Di
Pierfranco Bruni - Il
rapporto tra poesia e musica (ovvero tra linguaggio poetico e linguaggi usati
nelle canzoni d'autore) dagli anni Sessanta in poi ha innescato, nel contesto
culturale italiano, una interessante dialettica che ha permesso di approfondire
alcuni particolari aspetti, i quali hanno riguardato, in modo piuttosto
considerevole, la ricerca letteraria e i modelli poetici. Non si è trattato (e
non si tratta) di definire i confini o gli intrecci ma forse di riconsiderare
alcuni incontri di natura letteraria all'interno della canzone d'autore.
Ci sono diverse presenze significative
che hanno contribuito a formare un tessuto lirico di una canzone d'autore che
con molta armonia ha accettato il confronto, anzi, il più delle volte, lo ha
cercato. Ci sono testi tipici di cantautori che si recitano come se i versi
fossero versi di una poesia e si impongono non tanto per il ritmo musicale ma
per la poeticità della parola. Da DeAndré (il più importate coniugatore del
dialogo tra letteratura e musica) a Bruno Lauzi (ci sono versi di questo poeta
cantautore che condensano una sottesa malinconia poetica che ha richiami
letterari profondi, esempio: "Nel vecchio paese/ci sono quattro case/e un
solo caffè./Si gioca alle carte/seduti all'aperto,/si prende di re" da
"Vecchio paese"). Da Endrigo a Guccini (alcuni testi, di quest'ultimo
sono vera e propria poesia) a Vecchioni (gli stimoli letterari e poetici in modo
più diretti sono tanti) a Battiato (antico e moderno sono una lungimirante
singolarità culturale).
Il caso Luigi Tenco (1938- 1967), non è un discorso a parte. Rientra,
indubbiamente, in questo contesto anche se, a mio avviso, vanno ridimensionati
alcuni presupposti. Non credo al grande spessore poetico (in tutte le canzoni)
di Tenco. Ci sono delle canzoni che hanno una loro presenza fortemente poetica
ma ce ne sono altre che fanno trasparire una debolezza non solo espressiva ma
anche tematica.
Certamente la sua morte ha enfatizzato il
tutto e ha creato il mito Tenco. E' una presenza imponente ma non ne facciamo,
in tutte le circostanze, un poeta a tutti i costi. Versi straordinari restano:
"E lontano, lontano nel tempo/qualche cosa negli occhi di un altro/ti farà
ripensare ai miei occhi/a quegli occhi che ti amavano tanto" (da
"Lontano, lontano"). Oppure: "Il tempo veloce passò/su favole
appena iniziate,/su giochi bambini/finiti in castigo,/su grandi avventure
sognate/sui libri di scuola. (…) Il tempo veloce passò/sul volto dell'unica
donna,/sul sogno di vivere/insieme per sempre,/su grandi promesse,/su poche
parole d'addio" (da "Il tempo passò").
Il tema del tempo in Luigi Tenco è
centrale. Uno dei poeti amati da Tenco è stato chiaramente Cesare Pavese (1908
– 1950). Lo si evince da molti testi e non solo da una “parametrazione”
esistenziale. Il tempo come memoria e non come storia. Il tempo che cattura una
consapevolezza che è esistenziale. Il tempo e l’incontro con la morte. Sono elementi
che caratterizzano sia Tenco che Pavese. Mi riferisco in modo particolare al
Pavese del “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Esisti estetici e lirici e
confronti esistenziali. Pavese costituisce un personaggio simbolo soprattutto
per quell’inquietudine che ha sempre contraddistinto lo scrittore de “La luna e
i falò”. Quell’inquietudine tutta giocata tra ricerca e stile, superamento del
rappresentativo e definizione delle immagini – tempo vive nel senso lirico di
Tenco. “Un giorno dopo l’altro”, “Vedrai Vedrai…”, “Lontano Lontano…” sono la
misura del suo rapporto con Pavese del verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
D'altronde la formazione culturale di Tenco è ben
dettagliata. Parlo di formazione
assolutamente letteraria. Il Tenco delle canzoni citate ma anche quello
che canta - recita "Un giorno dopo l'altro" ("Un giorno dopo
l'altro/il tempo se ne va/le strade sempre uguali/le stesse case. …Un giorno
dopo l'altro/la vita se ne va/e la speranza/è un'abitudine") o "Ho
capito che ti amo" o "Io sì" ("Io sì che t'avrei fatto
vivere una vita di sogni/che con lui non puoi vivere" propone una
meditazione sul tema del tempo in termini etici, esistenziali, letterari ed
onirici ed è l'autore che resta e segna un tragitto di grande interesse all'interno
della canzone d'autore. E' il Tenco che definisce un processo magico e poetico.
Il tempo e il sogno sono due
caratteristiche fondamentali che si consolidano in pagine importanti della
canzone d'autore. La dimensione onirica è profondamente vissuta da Tenco come è
vissuta anche in modo metaforico da Fabrizio De André. Nello stesso De Andrè
tasselli pavesiani sono abbastanza evidenti. Legami lirici e non direttamente
culturali. Legami estetici e poetici. Tensione poetica e messaggio politico non
mi hanno mai convinto. La dimostrazione sta proprio nell'ascoltare questi
testi. Accanto a questo Tenco ce ne è un altro la cui resa non è, chiaramente,
la stessa.
Si tratta di un approccio problematico ad
alcuni aspetti socio-politici il cui risultato non approda ad esiti artistici.
