Bruno Palamara, era latitante dal febbraio del 2013, perché ricercato con l’accusa di traffico internazionale di droga. Bruno Palamara, di 51 anni, boss della ’ndrangheta con una posizione di vertice nell’omonima cosca di Africo Nuovo (Reggio Calabria), arrestato dallo Sco diretto da Francesco Rattà e dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria diretta da Gennaro Semeraro. Palamara, originario di Africo Nuovo, è accusato di essere un elemento di spicco dell’omonima cosca attiva in varie regioni ed anche all’estero nella movimentazione di consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti. Il boss latitante è stato bloccato lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria all’altezza di Sala Consilina (Salerno) mentre viaggiava a bordo di un’Audi A4 guidata da un uomo di 43 anni, Giuseppe Staiti, che è stato anch’egli arrestato con l’accusa di favoreggiamento personale. Palamara, quando la sua auto è stata bloccata dai poliziotti, ha tentato di nascondere la propria identità esibendo un documento di riconoscimento contraffatto, ma gli agenti lo hanno subito riconosciuto, anche perché si trovavano in quel punto dell’A3 non per caso bensì per un controllo «mirato» sulla base di una precisa attività investigativa che aveva consentito loro di ricostruire i movimenti più recenti del latitante. Bruno Palamara era ricercato dal febbraio del 2013 perché destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Roma su richiesta della Dda della capitale, con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Malgrado non fosse stato inserito dal Ministero dell’Interno nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità, Palamara è considerato un esponente criminale di primo piano, a capo di una cosca attiva, non soltanto in Italia ma anche in alcuni Paesi del nord Europa come Belgio, Olanda e Germania, nel traffico di sostanze stupefacenti. In particolare, il gruppo Palamara è implicato, secondo quanto è emerso da varie inchieste condotte dalla Dda di Reggio Calabria, nel traffico internazionale di droga che parte da Africo, in particolare, ma anche da altri due centri della Locride, Bianco e Brancaleone, per rifornire vaste aree del nord Europa. MA BRUNO PALAMARA È UN BROKER, UN CAPOBASTONE DELLA ‘NDRANGHETA OD UN NARCOTRAFFICANTE?
Domenico Salvatore
Lotta alla mafia, significa pure e soprattutto, lotta alla droga: il principale canale di approviggionamento economico finanziario delle cosche di ‘ndrangheta. Una fonte di reddito praticamente inesauribile; vagonate di dollari ed euri a miliardi. Un pozzo di San Patrizio improsciugabile, a cui attingere per gli affari correnti e contraltare alle tantissime uscite. In primis i soldini per i processi. Bisogna pagare gli avvocati, altrimenti si perdono le cause; e le condanne, fioccano come la neve a Madonna di Campiglio, Cortina d’Ampezzo, Val d’Isere e Courmayeur. Le vie della droga sono infinite, nonostante la mano pesante dello Stato e dei magistrati. Migliaia di anni di galera per gl’imputati. Ergastolo per i padrini ed i capibastone, se non il famigerato regime del 41 bis. Se va bene, diffida, soggiorno obbligato, domicilio coatto, sorveglianza speciale, obbligo di firma, servizi sociali, arresti domiciliari ed altre vie di fuga, alternative al carcere. Le vie della prevenzione dei reati e dei delitti, anche. E della repressione, pure. Poi, ci sono i giudici ed i funzionari degli Enti Locali e della Pubblica Amministrazione, delle Banche, delle Poste da corrompere; come hanno più volte segnalato le cronache ed i procuratori capo della repubblica in conferenza stampa od in assemblea studentesca, se non sui libri e sui giornali ed agenzie di stampa, radio e televisione. Lo confermano le condanne; qualcheduna passata addirittura in giudicato. Per queste pratiche, si muove la zona grigia, borghesia mafiosa e colletti bianchi, ma dalle parti di Palermo li dipingono come…”gl’invisibili, gl’intoccabili, gl’innominabili”. E non basta. Bisogna pagare lo stipendio ai gregari liberi e soprattutto a quelli che stanno in galera. Sostenere le vedove e gli orfani. Per rimpinguare la ‘bacinella‘, va bene anche il rakett delle estorsioni, il traffico di armi, boat-people, prostituzione e spazzatura, la filiera del cemento, scommesse clandestine, appalti e sub-appalti, scommesse clandestine, truffe alla CEE e le infiltrazioni nei Comuni, Province e Regioni e perfino nello stesso Stato. Ma lo il mercato della morte, se non degli stupefacenti, viene al numero uno. I soldini per acquistare la polverina sono pronto cassa, mano