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Mistero ed incredulit​à, ucciso in casa a colpi di pistola il barone Livio Musco di Gioia Tauro.

Un proprietario terriero, Livio Musco, di 74 anni, e' stato ucciso  ieri sera nel suo studio, nel palazzo di famiglia, a Gioia Tauro. L'agguato si è consumato in pieno centro poco dopo le venti. A due passi dal Comune e dalla caserma dei Carabinieri e dalla sua abitazione.  Due colpi  di pistola 7,65 o 6,35 hanno ucciso   il possidente molto conosciuto in città.   Le indagini per identificare il killer e risalire al movente sono condotte dai carabinieri della locale Compagnia diretta dal capitano Francesco Filippo Cinnirella, che non escludono che la vittima potesse conoscere il suo assassino. Sulla porta dello studio, infatti, non sono stati trovati segni di effrazione.

GIOIA TAURO (RC), MISTERO, IL BARONE LIVIO MUSCO, 74 ANNI, VEDOVO, TRA FIGLI, PROPIETARIO TERRIERO, ASSASSINATO A COLPI DI PISTOLA.

Il corpo della vittima, è stato trovato nello studio  di casa in cui viveva da solo; a poche decine di metri dalla caserma dei carabinieri, sembra al momento estraneo a ambienti criminali. Nessun segno d’effrazione è stato ritrovato sulla porta Musco, già noto alle forze dell’ordine per truffa, è morto subito dopo essere stato portato in ospedale. Sul posto il p.m Giulia Pantano, coordinata dal procuratore capo della Repubblica di Palmi, Giuseppe Creazzo. Confuse, se non contraddittorie le prime voci sul delitto, che potrebbero essere confermate o smentite
 
Domenico Salvatore

GIOIA TAURO-24 marzo 2013- Incredulità e scoramento per l’ennesimo delitto nella sterminata Piana di Gioia Tauro. Nella città del porto, già funestata da una serie interminabile di omicidi. La stragrande maggioranza dei quali, legati e collegati con la criminalità organizzata. Musco, fonte Ansa, già noto alle forze dell'ordine per truffa, è morto subito dopo essere stato portato in ospedale. Sono stati gli stessi medici ad avvertire i carabinieri di quanto accaduto. Secondo le prime informazioni, l'uomo sarebbe stato soccorso da un familiare. Da una prima ricostruzione, il delitto non sarebbe da ricondurre alla criminalità organizzata. L'uomo non risulta fosse legato ad ambienti criminali ed anche l'uso di un'arma di piccolo calibro sembrerebbe far escludere questa eventualità. I carabinieri ritengono che sia stato lo stesso Musco ad aprire la porta al suo assassino, segno che comunque lo conosceva. Appena entrato nello studio, posto in un palazzo nel centro di Gioia Tauro, a poche decine di metri dalla caserma dei carabinieri, il killer ha sparato raggiungendo l'uomo al volto ed al collo. La possibile scena del delitto…il sicario, conosce bene il suo obiettivo, abitudini, indirizzo, vizi privati, pubbliche virtù, vita e miracoli. Entra in casa della vittima, senza alcun problema. Nessuno lascia più la chiave nella toppa. Specialmente a Gioia Tauro & dintorni. Una zona ad alta densità mafiosa. Nemmeno Livio Musco, che oltretutto viveva da solo. Dunque, potrebbe  aver aperto la porta al suo giustiziere lui stesso. Era un parente, un amico, un conoscente? Una delle tante ipotesi investigative. Il dubbio è se prima della sparatoria, fra i due ci sia stata o meno una discussione, un battibecco, un alterco, una richiesta estorsiva od un prestito. Seconda ipotesi, c’è di mezzo una donna. Terza ipotesi, il barone avrebbe negato la vendita di un terreno a prezzi stracciati. Quarta ipotesi, l’uomo avrebbe visto o detto, qualcosa che non dovesse e cos via. Solo al no dell’anziano, il boia, avrebbe ucciso, sparando, quasi a bruciapelo. Il latifondista, colpito in punti vitali è stramazzato al suolo in una pozza di sangue.