Per esempio cosa c'è di artistico (o di poetico) in un testo come "Ognuno
è libero": "Cosa c'è di strano/da guardare tanto/forse perché noi non
siamo/vestiti bene/pettinati come voi/Beh,/ se non vi piace/così come siamo/voltatevi
dall'altra parte/e non fate caso a noi" o in "Io sono uno":
"Io sono uno/che parla troppo poco/ma c'è già tanta gente/che parla
sempre/che pretende di farsi sentire/e non ha niente da dire". E' un
linguaggio completamente privo di tensione lirica e neppure sul piano musicale
ci sono elementi innovativi.
Ma il top di una fragilità lirica la si
avverte in "E se ci diranno": "E se ci diranno/che la gente
incivile/può essere instradata/solo col fucile/noi che già li conosciamo questi
apostoli armati/di cui sempre nella storia ci siamo vergognati/noi
risponderemo". Se si analizzano i testi prima citati e le sottolineature
che ne emergono (quelli che appartengono alla sfera realmente artistica) non si
può non pensare ad un autore che aveva come riferimento una cultura della
tradizione (considerato l'argomentare anche letterario non solo esistenziale).
Qui, comunque, la questione, è di ordine prettamente letterario.
Ci sono testi che reggono e lasciano
chiaramente il segno, un segno indelebile come più volte ho avuto modo di
affermare, e altri che si mostrano con una caduta di stile paradossale. La
stessa "Ciao amore, ciao" sul piano letterario (ma anche su quello
musicale) non può essere paragonabile ad un testo come "Un giorno dopo
l'altro". Le contraddizioni sono evidenti. Ciò non toglie che Luigi Tenco
ha intagliato un percorso notevole nella canzone d'autore ma i distingui vanno
fatti. Che poi sia l'antesignano di un modello generazionale che è esploso
nella contestazione studentesca è tutto da vedere. Tenco amava avere successo,
puntava a vincere e non a contestare.
Smettiamola di disegnare un personaggio
viziato se è vero che in un dibattito del novembre del 1966 dichiarava:
"…io canto non perché m'interessa protestare e poi quindi lo faccio cantando.
Io canto, ripeto, perché mi piace la musica. Da bambino prima ancora di sapere
che cos'era la protesta, io avevo una chitarra in casa con la quale
suonavo" (da "Aldo Fegatelli Colonna, Luigi Tenco, Vita breve e
morte di un genio musicale, Mondadori negli Oscar Saggi, pag. 170). Tenco
puntava, in realtà, ad una canzone popolare e nazionale servendosi di una
tradizione fortemente radicata nella cultura italiana. Questo è un aspetto
importante. lo stesso Tenco due giorni prima di morire afferma: "In Italia,
purtroppo, il grosso sbaglio è quello di guardare al mercato mondiale e
imitarlo, quando ci sarebbe da noi un patrimonio musicale vastissimo e pieno di
folklore. Bisognerebbe prendere melodie tipiche italiane e inserirle in un
sound moderno, come fanno i negri con i rhythm and blues o come hanno fatto i
Beatles che hanno dato un suono di oggi alle marcette scozzesi, invece di
suonare con la zampogna. In Italia si è vittime del provincialismo perché sanno
apprezzare solamente quello che viene dall'estero…" (da "Il
Lavoro" del 28 gennaio 1967, e ora nel testo di Aldo Fegatelli Colonna,
cit.).
Ecco, il Tenco tradizionalista, il Tenco
pavesiano. L'autore che chiedeva, alla cultura musicale di quegli anni, di
recuperare il valore di una identità tradizionale. E' un atto significativo che
va oltre qualsiasi forma di internazionalismo proponendo di restare all'interno
delle radici nazionali. Ed eravamo in anni difficili sul piano ideologico.
Certamente la formazione letteraria di Tenco è complessa e va dalla canzone e
dalla poesia francese a quella italiana (Pavese, chiaramente, ha molto influito
ma Pavese è presente in molti cantautori italiani sino all'ultima generazione,
così come è presente il percorso poetico "maledetto" anche italiano:
dalla Scapigliatura ai Crepuscolari, come pure ha influito la scuola poetica
ligure ma anche questa influenza o questa presenza è abbastanza sentita in
altri autori come De André, Lauzi, Paoli).
Insomma Tenco è un autore senza schemi
ideologici ma la sua forza poetica non sta nelle ambientazioni di "ciao
amore, ciao" o di "Li vidi tornare" piuttosto in testi come
"Ho capito che ti amo": "Ho capito che ti amo quando ho visto
che bastava un tuo ritardo per sentir svanire in me l'indifferenza per temere
che tu non venissi più Ho capito che ti
amo quando ho visto che bastava una tua frase per far sì che una serata come
un'altra cominciasse per incanto ad illuminarsi… Ho capito che ti amo e già era
troppo tardi per tornare per un po' ho cercato in me l'indifferenza poi mi sono
lasciato andare nell'amore". Ed è qui che si avverte maggiormente la
lezione di Pavese. Di un Pavese che recita l’amore e la tragedia. Di un Pavese
che si fa cantico di quelle malinconie che hanno attraversato il Novecento.
Sono indefinibili malinconie che tracciato una vita.
Un percorso (riportato letteralmente)
straordinario in cui il sentimento è un sentiero incantato di magie e di
emozioni sul tema dell'amore. Qui è il grande autore. Il Tenco che dà voce e si
fa riferimento. Il resto (quell'altro Tenco) è retorica ma oltre tutto non è
poesia. E' una ricerca che non approda ma oltre tutto non ha consistenza
artistica. E lontano, lontano nel tempo… E' quel tempo che si è incasellato in
molti di noi ma soprattutto in quel rapporto vero tra poesia e linguaggio
musicale. Sia Tenco che Pavese hanno accompagnato generazioni. Sul filo di un
mosaico che lega i tasselli di un tempo – esistenza che si voluto precocemente
incontrare con il tempo – morte. Ci saranno i giorni lontani e i gatti lo sapranno.
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