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Quando il "visionario" Vincenzo Macrì, procuratore nazionale aggiunto, denunciava (negli Anni Ottanta) la longa manus della 'ndrangheta nella Pianura Padana

15 anni e 3 mesi per Alessandro Manno, capo della "locale" di Pioltello. Cosimo Barranca, mammasantissima di Bollate, che è stato condannato a 12 anni. Ridimensionata anche la pena per il capo della ‘locale’ di Bollate, Vincenzo Mandalari,   e Pasquale Zappia, il presunto capo dei capi della ‘ndrangheta in Lombardia, eletto nel famigerato summit tenuto a Paderno Dugnano nel 2009 nel centro “Falcone-Borsellino”, condannato a 9 anni.  a Salvatore Strangio, il presunto boss che controllava il gruppo Perego, 12 anni di carcere. 15 anni Pasquale Varca, a capo della locale di Erba, in provincia di Como,  L'operazione "Infinito" del 13 luglio 2010, rivelò le infiltrazioni della mafia calabrese. Laura Barbaini e Felice Isnardi, sostituti pg di Milano, coordinata dalla Dda, guidata da Ilda Boccassini, (presidente del collegio Rosa Polizzi) al termine della requisitoria, durata diverse udienze, avevano chiesto alla Corte d'Appello di Milano la conferma delle 110 condanne emesse in primo grado. Per un totale di mille e trecento anni tra Gup e processo ordinario. I sostituti procuratori generali, hanno chiesto ai giudici della prima sezione della Corte d'Appello di Milano di confermare le 110 condanne inflitte, con rito abbreviato, il 19 novembre 2011 dal gup di Milano, Roberto Arnaldi,
MILANO, PROCESSO D’APPELLO AI 110 IMPUTATI, I IMPELAGATI NELL’OPERAZIONE “INFINITO”, REGGE IL CASTELLO ACCUSATORIO, CONDANNATI I CAPIBASTONE, SIA PURE CON LIEVI RIDUZIONI DI PENA

I giudici della Corte d'Appello di Milano nel maxi processo con rito abbreviato sulle cosche della 'ndrangheta in Lombardia, hanno confermato le 110 condanne inflitte in primo grado dal gup Roberto Arnaldi nel novembre 2011, riducendo lievemente le pene. Sono state circa 40 le pene che i giudici di secondo grado hanno ridotto, Per Alessandro Manno, capo della locale di Pioltello, la pena piu' alta: 15 anni e 3 mesi.  Presenti quasi tutti imputati, che hanno ascoltato la sentenza dalle gabbie ai lati dell’aula e alla fine hanno applaudito, in maniera ironica, le decisioni dei giudici. Dalle gabbie dell’aula bunker in via Ucelli di Nemi, i presunti boss hanno applaudito in segno di scherno e quasi di sfida. il maxi-processo con rito abbreviato si è concluso il 19 novembre 2011 con 110 condanne per oltre mille anni di carcere. Il 10 gennaio 2013 la Cassazione aveva annullato per un vizio di forma (inghippo della stampante Il deposito delle motivazioni avvenne in due tempi. Una sentenza che al termine delle inchieste ‘Infinito e Tenacia’, ha riconosciuto la presenza della ‘ndrangheta e delle sue infiltrazioni in Lombardia e nel tessuto sociale, politico ed economico del Nord Italia
Domenico Salvatore

Vincenzo Macrì
Milano, 23 aprile 2013 – La mafia o sue articolazioni chiamate: ‘Ndrangheta, Camorra, Cosa Nostra, Sacra Corona Unita, Quintamafia o Basilischi, separatamente od in joint-venture, a Milano ed in Lombardia esiste ed è ben radicata. Lo affermano e conclamano, le tantissime sentenze; alcune delle quali passate in giudicato ed autorevoli procuratori della Repubblica; se non esperti saggisti, prestigiosi studiosi del fenomeno e qualificati mafiologi di rinomata fama internazionale. Tra questi anche Armando Spataro, magistrato dal 1975 presso la Procura della Repubblica di Milano, Procuratore Aggiunto dal 2003, giudice nel Consiglio Superiore della Magistratura tra il 1998 e il 2002, nonchè autore di saggi in materia di criminalità. Lo sosteneva l’attuale procuratore Generale di Ancona, Vincenzo Macrì, anche ex procuratore nazionale aggiunto, che negli Anni Ottanta,  fece nomi e cognomi e località dei boss e lanciò per primo l’allarme sull’escalation della Piovra calabrese. Ma cassandra, non fu creduto. Gli diedero la croce addosso, se non del ‘visionario’. Poco male. Sino all’altro giorno, questori, prefetti, sindaci ecc., sibilavano che Milano ne fosse indenne; che in Lombardia, la ‘ndrangheta, non fosse riuscita ad attecchire. Nonostante il procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, del tempo, Giuseppe Pignatone, oggi Procuratore a Roma, avesse denunciato invece con una lettera al Corriere della Sera, che la ‘ndrangheta era riuscita ad espandersi in molte parti del mondo a cominciare dalla Lombardia e da altre regioni del Nord Italia. “Bisogna contrastare la 'ndrangheta tanto in Calabria, dove ci sono il cuore e la testa dell'organizzazione, quanto nel Nord Italia, dove ci sono le sue ramificazioni e la sua espansione economica. Ma la repressione, disse Pignatone, non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l'omertà: così si può sconfiggere questo cancro della società, come l'hanno definito i vescovi italiani, che mette a rischio l'economia e la democrazia del nostro Paese.”. Letizia Moratti, aveva assicurato. che la mafia a Milano non esistesse... In effetti aveva ragione: c'è la 'ndrangheta!

