In
questi giorni di passione un’immagine rimane fissa nella mia mente: il
cammina di Gesù con altre persone. Tutta la vita pubblica di Gesù è
stato un continuo camminare tra la gente e con la gente; ma negli ultimi
giorni della sua vita e dopo la risurrezione il suo camminare con gli
altri prende una connotazione tutta particolare perché il suo cammino ci
rivela il significato della salvezza che ci ha portato.
Nell’ingresso
trionfale a Gerusalemme c’è la folla che lo precedeva e lo seguiva (Mt
21, 9). Mentre sale in Calvario con la croce sulle spalle lo seguiva una
grande folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano
lamento su di lui (Lc 23, 27). Anche Pietro e Giovanni seguirono Gesù a
distanza durante la fase processuale e camminarono con lui (Gv 18, 15),
Giovanni sino al Golgota (Gv 19, 26). Lo segue anche sua Madre e le pie
donne, che poi assistono esterrefatte alla sua morte e sepoltura (Gv 19,
25). Dopo la risurrezione è Gesù che si accompagna ai discepoli di
Emmaus (Lc 24, 15) e vuole che i discepoli vadano in Galilea per poterlo
vedere di nuovo (Mt 28, 10).
Le
celebrazione della passione non è solo un ricordo della storia della
passione e morte del Signore, ma un accompagnarci a lui per comprendere
il suo dolore e partecipare anche noi alla sua sofferenza, offrendo la
nostra. Del resto è questo il significato devoto del pio esercizio della
Via Crucis che caratterizza la quaresima cristiana e questi giorni di
passione.
Il
significato del verbo accompagnarsi deve ritornare continuamente in
questi giorni nella nostra mente; dovremmo fare di esso una vera e
propria ruminatio, secondo lo schema della Lectio Divina. Capiremmo che in realtà non siamo noi ad accompagnarci a Cristo, ma è Cristo che si accompagna a noi. Si ripete quanto la liturgia dice di Gesù e di Simeone nella festa della presentazione al tempio Senex puerum portabat. Puer autem senem regebat (Il
vecchio portava il bambino. Il bambino a sua volta sosteneva il
vecchio). Nella passione è Cristo che porta il peso della nostra vita e
si fa nostro compagno nel cammino della nostra sofferenza. Noi lo
percepiamo e lo crediamo seguendo il cammino della croce e dandoci una
ragione di tale cammino.
La
verità del mistero dell’Incarnazione, che raggiunge il suo culmine
nella passione e morte, è tutta qui: Dio non ci ha salvati eliminando
dalla vita dell’uomo il dolore, la fatica e la morte, che sono la triste
conseguenza del peccato e perciò una necessità esistenziale per tutti;
ma in Cristo si è accompagnato a noi per rendere meno difficile il peso
della vita e dare un senso ad ogni sacrificio. E’ Gesù, pertanto, che
nella passione si accompagna a noi nel nostro difficile cammino, e noi
nella fede lo sentiamo vicino: ci sentiamo sostenuti da lui, confortati,
incoraggiati. Tutto quanto nella Via Crucis si dice di lui, che è
confortato, aiutato, sorretto, asciugato, in realtà è da attribuirsi a
noi perché nel cammino della croce è lui che diventa il nostro buon
samaritano.
Contemplandolo
sotto il peso della Croce ci convinciamo che nessuna sofferenza è
inutile, sprecata o senza senso. Nessuno di noi può gridare disperato
contro Dio. Possiamo elevare a lui il nostro lamento, il nostro grido di
aiuto, la nostra preghiera. Così come ha fatto Gesù. Sappiamo che lui,
come Crocifisso risorto, intercede ancora per presso il Padre, come dice
la Scrittura: Essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore (Eb 7,25). Questa fiducia ci fa camminare sereni, nonostante il pesante fardello che noi portiamo.
Neanche
la morte ci fa paura. Contemplando Gesù sulla croce mentre si affida al
Padre e confida in lui, anche noi guardiamo alla morte come al
passaggio doloroso vero la vita nuova che il Signore ci dà. La morte non
è la fine della missione del Figlio di Dio sulla terra; se così fosse
stato lui non sarebbe stato veramente il Figlio di Dio. La sua persona
divina, incarnata nella realtà umana, esigeva la risurrezione, che è
diventata così lo sbocco della vita dell’uomo oltre il tempo e lo
spazio. Così come è stato per Gesù.
Il
nostro viaggio con Gesù verso il Golgota è cammino ideale verso la
scoperta del senso della vita umana oltre la morte. E’ il viaggio verso
la conquista della chiave che ci consente di interpretare la vita,
perché la Pasqua di Gesù, la sua morte e risurrezione, è per noi la
chiave che ci introduce nel mistero della vita dell’uomo. Dall’orizzonte
dell’eternità guardiamo la vita con i suoi problemi e le sue necessità.
Su questi problemi proiettiamo la luce che viene dall’eternità. Le cose
acquistano una dimensione diversa, il nostro pessimismo si
ridimensiona, la nostra disperazione svanisce. La risurrezione di Cristo
ci dà la garanzia che tutto il male del mondo sarà vinto, anche se
questa vittoria ci costerà tantissimo. Ecco perché S. Paolo ha detto che
se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana la vostra fede (1Cor 15, 14).
Ora,
mentre camminiamo nel tempo, ci accompagniamo a Gesù in questa Via
Crucis continua che è la vita umana. Come abbiamo detto, è lui che si
accompagna a noi, come con i Discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35). Abbiamo
bisogno di capire e di credere che la morte e risurrezione di Gesù sono
la chiave interpretativa del senso della nostra vita. Ecco allora che
Gesù si mette in cammino con noi e ci segue passo passo nella
comprensione del dato di fede e della sua accettazione. Come ha fatto
con i discepoli di Emmaus: Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla
parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste
sofferenze per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosé e da
tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a
lui (Lc 24, 25-27).
Bisognava che il Cristo sopportasse.
Ecco il dato di fede che dobbiamo capire ed accettare. Ma sarà tale
dato ad introdurci nel mistero della vita. Ci farà capire che fare il
bene costa; che tenere sotto controllo il peccato che è dentro di noi
scatena una lotta terribile; che il patire violenza educa alla
compassione verso gli altri; che il dolore affina l’amore; che l’amore è
sempre dono.
Il
cammino di comprensione non sarà facile né breve. La fede è una cosa
seria. Essa non è mai visione, lascia sempre delle ombre che possono
anche metterla in discussione. S. Paolo ci metteva in guardia su questa
situazione: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa… ora conosco in modo imperfetto (1Cor 13, 12). E ancora: Siamo
sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo
in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in
visione (2Cor 5, 6). Ma è il rischio che bisogna correre. E Gesù ce
lo ha detto quando ha raccontato le parabole della costruzione della
torre o del muovere guerra (Lc 14, 28-32). Il racconto seguiva la
solenne affermazione: Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo (Lc 14, 27). E avere fede significa illuminare la propria vita con la croce del Signore.
In
questi giorni di passione, sperimentando la nostra fede vacillante, non
ci resta che pregare Gesù con i due discepoli di Emmaus: Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino (Lc 24, 29).Vescovo di Locri-Gerace Giuseppe Fiorini Morosini

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