offrirvi altri richiami dell’Apostolo, basilari per la missione che ho appena
iniziata.
* Vivo nella
fede del Figlio di Dio, che mi ha amato (Gal 2, 20)
E’ il motto
del mio episcopato. Afferma che la fede è risposta all’amore di Dio rivelato
nel Figlio, che ha dato la sua vita per noi. Se Gesù non è al centro, vita
cristiana e ministero pastorale si svuotano e noi meriteremmo il rimprovero di
Paolo per aver ceduto al mondo ed esserci piegati come canne al soffio di ogni
vento di dottrine nuove. Rischio terribile per i credenti in questa fase di
scristianizzazione e di secolarizzazione.
* Noi
predichiamo Cristo crocifisso, scandalo e follia per chi non crede (1 Cor 1, 23)
Ricorda il
coraggio di Paolo nello sfidare la società del tempo, che considerava follia il
messaggio cristiano. Il Dio ignoto che annunciò all’areopago e per tutta la
vita era il crocifisso risorto. Affrontò perciò persecuzioni e derisione, senza
mai ricredersi. Il Crocifisso risorto era la verità necessaria per la salvezza
del mondo, anche se alla sapienza del mondo appariva una favola. Accettò il
confronto con la sapienza del tempo senza cedere mai nella dottrina che annunciava,
e nello stesso tempo si sentì a pieno titolo cittadino della società che lo
perseguitava: civis romanus sum.
* So a chi
ho dato fiducia (2Tm 1,12)
Alla fine
della vita Paolo tira le somme del suo percorso di apostolo (ho combattuto
la buona battaglia, ho finito il mio percorso, ho mantenuto la fede: 2Tm 4,
8) ed esce in questo grido felice: So a chi ho dato fiducia: felice di
essere stato l’apostolo di Gesù, nonostante le difficoltà attraversate.
2. Miei
cari, queste parole di Paolo ci portano alle origini della missione della
Chiesa. Oggi più che mai un vescovo che inizia la sua missione in una Diocesi
deve guardare a quelle origini, quando la Chiesa era ancora piccolo seme e la
sua forza era l’annuncio di Cristo e la testimonianza del Vangelo; quando chi
chiedeva i sacramenti non li riceveva per tradizione o fattore culturale, ma
per scelta di vita; quando la Chiesa non cercava protezioni, ma accettava di
essere minoranza perseguitata e si opponeva alla cultura dominante con la forza
del Vangelo, pagando con il martirio la fedeltà ad esso. Quella Chiesa cambiò
il mondo e lo cristianizzò. Poi, forse si adagiò su questa conquista ed ha
perso la forza dell’annuncio e della testimonianza.
3.
Carissimi, io vi ringrazio per l’accoglienza ricevuta. Nonostante la
secolarizzazione e la scristianizzazione, l’arrivo di un nuovo vescovo
costituisce ancora per una città un fatto importante.
Ringrazio
gli eccellentissimi Vescovi qui presenti, in modo particolare Mons. Mondello,
al quale va tutta la mia stima, la mia fiducia, la mia venerazione per il
servizio reso a questa Chiesa per tanti anni. Solo il Signore potrà
ricompensarlo. Ringrazio per la loro presenza il Sig. Prefetto, i Commissari e
il sindaco di Bova, il presidente della Regione e della Provincia, tutte le
altre autorità politiche, civili e militari, i rappresentanti delle varie
istituzioni, i sindaci della Diocesi, il Sindaco di Locri, che mi ha voluto
accompagnare. Siete qui per rendere omaggio all’istituzione Chiesa, grati per
quanto essa dà alla società in termini di formazione, di cultura, di servizi di
carità.
Ringrazio
tutti voi sacerdoti, diaconi, religiosi e popolo di Dio per l’affetto che mi
state dimostrando. Questo è l’incontro di partenza, che prelude a quelli futuri
più personalizzati, durante i quali cercherò di ascoltare e di parlare, cuore a
cuore, per capirci ed entrare in sintonia.