Giuseppe Gennari,  magistrato che di Mafia al Nord se ne intende, autore fra l’altro del volume"Le fondamenta della città. Come il Nord Italia ha aperto le porte alla 'ndrangheta" edito da Mondadori “Oggi la corruzione è endemica.   I pubblici funzionari si lasciano corrompere per pochi soldi. Durante la prima Repubblica la corruzione era sistematica ma c'era una regola, di solito si faceva per il partito. Oggi la corruzione è selvaggia e qui si inserisce la 'ndrangheta. Voto di scambio: Il boss non chiede soldi ma favori, e questo non è reato, favori attraverso i quali fa soldi.  A radicare la mafia al nord, sono stati i flussi migratori. La 'ndrangheta controlla il territorio al nord esattamente come al sud, ha replicato qui il suo schema organizzativo”. Gennari, come giudice per le indagini preliminari, ha già curato diverse inchieste sulla mafia al Nord. Non concorda con i qualunquisti che negano l’esistenza della mafia e rilancia “Nelle nostre indagini trattiamo nomi della mafia milanese e lombarda noti a tutti da oltre vent'anni. C'è un radicamento storico nell'area lombarda. Come fanno i politici a dire di non conoscerli. il politico, l'uomo delle istituzioni, non è quasi mai un membro stabile dell'associazione mafiosa”. C’è pure, l’ omertà, che serve per coprire il controllo di night, negozi, alberghi, appartamenti, auto di lusso. videopoker clandestino, ma anche traffico di armi e droga, e soprattutto estorsioni. I libri contabili trovati a Vincenzo Schiavone, il boss latitante arrestato nella notte di Pasqua, nelle voci in entrata recano traccia anche degli affari in Emilia Romagna e in Lombardia. Lo confermano le operazioni ‘Vesuvio, San Cipriano, Serpe”. Non aveva dubbi l’ex procuratore capo della Repubblica di Napoli, Giandomenico Lepore, oggi in pensione:” Quella dei Casalesi è una camorra imprenditrice; ha soldi che deve riciclare, si avvicina al tessuto imprenditoriale più a rischio, quello che non sta bene finanziariamente, e s'inserisce, concede denaro liquido e un po' alla volta si mangia le imprese; al Nord ha fatto un salto di qualità: è capace di gestire attività parabancarie più complesse, di ripulirsi e tentare l'ingresso nell'economia alla luce del sole”. 

Non ultima, la circostanza incredibile dell' alleanza tra il mammasantissima di Casapesenna, Pasquale Zagaria, di recente catturato nel suo regno, con l' uomo di affari di Parma, poi diventato suo  suocero,  Aldo Bazzini, testa di ponte per l'infiltrazione negli affari puliti del Nord, primo imprenditore settentrionale a essere condannato per associazione mafiosa. Anche il procuratore capo della Repubblica di Palermo Francesco Messineo, è convinto di ciò. L'operazione Darsena, riguarda il settore della cantieristica navale nel nord Italia ed è importante perchè conferma la capacità di diffusione e di infiltrazione nell'economia del Paese da parte della mafia, che non riguarda più solo Palermo, ma partendo da Palermo le famiglie mafiose hanno esteso la loro influenza in altre parti del Paese Cosa Nostra, la Piovra siciliana, si è infiltrata e ben radicata nel Nord Italia, Lombardia compresa. Attraverso anche la pratica redditizia e sottotraccia dell’intestazione fittizia dei beni, attraverso i dei prestanomi,  come dimostra appunto l’operazione della DDA “Darsena”… Le mani dei Galatolo, fedelissimi dei Madonia, alleati di Toto' Riina. Sono finiti in carcere il   Vito Galatolo boss dell'omonima famiglia, 40 anni, figlio di Vincenzo, capo storico della cosca mafiosa di Resuttana e dell'Acquasantada sempre interessata alla gestione dei cantieri navali di Palermo che controlla.