Eseguita la macabra missione di morte, sangue e rovina, l’assassino, si sarebbe allontanato dalla zona, ospite indisturbato. Altro punto di domanda:chi ha visto, quando e come, il corpo senza vita del possidente? Sul luogo del delitto sono intervenuti, il medico legale Mario Matarazzo od altro sanitario; il p.m. Giulia Pantano o suo collega coordinato dal procuratore capo della Repubblica, Giuseppe Creazzo; la ditta del caro estinto, per la rimozione del cadavere, trasportato all’istituto di medicina legale. Nell’immediatezza del delitto, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, hanno istituito una cintura militare intorno al vasto hinterland. Con posti di blocco volanti, controllo dei pregiudicati della zona, stub e loro alibi-orario. Sull’esito vige il massimo riserbo  e nulla trapela. Le indagini per identificare l’esecutore materiale del delitto, e risalire al movente, se non al mandante, partono in salita. Non vi sarebbero testimoni al delitto. Oltretutto, in una zona ad alta densità mafiosa. Dove l’omertà che cuce le bocche a doppia mandata, regna sovrana. Si parte dai reperti, dai rilievi tecnici e dall’autopsia. Che sarà eseguita dal perito settore, nominato dal Tribunale. E subito dopo la salma verrà restituita alla famiglia per le esequie, che si svolgeranno a Gioia Tauro, in forma pubblica. Salvo l’opposizione del questore di Reggio Calabria, Guido Nicolò Longo. UUn altro proprietario terriero preso di mira. Sono tanti in Calabria. Compreso un altro barone, Antonio Cordopatri… “Un barone calabrese originario di Oppido Mamertina (Piana di Gioia Tauro), la sua famiglia era proprietaria di numerosi terreni (coltivati ad ulivi e agrumi) nella zona di Oppido e per tale motivo entrò nel mirino della 'Ndrangheta (in maniera più specifica nel mirino della 'ndrina Mammoliti) che per esercitare il suo predominio sul territorio e lucrare profitti imponeva l'affitto o l'acquisto, a costi irrisori e spesso dietro minacce e intimidazioni, di ettari di fondi. Tramite questi terreni la 'ndrina otteneva soprattutto cospicui finanziamenti statali e comunitari per la produzione dell'olio di oliva.

La famiglia Cordopatri ha sempre rifiutato tali "pretese" della criminalità organizzata, difendendo appieno il proprio diritto di proprietà, anche il barone Antonio ha continuato il modus operandi della propria famiglia (dopo la morte del padre e del fratello) denunciando anche il tutto alle autorità preposte. L'omicidio. La mattina del 10 luglio 1991 a Reggio Calabria, fonte Wikipedia, il barone si trovava in macchina sotto la sua abitazione ad aspettare la sorella Teresa, quando ad un certo punto spuntò il killer che estrasse la pistola e lo uccise: l'assassino puntò poi l'arma contro la donna che nel frattempo era uscita di casa ma fortunatamente l'arma s'inceppò. Il killer fu bloccato da una pattuglia dei vigili urbani immediatamente dopo. Il processo. Come autore materiale dell'omicidio, fu arrestato Salvatore La Rosa di Tropea, che venne poi processato e condannato in primo grado all'ergastolo, in secondo grado a 25 anni di reclusione, sentenza confermata dalla Corte di Cassazione nel 1994, come mandante dell'assassino invece fu condannato definitivamente Francesco Mammoliti ('ndrina Mammoliti), nel processo era anche coinvolto il boss Saverio Mammoliti, ma i giudici lo hanno sempre assolto.”. L’omicidio di Gioia Tauro, è stato detto e scritto non ha matrice mafiosa. Sarà, ma sul territorio, non si muove foglia senza che la ‘ndrina dominante, non lo voglia. Anche i delitti, vengono pianificati dal capo crimine della cosca egemone. Sebbene ci sia anche la possibilità di una vendetta privata, apparentemente scollegata, rispetto alle dinamiche criminali. L’ondata di delitti che insanguina la sterminata Piana di Goia Tauro, non accenna a placarsi. E crea panico, paura, indignazione e sdegno, ma anche preoccupazione. Il sindaco Renato Bellofiore ha condannato pubblicamente il fenomeno ed ha incontrato pure il Prefetto, il Questore ed altre istituzioni.

Domenico Salvatore
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