Polistena (Reggio Calabria) 16 agosto 2013 - “Amor che ne la mente mi ragiona de la mia donna disiosamente move cose di lei meco sovente,
che lo 'ntelletto sovr'esse disvia”. Così il sommo poeta Dante nella seconda canzone del Convivio, anno 1294. “ Ti amo Bamby” così un sommo
insipiente anonimo sul muro della chiesa della SS. Trinità a Polistena, anno domini 2013. Noi non sapremo forse mai chi sia il/la
“fortunato/a” destinatario/a delle affettuose quanto irresistibili attenzioni bicolori che hanno irrefrenabilmente armato la mano
baldanzosa del beneamato/a che non ha trovato di meglio da fare se non deturpare – in maniera abbastanza approssimativa e non richiesta –
il muro perimetrale dell’antico tempio cittadino dedicato dal 1997 alla Madonna dell’Itria.
Fatto sta che egli o ella, ma d’ora in poi per comodità discorsiva “egli”, forse fiero di render noto finalmente ai polistenesi tutti il suo sentimento verso tale “Bamby”, ha preso di mira, sciupandolo, parte di un patrimonio di cui anch’egli è beneficiario ma di cui, forse per mera ignoranza, disconosce la storia ed il valore artistico-monumentale e che certo non era bisognevole di questo tipo di “restauro”. Il vezzo (non solo italico, a dire il vero) di approfittare dei monumenti o delle preziose opere artistiche per ottenere ridondanza o semplicemente il classico minuto di notorietà è assai diffuso e sta assumendo le forme di un fenomeno molto preoccupante specie per la conservazione stessa dei beni culturali italiani, vandalizzati indiscriminatamente in spregio all’arte ed alla collettività.
Dunque, è mai possibile che questo imprudente novello poeta non abbia saputo giovarsi delle moderne tecnologie o della cara vecchia carta e penna per dichiararsi all’oggetto del suo privato desiderio preferendo invece imbrattare una così prestigiosa lavagna pubblica, cosciente del danno che stava arrecando? Eseguendo questo gesto forse più frutto dell’ebbrezza che non della savia coscienza, costui, ha compiuto in pochi minuti un pessimo servizio alla collettività, che dovrà adoprarsi per rimediare a quegli attimi di insana follia che hanno pervaso l’animo dell’autore, macchiandogli la coscienza etica prima che quella amorosa. Ma ciò che potrebbe esser peggio è l’esempio che ne può scaturire. E’ di questi “cattivi maestri” però che la comunità può e deve fare a meno! Poiché centenari di storia armoniosa e fertile devono essere patrimonio, beni comuni da rispettare, tutelare e tramandare possibilmente intatti – se non addirittura migliorati – alle generazioni future, perché essi rappresentano la narrazione visibile dell’operato di una collettività laboriosa, ricca di alti ingegni e perseverante nell’amore verso il bello, verso l’ arte e la cultura. E se secoli di tempo ci hanno fatto ereditare intatti gioielli come questa chiesa è semplicemente delittuoso che chiunque si possa arrogare ingiustificatamente il diritto di farne scempio!
Ancor di più per una discutibile quanto incontenibile pulsione ad esternare un sentimento individuale di cui la collettività, francamente e a questo egoistico prezzo, non solo è felice di non partecipare ma a cui, oggettivamente, non gliene può importare un fico secco! Oggigiorno si sente più il bisogno di compiere buoni gesti collettivi e non di subire atti vandalici individuali. E, a colui che ha compiuto il gesto è augurabile che il rimorso per quanto compiuto lo possa accompagnare e che possa essere almeno pari d’intensità alla volontà che lo ha sciaguratamente spinto a macchiare un pezzo di storia, un’opera d’arte, che adesso sa, avendoglielo certificato, appartenere anche a lui. Complimenti.
Giuseppe Campisi
Fatto sta che egli o ella, ma d’ora in poi per comodità discorsiva “egli”, forse fiero di render noto finalmente ai polistenesi tutti il suo sentimento verso tale “Bamby”, ha preso di mira, sciupandolo, parte di un patrimonio di cui anch’egli è beneficiario ma di cui, forse per mera ignoranza, disconosce la storia ed il valore artistico-monumentale e che certo non era bisognevole di questo tipo di “restauro”. Il vezzo (non solo italico, a dire il vero) di approfittare dei monumenti o delle preziose opere artistiche per ottenere ridondanza o semplicemente il classico minuto di notorietà è assai diffuso e sta assumendo le forme di un fenomeno molto preoccupante specie per la conservazione stessa dei beni culturali italiani, vandalizzati indiscriminatamente in spregio all’arte ed alla collettività.
Dunque, è mai possibile che questo imprudente novello poeta non abbia saputo giovarsi delle moderne tecnologie o della cara vecchia carta e penna per dichiararsi all’oggetto del suo privato desiderio preferendo invece imbrattare una così prestigiosa lavagna pubblica, cosciente del danno che stava arrecando? Eseguendo questo gesto forse più frutto dell’ebbrezza che non della savia coscienza, costui, ha compiuto in pochi minuti un pessimo servizio alla collettività, che dovrà adoprarsi per rimediare a quegli attimi di insana follia che hanno pervaso l’animo dell’autore, macchiandogli la coscienza etica prima che quella amorosa. Ma ciò che potrebbe esser peggio è l’esempio che ne può scaturire. E’ di questi “cattivi maestri” però che la comunità può e deve fare a meno! Poiché centenari di storia armoniosa e fertile devono essere patrimonio, beni comuni da rispettare, tutelare e tramandare possibilmente intatti – se non addirittura migliorati – alle generazioni future, perché essi rappresentano la narrazione visibile dell’operato di una collettività laboriosa, ricca di alti ingegni e perseverante nell’amore verso il bello, verso l’ arte e la cultura. E se secoli di tempo ci hanno fatto ereditare intatti gioielli come questa chiesa è semplicemente delittuoso che chiunque si possa arrogare ingiustificatamente il diritto di farne scempio!
Ancor di più per una discutibile quanto incontenibile pulsione ad esternare un sentimento individuale di cui la collettività, francamente e a questo egoistico prezzo, non solo è felice di non partecipare ma a cui, oggettivamente, non gliene può importare un fico secco! Oggigiorno si sente più il bisogno di compiere buoni gesti collettivi e non di subire atti vandalici individuali. E, a colui che ha compiuto il gesto è augurabile che il rimorso per quanto compiuto lo possa accompagnare e che possa essere almeno pari d’intensità alla volontà che lo ha sciaguratamente spinto a macchiare un pezzo di storia, un’opera d’arte, che adesso sa, avendoglielo certificato, appartenere anche a lui. Complimenti.
Giuseppe Campisi
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