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Quella lenta partenza dell'ultimo treno fra lacrime e sventolio di fazzoletti

Delle elezioni scrivevamo prima come la lunga esperienza parlamentare ci dettasse che tutto, dopo le elezioni, sarebbe cambiato.
Ed anche questa volta, seppur percorrendo un percorso labirintico e dirupato, il cambiamento è arrivato. All’insegna della "necessità" tutto è cambiato.
Il Governo sarà buono o cattivo, ma è l’unico possibile. E, come quando di necessità si deve fare virtù, non ci resta che esaminare con attenzione le cose buone di questo Governo che potrebbero maturare in meglio e le cose oscure che si potrebbero trasformare in pericolo.
I meriti di Grillo, nonostante tutto.
Ma prima di fare questo vediamo in che consiste il cambiamento.
Credo che il maggior merito del cambiamento lo abbia Grillo, più per i suoi difetti che per i suoi meriti.
Infatti Grillo si è presentato inamovibile e congelato su posizioni di estremo rifiuto, che non potevano non essere congelanti per tutto il sistema, data la sua forza effettiva, quasi pari a quella dei due partiti maggiori. Un Grillo vittima di se stesso? No, piuttosto un Grillo coerente con se stesso. La sua forza è dovuta al rifiuto eversivo di tutto il sistema politico: tutti i partiti sono da cancellare, tutti gli uomini del passato sono morti, tutti i ruderi e le reliquie di un mondo esecrabile sono accerchiati. Un Grillo intransigente sogna di diventare maggioranza assoluta portando, con coerente volontà eversiva, questo ragionamento alle sue estreme conseguenze.
Bersani ha tentato di riconoscere, di risvegliare, di estrarre dal movimento di Grillo, le sue componenti di rinnovamento conciliabili con l’ordine democratico. La premessa di questo tentativo era che i contenuti di Grillo fossero, in definitiva, dei contenuti di sinistra. Ma, purtroppo per Bersani, Grillo non è né di sinistra né di destra: è solo una forza negatrice dell’attuale assetto politico, che scommette sul "o tutto o niente". A Bersani è costato assai caro questo suo tentativo, pagando prima di persona e pagando poi con la messa fuori gioco del Partito Democratico. La forza di Grillo è la cieca disperazione dei disoccupati, la medesima forza che portò Hitler al potere in virtù del suo coerente rifiuto di ogni compromesso.
Ora la scommessa non è più su cosa farà Grillo, ma su quale sarà l’esito dello scontro fra Grillo e le strutture largamente insufficienti dello Stato democratico in Italia.
Il rifiuto di Grillo ha costretto tutti ad eleggere un Presidente della Repubblica "di necessità" ed a costituire un Governo "di necessità".
Lo scontro finale è fra Napolitano e Grillo.
Le ferite del Partito Democratico
La seconda grande novità è la ferita, ancora non sappiamo se grave o gravissima, inferta al Partito Democratico.
La condizione essenziale perchè Napolitano potesse realizzare il "governo di necessità" è stata l’azzeramento virtuale del PD. Paralizzato nella sua incapacità di decisione, disperso dopo il parricidio di Prodi, Bersani ha consegnato la sua forza e persino la sua vittoria, seppur parziale, a Napolitano perché la utilizzasse al meglio.
Ma seppur disarticolato il Partito Democratico con i suoi non ignobili leader, con i suoi nuovi Renzi ed Orlando, con il suo nucleo di sinistra passionario e distruttivo, nel suo patrocinio ad un mondo vivace e speranzoso non può essere resettato e le qualità straordinarie dei suoi, a cominciare da Enrico Letta, sono altrettanto necessarie di quanto lo sia il "governo di necessità".
Certo, il problema del Partito Democratico, si pone in modo drammatico e deve essere in qualche maniera risolto, nella pausa che il "governo di necessità", concede a loro.
La crisi del PdL
Nel panorama tutto nuovo che Grillo ha imposto alla politica italiana, che ne sarà del berlusconismo e del PdL?
È difficile dare un giudizio su un partito che non è esistito mai, come tale, ed è soltanto il riflesso della personalità del suo capo. Non si può certo dire che il Partito esca distrutto dopo questa elezione.