con mano. Per chi sgarra, “canta“ la lupara e “parla Catarina”, ma non è rara la ‘rapsodia’ del kalashnikov. La credibilità ed il credito, della ‘ndrangheta, sono molto forti presso i produttori ed i narcotrafficantes. Una fiducia cieca, praticamente illimitata. La ‘ndrangheta, tratta direttamente, senza intermediari e può effettuare ordinazioni e commesse, a tonnellate. Via nave, aereo e sottomarino per approdare sulle coste dell’Africa o d’Europa. La ‘ndrangheta, affermano i procuratori capo della DDA e gli aggiunti, ha occhi ed orecchi dovunque(“Quanto noi, se non di più, diceva Antonio Fiano, colonnello comandante della provincia di Reggio Calabria dal 2002 al 2007”). Quando la ‘neve’ giunge sul continente vecchio è pronta una rete di grossisti, piazzisti ed intermediari ed un’altra di corrieri, pusher e spacciatori. Lo Stato veglia e vigila, ovviamente. La magistratura, che sul territorio coordina il lavoro di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, stronca, azzera, reprime, demolisce, smantella, annienta, annichilisce. E premia i solerti funzionari che dedicano tutte le loro energie fisiche e mentali, la loro professionalità, esperienza e competenza per debellare il malaffare. Scriveva Pino D’Amico su Reggiopress del 3 aprile 2014…”
Durante l’intera giornata di oggi, nell’ambito di uno stralcio del processo “Zappa 1”, nel quale sono tuttora imputate ben 63 persone per traffico internazionale di stupefacenti e di armi e per altri reati, è stato ascoltato dalla 2ª Sezione del Tribunale il vice questore aggiunto Diego Trotta, attuale dirigente del Gabinetto regionale di polizia scientifica per la “Calabria”. Il funzionario della polizia di Stato ha deposto sugli esiti delle indagini culminate nella nota maxi operazione antidroga “Zappa 1” (culminata nel 2004, con 43 arresti, in Italia e all’estero, e il sequestro di cospicui quantitativi di cocaina e hascisc e di un arsenale di armi munizioni ed esplosivi). Operazione che, com’è noto, è già sfociata in una raffica di pesantissime condanne pronunciate, anni or sono, sia dal Gup, sia dal Tribunale reggino, in più riprese e in tempi diversi nei vari filoni processuali.All’epoca dei fatti il dottor Trotta dirigeva la Sezione antidroga della Squadra mobile della Questura reggina. Oggi, Trotta, rispondendo alle domande del pubblico ministero Rocco Cosentino, ha iniziato a riferire al Tribunale i dettagli sulle posizioni dei 63 imputati (dei 203 indagati complessivamente deferiti dalla Polstato, tra i quali quelli già condannati in primo grado dal Tribunale e dal Gup) ancora a giudizio. Tra gli imputati, il noto boss Luigi Facchineri capo dell'omonima 'ndrina operante nel "Locale" di Cittanova, classe 1966, in atto detenuto, e presente in aula. L’attività d’indagine, condotta dal 2001 al 2004, era sfociata, come detto, nell'esecuzione di ben 44 ordinanze di custodia cautelare carico di capi, luogotenenti e affiliati delle 'ndrine federate "Maesano-Pangallo-Paviglianiti”, egemone nei “Locali” di ‘ndrangheta di San Lorenzo, Roghudi e Condofuri, e “Sergi-Marando-Trimboli-Marando”, egemone nel “Locale” di Platì, nonché nel sequestro di un cospicuo quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed hascisc, di un arsenale di armi da guerra, munizioni ed esplosivi ad alto potenziale e l’acquisizione di un rilevante bagaglio di elementi probatori. Personaggi chiave dell'operazione "Zappa 1" si sono rivelati i noti narcotrafficanti di Reggio Calabria, nonchè capi delle citate cosche di 'ndrangheta, Santo Maesano, e Paolo Sergi. L’organizzazione criminale federata oggetto delle investigazioni aveva peraltro progettato l’evasione dal carcere di Madrid del boss Santo Maesano, evitata grazie all’attività investigativa svolta dalla Squadra mobile reggina, dallo Sco e dall’Interpol. L’attività investigativa, ha spiegato il dottor Trotta, si è articolata in numerose direttrici che, a loro volta, si sono progressivamente sviluppate, anzitutto, sotto il profilo probatorio. Al riguardo, ha ricordato che l’attività ha prodotto la cattura di tre latitanti, l’arresto in flagranza di reato di alcuni appartenenti alla consorteria criminale oggetto d’indagine ed il sequestro di un cospicuo quantitativo di sostanza stupefacente e di un arsenale di armi da guerra, munizioni ed esplosivi ad alto potenziale. L’attività ha anche consentito l’acquisizione di un rilevante bagaglio di elementi probatori, che, ad esempio, hanno, tra l’altro, permesso di fare piena luce su due cruenti omicidi commessi, rispettivamente, a Reggio Calabria ed a Madrid.
