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La vendetta o l’ozio? Siamo intrappolati da Ulisse. Ci basta la leggerezza per ritardare la morte.

Con questo mio “messaggio” si inizia una Rubrica, in esclusiva per questa testata, che camminerà tra i luoghi del mio esistere e i luoghi dell’anima degli uomini, dei popoli, delle civiltà. Tra letteratura, antropologia e giocando con la filosofia. Un modo per allontanare il tentativo che la morte fa ad ogni nostra pausa. Siamo sempre pronti, ma preferiamo non morire cercando di vivere nell’ozio e non nell’oblio. Pierfranco Bruni

Appunto la Rubrica:
“SEMPRE NELL’OZIO AMANDO E MAI NELL’OBLIO. LETTERATURA E CIVILTA’ DELLA VITA”.

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La vendetta o l’ozio? Siamo intrappolati da Ulisse. Ci basta la leggerezza per ritardare la morte
di Pierfranco Bruni

Il tempo dell’esilio non è il tempo delle esclusioni. Si osservano le albe e si rischia di inceppare in qualche tramonto. Ma la vita è un’assenza che ha bisogno di nostalgie per restare nel tempo. Restando nel tempo si ha la consapevolezza dello stupore delle cose che ci sono appartenute e che sono poi fuggite.

La fuga può sembrare un assurdo. Siamo intrappolati da Kafka, da Ionesco, da Camus ma, comunque, cerchiamo di vivere la teatralità di Pirandello. Non è letteratura soltanto. È la vita che si giustifica raccontandosi nella letteratura.

Chi per mestiere si occupa di letteratura il più delle volte, volente o nolente, si lascia intrappolare da un mefistofelico viaggio. Un viaggio che va verso l’Inferno e che non conosce il labirinto e tanto meno ha la possibilità di incontrare Arianna. Ma c’è un altro viaggio che è quello della finzione di Ulisse.

Perché finzione? Omero ha recitato il suo Canto nell’odisseica avventura di un destino. Ulisse si inventa la ragione per giustificare il suo vagare. La ragione è quella di portarlo sino al ritorno, ovvero ad Itaca. Ma ad Itaca non vuole approdare. Sono i venti, le onde, le mareggiate che lo conducono sino alla riva di Itaca. Ma il suo cuore rimane intrappolato tra Circe, maga maghella dell’impossibile e dell’imprevedibile, Calipso alla quale, come vuole Pascoli, affida la sua anima e il suo corpo, Nausicaa la cui eco è un vento leggero che sempre lo accompagnerà. Mentre sa che Penelope è un’attesa.

Non saprei se l’attesa vive in Ulisse o vive soltanto in Penelope. Il mito di Penelope è lo strazio del tempo che si chiude nei cortocircuiti delle circostanze. Giunto ad Itaca, Penelope finge di non aver conosciuto il suo uomo, il suo sposo, il suo amante. Ulisse in Penelope non trova soltanto la depositaria di una storia, la sua, ma anche il riscatto, ovvero Penelope è la metafisica della vendetta contro i Proci. La vendetta. Spesso deprechiamo il concetto di vendetta, ma la cultura classica si incentra sulla vendetta.

L’Occidente tutto ruota intorno ad Ulisse, fingitore smaliziato e grande mistificatore ma anche inventore intelligente della fantasia del trucco. Il Cavallo di Troia è un trucco la cui motivazione resta la vendetta. Non va dimenticato ciò. Tutto è un epilogo del (nel) mito della vendetta. Così come sarà in Enea. La profezia che si contrappone, in qualche modo alla nostalgia del ritorno, in Enea nasce dalla tragedia e dal bisogno di riscattare Troia in fiamme.
Il suicidio stesso di Didone è la vendetta di Didone contro l’amante in fuga. La fuga. Certo, Enea è in fuga da Didone. Un altro pezzo di Occidente. Un Occidente nel Mediterraneo. La Roma che nasce sotto lo sguardo in cenere di Enea è una città duellante tra Romolo e Remo. Ancora una vendetta.
Non capisco perché il mondo classico dovrebbe restare come fondamento per una teologia della morale. Si pensi poi a Dante. A quanta teologia della vendetta ha provocato Dante. Siamo stati educati alla vendetta dei Gironi danteschi.

Nel mondo cattolico si registra lo stesso percorso. Pietro, Giuda, Paolo. Più volte ho sostenuto ciò. Ma anche Agostino è il convertito. La conversione dopo il delitto non mi ha mai convinto. Il rinnegare è un delitto, il tradire è un delitto, Stefano è il delitto di Paolo. Agostino ha una storia di intrecci sorprendenti e di mascheramenti che soltanto sua madre può conoscere. Siamo all’incontro di un Oriente che penetra l’Occidente.

Da una parte la Grecia e dall’altra Roma. Sempre si finisce a Roma. L’assurdo è inevitabile. L’ambiguo è nella vita. L’ironia è una tragedia o la tragedia può diventare la maschera dell’ironia. Pirandello aveva raccolto sei personaggi ma alla fine si ritrova con un personaggio di nome Mattia Pascal.

Che destino crudele è il nostro vivere. Ma il contrario della vendetta quale può essere. La parola di Cristo. Certamente sì. Ma è stata inascoltata. Continua ad essere posta in Croce. Allora cosa ci resta per controbilanciare la vendetta che convive, a volte, con la pazienza, con la carità, con la misericordia. Può essere una contraddizione? Non lo è. Ci resta soltanto l’ozio.

Non invito ad elogiare l’ozio. Il Mediterraneo è una scuola efficiente. Ascoltiamo invece chi ci parla di ragione. Una ragione deve pur esserci, soprattutto per uno come me che non ha mai creduto alla ragione.  Mettiamola in una nicchia e copriamola di sabbia del deserto.

Giochiamoci, invece, ogni tragitto d’anima sulla sensualità di una donna che potrà appartenerci soltanto nell’attimo di un amplesso. Tutto il resto muore come le belle di giorno del mio giardino ingiallito, senza più piante di peperoncini, in quella terra di Calabria. Non lasciamoci prendere dai grandi discorsi. Ormai ci basta soltanto la leggerezza per ritardare la morte.

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