Da semplice operaio dei Cantieri Navali a imprenditore leader nel settore. Un'associazione per delinquere che faceva capo alla cosca mafiosa dei quartieri Acquasanta-Arenella di Palermo, capace di infiltrarsi nel lucroso settore della cantieristica navale non solo in Sicilia, ma anche nel Nord Italia.  In carcere, sono finiti altri prestanome della cosca, anche loro impegnati nel settore dei lavori navali. I provvedimenti, sono stati disposti dal gip di Palermo Piergiorgio Morosini su richiesta del procuratore aggiunto della Dda di Palermo Vittorio Teresi e del sostituto Pierangelo Padova. È stato disposto dagli inquirenti anche il sequestro delle società 'Nuova Navalcoibent srl', con sede a La Spezia, 'Eurocoibenti srl' e 'Savemar srl', entrambe con sede a Palermo. Grazie alle dichiarazioni a verbale di due collaboratori di giustizia Angelo Fontana e Francesco Onorato, e un testimone di giustizia Gioacchino Basile. Gli elementi probatori, scaturiscono dalle intercettazioni telefoniche ambientali, che sono state cruciali e hanno costituito una prova tecnica decisiva per la conferma delle dichiarazioni dei collaboratori. Siamo arrivati cos’ all’operazione “Il Crimine” del 13 luglio 2010 e relativo processo, in prima, seconda e terza istanza. Dapprima col rito ordinario, se non davanti al Gup, di cui vi (ri)daremo notizia in altra parte del giornale. Il maxi-processo con rito abbreviato si è concluso il 19 novembre 2011 con 110 condanne per oltre mille anni di carcere.

Compreso, il costruttore Ivano Perego, della Perego Gerenal Contractor di Cassano Brianza, che si era visto condannare per associazione mafiosa a 12 anni di carcere, più 10 di interdizione dal fare impresa e un mucchio di soldi da risarcire.“Timbrato” come “mafioso” perfino  il direttore sanitario dell'Asl di una città come Pavia, Carlo Antonio Chiriaco, l'uomo che amministrava un budget annuale di 780 milioni di euro per 530 mila cittadini e che ora incassava 13 anni; l'avvocato Pino Neri, 18 anni; o il carabiniere Michele Berlingieri, 13 anni e mezzo. Colloqui, registrati in auto, casa, campagne, ristoranti, lavanderie e 63 mila ore di video: compreso  il filmato dei 22 partecipanti ripresi dai carabinieri il 31 ottobre 2009, dentro un centro sociale per anziani intitolato a Falcone e Borsellino nel comune di Paderno Dugnano. Il gup di Milano Roberto Arnaldi aveva ricostruito in 905 pagine, (un milione e 494.604 le conversazioni ascoltate in 25.000 ore di intercettazioni telefoniche su 541 utenze e in altre 20.000 ore di intercettazioni ambientali, oltre 63.840 ore di videoriprese e 625 servizi di osservazione effettuati da cinquanta militari impegnati a rotazione giorno e notte) vita e opere delle 15 "locali" di 'ndrangheta sparse tra il capoluogo lombardo e l'hinterland fino a Pavia e Como. Il “primo processo”, condannò pure i vari imputati, a risarcire non solo la presidenza del Consiglio (500.000 euro), i ministeri della Difesa (500.000) e dell'Interno (250.000) e la Regione Calabria (200.000), ma anche la Regione Lombardia (1 milione di euro, il che ha scatenato nelle gabbie la rabbiosa ironia dei detenuti al grido di «i nostri soldi ai mafiosi veri»), e con 300.000 euro a testa la Provincia di Monza e i Comuni di Pavia, Desio, Bollate e Seregno, nonché la Federazione Antiracket Italiana (50.000) e le Infrastrutture Acque Nord Milano (30.000).