L’attività investigativa si è, poi, sviluppata anche sotto il profilo geografico su numerosi filoni d’indagine nazionali ed internazionali, corrispondenti a quelle che si sono delineate come le rotte di trasporto ed approvvigionamento della sostanza stupefacente : numerose regioni d’Italia, Spagna, Francia, Marocco, Stati Uniti e le nazioni sudamericane della Colombia, del Perù, dell’Ecuador e del Venezuela. Come accennato, le direttrici investigative dell’operazione “Zappa” si sono sviluppate anche sotto il profilo geografico su numerosi filoni d’indagine nazionali ed internazionali, corrispondenti a quelle che si sono delineate come le rotte di trasporto ed approvvigionamento della sostanza stupefacente : numerose regioni d’Italia, Spagna, Francia, Marocco, Stati Uniti e le nazioni sudamericane della Colombia, del Perù, dell’Ecuador e del Venezuela. Grazie a tali attività, ad esempio, la Squadra mobile reggina, nel mese di agosto del 2003 sventava una rivolta, ed un conseguente tentativo di evasione di massa, dal carcere di Quito (Ecuador), dove risultano detenuti numerosi narcotrafficanti italiani coinvolti nell’ambito della stessa operazione antidroga. Attraverso le tempestive comunicazioni al collaterale organo di polizia ecuadoregno, la Squadra mobile reggina, tramite l’Interpol, si riusciva a fare sventare tentativo di rivolta carceraria imminente. Il processo riprenderà a giugno, con la disamina dei riscontri probatori a carico dei 63 imputati. Il collegio del Tribunale di Reggio Calabria è presieduto dal giudice Mattia Fiorentini.Il boss della 'ndrangheta, Bruno Palamara, 51 anni, uomo di spicco dell'omonima cosca, è stato arrestato sulla A3 all'altezza di Sala Consilina, dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, abilmente diretta dal dottor Gennaro Semeraro e dagli uomini dello Sco, diretto da Francesco Rattà. Palamara, era latitante da due anni, ricercato per traffico internazionale di droga, operava tra Belgio, Olanda e Germania. Con Bruno Palamara, uomo di spicco dell'omonima cosca, inserito nell'elenco dei 100 latitanti più pericolosi, viene considerato dai magistrati di Reggio Calabria e di Roma elemento di vertice della 'ndrangheta, in quanto broker in Europa del traffico di stupefacentihanno arrestato per favoreggiamento un altro calabrese di 43 anni. La cosca Palamara è implicata nel traffico internazionale di droga che parte da Africo, Bianco e Brancaleone, per rifornire il Nord Europa. Il boss Bruno Palamara, 51 anni, esponente dell'omonimo clan Palamara-Staiti, è stato arrestato sulla A3 all'altezza di Sala Consilina, in direzione nord, dagli uomini della Polizia Stradale. Secondo le indagini dello Sco, l'uomo operava tra il Belgio, l'Olanda e la Germania, curando le rotte del Nord Europa del traffico internazionale di stupefacenti. E' il terzo boss arrestato nel 2014 - Bruno Palamara è il terzo boss della 'ndrangheta arrestato dalla Polizia di Stato dai primi mesi del 2014. Il 28 aprile, a Santo Domingo, fu infatti catturato Nicola Pignatelli, 43 anni, latitante inserito nell'elenco dei 100 ricercati più pericolosi dal ministero dell'Interno, ed elemento di vertice del clan Mazzaferro, di Gioiosa Ionica .