In realtà Berlusconi si è salvato, e non solo, ma è stato ricollocato in posizione dominante dallo stesso Grillo. Ma è proprio lui, proprio Berlusconi, che sembra cambiato. Ha concesso molto al PD, moltissimo a Napolitano e quasi tutto a Letta. Perché lo ha fatto? Perché come al suo solito farà salare il tavolo alla prima occasione? Perché aspetta il momento più favorevole a lui come gli suggeriranno i sondaggi? Perché vuole conquistarsi una zona tranquilla nell’occhio del ciclone giudiziario che sta per travolgerlo? Oppure da quel grande calcolatore, astuto negoziante, intelligente mediatore ha capito che la sua ultima possibilità è proprio in questo "governo di necessità"? Berlusconi di fatto ha concesso a Letta più di quanto Letta sperasse ed avrebbe grandi problemi al suo interno se i suoi "criados", i suoi cortigiani, fossero in grado di contestarlo. Ma non c’è dubbio che al di sotto della volenterosa leadership berlusconiana anche il PDL entra in una crisi profonda ed irreversibile.
Luci ed ombre del "governo di necessità"
Ed ora, diamo un’occhiata a questo governo di necessità creato da un Presidente di Repubblica "di necessità". Diciamo subito che il Presidente del Consiglio è il migliore che si potesse trovare senza ricorrere ai grandi personaggi della storia politica italiana che hanno più di un problema nei confronti degli stucchevoli nuovisti che infestano la nostra opinione pubblica. È preparato senza essere appariscente, è determinato senza essere fazioso, è di buona scuola, garantito dal magistero di Andreatta e di Dossetti. Apparentemente grigio, è stato invece presente nei punti più importanti del laboratorio italiano. Anche per il Governo ci sono alcuni punti positivi da registrare. Gli esponenti del Partito Democratico hanno una quadratura tecnica interessante. Gli esponenti del PDL o sono di Comunione e Liberazione o sono "pie donne" del berlusconismo, non macchiate da precedenti estremisti. Il gruppo dei tecnici e degli osservatori presi dalla squadra di Napolitano sono di buona qualità. Ci sono molti elementi di nuova generazione senza concessioni demagogiche. L’unico membro che esce da questa singolarità apprezzabile è l’Emma Bonino, che fa capitolo a sé, ma che tuttavia rappresenta con molta dignità e qualità la lunga storia del nostro panorama politico.
Alla prima occhiata si può dire che poteva andar peggio. E che tutto sommato il "Governo di necessità" è molto superiore alla media dei governo politici di questi venti anni (fatta eccezione per il Governo Prodi, che aveva una sua valenza tutta particolare).
Dunque di necessità si potrebbe fare virtù.
Ma a dare il giudizio finale a questo governo non saranno i curricula, ma sarà il risultato. Se sapranno fare presto e bene gli otto punti su cui si è trovato un accordo generale fra diversi nella "commissione dei saggi", la situazione italiana migliorerà. Se si bloccheranno a vicenda, sarà Grillo a trovare la soluzione. La sfida fra Napolitano e Grillo non sarà una festa primaverile nei giardini del Quirinale, ma sarà un duro braccio di ferro, di cui i colpi di pistola davanti a Palazzo Chigi, sono la prima avvisaglia.
Bartolo Ciccardini

P.S.: Dei 21 Ministri 10 potrebbero essere considerati tecnici, 5 potrebbero essere considerati in una vecchia catalogazione "comunisti", 2 sono berlusconiani di ferro e 3 berlusconiani moderati e di chiesa.
Infine 10 sono di origine democratico-cristiana. Alcuni avrebbero potuto appartenere al gruppo doroteo, altri si sarebbero riconosciuti in Moro ed altri in Dossetti.
Se esistesse ancora la capacità dei cattolici di essere uniti anche quando sostengono tesi non condivise, il governo, oltre che essere necessario sarebbe perfino solido.
Ma così non è. Se i 10 si ritrovassero insieme per caso a Luglio a Camaldoli, per ricordare il Codice di Camaldoli, che là venne redatto, che fu il documento su cui i cattolici rifondarono l’Italia, non troverebbero le motivazioni vere per un nuovo miracolo italiano?

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