Ma la
solennità esteriore di questo momento può essere un indicatore sicuro
dell’adesione ai contenuti della missione della Chiesa e al Vangelo che
annunzia? Posso essere tranquillo della genuinità della fede della folla che
acclama e segue osannante i riti che celebriamo?
No, perché
se mi fermo sul grave problema da affrontare, cioè la sfida della
secolarizzazione, approdo della fine della cristianità, allora mi rendo conto
che compito principale oggi per un vescovo è quello di aiutare i suoi fedeli a
guardare la propria fede e la propria vita e a scoprire la drammatica dicotomia
che esiste in tanti tra il rito e la vita, tra la devozione e le scelte morali,
spesso influenzate dal pensiero secolare. Sento forti le parole di Ezechiele e
di Gesù sul pastore che non può star chiuso nell’ovile a bearsi del belato
delle pecore che stanno con lui; deve andare incontro a tutte quelle che stanno
fuori, per scelta o per ignoranza: le radunerò da tutte le regioni.
Il nemico
radicale della fede oggi, la secolarizzazione, si annida anche nel cuore dei
credenti. Basta guardarsi attorno per rendersi conto della grave dicotomia. I
mali che affliggono la nostra società non derivano dalle scelte antievangeliche
che i cristiani fanno? Gli stessi scandali dati dagli uomini di Chiesa non ci
allertano su di una mentalità secolare che alligna ormai anche nella Chiesa?
Tutto ciò spinge oggi la Chiesa ad un cambiamento radicale nel modo di svolgere
la missione, di rapportarsi alle istituzioni, nel modo come i credenti possono
e debbono essere cristiani coerenti e cittadini fedeli alle istituzioni. E ciò
non è solo questione di forma, ma di sostanza.
4. Né
possiamo illuderci della tenuta della religiosità popolare che con i suoi riti,
le sue feste, la sacramentalità diffusa, finisce spesso per essere solo un velo
che copre tale sfida, distraendo da essa la nostra attenzione, tanto da
illuderci che la secolarizzazione da noi non sia ancora giunta. E’ invece vero
che nel cuore della pietà popolare spesso è assente la scelta vera di Gesù
Cristo come ideale e modello di vita. Dinanzi alla gravità della sfida secolare
Benedetto XVI ha indetto l’anno della fede.
Ci troviamo,
pertanto, in questa difficile situazione: da una parte gestire una religiosità
di massa che aveva significato nel contesto di quella cristianità, apice
dell’azione evangelizzatrice della Chiesa in Europa, ormai cessata; e
dall’altra riannunciare Gesù e il suo Vangelo, sentendo tutta la difficoltà nel
proclamare tale annunzio, che in molti punti contrasta radicalmente con alcune
decisioni della società secolare. Dobbiamo allora essere consapevoli, miei cari
sacerdoti e laici impegnati, che dobbiamo riportare Gesù al centro del nostro
annunzio e della nostra pastorale, con tutte le difficoltà che ciò comporta.
Trovare in lui la forza per andare contro corrente e per sentirsi soddisfatti
anche quando saremo incompresi e derisi. Sentire tutta la gravità dell’Apostolo
quando dice: noi predichiamo Cristo crocifisso.
Sulla
fedeltà a Gesù non possiamo cedere di un passo, costi quel che costi, disposti
ad andare controcorrente, a scegliere di essere minoranza, ad essere ritenuti
fuori del mondo e arretrati nel fluire veloce della storia. E tale fedeltà a
Gesù non riguarda solo i valori condivisi dalla società secolarizzata, ma anche
quelli oramai respinti da essa: la difesa della vita, dalla nascita alla sua
fine naturale, la difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e
donna, l’annuncio del perdono e della riconciliazione, l’educazione all’amore e
alla sessualità, la difesa della legge naturale, ed altri.
