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Nel centenario della nascita di Vasco Pratolini: dai quartieri alle allegorie di Marilena Cavallo

Nel centenario della nascita di Vasco Pratolini: dai quartieri alle allegorie
di Marilena Cavallo 
 
 
Nel centenario della nascita di Vasco Pratolini. In Vasco Pratolini, nato il 19 ottobre del 1913 a Firenze e morto a Roma  il 12 gennaio 1991, c'è il realismo e le realtà.  Non si tratta di un realismo magico. Viene ad essere filtrato sia dai personaggi che si raccontano non in una storia bensì con delle storie all'interno di una definita ambientazione sia dal rapporto tra la coscienza dell'uomo e la storia dell'uomo come riferimento nella società. Fautore di una dialettica a tutto tondo sulla letteratura degli anni Trenta e Quaranta, la rivista "Campo di Marte" con Alfonso Gatto è una pietra miliare che segna il 1938,  trova in Elio Vittorini e Romano Bilenchi due interpreti di una letteratura il cui rapporto tra impegno e racconto diventa fondamentale sia nella fase del Ventennio sia soprattutto dal 1943 in poi.

Questo non significa che bisognerebbe leggere Pratolini attraverso una sottolineatura meta-politica o inquadrarlo in un contesto prettamente storico – realista. Significa piuttosto che la sua narrativa blocca in termini letterari e umani una dimensione di quell'esistenza che trova sia in "Metello" che nelle "Cronache" una rappresentazione di un modello di vita che la letteratura ha saputo fotografare senza però cercare di leggere oltre lo stesso scatto fotografico.
Il raccontare la vita dei quartieri è un mosaico non tanto una raccolta di tasselli. D'altronde Pratolini è usco scrittore che è riuscito a inquadrare tre luoghi e tre vissuti di città con forme anche paratattiche consistenti. Tre luoghi che si portano nel cuore tre tradizioni ma anche tre esistenze. Firenze, dove è nato, Napoli deve ha vissuto dal 1948 al  1951 e Roma dove è morte. Il vissuto letterario di Pratolini conosce ancora tre momenti di scrittura che sono tre capitoli di un'esistenza chiaramente letteraria ma esistenziale.

Si pensi a "Cronaca familiare" del 1947, "Cronache di poveri amanti" dello stesso anno e "Metello del 1955. Anche se il suo primo libro risale al 1941 dal titolo: "Il tappeto verde". Un libro che ha qualcosa di altro rispetto al fatto di essere il primo, forse, pubblicato. Il 1941 è un anno terribile per l'Italia e il ruolo degli scrittori è fondamentale ed egli servendosi della lezione in modo particolare di Federico Tozzi riesce a ricostruire un impatto linguistico tutto articolato tra scrittura e vissuto.

Al centro del suo narrare c'è sempre  la vita: quella vita che scava nel sottosuolo delle esistenze. Pratolini ebbe a dire: "S'imparano mille cose in un istante, non occorre essere stati a scuola, quando la vita ti colpisce a tradimento con le sue cattiverie: basta avere una spina dorsale che ti mantenga in piedi".

Pratolini proviene da una formazione che è quella di Dante e di Manzoni. Non bisogna disconoscerlo perché è su questi pilastri che imposta la sua dichiarazione letteraria anche se comprende immediatamente dopo che la letteratura va oltre Dante e Manzoni. Infatti insieme a Tozzi studia profondamente la letteratura angloamerica (quella letteratura portata nell'incastro italiano da Pavese e Vittorini) e in modo particolare si sofferma su Jack London e  Charles Dickens.

La sua giovanile esperienza nel GUF e la partecipazione ai Littoriali della Cultura gli permettono di approfondire il legame tra alcuni scrittori e il fascismo, ma dopo il 1943 si allontana e la sua posizione è ben ravvisabile nei suoi romanzi e anche  dalla sua partecipazione alla sceneggiatura di alcuni film importanti come "Paisà" di Rossellini o "Le quattro giornate di Napoli" di Loy. Ma avrà altre esperienze nel campo cinematografico anche se il suo tessuto resta, comunque, la letteratura.

Uno dei romanzi, in cui la cronaca cede il passo ad una visione della metastorica con una accentuazione filosofica, è il romanzo "La costanza della ragione" che appartiene al 1963. Si tratta di  un romanzo anche di rottura rispetto alla sua precedente tradizione come ha una sua "specularità" poetica "Il mantello di Natascia" del 1985.
Poesia, simbologia e femminilità in quest'ultimo romanzo offrono una lettura sul filo dell'onirico. Qui siamo al superamento della fase degli anni Quaranta e Cinquanta. Sembra un Pratolini diverso, anzi uno scrittore che ha percorso le sue vie e cerca una nuova strada che è quella dell'accentuazione poetica nel contesto narrativo.

Infatti le sue ultime pubblicazioni sono degli epistolari. Un rapporto di fedele amicizia con un poeta qual è stato Alessandro Parronchi, un poeta della robustezza della parola nell'ermetismo del dettato metafisico. Escono nel 1992 e nel 1996  i due volumi "Epistolario con Alessandro Parronchi". Vasco Pratolini resta quello scrittore che sperimenta e vive il peso della realtà nel realismo letterario ma comprende che la narrativa deve avere un passaggio obbligato che è quello del senso poetico. Ma già con "Allegoria e derisione" del 1996 aveva ben sottolineato questo aspetto.

 





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Luigi Palamara
Giornalista, Direttore Editoriale e Fondatore di MNews.IT
Cell.: +39 347 69 11 862

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