Durissima presa di posizione da parte dell’imprenditore Nino De Masi che in una missiva indirizzata al Commissario Straordinario del Governo per il Coordinamento delle iniziative Antiracket ed Antiusura, al Ministro degli Interni ed al Prefetto di Reggio Calabria denuncia l’ostruzionismo dimostrato dalle istituzioni in circa 7 anni di vane attese. Difatti, partendo dalla data del 2006 - anno in cui l’imprenditore pianigiano chiese un mutuo all’apposito fondo quale vittima di usura per poter far ripartire le proprie attività – oggi, nella missiva sottoposta, denuncia una grave forma di disinteresse sfociata in vere e proprie violazioni delle leggi e dei valori costituzionali gravitanti attorno alla normativa antiracket ed antiusura specificamente adottabili al proprio caso. I toni sono quelli di un uomo ed di un imprenditore letteralmente compresso tra la rilevanza civile e morale del suo impegno, al quale – peraltro - lo Stato medesimo ha chiesto coraggio e determinazione non solo ad andare avanti ed a fare impresa ma anche di prestarsi ad esempio generazionale e, come egli stesso riferisce “è successo che il nostro diritto di avere paura e di temere per l’incolumità nostra e delle nostre famiglie, perché è di rischiare la vita che si parla, è passato in secondo piano rispetto alla “ragione di Stato”.
Intervista rilasciata qualche settimana fa, esattamente il 24 maggio 2013.
De Masi che in occasione dell’avvertimento intimidatorio subito attraverso l’esplosione di colpi di kalashnikov ad uno dei capannoni delle sue attività il 13 aprile di quest’anno aveva già manifestato l’intenzione di “chiudere le aziende di Gioia Tauro, vendendo tutto e cessando immediatamente le attività”. Proposito che si rinnova paradossalmente adesso alla luce della sentenza del Tar di Reggio Calabria del 20 giugno 2013, e che si riassume nell’affermazione lapidaria che esprime tutta l’amarezza di un uomo e di un imprenditore al bivio: “ora che i giudici si sono pronunciati ridandoci per la 14a volta ragione, facciamo presente con molta fermezza che se entro il 10 luglio non ci verranno accreditati i soldi chiuderemo immediatamente le aziende per “crimini di Stato”. Una recriminazione che va al di là del mero aspetto economico che, seppur indispensabile in tutta la sua complessità per la stessa sopravvivenza delle aziende De Masi, contiene un retroscena molto più inesplicabile che è lo stesso imprenditore pianigiano a rimarcare sempre nel contenuto della sua missiva: “Informeremo gli organi preposti, media, opinione pubblica, Istituzioni che noi abbiamo resistito ai colpi di kalashnikov della ndrangheta, ma ci siamo arresi ai crimini di Stato e di alcuni personaggi”.
E le ripercussioni purtroppo potrebbero essere disastrose ed immediate non solo sul fronte imprenditoriale ma anche sul fronte occupazionale, dove, a rischiare il posto di lavoro sono 101 dipendenti che vivono assieme al titolare ore di ansie e trepidazione per conoscere della propria sorte. Un brutto colpo da scongiurare per la già fragile economia pianigiana che fa però il paio con la protesta vibrante di De Masi il quale rivendica tutto il diritto di suscitare sdegno e riprovazione per l’ennesima dimostrazione di come lo Stato possa sedurre per poi abbandonare i suoi cittadini in difficoltà.
Giuseppe Campisi
Facebook : /gcampisi74
Twitter: @giuseppecampisi
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Il 3 maggio scorso a Gioia Tauro nonostante la presenza di alte personalità dello Stato al fianco di De Masi, ho registrato l’assenza di quella parte della politica che avrebbe dovuto già da molto tempo dimostrarsi concretamente vicina alle denunce del dott. De Masi, il quale ha fatto più volte trapelare il rischio di abbandonare la nave non per paura della ndrangheta ma per l’indifferenza di una parte dello Stato che è più pericolosa dei mafiosi.
Il principale errore che si possa commettere in questi casi e' proprio quello di far credere alla ‘ndrangheta che i loro bersagli siano lasciati soli dallo Stato che dovrebbe dimostrarsi forte e pronto a non retrocedere di un millimetro rispetto ai propri doveri.
Domani mi farò carico di portare l’argomento nella riunione dei capigruppo prevista per le ore 11 a Palazzo Foti, affinché si programmi un consiglio provinciale aperto che consenta di denunciare con forza la grave irresponsabilità di una parte di burocrazia statale che va richiamata al rispetto delle regole, perché non si può permettere che un pezzo dello Stato raggiunga un obiettivo fallito dalla criminalità.