Sappiamo che
su questi temi il confronto con la società secolare sarà duro e difficile, ma
non possiamo cedere, per rimanere fedeli a Gesù, consapevoli altresì che alcuni
di questi temi possono essere condivisi sulla base di un confronto razionale
anche da chi non crede. Le difficoltà aumentano per il fatto che dovremo
lavorare anche su tanti sedicenti cristiani, che ormai hanno sposato il
pensiero secolare e lo vogliono far convivere con le devozioni e i riti sacri
della tradizione, arrivando ad aberranti commistioni, come quella tra sacro e
criminalità organizzata.
Miei cari,
insisterò moltissimo su questo punto nella mia azione pastorale. E’ necessario
che i cristiani si scuotano e comprendano che non si può più andare avanti in
questa grave commistione.
5. Nella
società secolarizzata la Chiesa è accolta e osannata per il suo servizio di
carità. Ma a noi ciò non basta. Essa, come ha ricordato papa Francesco, non è
una onlus di beneficenza, ma una comunità di fede che annuncia Gesù morto e
risorto. E allora vogliamo essere accettati come comunità di fede che pretende
di essere ascoltata e rispettata per i valori che propone nel segno della sua
fedeltà a Cristo. Ciò non vuol dire che non continueremo a dare impulso alla
Caritas diocesana, presente sul territorio in tanti modi e forme, generate in
parte dal santo sacerdote don Italo Calabrò. Ma l’azione di carità della Chiesa
parte dalla fede in Gesù. In don Italo l’amore a Cristo ha partorito la sua
azione sociale, così come quella di S. Francesco di Paola. Proprio perché
amiamo Gesù, rivolgo a tutti i sofferenti e malati la nostra solidarietà e
l’umile richiesta della loro preghiera. Il nostro impegno per loro continuerà.
Oggi il disagio di tante famiglie per la perdita del lavoro e per la crisi
drammatica che viviamo interpella tutti. Nessuna istituzione può giocare sulla
pelle della gente, ma assieme bisogna impegnarsi per attenuare il disagio,
procurando soprattutto il lavoro in Regione, per frenare l’emigrazione delle
menti giovanili più acute.
I nostri
interventi sui grandi temi del territorio, non sono ingerenza nella vita dello
Stato, ma libera espressione delle forze morali, culturali e sociali presenti
sul territorio che si confrontano nel rispetto del gioco democratico.
Noi dobbiamo
scommettere sulla fedeltà a Gesù per rafforzare la vitalità della Chiesa, per
farla crescere in credibilità: Un solo corpo, un solo spirito, una sola
speranza, ci ha ricordato Paolo. Consapevoli che non si può di un colpo
voltare pagina nella prassi ecclesiale dell’amministrazione dei sacramenti,
invito parroci, catechisti e responsabili di movimenti a purificare e a
migliorare la prima evangelizzazione, in modo da mettere le persone nella
condizione di incontrare veramente Gesù e assumere il suo Vangelo come norma di
vita.
In tutta
l’attività pastorale, conserviamo l’unità dello spirito per mezzo del
vincolo della pace. Si trovi, perciò, unità nell’evangelizzazione, sotto la
guida dell’ufficio catechistico, attorno al progetto italiano di un annuncio di
fede in stile catecumenale. Di esso l’accompagnamento della famiglia è il punto
di forza. Bisognerà procedere allora di pari passo nella pastorale del primo
annuncio e della famiglia, dando ai laici la giusta autonomia in forza della
loro specifica competenza sul tema.
E poi, non
possiamo chiudere gli occhi su tante cresime ricevute solo per tradizione, ma
senza la scelta di Gesù; né possiamo ignorare il problema della scelta dei
padrini, per la quale la dimensione di fede è ormai ininfluente. Ne segue di
avere davanti all’altare individui che garantiscono su di una fede, che essi
ormai hanno perduto o che non guida le scelte della loro vita. Sono queste
incongruenze che creano un modo di praticare la fede che genera commistioni
gravi e aberranti.