‘La pena più alta, titolava il Corriere della Sera, è spettata al boss Pio Candeloro, esponente della criminalità organizzata locale di Desio, in Brianza’, inteso “Tony Soprano”. Desio: sentenza per "Infinito", 40 condanne e 3 assoluzioni, risarciti Comune e Provincia. A rivelarlo, sono state le carte dell’ottava sezione penale del Tribunale di Milano. “ Ed ora, 110 condanne fino a 16 anni di reclusione per i presunti appartenenti alle 15 locali dell’ndrangheta in Lombardia, dopo 9 ore di camera di consiglio, al termine della lettura del dispositivo, durata circa un’ora, in Corte d’Appello con la conferma del castello accusatorio e  (in larga parte) delle condanne. Resta l’ultimo appello, quello della Corte di Cassazione; peraltro già chiamata in causa… Il 10 gennaio 2013 la Cassazione aveva annullato per un vizio di forma (inghippo della stampante Il deposito delle motivazioni avvenne in due tempi) il deposito delle motivazioni della sentenza del processo milanese 'Infinito' sulle cosche della 'ndrangheta con cui sono state condannate 110 persone. La Corte d'appello   aveva dovuto tamponare perchè i termini di custodia cautelare scadevano al massimo nel mese di aprile. Una sentenza storica, in primo grado,   a carico anche di  numerosi presunti boss con pene fino a 16 anni di reclusione per i presunti appartenenti alle 15 'locali' della 'ndrangheta in Lombardia.

Bollate:   Cormano,  Bresso,  Corsico, Limbiate, Pioltello, Rho, Desio, (Nel gruppo  oltre a Moscato, Pio e Minniti, figurano:Saverio Moscato (deceduto un paio di settimane fa), Domenico Pio, Giuseppe Minniti, Giuseppe Sgrò, Edoardo Sgrò, Candeloro Polimeni, Antonino Tripodi, Domenico Manna, G.S., Francesco Di Palma, Bartolo Foti, V.C.. In manette anche i fratelli Marrone, Natale e Ignazio, titolari dell'autodemolizioni di via Ferravilla ( ma non sono accusati di associazione mafiosa); Seregno, ( facevano parte della 'locale'  Antonino Belnome capo dell'organizzazione, dopo l’omicidio di Rocco Cristello, Cosimo Squillacioti, Antonio Stagno, Tommaso Calello, Salvatore di Noto, Simone di Noto, Gerardo Gambardella, Cristian Silvagna, Antonio Squillacioti, Agazio Squillacioti, Luigi Tarantino, Giuseppe Tedesco, Raffaele Tedesco, Fabio Agostino, Giovanni Castagnella, Giuseppe Daniele, Vincenzo Romano, Srgio Sannino, Rocco Stagno; Mariano Comense, Erba, Canzo,  Legnano, Milano ( ex capitale morale degl’Italiani, dove si smerciano tre tonnellate di cocaina la settimana; il denaro a peso…un milione di euri, pesa trenta chili).

Una sentenza che riconobbe l'esistenza di una cupola della mafia calabrese con infiltrazioni nel settore edile e con tentativi di inquinare anche la vita politica in Lombardia. Le lievi riduzioni di pena nel processo d’ Appello,  hanno riguardato una quarantina di imputati, tra questi Alessandro Manno, che è passato da 16 anni a 15 anni e tre mesi di carcere, Cosimo Barranca, ritenuto il boss della cosca di da 14 a 12 anni di carcere, Vincenzo Mandalari, capo della «locale» di Bollate, da 14 anni a 12 anni e otto mesi.

Ridotta la pena anche a Pasquale Zappia, nominato “capo dei capi” durante una riunione a Paderno Dugnano: per lui si è passati dai 12 anni inflitti in primo grado a 9 anni in appello. Un “aiutino” lo aveva dato a suo tempo, il mammasantissima Antonino Belnome, di Giussano, diventato un pentito e reo confesso dell'omicidio di Carmelo Novella, compare “Luzzo”lo 'scissionista' della n'drangheta calabrese in trasferta in Lombardia. Belnome, nato e cresciuto a Giussano da genitori calabresi, battezzato con la dote del Padrino e capo del locale di Giussano, primo collaboratore di giustizia dell'inchiesta Infinito-Crimine, era stato condannato a 11 anni e mezzo di reclusione. Ma Belnome svelò altri misteri. Quelli del delitto di Rocco Cristello, allora capo del locale di Seregno. Ed anche  i luoghi, dove la 'ndrangheta con il sistema della ‘lupara bianca’, ha fatto sparire altri due affiliati: Antonio Tedesco detto l'Americano, freddato il 27 aprile 2009 in un maneggio di Bregnano (Como) e Rocco Stagno, ucciso e dato in pasto ai maiali nella porcilaia di Bernate Ticino.
Domenico Salvatore


















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