Nel giugno scorso, in Perù, era invece finito in manette un altro latitante calabrese, il narcotrafficante Pasquale Bifulco, 41 anni, elemento di spicco della cosca Ietto-Cua, di Careri, in provincia di Reggio Calabria. Nel 2013, tra gli altri arresti eccellenti spicca la cattura in provincia di Alessandria, il 20 aprile, di Sebastiano Strangio, 38 anni, boss della cosca Nirta-Strangio di San Luca, e fratello di Maria, uccisa nella strage di Natale del 2006, che innescò la faida tra le cosche di San Luca. Pochi giorni dopo, il 25 aprile, a Medellin, venne tratto in arresto Domenico Trimboli, 59 anni, tra gli uomini al vertice della cosca Cua-Rizieri, operante nella Ionica calabrese. Il 20 settembre, in Olanda, fu catturato Francesco Nirta, 39 anni, della cosca Nirta-Strangio, di S. Luca. Bruno Palamara, 51 anni, originario di Africo (RC), già destinatario dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere n.29846/2012 R.G.N.R. e n.39825/2012 R.G. G.I.P. emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma in data 14/02/2013, ritenuto responsabile di traffico di sostanze stupefacenti. Al momento del controllo, a bordo del predetto veicolo, oltre al citato Giuseppe Staiti, vi era il latitante Bruno Palamara, il quale a richiesta del personale operante, esibiva una carta di identità falsificata è elemento di spicco delle famiglie di ‘ndrangheta dei Palamara-Maviglia-Staiti operanti sul versante jonico della provincia di Reggio Calabria. La Capitale d’Italia è il baricentro del Paese, ma anche la centrale di tanti, tantissimi “appetiti”. Punto strategico per la vendita-smercio, ma anche per le trattative e le ordinazioni. Ma anche a Roma c’è lo Stato. E c’è un magistrato d’antico pelo come Giuseppe Pignatone; ed un poliziotto dagli occhi di falco e gambe di gazzella come Renato Cortese. Due servitori dello Stato fedeli, abili e capaci, che insieme hanno arrestato ‘U zu’ Binnu, alias Bernardo Provenzano, capo dei capi della Cupola palermitana, alla macchia da quasi mezzo secolo e demolita, smantellato ed azzerato intere cosche di ‘ndrangheta. Sebbene Roma non sia Palermo e neanche Reggio Calabria. Roma, città eterna, fascino inimitabile ed irresistibile. Le mafie se la contendono, ma non vanno allo scontro. Ogni consorteria lavora da sé e per sé. La ‘ndrangheta ha messo naso già dagli Anni Cinquanta. Va da sé, che gli equilibri non siano mai gli stessi. Si cambia in corso d’opera. Continuamente. Le “famiglie” dipendono dalla casa-madre; da cui, ricevono ordini e direttive, ed anche sostentamenti, sostegni logistici, soldoni e droga. Poi, ognuno deve imparare a cavarsela da solo. Molti padrini sono morti. Altri, sono in galera; qualcheduno è stato ‘posato’ o si è ritirato in buon ordine.
Ma, ci sono anche le faide. C’è chi ‘naviga’ nei meandri della legge Gozzini, la numero 663/86…permessi premi; affidamento al servizio sociale; detenzione domiciliare; semilibertà; liberazione; non-menzione. Le spinte autonomistiche e scissionistiche, alla Novella, Catalano, Femia, ci sono è inutile negarlo. La tentazione di spezzare il cordone ombelicale e mettersi in proprio, è un grosso rischio, che si paga a caro prezzo. La cronaca ci ha spiegato quanti pezzi da novanta, padrini e mammasantissima siano stato sforacchiati dalla 357 magnum, 9X21, lupara e kalashnikov. Nonostante i miliardi del vecchio conio, non gli siano mancati mai. Traditi dalla bramosia di potere; dal delirio d’onnipotenza; dall’ingordigia; dal mancato rispetto delle regole. Tutto il business fila e cammina sullo stretto asse dell’equilibrio. Per non cadere, bisogna stare concentrati, agili e snelli; continuamente in tensione. È normale, che le persone passino (in carcere od al cimitero, se non in ospedale). Passano e cambiano anche gli equilibri. Il braccio di ferro è fra giovani ed anziani. Antico e moderno. Conservazione e progresso. Solo il clan, che dispone di una generazione mediana, riesce ad effettuare il così detto salto generazionale in maniera soft, efficiente e funzionale. Quasi senza scosse, né traumi. Il procuratore aggiunto Nicola Gratteri della DDA di Reggio Calabria, in conferenza stampa, disse che i capibastone, non abbandonino mai il loro territorio. Tranne, quando debbano trasformarsi in brokers. In questi casi, la palla passa al reggente della cosca. Ma la droga, pomo della discordia, se non pietra dello scandalo, come tutti sanno crea disagi, dipendenza, traumi, morte e rovina per le vittime e disastri economici per i parenti; e mina la democrazia e la libertà individuale e collettiva. Lo Stato non può limitarsi a guardare. La sorveglianza è massima. I broker sono più furbi di una volpe; più astuti di Ulisse, ma Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, dispongono di mezzi audiovisivi e techno di prima mano e di ultima generazione. I venditori di fumo e di morte, non avranno vita facile. Questo è certo.
Domenico Salvatore











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