6. La Chiesa
in una società secolarizzata è una forza morale che promuove valori, affidati
non all’imposizione dell’autorità politica, ma alla condivisione della ragione
e alla testimonianza dei credenti. Reagiremo, perciò, a chi vorrebbe confinare
la religione ad un fatto personale ed intimistico, negando alla Chiesa il
diritto di entrare nel vivo del dibattito politico sui valori che devono
regolare l’organizzazione della società. Combatteremo, pertanto, il tentativo
di chi, in modo occulto o meno occulto, grida allo scandalo se la Chiesa
interviene su questo dibattito, screditandola dinanzi all’opinione pubblica,
evidenziando le fragilità e i peccati degli uomini di Chiesa.
Invito
pertanto tutti voi laici cattolici ad intervenire con la forza della testimonianza
e della vostra competenza e cultura per orientare in senso cristiano le
soluzioni dei problemi sociali e politici che affliggono il nostro territorio.
Lo dovete fare perché cittadini di questo Stato, e perché competenti nei vari
settori del sapere; perché credenti e quindi inviati da Cristo. Paolo ci ha
parlato delle diverse vocazioni per compiere il ministero. So che la
nostra Chiesa di Reggio-Bova ha un buon laicato, organizzato e vivo. In nome di
Cristo vi dico allora: non abbiate paura di sfidare l’opinione pubblica
dominante e siate fermento evangelico dovunque operate: nelle scuole, nelle
università, negli ospedali, nelle aule dei tribunali, nello sport, nei
laboratori scientifici, nelle amministrazioni, nella politica. Se i primi
cristiani approdati a Roma non avessero avuto il coraggio di andare contro
corrente, sfidando anche la morte, non avrebbero affermato i grandi valori
morali del primato della coscienza sul potere dello stato, della verità sulla
politica, della libertà sul capriccio, dell’oggettività della verità e del bene
sulla relatività dei valori. Paolo ci ha esortati a vivere la verità
nella carità.
Non possiamo
permettere un cristianesimo di massa che non riesce ad incidere nei nodi della
vita associata e organizzata; deve finire il nostro senso di colpa dinanzi ai
mali della nostra società. Laici cattolici riscoprite il gusto della politica e
portate in essa i valori cristiani. Rinnovatela nel segno evangelico del
servizio e dell’impegno per il bene comune. Ricordate che l’unità politica dei
cattolici non è un dogma di fede ma non è neanche un demone che bisogna
esorcizzare. La nostra società aspetta questo servizio di speranza.
La nostra
Chiesa diocesana ha diverse eccellenti iniziative in campo culturale, sulle
quali bisognerà scommettere: Seminario teologico, Istituto superiore di scienze
religiose, Biblioteca diocesana di prossima apertura ed altro. Devono diventare
laboratori di cultura ove il confronto con il pensiero laico e secolare deve
essere serrato, a beneficio di tutta la collettività.
7. I
problemi della secolarizzazione in Calabria sono esasperati dalla depressione
economica e sociale, e soprattutto dalla piaga della ‘ndrangheta. Di questi
mali siamo in parte responsabili anche noi cattolici. Da anni lo stiamo riconoscendo
e siamo corsi ai ripari con interventi mirati da parte del magistero dei
Vescovi, con iniziative coraggiose da parte di preti e di laici, che molte
volte hanno pagato di persona, ma soprattutto con il lavoro silenzioso svolto
nelle parrocchie, del quale nessuno si accorge e sul quale i media non parlano
perché disinteressati a capire la vera azione della Chiesa, ma a divulgare solo
le notizie che fanno scalpore. Diciamo basta, pertanto, agli improvvisati
teologi, canonisti e pastoralisti che presumono di stabilire i connotati del
prete-antimafia per esaltare così i propri idoli dimenticando il lavoro
incisivo e paziente di centinaia di sacerdoti sulla breccia.