Intervista rilasciata qualche settimana fa, esattamente il 24 maggio 2013.
De Masi che in occasione dell’avvertimento intimidatorio subito attraverso l’esplosione di colpi di kalashnikov ad uno dei capannoni delle sue attività il 13 aprile di quest’anno aveva già manifestato l’intenzione di “chiudere le aziende di Gioia Tauro, vendendo tutto e cessando immediatamente le attività”. Proposito che si rinnova paradossalmente adesso alla luce della sentenza del Tar di Reggio Calabria del 20 giugno 2013, e che si riassume nell’affermazione lapidaria che esprime tutta l’amarezza di un uomo e di un imprenditore al bivio: “ora che i giudici si sono pronunciati ridandoci per la 14a volta ragione, facciamo presente con molta fermezza che se entro il 10 luglio non ci verranno accreditati i soldi chiuderemo immediatamente le aziende per “crimini di Stato”. Una recriminazione che va al di là del mero aspetto economico che, seppur indispensabile in tutta la sua complessità per la stessa sopravvivenza delle aziende De Masi, contiene un retroscena molto più inesplicabile che è lo stesso imprenditore pianigiano a rimarcare sempre nel contenuto della sua missiva: “Informeremo gli organi preposti, media, opinione pubblica, Istituzioni che noi abbiamo resistito ai colpi di kalashnikov della ndrangheta, ma ci siamo arresi ai crimini di Stato e di alcuni personaggi”.
E le ripercussioni purtroppo potrebbero essere disastrose ed immediate non solo sul fronte imprenditoriale ma anche sul fronte occupazionale, dove, a rischiare il posto di lavoro sono 101 dipendenti che vivono assieme al titolare ore di ansie e trepidazione per conoscere della propria sorte. Un brutto colpo da scongiurare per la già fragile economia pianigiana che fa però il paio con la protesta vibrante di De Masi il quale rivendica tutto il diritto di suscitare sdegno e riprovazione per l’ennesima dimostrazione di come lo Stato possa sedurre per poi abbandonare i suoi cittadini in difficoltà.
Giuseppe Campisi
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Twitter: @giuseppecampisi
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Nino De Masi il sepolto vivo, schiavo dello Stato prigioniero della 'ndrangheta
Le Reazioni POLITICHE
De Masi chiude: la solidarietà non basta!
Ora si sprecheranno pagine di inchiostro per denunciare la paventata chiusura dello stabilimento De Masi e per esprimere una scontata solidarietà ad un imprenditore onesto e coraggioso per incitarlo a non mollare.
Il 3 maggio scorso a Gioia Tauro nonostante la presenza di alte personalità dello Stato al fianco di De Masi, ho registrato l’assenza di quella parte della politica che avrebbe dovuto già da molto tempo dimostrarsi concretamente vicina alle denunce del dott. De Masi, il quale ha fatto più volte trapelare il rischio di abbandonare la nave non per paura della ndrangheta ma per l’indifferenza di una parte dello Stato che è più pericolosa dei mafiosi.
A fermarlo non sono le cosche che gli hanno regalato raffiche di mitra e lasciato in eredità una scorta, e neppure, paradossalmente, le banche con le quali vanta un contenzioso di anni e anni. A sfibrarlo, è la burocrazia di Stato che, dopo ben 14 sentenze del Tar e del Consiglio di Stato a lui favorevoli non gli riconosce ancora il diritto all'erogazione di quel fondo di solidarietà per (almeno) una decina di milioni di euro.
Il principale errore che si possa commettere in questi casi e' proprio quello di far credere alla ‘ndrangheta che i loro bersagli siano lasciati soli dallo Stato che dovrebbe dimostrarsi forte e pronto a non retrocedere di un millimetro rispetto ai propri doveri.
Anche se non ricopro il ruolo che compete a chi dovrebbe procedere alla liquidazione delle somme vantate dal dott. De Masi, mi sento in dovere di chiedere umilmente scusa a quell’imprenditoria sana che rappresenta ancora una speranza di crescita occupazionale per la Piana di Gioia Tauro e che esempio lampante di legalità e senso del rispetto per il nostro territorio da cui spesso tanti scappano.
Domani mi farò carico di portare l’argomento nella riunione dei capigruppo prevista per le ore 11 a Palazzo Foti, affinché si programmi un consiglio provinciale aperto che consenta di denunciare con forza la grave irresponsabilità di una parte di burocrazia statale che va richiamata al rispetto delle regole, perché non si può permettere che un pezzo dello Stato raggiunga un obiettivo fallito dalla criminalità.
Reggio Calabria 01.07.2013
Giuseppe Longo
Consigliere Provinciale Prc


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