PER NON
DIMENTICARE
di Cosimo
Sframeli
11 giugno 2006.
Ucciso e poi dato alle fiamme. Il possidente terriero Fedele Scarcella di
71 anni, originario di Cosoleto, in provincia di Reggio Calabria, e residente a
Briatico (Vibo Valentia), pagò con la vita le sue denunce contro la
‘Ndrangheta. Il suo corpo fu ritrovato dentro la sua macchina, una Punto blu,
parcheggiata davanti alla spiaggia di Punta Safò, a Briatico. Potrebbe essere
stato assassinato da qualcuno che l’aveva seguito o con cui aveva un
appuntamento. Faceva parte dell’associazione antiracket "SOS Impresa"
di Reggio Calabria e da anni aveva preso posizione contro il racket e
l’estorsione in Calabria. Era proprietario di diversi terreni, anche nella
Piana di Gioia Tauro. Vittima di furti, danneggiamenti ed estorsioni, denunciò
ai Carabinieri e fece arrestare due pluripregiudicati appartenenti alla cosca
mafiosa dei Piromalli-Molé. Era un uomo
coraggioso, Fedele Scarcella, duro e generoso, come i migliori calabresi,
difficili e pungenti per chi li conosce solo da fuori, ma dolci più di altri quando
s’impara a conoscerli dentro. Fedele Scarcella lavorava sodo, come un mulo, e
quando quel giorno entrarono nella sua azienda due "picciotti" del boss di Gioia Tauro per chiedergli conto di
una parte dei suoi guadagni, andò su tutte le furie e li affrontò con
intelligenza. Il lavoro era la sua vita
e per mandarlo avanti aveva rinunciato a tutto. Non avrebbe potuto dividere
l’azienda con loro.
Ma gli estorsori non si fecero convincere dai suoi
ragionamenti, e dopo qualche piccolo "avvertimento" tornarono in
azienda per chiedere il saldo della "mazzetta". Fedele non volle piegarsi.
Rinviò con una scusa al giorno dopo quei delinquenti. Andò dai Carabinieri per
denunciare il racket delle estorsioni facendo nomi e cognomi, senza paura. Era
un idealista, forse, ma con grande dignità. Un idealista che non ci stava e che
difendeva così il sangue della povera gente. Fedele Scarcella entrò nel
programma di protezione per i testimoni di giustizia, e la legge antiracket gli
rimborsò tutti i danni subiti. Volevano trasferirlo al nord Italia, ma egli non
accettò e rimase in Calabria, trasferendosi nella provincia di Vibo Valentia. Non
sarebbero stati quei cinquanta chilometri da Gioia Tauro a metterlo al sicuro, egli
non accettava di darla vinta ai suoi persecutori. Rimase in Calabria e fu tra i
fondatori dell'Associazione antiracket di Gioia Tauro, nonché membro
dell'associazione "SOS Impresa", che operava nell'ambito della
Confesercenti. No, non era e non voleva essere un eroe, voleva solo essere un
testimone, la testimonianza vivente che in Calabria si può essere liberi e non
piegarsi ai ricatti della ’ndrangheta. Fedele Scarcella sapeva bene di essere
un bersaglio, sia per quello che aveva fatto a Gioia Tauro che per la sua
attività di divulgatore del vivere contro i metodi mafiosi. Aveva chiesto la
concessione della licenza del porto di pistola, ma gli fu negata. Lo trovarono
massacrato, bruciato all'interno della sua Punto blu. Gli spararono prima alla
nuca. Ancora un calabrese, fiero ed
onesto, fu trucidato. Una vittima che combatteva a mani nude contro un mostro,
in una guerra di resistenza non di parole ma di fatti concreti che lo
portarono all’estremo sacrificio.
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