Nonostante
questo sforzo pluridecennale, si attacca ancora la Chiesa rimproverandola di
non fare abbastanza contro la ‘ndrangheta, quasi che responsabile della sua
mancata sconfitta sia solo la Chiesa, che chiude occhi, che perdona, che scende
a patti per i vantaggi economici che ne derivano. C’è poi una grave leggerezza
nell’affrontare i problemi, per cui il semplice sospetto su di un uomo di
Chiesa provoca la condanna generalizzata di tutta la Chiesa. Cosa che non si
verifica per nessun’altra istituzione. Noi diciamo basta a questi attacchi
sistematici, studiati al tavolino nel contesto della lotta intrapresa dalla
società secolarizzata contro la Chiesa, e invitiamo tutte le istituzioni a fare
lo stesso esame di coscienza che ha fatto la Chiesa e a riconoscere le proprie
responsabilità. La Chiesa continuerà a dare il suo contributo in questa lotta,
anzitutto allontanando ogni minimo dubbio di connivenza diretta o indiretta dei
suoi rappresentanti con il malaffare; ci impegneremo poi nella formazione delle
coscienze perché non ci sia commistione tra fede e malavita. Ma non si pretenda
che sia la Chiesa a distribuire le etichette di mafioso, sulla base del comune
sentire della gente, né si presuma di dire alla Chiesa ciò che deve fare:
se perdonare o condannare, se ammettere ai sacramenti o rifiutarli. Basta su
queste indebite ingerenze. Ogni istituzione svolga il suo dovere nel proprio
ambito e rispetti quello altrui, e si lasci a noi Vescovi il compito di
dirigere l’azione pastorale anche su questa materia. Sia chiaro, però, che alla
base di essa ci sarà sempre la figura del buon pastore che va in cerca della
pecora smarrita, come abbiamo sentito dal Vangelo. Piaccia o no alla cultura
giustizialista del nostro tempo, la misericordia coniugata con la giustizia non
si può cancellare dal Vangelo.
Nella
formazione delle coscienze largo spazio deve essere dato alla legalità, al
rispetto cioè delle istituzioni e delle leggi dello Stato, quando esse sono
fondate sul diritto naturale e rispettano la vita e la dignità dell’uomo. Lo
raccomandiamo agli insegnanti di religione, ai parroci e ai catechisti. Non
possiamo, però, ignorare che esiste anche una legalità da parte dello Stato,
che deve mostrare al cittadino il suo volto amorevole. Tale legalità si deve
tradurre in quei provvedimenti tesi a creare le condizioni di un vivere
associato rispettoso dell’uomo: strade, assistenza sanitaria, luoghi di
aggregazione e impianti sportivi per i giovani, edifici scolastici in sicurezza
e attrezzati, servizi sociali, attenzione ai cittadini, primato del bene
comune, rispetto del creato, case, lavoro, amministrazione celere della
giustizia. In questi cinque anni passati a Locri mi sono reso conto che per
sconfiggere la malavita organizzata non basta una politica repressiva, anche se
necessaria, ma occorre unirla ad una politica di impegno a favore del
cittadino. Chiedo umilmente alla politica e agli imprenditori di creare lavoro
per i giovani, per frenare l’emorragia di una nuova emigrazione.
Invito
tutti, credenti e non credenti, ad una svolta di dignità. Reagiamo con forza
alla ’ndrangheta; denunciamola con coraggio, perché la paura è una catena per
la nostra libertà, rifiutiamo con decisione i benefici che possiamo trarre dal
suo aiuto e dal nostro silenzio. La ‘ndrangheta è un male dal quale o si esce
tutti assieme o non si esce mai.
8. Guardiamo
con una certa apprensione alla nostra Regione e alla nostra città. Nel contesto
generale di questa crisi che affligge tutti, in Regione noi viviamo una crisi
più drammatica, per un mancato progresso, in parte addebitabile a noi stessi.
Soffriamo per il mancato buon uso delle risorse, per la ramificazione
malavitosa negli apparati della pubblica amministrazione e per la cura di
interessi privati a danno del bene comune. Certo c’è anche il buono, ed è
tanto, e per questo noi ringraziamo le autorità regionali, provinciali, i
signori sindaci e quanti con essi collaborano per il lavoro che fanno, alcune
volte veramente eroico. Pensando poi alla sede di Bova, penso sia doverosa la
rinata attenzione verso la cultura grecanica, che deve essere promossa.
Non
possiamo, però, chiudere gli occhi sulla realtà e non rilevare che la speranza
in mezzo alla gente è venuta meno. Ho seguito da lontano le vicende di questa
nostra città e sono convito di dover iniziare il mio ministero di vescovo
proprio dalla speranza, incoraggiando soprattutto i giovani a non demordere. Lo
farò in ogni modo, ma aiutatemi.
Miei cari
giovani, sono consapevole che neanche noi uomini di Chiesa abbiamo saputo
meritare alcune volte la vostra fiducia, a causa delle nostre infedeltà. Ma vi
invito a non fare di ogni erba un fascio e a considerare l’innumerevole schiera
di uomini di Chiesa che sono rimasti fedeli a Gesù Cristo sino all’eroismo.
Riapriamo un dialogo di fiducia e di impegno comune. Abbiamo bisogno della
vostra voce critica, dei vostri ideali, della vostra capacità di interpretare
il futuro. Se voi perdete la speranza, si offusca l’orizzonte del nostro
futuro. Lo dico soprattutto a voi giovani delle nostre associazioni e movimenti
che abbraccio di vero cuore e che spero di incontrare ad una ad una. Nel
programmare la mia settimana lavorativa, ho in mente di dedicare all’ascolto di
voi giovani un giorno per settimana, se accetterete di dialogare con me.
A tutti i
credenti dico di rendere ragione della speranza che possediamo come dono della
fede, dando ad essa un volto, quello della testimonianza dei valori cristiani e
della fuga da ogni compromesso con il male. Chiedo ancora a voi sacerdoti
coerenza per essere credibili nel nostro annuncio; e a voi seminaristi, che
unite alla vostra giovane età la consacrazione alla missione nella Chiesa, di
offrire il vostro entusiasmo e la vostra sensibilità, coniugandoli con una
formazione veramente robusta. Siate fedeli a Gesù e uomini tutti di un pezzo.
Invito
umilmente tutte le istituzioni ad uno sforzo comune per dare alla nostra città
una speranza, fondata su correttezza di vita e non su facili e scontati
moralismi, su contenuti autentici e non su parole ingannatrici. A tutti coloro
che si dicono credenti e lavorano nella politica e nella pubblica amministrazione
l’invito ad essere trasparenti, rispettosi della legalità e del bene comune,
non avrebbero senso altrimenti le folle oceaniche appresso alle immagini sacre
portate in processione.
9. A questa
società secolarizzata, come vescovo offro l’invito a riportare il timore di Dio
al centro della vita. Se ciò avverrà, vi assicuro che questa nostra città
rifiorirà. Il Dio che annunciamo è il Dio misericordioso che si apre alla
condivisione con l’uomo e perciò alla misericordia e al perdono. Il Dio che non
respinge nessuno, il Dio che cerca chi si è smarrito; ma il Dio anche esigente
che chiama a conversione. E’ il Dio del quale Gesù ha parlato attraverso
l’immagine del buon pastore. Egli è il Dio che dona vita a chi lo incontra. Il
Dio che si lascia cercare e trovare, il Dio sempre disposto ad accogliere la
nostra preghiera. Perché questo Dio possa esser predicato e percepito dalla
nostra città, chiedo quanto chiese Giovanni Paolo II all’inizio di questo
millennio: fate delle parrocchie scuole di preghiere e inserite la preghiera
nel tessuto vivo dell’azione pastorale. Bisogna pregare di più e meglio. Siate
soprattutto voi religiosi e religiose maestri in tal senso.
Sui nostri
propositi e sulle nostre speranze, sul mio cammino di vescovo di questa Chiesa
chiedo la vostra preghiera e la benedizione di Dio, l’intercessione della
Madonna della Consolazione, dei santi protettori, di S. Francesco di Paola,
Lumen Calabriae. Con le sue parole benedico di cuore tutta la Diocesi: Ci accompagni
sempre la grazia di Gesù Cristo benedetto che è il più grande e il più prezioso
di tutti i doni. Amen.
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